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Il quaderno dell’amore perduto di Valérie Perrin

Un’altra sopresa in questa estate di sorprese, il mio incontro con Valérie Perrin. Non amo i libri o gli scrittori che vanno di moda, perché spesso le mode sono influenzate da fattori molto poco oggettivi. Ma ho trovato a un buon prezzo il primo libro della scrittrice francese, tradotto dopo il grande successo dei suoi lavori successivi. Bè, mi sono ricreduta: successo meritato. Venite che vi racconto.

Trama

Segnata dalla morte dei genitori, la giovane Justine ha scelto di vivere a Milly – un paesino di cinquecento anime nel cuore della Francia – e di lavorare come assistente in una casa di riposo. Ed è proprio lì, alle Ortensie, che Justine conosce Hélène. Arrivata al capitolo conclusivo di un’esistenza affrontata con passione e coraggio, Hélène racconta a Justine la storia del suo grande amore, un amore spezzato dalla furia della guerra e nutrito dalla forza della speranza. Per Justine, salvare quei ricordi – quell’amore – dalle nebbie del tempo diventa quasi una missione. Così compra un quaderno azzurro in cui riporta ogni parola di Hélène e, mentre le pagine si riempiono del passato, Justine inizia a guardare al presente con occhi diversi. Forse il tempo di ascoltare i racconti degli altri è finito, ed è ora di sperimentare l’amore sulla propria pelle. Ma troverà il coraggio d’impugnare la penna per scrivere il proprio destino?

Il quaderno azzurro

Il romanzo di Valérie Perrin mi è piaciuto moltissimo, soprattutto il finale. I fatti sono narrati da una giovanissima che, chissà perché, ha una sola passione: gli anziani. Accudirli e ascoltarli è un lavoro che le piace, soprattutto perché non lo fa più nessuno, parenti su tutti. Quindi, questi anziani finiscono nelle case di riposo, spesso senza nessuno che li vada a trovare. E, soprattutto, senza nessuno che voglia ascoltare la loro storia. Infatti, non a caso il titolo originale è “I dimenticati della domenica”. Justine lo fa, li ascolta, e compra anche un quaderno azzurro, per non perdersi neanche una parola di quello che le viene detto. E così, veniamo anche noi a conoscenza del grand amore di Hélène e della vita che è passata e sta per lasciarla andare. Ma Hélène ha un compagno fedele, che non l’abbandona e la sorveglia costantemente. Sarà solo lei a decidere quando andare e lui lo segnalerà. 

Justine

Nonostante il focus su Hélène e l’amore della sua vita, è stata proprio Justine a incuriosirmi di più. E a farmi versare una lacrimuccia, o forse più di una, al termine della lettura. Perché nonostante le sue vicende familiari non semplici, è una ragazza trasparente, gentile, generosa, molto salda nei suoi valori. Se tutti gli operatori sanitari fossero come lei, vivremmo in modo più sereno anche l’inevitabile tristezza degli ultimi momenti, ne sono sicura. Al netto di alcuni passaggi non proprio convincenti, soprattutto nella fase in cui il terribile segreto della sua famiglia verrà rivelato, Un romanzo che vi consiglio se avete voglia di nostalgia, riflessione e romanticismo sottobosco. 

A questo punto, non mi rimane che leggere anche gli altri. Voi siete appassionati di Valérie Perrin? Qual è il vostro romanzo preferito? Fatemi sapere nei commenti! 

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Copenaghen: la felicità? Una porta che si apre

Copenaghen. Una porta che si apre, finalmente. Quella dell’aeroporto, dove non mettevo piede da un po’. E quella del viaggio, dentro me stessa e non solo. Copenaghen, il Nord Europa, Hygge, design, tranquillità. Un periodo non facile, questo, e voglia di staccare la spina. Ma cos’è la felicità? E cosa c’entra con le porte? Venite che vi racconto questo viaggio alla ricerca della felicità.

Un passo indietro

Partiamo da Søren Kierkegaard, teologo e filosofo esistenzialista danese, e da una delle sue frasi più famose. «La felicità è una porta che si apre dall’interno: per aprirla, bisogna umilmente fare un passo indietro». E il passo indietro, per chi come me visita per la prima volta il nord Europa, è osservare senza giudicare. Perché Copenaghen è una città piccola, con pochi abitanti, con uno sviluppo relativamente recente e pochi monumenti da visitare. Per questo troverete scritto in molte guide che “bastano due giorni per visitarla. E’ vero, per girarla bastano due giorni. Ma per sentirla? Facciamo un passo indietro. 

kierkegaard statua con logo

Hygge

Qui devo introdurre questo concetto, che sembra facile, ma non lo è. Oppure, potrebbe essere confuso con un’operazione di marketing per vendere la Danimarca ai turisti. Probabile che in parte ci sia anche questo, ma Hygge (Hyu-ga la pronuncia) è soprattutto un modo di sentire, di vivere, di relazionarsi con gli altri e con se stessi. E’ una filosofia di vita, la realizzazione pratica di quello che Kierkegaard sosteneva teoricamente. E’ un termine intraducibile, di dubbia origine, che si avvicina al concetto di benessere, di pietas nel senso latino del termine. Se la Hallyu coreana è un’onda che proietta la Corea del Sud all’esterno, l’Hygge danese proietta noi stessi verso gli altri, perché se la comunità funziona e si stringe, l’individuo vive bene, ha tempo da spendere per sé e per le persone care, vive in un contesto cui sente di appartenere. Ama trascorrere il tempo con gli amici e la famiglia e ricercare piaceri semplici, che lo facciano stare bene. Ecco, questo in sintesi è Hygge. Che ne pensi? Credi alla possibilità di vivere in questo modo? Non ero molto convinta all’inizio, ma questo è quello che ho visto e percepito. Ora vi dirò dove ho visto l’hygge a Copenaghen e dove, invece, non c’è e dovrebbe esserci.

Cosa vedere a Copenaghen

C’è l’imbarazzo della scelta, ma dato che di solito è una di quelle città cui le guide online attribuiscono due-massimo tre giorni di visita, mi limiterò a dirvi quello che ho visto io, in pieno spirito hygge. Cioè senza correre e affannarmi inutilmente, proprio come fanno i danesi. Anche perché ho trovato un caldo a dir poco anomalo e non avevo seguito il principale consiglio hygge da dare a tutti: vestitevi a cipolla! Stavolta non metterò le attrazioni in base al giro che ho fatto, ma solo in ordine rispetto a quanto mi sono piaciute. La città è girabile tranquillamente secondo le tappe che più vi aggradano, la metropolitana è efficiente e arriva ovunque, ci sono barche e biciclette in quantità per assicurare mobilità sostenibile. Insomma, l’imperativo è rilassatevi e godetevela.

bici copen logo

Nyhavn e Il giro dei canali

Se avete tempo, affittatevi una barchetta e andatevene a zonzo per i canali, ma attenzione a non essere falciati dagli autobus di linea, che suoneranno senza pietà. Per mancanza di spazio, ho scelto la crociera sui canali di un’ora, che parte a tutte le ore a un prezzo ridicolo, circa 7 euro a persona. Non fatevela mancare, mi raccomando. Primo, perché durante il giro vi faranno vedere posti che probabilmente non riuscirete a vedere da vicino, secondo perché è proprio rilassante. Toccherete con mano quanto si godano la vita i danesi, in barca con l’aperitivo, su spiaggette improvvisate con un tuffo in acqua, sulle banchine del porto a chiacchierare o ascoltare musica.

ragazze canale mani alzate cpon logo

La pace dei sensi, veramente. Io ho scelto il tramonto perché i colori sono spettacolari, anche se ho pagato con una sirenetta totalmente in ombra. Che però il giorno dopo era in pieno sole, quindi poco male. La crociera è fantastica anche perché mi ha dato un assaggio di come stiano costruendo i nuovi edifici e quartieri, all’insegna del design e della vita in comunità.

architettura con logo

Dopo essere scesi dalla barca, il quartiere Nyhavn offre di tutto e di più per mangiare. Alcune delle cose che ho assaggiato le trovate in basso, nella sezione Cosa mangiare a Copenaghen. Questo tratto di porto è famoso per gli smørrebrød, che dovete necessariamente accompagnare col grappino locale, lo Snaps.

copenaghen canale con logo

Il diamante nero della biblioteca reale

Una biblioteca futuristica, che affaccia su un canale,  costruita con materiali di granito nero proveniente dallo Zinbawe e vetro affumicato e vetrate di 6 metri per 2,5 metri. Un gioiello di architettura, che cambia sfumatura nel corso della giornata, a seconda del riflesso del sole. Pensavo fosse tutta scena e quando l’ho vista durante la mini crociera dei canali, confesso che non mi ha fatto tutta questa impressione. E poi, lo Zimbabwe, spero che non ci siano problemi di etica e diritti umani dietro questa magnificenza. Dall’interno, però, è tutta un’altra storia. Gli otto piani, tutti accessibili, sono completi di balcone- corridoio a forma di onda che permettono una visita a 360° dello spazio accessibile. Soprattutto, l’edificio è un punto di riferimento per studenti, ricercatori e semplici appassionati, dato che ospita mostre permanenti e temporanee di fotografia e un numero notevole di volumi. Sono rimasta poco, purtroppo il tempo a disposizione non era moltissimo, ma rispecchia in pieno il mood hygge della citttà. Non solo per l’atmosfera pacifica che regna all’interno, nonostante una spaziosa caffetteria, ma anche per la vista sull’acqua, le centinaia di biciclette parcheggiate fuori, le persone con libri o caffè in mano sedute sugli argini a chiacchierare o studiare.

diamante nero con logo

diamante nero interno 1 con logodiamante nero interno 2 con logo

L’edificio, poi, è collegato con l’antica biblioteca, dall’interno e dall’esterno. Basta attraversare la strada e ci si ritrova a salutare la statua di Kierkegaard (sempre lui, quello della porta che si apre da cui siamo partiti) nei giardini del vecchio edificio. Futuro e passato che si intrecciano, guardare avanti senza dimenticare quello che è stato. Molto, molto hygge. Ho attraversato i giardini per andare al mio vero obiettivo, la torre rotonda.

biblioteca naz edificio vecchio con logo

La torre rotonda

La Rundetårn (torre rotonda) di Copenaghen è un edificio che ha tanto da dire. Intanto, ospita l’osservatorio astronomico più antico d’Europa ancora in funzionamento. In secondo luogo, dalla cima si gode una vista a 360 gradi sulla città, come sulla Tour Montparnasse di Parigi o la Seoul Tower coreana. La torre fu costruita nel 1642 per volere di Re Cristiano IV,  proprio per creare il primo osservatorio astronomico di Copenaghen. Per arrivare in cima, bisogna inerpicarsi in salita su per una rampa a spirale. Dopo sette giri e mezzo e un semaforo che dà il via libera alle ultime scalette, si arriva al Belvedere della Torre Rotonda, situato a 34,8 metri d’altezza. Putroppo l’unica via di accesso sono queste minuscole e ripide scalette, quindi l’ultimo tratto non è accessibile a persone con disabilità e anche quello precedente è faticoso. Perché il re l’ha voluta così? Perché voleva raggiungere la cima dell’osservatorio in sella al suo cavallo. E ancora oggi i manutentori salgono con un carrellino elettrico, visti in diretta. Prima o dopo la salita al belvedere,  tanto per spezzare il fiato, ci si può fermare all’antica biblioteca, oggi trasformata in spazio espositivo, e alla soffitta delle campane, che però al momento è chiusa per restauro. 

torre tonda logo

La sirenetta

Criticatissima da residenti e turisti e sito preferito dai danesi per dimostrazioni e deturpazioni varie. Criticata, perché? Per la posizione decentrata, perché meno maestosa di quanto sembri in foto, per l’espressione triste…queste alcune delle rimostranze che ho letto in giro. Innanzitutto, la posizione non è per niente decentrata, la sirenetta viene raggiunta sia dalle imbarcazioni sia da terra. Dopo essere scesi dalla metropolitana, c’è un po’ di strada da fare attraverso un bel parco. E’ probabile che i danesi abbiano scelto quella posizione per lasciarla tranquilla. Negli anni, è stata tutto fuorché tranquilla, ma questa è un’altra storia. La storia della statua risale al 1913, anno in cui il figlio del fondatore del Birrificio Carlsberg decise di fare un regalo alla città, affidandone la creazione allo scultore Edvard Eriksen. Come modella per la statua, lo scultore scelse sua moglie, ispirandosi a un balletto del 1909. Non è maestosa, è vero, è questo la rende umana. Molto umana. Come l’espressione triste. Non è vero che aspetta il principe, attenzione! Lo leggerete ovunque, ma non è la verità. Aspetta un bambino buono a cui sorridere. Piange, invece, se incontra un bambino cattivo. E voi? Che bambini siete? Buoni o cattivi? A me ha sorriso il sole dietro le sue spalle, e pare sia evento abbastanza raro. Mi ha ricordato la storia della costola di balena di Verona che vi ho già raccontato. La sirenetta non può aspettare il principe, perché un’anima immortale non può dipendere dall’amore di un uomo. E il principe di Hans Christian Andersen era già sposato, non sarebbe potuto tornare…ma anche questa è una storia che un giorno vi racconterò meglio. 

sirenetta e bimbi con logo

Fontana di Gefion

Scendendo a sud lungo la riva del canale, ho incontrato la Fontana dedicata alla dea Gefion, raffigurata mentre sprona quattro grossi buoi legati a un aratro. Dice la leggenda  che Gefjun avesse chiesto della terra al re di Svezia e che questi le avesse promesso un regno grande quanto quello che sarebbe riuscita ad arare in una notte. La donna, allora, trasformò i suoi figli in buoi e scavò un’enorme quantità di terra, che venne riversata nel mare creando la Zelanda. Zelanda è l’isola su cui si trova Copenaghen. Anche questa statua è stata donata alla città da Carlsberg e, da una certa prospettiva, sembra quasi che Gefjun voglia colpire con la frusta il campanile della chiesa anglicana di St. Alban, che è lì nei pressi. Sarà un caso? Chissà. 

chiesa sirenetta con logo

Strøget

E’ un’isola pedonale del centro storico, la più lunga d’Europa, chiusa agli estremi dalle due maggiori piazze della città, la piazza del Municipio e Kongens Nytorv. Merita un giretto, i negozi sono belli ed è curata. Nei dintorni è pieno di locali in cui fermarsi dopo aver fatto shopping. Sempre che il biglietto aereo vi consenta di allargarvi con gli acquisti!

stroget lg

Il cambio della guardia

Questa è stata una tappa imprevista, non avevo pensato di fermarmi per il cambio della guardia. Diciamo che è stato il cambio della guardia a fermare me, perché mi trovavo nella piazza quando hanno effettuato la sostituzione delle postazioni. Non è il vero e proprio cambio della guardia, che avviene in pompa magna a mezzogiorno, però mi è piaciuto molto, è stata una scena divertente e anche molto ravvicinata. Quando c’è qualcuno a palazzo, sventola la bandiera danese, così tutti i danesi sanno che qualcuno dei reali è in casa. Non è anche questo molto hygge?

cambio della guardia

Cosa mangiare a Copenaghen

Vi diranno e leggerete ovunque che Copenaghen è cara, ha prezzi altissimi, quasi inavvicinabile. Guardate bene la data in cui è stato scritto questo commento. Oggi, con i prezzi alle stelle, è diventata non dico abbordabile, ma sicuramente molto simile a qualsiasi ristorante di medio livello in Italia. Dato che anch’io avevo letto questi commenti sui prezzi, per andare sul sicuro ho preso un albergo con prima colazione. Ho fatto bene? Non lo so. Sicuramente era abbondante e ottima, tanto da farmi saltare anche i pranzi. Ma in giro ho visto tanti di quei bar con lievitati golosissimi e la fila per entrare, che forse sarebbe stato meglio rinunciare e andare all’avventura. Il caffè a me è piaciuto, è un caffè lungo servito in tazza da cappuccino, l’ho ordinato al ristorante per terminare la cena e ci ho messo tre ore per finirlo…haha. Ero convinta di aver ordinato il caffè in tazzina!

Questo è quello che sono riuscita ad assaggiare io:

Smørrebrød

Il nome significa sandwich, ma in realtà sembra più una bruschetta di pane non tostato. Quella che ho mangiato io è stata presentata al tavolo scomposta, cioè con un pezzo di pane di segale spalmato di burro e gli ingredienti intorno, da aggiungere a piacere. Nel mio caso, salmone, aneto, insalata e cipolla. Buono, niente da dire. Una bruschetta fa sempre il suo dovere. Il pane danese è veramente eccezionale e fa la differenza, in tre giorni ne ho assaggiati diversi tipi e tutti ottimi. Accostatevi, quindi, allo smørrebrød senza paura. Di locali e localini che lo propongono ne troverete tantissimi: io l’ho considerato un antipasto per la cena, ma volendo può essere anche pranzo veloce con più assaggi. L’unica cosa importante da ricordare, è che va accompagnato con lo Snaps, un’acquavite tipica che ricorda la grappa. Non troppo forte, l’abbinamento è vincente, provate.

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Stegt flæsk

Se trovate Stegt flæsk e mangiate carne, ordinatelo perché i danesi lo considerano il loro piatto più rappresentativo. E’ composto da fettine di maiale arrosto con salsa al prezzemolo e contorno di patate. La particolarità è nel tipo di preparazione e cottura, che rende la cotenna delle fettine molto croccante, come la crosta della porchetta, per intenderci.

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Aringhe marinate

Le aringhe marinate sono buone a tutte le latitudini, non siete d’accordo? A volte sono farcitura dello smørrebrød, a volte, come nel mio caso, presentate come antipasto a sé.

Salmone

Altro piatto tipico, il filetto di salmone al forno con patate duchessa, servito su un pezzo di massello di rovere e accompagnato da burro alle erbe. Basta e avanza per una cena da re o regina. 

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Wienerbrød

Qui bisogna aprire un capitolo a parte. I wienerbrød, letteralmente pasticceria viennese, sono i famosi danesi che mangiamo anche noi. Solo che a Copenaghen li fanno in tutte le fogge e farciture possibili e immaginabili. Ai danesi, infatti, amano trascorrere ore e ore nei caffè o nelle pasticcerie a fare…niente. Solo tempo di qualità: chiacchierare, stare in compagnia, gustare un buon caffè lungo o un succo di frutta. Molto hygge anche questo! I miei wienerbrød preferiti sono quelli alla cannella, che fanno tanto Natale tutto l’anno.

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I biscotti danesi

Me li sono portati a casa, con la famosa biscottiera che tutti abbiamo visto piena di aghi e fili nella nostra infanzia. In verità, io le ho sempre viste anche prima di diventare scatola contenitore, quindi li conosco bene. Quelli che ho scelto, presi all’aeroporto e in offerta, sono infinitamente più buoni di quelli che conoscevo. Forse per il sentore di vaniglia, più forte. O forse solo perché mi ricordano l’infanzia, chissà. Comunque, ve li consiglio, acquistateli.

biscotti danesi lg

Grød

E’ un dolce al cucchiaio che in teoria servono dopo pranzo o cena e che, invece, ho trovato nella colazione dell’albergo. Infatti secondo me è più da colazione, ma sono gusti. E’ di fatto un porridge con frutta fresca sopra, personalmente non lo prenderei dopo i pasti principali. 

Sportskage

E’ la specialità della pasticceria La Glace, molto conosciuta a Copenaghen e che non potrete non notare durante una passeggiata a Strøget. E’ stata inventata proprio dalla pasticceria per lo spettacolo “Sportsmænd”, presentato per la prima volta il 18 novembre 1891 al Folketeatret di Nørregade. La “torta sportiva” è composta da granella di torrone, panna montata, base di amaretti e bignè di pasta choux caramellati. Trovo divertente che una bomba calorica del genere si chiami “sportiva”. Sportiva perché per smaltirla devi fare molto, molto sport! Sono stata indecisa fino all’ultimo se prenderla o no e alla fine ho ceduto. Ho preso una fetta e l’ho mangiata su una panchina lì vicino. Mi è piaciuta soprattutto la panna, freschissima. Considerando anche il prezzo non proprio abbordabile, pazzia da fare se siete molto, molto golosi. 

sportskage

Informazioni utili

L’aeroporto si trova a poca distanza e girare la città è molto semplice. E’ piccolina e non farete fatica ad orientarvi. Tutte le case o gli alberghi centrali o semicentrali vanno bene, perché gli spostamenti sono rapidi e h24. Per quanto riguarda gli abbonamenti per i trasporti, valutate bene cosa attivare. Io ho preso una mini card 24 ore all’aeroporto e una seconda mini card 24 ore per tornare in aeroporto, lasciando il secondo giorno senza trasporti perché ho girato a piedi. Dal punto di vista economico, mi è convenuto così rispetto alla card 72 ore. Discorso che vi sembrerà un po’ nebuloso, ma se guardate i prezzi dei vari abbonamenti potrete farvi un’idea di quello che vi conviene di più in base alle vostre esigenze di spostamento. Poi ci sono anche noleggio biciclette o barche, ma non ne ho usufruito. Dico solo che molte guide vi spaventeranno dicendo che i danesi sfrecciano in velocità in bicicletta, ma posso dirvi che non è vero. Affittatele tranquillamente se vi piacciono le due ruote.

Che ne dite? Vi piace l’idea di un giretto in Danimarca? Se avete altre curiosità o domande, scrivetemi nei commenti! 

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Baltica 9, est Europa con Daniele Benati e Paolo Nori

Quella di Daniele Benati e Paolo Nori non è una guida di viaggio, almeno non nel senso classico del termine. Avere in tasca “Baltica 9”, però, aiuta sicuramente chiunque voglia addentrarsi nell’Europa orientale. Diciamo centro-nord-orientale, perché il viaggio degli autori inizia in Austria e non si sa dove finisce. Il testo si ferma a San Pietroburgo, posto per sua natura sospeso nel tempo.

Più che una guida è un diario

Più che una guida è un diario, dove le sensazioni prevalgono sui fatti narrati ed è per questo che averla in tasca è consigliabile. Chi ha letto “Baltica 9”, infatti, non ci troverà solo informazioni preziosissime e difficili da trovare in una guida classica, ma se saprà acquisire la leggerezza, il disincanto e la capacità di volgere sempre al positivo qualsiasi esperienza degli autori-viaggiatori saprà vivere il proprio viaggio come un’esperienza. Come un vero viaggiatore, per il quale non conta né la meta né la strada, conta l’occhio con cui guardi ciò che ti circonda e chi incontri.

Involontariamente al centro di una polemica 

Leggere il racconto di un viaggio che arriva in Russia compiuto da Daniele Benati e Paolo Nori in questo periodo storico, con quest’ultimo che è stato involontariamente al centro di una polemica nata in seguito alla decisione (poi rientrata) dell’università Bicocca di bloccare le sue lezioni su Dostoevskij, è ancora più interessante. C’è tanto est-europa post sovietico (il libro è del 2008, quindi quasi a metà tra la caduta del muro di Berlino e l’epoca attuale), tantissima Russia, ma anche una prospettiva di viaggio che sembra legare in maniera inevitabile la Russia con l’Ucraina e che sicuramente fa effetto oggi molto più di quanto non potesse farlo quando il libro è stato scritto.

Non è una guida di viaggio, ma è un viaggio guidato

Non è una guida di viaggio, ma è un viaggio guidato, quello che compiono Daniele Benati e Paolo Nori (che nella terza di copertina si identificano rispettivamente con codice fiscale e partita iva), partendo dall’Austria. Guidato dal loro istinto, dalla loro capacità di adattamento, da tanti compagni di viaggio più o meno casuali e dalla particolarità dei posti attraversati. Un viaggio che passa per gran parte attraverso la via Baltica, strada europea E67 che ha origine a Praga e termina a Helsinki attraversando Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia.

Baltica 9

Baltica 9, però, è una birra che non va assolutamente mischiata con la vodka, sennò i russi si offendono. Daniele Benati e Paolo Nori lo capiscono solo una volta arrivati a San Pietroburgo, passando attraverso posti dove il nord è più verde del sud, dove le dogane ti fanno passare prima attraverso mancate modelle polacche e poi attraverso simpatiche ma troppo curiose doganiere lituane, tra episodi “che molti scrittori di guide si vergognano a raccontare di queste cose o non se ne vergognano affatto ma non le metterebbero mai in un libro”. Perché “delle volte certi inconvenienti creano delle situazioni che poi rimangono in mente per sempre anche se non avviene niente”.
Il viaggio fino a San Pietroburgo è avvincente, perché ogni paese attraversato ha la sua peculiarità. Una volta arrivati nella ex Leningrado, che ogni tanto qualcuno chiama ancora così, la narrazione cambia. Tra tombe di poeti con nomi di leggendari portieri di calcio, pezzi teatrali di Bulgakov e giardini che somigliano a quello decritti nell’incipit del Maestro e Margherita, la casa di Jurij Gargarin, donne al volante, un padrone di casa amico finché non esci dal suo seminato, gli autori vivono i loro “giorni bianchi” con una prospettiva più Neva che Nevski. Scorre lenta come il fiume che attraversa la città, tra tassisti senza tassametro di cui non puoi fare a meno quando il giorno diventa notte bianca, col bianco che ha il colore della vodka (da non mischiare alla Baltica 9) e delle tasche dopo una notte al Casinò. Il tempo resta sospeso e l’importante non diventa più né il viaggio in sé, né tantomeno il ritorno a casa. Il racconto, infatti, s’interrompe quando gli autori pensano di aver trovato una risposta a una domanda che non si erano posti all’inizio, ma strada facendo.

Andare avanti, fino alla fine

Merita di essere letto con attenzione fino alla fine, anche se nella parte centrale a un certo punto ho avuto l’impressione di non capire se e come il viaggio sarebbe finito, quasi come se l’arrivo a San Pietroburgo implicasse finire fuori strada. Il suggerimento però è quello di approcciarsi a questo testo nell’unico modo possibile, cioè lo stesso da usare con uno stile molto particolare. Un flusso di coscienza che può disorientare, anche se è rivolto proprio all’oriente. Andando avanti, però, “a un certo punto allungherete il passo e non c’è modo di dissuadervi dal farlo”.

Ultimo consiglio

Non seguite “Baltica 9” come una guida di viaggio. Potreste ritrovarvi a vivere le stesse avventure di Daniele Benati e Paolo Nori. Non è detto che sappiate affrontarle come loro, ma difficilmente saprete raccontarle come loro. E in ogni caso, portatela con voi, perché vi aiuterà a scoprire che a volte il bello sta proprio in ciò che fa paura.

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La Fame senza fine di Knut Hamsun

Su Knut Hamsun, premio Nobel 1920, si è detto di tutto e di più. Che fosse un simpatizzante nazista, e per questo fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico, che aderisse al panteismo, che i suoi libri meritavano di essere bruciati in piazza, cosa che effettivamente accadde. Fame è il suo primo, grande successo. Ci sono voluti quasi due anni per finirlo: l’ho preso, lasciato, ripreso, lasciato di nuovo. A un certo punto, questa Fame si è placata e sono arrivata alla parola Fine. Ora vi racconto cosa penso di questo romanzo così controverso.

Trama

Un giovane scrittore passa un periodo di solitari deliri e tortuose riflessioni nella città di Christiania. Vari personaggi lo sfiorano e scompaiono, ma unica vera e costante compagna, inesorabile antagonista, è la fame. Visionario della fame, il giovane scrittore scopre il carattere fantomatico e oppressivo della vita urbana, si inoltra negli infiniti sottosuoli della mente, lascia infine che esploda la sua rabbia fisiologica contro una società che sembra affinare sempre più, col tempo, le sue torture.

Fame di vivere

Se penso che è stato scritto nel 1890, il primo aggettivo che mi viene in mente è “moderno”. Narrazione veloce, vita di città, una Oslo che all’epoca si chiamava Christiania. Un giovane scrittore che ha Fame, in tutti i sensi. Ha fame di vivere, ha fame di scrivere, ha fame di amare. Ha fame vera e propria, soprattutto. Il ritmo è ansiogeno, sembra per 3/4 il delirio di un pazzo. Uno squilibrato che cerca in tutti i modi di sopravvivere, escogitando le strategie più strampalate per riuscirci, raccontando storie, a sé e agli altri, abbordando donne per strada, facendosi rinchiudere in prigione. Dice di se stesso di essere un giornalista con ambizioni di scrittore, ma tutte le grandi idee che gli vengono, finiscono inevitabilmente in un nulla di fatto, perché gliene viene una ancora più grandiosa.

Eppure

Eppure, ogni tanto qualcuno che gli dà credito lo trova. E allora, riesce a sopravvivere per un altro po’, ma a un certo punto anche io ho perso le speranze di vederlo risorgere. A questo punto, quando la sconfitta sembra ormai certa e di questo accanimento uno non ne può più, improvvisamente il ritmo accelera, invece di decelerare. Questa città,  Christiania, non è ospitale. O, forse, è il protagonista a non essere tagliato per questa vita. Perché le risorse le avrebbe, ma le dissipa. Non sono i contatti umani che vuole, perché cinismo e ironia si mescolano a ogni nuovo incontro. Non sono i soldi che gli interessano, non è il tenore di vita che cerca, non è il grande romanzo che sogna. Cerca, cerca…ma cosa cerca? Forse un mondo diverso, forse un’utopia, forse qualcuno a cui volere bene. O forse no, forse assistiamo semplicemente al delirio di onnipotenza di un artista disperato e affamato. Che alla fine una via d’uscita la trova. O forse no…

In cerca di Utopia

Quello di Knut Hamsun è un romanzo a cui ho pensato e ripensato sia quando l’ho lasciato in sospeso, sia quando sono riuscita a finirlo. Alla fine, il protagonista avrà trovato la sua strada? Sarà riuscito a risalire dall’abisso di quell’osso di carne macilenta vomitato per strada? Chissà. L’autore ha avuto una lunga vita e ha superato tutte le contestazioni. Si è opposto all’imperialismo britannico e dell’Unione Sovietica, ma simpatizzava per Hitler. Considerando le note biografiche e come finisce il romanzo, purtroppo per fare spoiler non posso dire di più, sospetto che il giovane e poi non più giovane, abbia continuato a girovagare in preda alla Fame. In cerca di Utopia, probabilmente. Knut Hamsun e la seconda moglie comprarono una fattoria, con l’idea “di vivere del lavoro della fattoria, con la scrittura per sbarcare il lunario“. Alla fine, Knut Hamsun avrà trovato la sua pace? 

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Parigi val bene una messa. E una mousse al cioccolato

Parigi val bene una messa. E anche un dattero. E anche una mega mousse al cioccolato per pranzo. E anche tante altre cose non proprio classiche da fare se non è la prima volta che la visitate, se rimanete più di un weekend o, più, semplicemente, se siete in cerca di qualche metà non proprio usuale per il vostro viaggio nella capitale di Francia. Parigi è sempre una buona idea? Dipende. Ora vi do qualche spunto per fare amicizia con l’Europa più decante, chic e pop allo stesso tempo. Come è stato anche per New York, non vi parlerò (solo) delle mete classiche, quelle le scoprirete da soli. Vi racconto alcune chicche che ho testato girando. Se New York è una città che si ama o si odia, senza mezze misure, Parigi ha un fascino innegabile. Dietro la facciata, però, cosa si nasconde? A ogni suggerimento, ho associato un film francese famoso e un numero. Il film indica la tipologia di tappa (monumenti, musei, cibo…), mentre il numero segue il criterio della prossimità, così potrete facilmente costruirvi il vostro giro come più vi piace. Pronti? Venite con me a spasso per la Ville Lumière!

Il fantasma della libertà (1974)

Quattordici episodi si susseguono senza alcun legame, concatenati in una sorta di staffetta solo dal fluire dei personaggi. Tra gli altri: dei monaci impegnati in una partita a poker, due genitori che cercano la figlia mentre questa è sotto il loro occhi, un prefetto profanatore di tombe. Terzo e ultimo atto di una ideale trilogia sulla libertà scritta insieme allo sceneggiatore Jean-Claude Carrière, dopo La via lattea (1969) e Il fascino discreto della borghesia (1972).

Il tour dell’Opéra

Credo che ora non lo facciano più, ma il mio è stato un tour un po’ particolare, “Inside Opéra”, che consisteva in un gioco, un escape game. Con l’acquisto del biglietto, mi hanno mandato un invito, come se fosse un evento del passato. All’entrata, ci hanno dato la mascherina del fantasma dell’Opera e una mappa. In sostanza, il gioco era questo: cose strane stanno accadendo dietro le quinte in questo luogo leggendario. Potrebbe essere il Fantasma dell’Opera tornato a causare il caos? Guidati da attori in costume e da una serie di indizi, dovevamo risolvere il mistero e fuggire dal teatro dell’Opera. Ovviamente, per me che ho visto Il fantasma dell’Opera tre volte tra Londra e New York, è stata un’occasione imperdibile. Non solo è stato divertente, ma il gioco era fatto in modo da farti notare dei particolari dell’interno che mai avrei visto da sola. Quindi, vi consiglio un tour del Palazzo, è molto interessante. Fate solo attenzione a non scegliere una giornata di prove, perché altrimenti non vi faranno vedere la sala concerti. Io l’ho vista e ho scattato foto dal palco del Fantasma. Un’emozione unica! 

Fuoco fatuo (1963)

Il film narra gli ultimi giorni di vita di Alain, un uomo intossicato dall’alcool e stanco della propria esistenza. Gli incontri che ha con alcuni amici gli danno l’esatta sensazione dell’assoluta estraneità esistente tra lui e il prossimo. Dopo essere fuggito dall’amico Doubourg, che gli consiglia di trovare una qualsiasi sistemazione, Alain incontra Jeanne: un incontro doloroso che gli conferma la sua impotenza di vivere e la percezione precisa della fine imminente. Neanche l’incontro con Solange, una donna bella e generosa, riesce a placare l’angoscia di Alain. Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia. Il soggetto è tratto dal romanzo Fuoco fatuo (Le feu follet) di Pierre Drieu La Rochelle.

Notre-Dame de Paris

Dell’incendio di Notre-Dame de Paris vi ho già parlato in questo post. La cattedrale dovrebbe riaprire al pubblico, se tutto va bene, nel 2024, anno dei Giochi Olimpici di Parigi. Sembra che il piano sia far entrare turisti e fedeli dalla porta centrale invece che dalle porte laterali, per far loro seguire un percorso centrale dalla navata al coro. Quindi, posso dire di essere stata una delle ultime persone a entrare dalla porta laterale, dato che l’incendio si è sviluppato il pomeriggio e io l’avevo visitata la mattina. Certo, fossi uno che deve entrare dalla porta principale, non mi sentirei tanto tranquillo. Una leggenda, infatti, vuole che le serrature e le cerniere decorate del portale principale della Cattedrale di Notre-Dame siano opera del Maligno in persona. Sempre secondo la leggenda, il giovane fabbro Biscornet,  scoraggiato dalle difficoltà, donò la propria anima a Satana in cambio di aiuto. Sembrava strano, infatti, che un lavoro così perfetto fosse stato realizzato da un uomo solo. Il giorno dell’inaugurazione, per aprire le porte furono necessari esorcismi e acqua santa, mentre Biscornet morì di lì a poco. Oggi soltanto la porta laterale di sinistra che affaccia sulla piazza conserva le serrature originali. Bistrattata e più volte sul punto di essere distrutta, è da vedere perlomeno per le vicende storiche di cui è stata testimone: sul suo altare è stato incoronato Napoleone, beatificata Giovanna d’Arco e dato l’addio alle più importanti figure politiche francesi. Anche se dobbiamo ringraziare solo lo scrittore Victor Hugo e il suo celebre romanzo Notre-Dames de Paris se ancora oggi possiamo ammirarla. 

Chiesa di Saint-Étienne-du-Mont 

Questa piccola chiesa potrebbe sfuggirvi perché fagocitata dalla presenza di diversi monumenti e, soprattutto, dal Pantheon. Se però volete darle un’occasione ed entrare, non ve ne pentirete. All’interno, erano deposte le reliquie di Santa Genoveffa, patrona di Parigi, e vi sono ancora le spoglie del filosofo francese Blaise Pascal e dellos scrittore Jane Racine. La chiesa è il risultato del mescolamento di diversi stili, classico, gotico e rinascimentale. Un mix dovuto ai tempi di costruzione, tra il 1492 e il 1626. Sculture e statue, invece, furono aggiunte nell’Ottocento. L’interno è, quindi, molto interessante: in particolare, vi segnalo il più antico organo di Parigi, le vetrate dietro il coro, la tribuna pensile di marmo bianco e il pulpito. Considerate che questa è l’unica chiesa di Parigi che ha conservato il tramezzo. Woody Allen l’ha utilizzata in Midnight Paris: è proprio sulla sua scalinata, sul lato di Place de l’Abbé-Basset, che ogni sera il protagonista Gil Pender – Owen Wilson attende che i suoi “amici” degli anni ’20 lo passino a prendere. 

Pantheon

Il Pantheon è il monumento più visibile del quartiere latino e con una piazza antistante molto animata. Ha cambiato più volte destinazione: prima sarebbe dovuto essere una chiesa dedicata a Santa Genoveffa. poi divenne mausoleo con la rivoluzione francese, poi un tempio dedicato alla libertà, di nuovo chiesa sotto Napoleone, in seguito tempio e alla fine mausoleo. Oggi, la sua cripta ospita molti personaggi illustri:  Voltaire, Louis Braille, Jacques-Germain Soufflot, Victor Hugo, Marie Curie e Alexandre Dumas padre. Diciamolo sottovoce per non offendere nessuno, è considerato la bella copia dell’originale, il Pantheon di Roma.

Saint Chapelle

Adesso che Notre Dame è fuori combattimento, a maggior ragione se vi piace l’architettura gotica dovete assolutamente visitare questo edificio. Soprattutto per le vetrate, che sono a dir poco eccezionali. Le vetrate raffigurano1.113 narrazioni bibliche distribuite su 15 finestre e oggi è una delle più antiche e meglio conservate opere vetrarie di stanpo religioso al mondo. Quindi, preparate la macchina fotografica perché vi servirà. 

Grazie per la cioccolata (2000)

Grazie per la cioccolata (Merci pour le chocolat) è un film diretto da Claude Chabrol e tratto dal romanzo The Chocolate Cobweb della scrittrice americana Charlotte Armstrong. Fu presentato fuori concorso alla 57ª Mostra del cinema di VeneziaA Losanna André Polonski, pianista di talento, e Mika Muller, direttrice dell’azienda del cioccolato Muller, convolano a nozze per la seconda volta dopo un breve matrimonio di molti anni precedente. André si era in seguito risposato con Lisbeth, che gli ha dato un figlio, Guillaume. Ma il giorno dell’anniversario dei suoi dieci anni di matrimonio, Lisbeth e’ morta in un incidente di macchina. La giovane Jeanne Pollet, che si sta preparando per il concorso di pianoforte di Budapest, viene casualmente a sapere di essere stata scambiata il giorno della nascita con Guillaume Polonski. Alla ricerca delle sue origini e di un mentore, Jeanne si introduce in una famiglia che non e’ la sua.

Mousse al cioccolato

Incastrando bene gli orari, vi consiglio di fermarvi in questo bistrot francese di cucina provenzale, che si trova nel quartiere Marais (vedi sotto). Se cercate un posto dove ritrovare l’atmosfera di Parigi, Chez Janou fa per voi. Ho detto incastrando bene gli orari perché è piccolo e affollato. Io ho anticipato un pochino il pranzo per godermi il pasto in santa pace e penso di aver fatto bene. Intorno a me, molti parigini in pausa pranzo a chiacchierare piacevolmente senza fretta. Ancora una volta, osservandoli, ho capito perché le francesi non ingrassano. Io, invece, mi sono sicuramente alzata con un paio di chili in più. Colpa della meravigliosa e gigantesca mousse al cioccolato che servono. Funziona così: una specie di all you can eat alla francese. Ti lasciano sul piatto una gigantesca zuppiera, dalla quale puoi pescare fino a (letteralmente) scoppiare. Purtroppo, sapevo di questa mousse al cioccolato ottima, per questo l’ho scelto, ma non che funzionasse così il consumo. Ho ordinato troppo, avrei dovuto fare come i francesi, piattino, chiacchierata e, dulcis in fundo, il paradiso! Indirizzo: 2 Rue Roger Verlomme.

Utopie

Ho avuto la fortuna di incontrare questa boulangerie perché non molto distante dall’appartamento che ho affittato e pur trattandosi di un piccolo forno di quartiere, vorrei segnalarvelo perché merita veramente. E a prezzi contenuti avrete prodotti migliori di quelli che vendono in pieno centro. Dove pescate pescate bene, i prodotti sono tutti freschi e sfornati al momento giusto, la scelta potrebbe essere un po’ complicata! Potreste abbinare una visita qui a una passeggiata nel Parco des Boutte – Chaumont, oppure a Città della Scienza (vedi sotto), o ancora, al giro di Belleville per il tour dei Malaussène (vedi sempre sotto). Oppure niente di tutto questo, andate solo a mangiare. Segnatevi l’indirizzoBoulangerie Utopie, 20 Rue Jean-Pierre Timbaud

Il mercato arabo

Devo ritrovare l’indirizzo esatto della piazza in cui si svolge questo mercato che ho scoperto per caso. Comunque, si trova nei dintorni di Città della Scienza. Qui ho comprato e mangiato i datteri più buoni che abbia mai assaggiato in vita mia. Infatti, i clienti del banco erano quasi tutti arabi e li compravano a pacchi.

Rush bar

Questo è un posticino che vi consiglio per una birretta e un pomeriggio o serata in compagnia, soprattutto se volete guardare una partita. I proprietari del pub sono gentilissimi, vi daranno il telecomando per cercare la partita che vi interessa (o lo faranno loro se glielo chiedete). Volendo, ci sono anche alcuni tavolini all’esterno.  Indirizzo: Rush bar32 Rue Saint-Sébastien

Appuntamento a Belleville (2003)

In realtà questo film di animazione ha il quartiere omonimo di Parigi solo nel titolo, ma è ambientato in una città immaginaria, Belleville, appunto. La trama: Quando Champion, il nipotino appassionato di gare ciclistiche scompare, la nonna si mette sulle sue tracce con l’aiuto di altre due anziane signore.

Il tour dei Malaussène

Dei Malaussène di Daniel Pennac vi ho già parlato a più riprese, è una di quelle serie che, seppur lentamente, uscita dopo uscita finirò perché mi diverte moltissimo. Vi basti qui sapere che ho girato in lungo e in largo per il quartiere di Belleville, alla ricerca dei luoghi dei fratelli Malaussène. Un altro dei miei viaggi letterari, insomma.

Venere in pelliccia (2013)

Tratto dall’omonimo romanzo erotico ottocentesco di Leopold von Sacher-Masoch. Thomas è un regista teatrale che sta cercando l’attrice giusta per il ruolo di Vanda nel suo adattamento per le scene del romanzo «Venere in pelliccia» di Leopold Von Sacher-Masoch. Arriva in teatro fuori tempo massimo Vanda, un’attricetta apparentemente del tutto inadatta al ruolo se non per l’omonimia. La donna riesce a convincerlo all’audizione e, improvvisamente, Thomas viene attratto dalla trasformazione a cui assiste. Ha così inizio un sottile e ambiguo gioco a due. La regia è di Roman Polanski e il film è un adattamento per lo schermo di uno spettacolo teatrale di David Ives.

Sex & The City tour

Il Sex and the City tour si chiude proprio qui, a Parigi! Anche se le tappe sono solo dodici, le location parigine non hanno nulla da invidiare a quelle americane. E anche se a Carrie manca troppo Big per vivere la favola come avrebbe potuto!
Ma andiamo con ordine. Sex and the City il telefilm si chiude proprio a Parigi, con le puntate 19 e 20 della sesta stagione: “An American Girl In Paris: Part Une” e “An American Girl In Paris: Part Deux”. Carrie accetta l’invito del suo uomo, Alexandr Petrovsky, a trasferirsi e molla tutto, lavoro, amiche e Mr. Big. Ero un po’ incerta su come presentarvelo: meglio seguire l’ordine delle puntate o quello dei quartieri? Alla fine ho privilegiato il secondo: il tempo in viaggio è sempre poco e rischiereste di girare in tondo per i quartieri. Una cosa coerente con il telefilm però l’ho lasciata: la fine, perché è talmente romantica che anche il nostro Sex and the City tour di Parigi deve chiudersi lì. Di conseguenza, il numero degli arrondissement sarà dal più alto al più basso, così anche la tappa iniziale coinciderà con quella vista in tv. Se, invece, avreste preferito l’ordine del telefilm, alla fine di ogni tappa troverete il numero corrispondente secondo il criterio della serie, così potrete facilmente decidere quale tappa visitare per prima. Pronti? Dior in spalla e si parte!

Microcosmos. Il popolo dell’erba (1996)

Documentario scritto e diretto da Claude Nuridsany e Marie Pérennou. Ha come protagonisti gli animali che popolano i prati, in particolare gli insetti e altri invertebrati come ragni e chiocciole. Presentato fuori concorso al 49º Festival di Cannes, è stato premiato con il Grand Prix tecnico.

Parco des Butte – Chaumont

Parco vicinissimo al bed & breakfast in cui ho soggiornato. Forse, senza questa fortunosa coincidenza, l’avrei saltato. Invece voglio segnalarvelo, perché secondo me merita almeno una passeggiata. Per lo stesso motivo, ho incontrato la boulangerie Utopie, che è lì a due passi (vedi sopra). Il Parco des Butte -Chaumont è  terzo giardino più grande della capitale francese dopo Parc de la Villette e Jardin des Tuileries. Fu realizzato nella seconda metà dell’ottocento su commissione di Napoleone III, sotto il controllo del barone Haussmann e progetto di Jean-Charles Alphand, lo stesso progettista del Bois de Boulogne. All’interno, si trova anche il Tempio della Sibilla, centro di un pentagono mistico da cui è possibile guardare Parigi. Purtroppo io non sono riuscita a salire, per questioni di tempo, però mi è piaciuto molto. Anche qui le panchine diventano punti di bookcrossing, le persone fanno ginnastica o tai-chi e ci sono diversi angoli in cui scattare belle foto. 

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Città della Scienza

Città della Scienza era proprio nel mio quartiere e vicino al parco più esteso di Parigi, Parc de la Villette. Anche questa una meta consigliata, soprattutto se viaggiate con bambini. Il percorso all’interno è molto grande, potreste trascorrervi la giornata. Io mi sono limitata a passeggiare all’esterno, prendevo qui la metropolitana per i miei giri. 

8 Rue de l’Humanité (2021)

Pur vivendo nello stesso condominio, molte persone non si sono mai presentate e hanno vissuto come completi estranei fino a quando non sono costrette a rimanere chiuse in casa per le restrizioni conseguenti alla diffusione della pandemia nel 2020.Lentamente, i condomini cominciano ad avvicinarsi, scontrandosi però con le sostanziali differenze caratteriali di ognuno di loro, differenze che li portano a litigi e dissidi costanti.

Marais

Un’ex zona paludosa (da qui il nome, marais =palude), che diventa uno dei quartieri più chic di Parigi. Di cose da fare e da vedere ce ne sono quante ne volete, il mio consiglio è di girare senza meta e fermarvi dove la vostra curiosità vi porta. Caratterizzato da una forte presenza della comunità LGBT parigina e di quella ebraica. Ex palude, dicevamo, zona di orti e monasteri, diviene nel XVII secolo residenza della nobiltà. Passato che ancora vive negli splendidi palazzi e chiese, anche se non mancano musei e gallerie d’arte. Purtroppo, quando ci sono stata io la casa di Victor Hugo era chiusa, altrimenti sarebbe stata mia meta.  Per gli appassionati di arte moderna, qui troverete il Centre Pompidou. Gli appassionati di storia, il Musée Carnavalet, che ripercorre la storia di Parigi dalle origini. Confesso che ho saltato i Musei e mi sono smarrita dentro il quartiere ebraico e il Village Saint-Paul.

Quartiere ebraico

Il regno dei falafel, ma anche di musei e librerie. La fila per mangiare è sempre notevole, quindi armatevi di pazienza se passate all’ora di pranzo. Quartiere vivace e sempre affollato, tappa da non perdere anche solo per una passeggiata.

Villaggio Saint Paul

Uno dei miei posti preferiti, l’ideale per ricavarsi un momento di tranquillità nella frenesia del giro turistico. E’ un quartiere, ma sembra un vero villaggio fuori dal tempo. Mi ha ricordato, per conformazione,  gli Hackeschen Höfe di Berlino, con i cortili comunicanti e le botteghe di  antiquariato semi nascoste, dove non è raro trovare gli artigiani al lavoro. Segnatevelo, assolutamente da visitare.

Quartiere latino

Altro punto sempre super affollato, di studenti soprattutto, perché c’è il quartiere generale della Sorbona. Da qui l’aggettivo “latino”, la lingua ufficiale in ambito accademico. E’ un quartiere molto piacevole, di aspetto medievale, il più antico nell’espansione di Parigi sulla terraferma. Se il quartiere ebraico si frequenta a pranzo, qui si vive di aperitivi e cene informali, in uno degli ennemila localetti che vi accoglieranno a braccia aperte.

Il favoloso mondo di Amélie (2001)

Parigi, 1997. La giovane Amélie Poulain lavora come cameriera in un bar di Montmartre, il “Café des 2 Moulins”, e la sua vita trascorre serena tra alcune visite all’anziano padre vedovo e alcuni piacevoli passatempi (spezzare la crosta della crème brûlée col cucchiaino, far rimbalzare i sassi sul Canal Saint-Martin, immergere le dita nei legumi) che riempiono la sua quotidianità. La sera in cui muore la principessa Diana, Amélie trova per caso una scatoletta dietro un muro del suo appartamento. Aprendola, con grande stupore, vi trova al suo interno dei piccoli ricordi e giocattoli e capisce che molto probabilmente la scatoletta è stata nascosta lì decenni prima da un bambino che abitava nello stesso appartamento. Amélie cerca di ottenere informazioni…

Tour Montparnasse

Vi consiglio di salirci. Come sempre, all’inizio o alla fine del viaggio, per vedere dall’altro la struttura della città che visiterete o avete visitato. La torre, costruita agli inizi degli anni ’70 è alta 196 metri per 56 piani e abbiamo raggiunto la sommità con un ascensore molto veloce. Da qui, vi si aprirà una vista panoramica di Parigi ineguagliabile, soprattutto se ci andate al tramonto. La visita è poi completata dal solito percorso interattivo con foto, filmati e giochi che dovrebbero migliorare la consocenza della città. Molto deludente il bar interno, in cui pensavo di prendere un bell’aperitivo e gustarmi il tramonto. Niente da fare, due patatine in croce e poco più. Meglio andare fuori, è pieno anche qui di locali in cui fermarsi.

Monmartre

Il quartiere sulla collina, residenza di molti artisti nel bel tempo che fu. Ancora oggi, conserva il suo fascino, anche se innegabilmente annacquato da una presenza importante di turisti. Ci sono diverse vie di accesso con la metropolitana: io sono scesa a Pigalle e mi sono incamminata a piedi. Volendo, c’è la funivia, o anche gli autobus, ma se non avete problemi vi consiglio di girare i tornanti a piedi e ammirare panorama e case. Mentre salivo, ho fatto una sosta nel bar di Amélie, Il Café des 2 Moulins, pellegrinaggio doveroso da fare, per poi arrivare in cima, dominata dalla basilica del Sacré Coeur,da cui il panorama è spettacolare. Peccato che proprio in quel momento stesse andando a fuoco Notre Dame! Più spettacolare di così! Leggetevi la storia, è divertente. Pensavo di essere nel mezzo di un attacco terroristico!

Pigalle

Scendendo da Montmartre, lungo il boulevard de Clichy, incontrerete il quartiere a luci rosse di Parigi, Pigalle. Il quartiere rende il nome dallo scultore omonimo del ‘700, Jean-Baptiste Pigalle, che qui aveva il suo studio. Oggi, Pigalle è conosciuto per i sexy-shop e i locali per spettacoli erotici, nonché per il museo dell’erotismo. Il punto centrale del quartiere, intorno al quale ruota la movida, è il grande Moulin Rouge, circondato da localini in cui passare una serata divertente.

Nella casa (2012)

Film del 2012 scritto e diretto da François Ozon, liberamente adattato dalla pièce teatrale El chico de la ultima fila di Juan MayorgaL’insegnante di letteratura francese Germain è insoddisfatto del lavoro e deluso dalle scarse competenze dei propri studenti. Tutto questo fino a che non legge il saggio di Claude, un giovane di umili origini, su un fine settimana passato nella casa del compagno di classe Rapha Artole. Lo scritto descrive in maniera pungente la famiglia borghese apparentemente perfetta del compagno. Germain, che avrebbe voluto diventare uno scrittore, rivede in Claude lo stesso talento che aveva quando era giovane e spinge il giovane a continuare a scrivere del suo week-end. Ogni nuovo scritto di Claude descrive ulteriori dettagli della vita della famiglia di Rapha fino alla conclusione con un “continua…” . La conclusione intriga moltissimo il professore che oltre a correggere la prosa del giovane inizia a dargli dritte affinché possa diventare un habitué della casa di Rapha.

La casa-museo di Auguste Rodin

Non vi dirò di saltare il Louvre perché almeno una volta nella vita andrebbe visto. Vi segnalo, però, questo gioiellino imperdibile: la casa-museo dello scultore Auguste Rodin. Il museo si trova nell’hôtel Biron in rue de Varenne 77, nel quartiere Faubourg St-Germain, 7 ° arrondissement. In questa casa, di proprietà del Comune di Parigi, Rodin stesso trascorse gli ultimi anni della sua vita, grazie a un accordo con la città. Lui sarebbe stato libero di creare, a patto di lasciare in eredità le sue opere allo Stato francese. Trovo che questo do ut des valorizzi ancora di più le opere meravigliose che ci ha lasciato questo grande artista. Ho avuto la fortuna di vedere le sue mostre sia qui sia a Treviso e me ne sono innamorata. Intanto, vale la pena entrare solo per l’edificio in sé. L’hôtel Biron, infatti, m è un edificio in stile rococò con un giardino stupendo, costruito dall’architetto Jean Aubert tra il 1728 e il1730, all’inizio come casa privata di un banchiere. Leggerete online che si può visitare solo il giardino a 1 euro. Se andate di corsa è un buon compromesso, ma io consiglio di spendere un po’ di più e di girare all’interno della casa. Quello che vedrete, e cosa ammirerete di più, dipende dalla sensibilità individuale. Tra le principali opere dello scultore , vi posso citare il Pensatoreil Bacio, L’uomo che cammina, La porta dell’Inferno nel giardino, ma dentro c’è molto materiale. Io mi sono portata a casa la statuina in miniatura de Il pensatore, realizzando pensando a Dante e a La Divina Commedia. In origine avrebbe dovuto raffigurare Dante seduto su una roccia, al centro del timpano, in solitaria meditazione, che guarda in basso verso il tragico, terribile mondo dei dannati. In breve tempo, però, questa splendida creazione inizia a vivere di vita propria e si trasforma in un Pensatore moderno, il simbolo dell’essere umano nudo, che medita sul suo destino e prende matura consapevolezza dei dolori che lo attendono. Potrei rimanere ore a guardarlo senza stancarmi e anche Rodin la pensava così. Era, infatti, la sua opera preferita. Non mi dilungo oltre, ci sarebbe moltissimo da dire. Andate, fidatevi. E poi tornate a racccontarmi. 

Il Louvre

Non amo particolarmente il Louvre, ma è una di quelle tappe irrinunciabili, va omaggiato almeno di una visita. Per quanto mi riguarda, ho optato per una visita light. Ho scelto prima quello che volevo vedere e poi mi sono concentrata sulla mia selezione, più qualcos’altro che ha attirato la mia attenzione. Soprattutto se rimanete poco tempo in città, vi consiglio di fare lo stesso. Nel caso specifico, a me interessavano Amore e Psiche del Canova e La Gioconda, semplicemente meravigliosi entrambi, ma sono sicura che ognuno di noi potrà trovare un pezzo del suo cuore all’interno.

Gocce d’acqua su pietre roventi (2000)

Gocce d’acqua su pietre roventi (Gouttes d’eau sur pierres brûlantes) è un film scritto e diretto da François Ozon, tratto dalla pièce teatrale Tropfen auf heisse Steine di Rainer Werner Fassbinder, fino ad allora mai messa in scena. Leopold, un 50enne arrogante e ancora prestante, seduce il 19enne Franz, che poco dopo si trasferisce da lui. L’arrivo dell’ex fidanzata dell’uomo contribuirà a intensificare il fluttuante rapporto di potere tra i due.

Crociera sulla Senna

Chi non conosce i Bateaux Mouches? Una crociera sulla Senna è quasi d’obbligo. D’accordo, turistica, ma il lungoSenna è così animato e vivace, che non fermarsi a osservare la città cullati dalle sue acque sarebbe un vero peccato. Ovviamente ci sono formule per tutti i gusti, romantiche, abbinate al pullman a due piani, al tramonto. Quello che volete. L’aspetto che la rende irrinunciabile, è che Parigi si è formata proprio con il fiume come centro nevralgico, quindi i monumenti e l’architettura parigina si mostreranno ai vostri occhi in tutto il loro splendore. Anche perché la riva è molto curata e utilizzata dagli abitanti per le loro passeggiate. Sì, vi saluteranno come hanno fatto con Carrie, quando sola soletta mangiava un panino seduta su una panchina. Lei non c’era, ma altre donne in cerca del grande amore sì. E dove cercarlo, se non a Parigi? 

Il vizietto (1978)

Il mio vizietto sono i libri, il vostro? Il film ha per protagonisti una coppia di omosessuali – un italiano e un francese – che vivono come marito e moglie e gestiscono a Saint-Tropez un night per travestiti. L’italiano ha però nel suo passato una “macchia”: una relazione con una donna, dalla quale è nato un figlio. Il quale figlio a un certo punto si fidanza con la figlia di un uomo politico che sta per intraprendere una crociata contro l’immoralità. I due sono nei pasticci. 

Shakespeare and Company

Credo che questa libreria più o meno la conoscano tutti, quindi non mi dilungherò più di tanto. Dico solo che merita una capatina, sempre che non ci sia troppa folla, se non altro per la storia che racconta. Shakespeare and Company è, infatti, un negozio storico che si trova nel V arrondissement di Parigi, sulla Rive gauche. Fondata nel 1919 da Sylvia Beach, negli anni venti divenne luogo di incontro per scrittori come Ezra PoundErnest HemingwayJames Joyce e Ford Madox Ford. La libreria effettua vendita di libri, ovviamente, ma è anche sala lettura. Non si potrebbero scattare foto all’interno, perché è una vera e propria libreria e non un luogo turistico. Anche se ormai è un po’ antistorico, le librerie si fotografano praticamente ovunque. 

Le Bouquinistes

Sapevate che esistono librerie Patrimonio dell’Unesco? Ebbene sì, le Bouquinistes, quelle bancarelle verde scuro lungo il fiume Senna, sono protette. Durante la Rivoluzione Francese i loro proprietari hanno recuperato e messo in salvo libri provenienti dalle biblioteche aristocratiche e durante l’occupazione nazista hanno nascosto testi e materiali della Resistenza perché non cadessero in mani nemiche. Vanno dal Pont Marie al Quai du Louvre sulla riva destra del fiume e da Quai de la Tournelle a Quai Voltaire sulla riva sinistra e qui, con un po’ di fortuna e di tempo, potrete trovare libri antichi o fuori commercio, cartoline, disegni o souvenir.

Bookcrossing

A Parigi il bookcrossing acquista un’anima. Libri abbandonati ovunque, sulle panchine, i muretti, nei locali. Ai parigini piace leggere, e si vede. Prima di partire, portatevi un libro da abbandonare e prendetene uno come souvenir di viaggio.

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Sex and the City tour: An (American) Girl In Paris

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Perdersi a New York tra libri, tramonti e gospel

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