Ombre sulla neve – Madge Swindells

Adoro i romanzi vintage come quello di Madge Swindells (1987). Le copertine illustrate, le trame complicate, un saper scrivere andando oltre la storia d’amore che guida le vicende narrate. Ombre sulla neve prosegue nel settembre bianco che è partito con Winter e i suoi vampiri e proseguito con il racconto di viaggio sulla neve di La Thuile, in Valle D’Aosta.

Trama

La giovane e seducente Megan è tra i migliori agenti degli atleti impegnati nelle olimpiadi invernali di Sarajevo. E’ un tipetto che sa il fatto suo, ma nei suoi calcoli non ha previsto un certo sceneggiatore dalla personalità intrigante e pericolosa. Suo malgrado, si troverà coinvolta in un’azione di spionaggio che rischia di costare la vita alla sua atleta russa Nikola Petrovna. Dalla parte della pattinatrice si schierano Ian, uno sceneggiatore scozzese, e Michel, un giornalista slavo che vive in Francia. Nel frattempo, Megan commette un errore: ingaggia la sciatrice Jacqui senza sapere che è l’erede della Vanguard, una delle aziende di abbigliamento sportivo più potenti del mondo, provocando l’ira della presidente, nonché madre di Jacqui, Eleanor. Come risolvere l’impasse? Quali segreti di famiglia dividono madre e figlia irreparabilmente? E Ian è davvero chi dice di essere? Maggie sta affidando il suo cuore a un uomo sincero?

Un romance in discesa libera

Mentre leggevo, ho pensato che Madge  Swindells ha impostato il romanzo proprio come una sciatrice affronterebbe una discesa libera. E’ partita cauta, in sordina, testando le condizioni della pista e della neve, ha poi preso velocità, finendo a tutta birra nel finale. Non so se l’abbia fatto coscientemente, però anche la struttura ricalca il racconto. I personaggi svelano a poco a poco personalità a dir poco complesse, dove la più trasparente è senza subbio la protagonista, Megan. Gli altri sono, chi più chi meno, contorti e portatori di segreti che ne condizionano vita e azioni. In questo senso, Ian è il più sfuggente e a più riprese verrebbe voglia di prendere Megan a sberle e chiederle: “ma perché”? Non solo Megan, ma tutte le donne sembrano stregate dalla sindrome della crocerossina, quell’io ti salverò che tante donne continua a rovinare ancora oggi. Comunque, un libro che si lascia leggere e che non si focalizza solo sulle storie personali dei protagonisti, ma anche sulla condizione dei Paesi dell’Est, sulla lotta tra blocco occidentale e sovietico trasferito nelle medaglie sportive e quella connessione tra sport e business che schiaccia gli atleti e li rende pupazzi al servizio della pubblicità. L’unica cosa che mi ha lasciato un po’ perplessa, a dirla tutta, è il finale. Senza spiegazioni, senza redenzione, eppure gli uomini escono vincenti. Mi piacerebbe chiedere alla scrittrice: “perché”?

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Patate “campagnarde” della Valle D’Aosta

Se siete alla ricerca di un contorno facile, veloce e sfizioso, le patate campagnarde valdostane sono quello che fa per voi. Le ho provate a La Thuile e le ho rifatte a casa. Di derivazione francese, campagnarde=di campagna, sono saporite grazie alla presenza dell’alloro e della cipolla e buonissime, nonostante siano praticamente prive di grassi e, soprattutto, senza bisogno di usare il forno. Il che le rende perfette anche d’estate. Provare per credere.

Ingredienti per 4 persone:

  • patate, 600 gr.
  • olio evo, 3 cucchiai
  • cipolla, 1
  • foglie di alloro, 6 grandi
  • sale q.b.

Procedimento

Lavate e sbucciate le patate, quindi tagliatele a fette sottili ma non troppo. Scaldate l’olio in una padella e quando è caldo versate le fette di patate. Coprite quindi le patate con uno strato di cipolla tagliata a fette sottili. Coprite a sua volta la cipolla con le foglie di alloro e salate leggermente.

Coprite la padella e fate cuocere a fuoco lento per circa trenta minuti, mescolando di tanto in tanto fino a doratura delle patate. Servite immediatamente.

Note:

  • la preparazione è semplicissima. Solo, non distraetevi nel momento in cui le patate inizieranno a dorare, perché bruciarle sarebbe un peccato;
  • l’alloro fresco è l’ideale, ma se non riuscite a trovarlo andranno bene alloro secco o rosmarino, a vostro gusto;
  • le patate campagnarde possono trasformarsi in una preparazione di base se volete un gusto più ricco e meno dietetico. Potete aggiungere lardo, pancetta, funghi, o quello che più vi piace;
  • in Valle D’Aosta consigliano di abbinarle al formaggio Fontina DOP per un pasto veloce ma appetitoso. Personalmente non amo l’abbinamento patate-formaggio, lo trovo troppo pesante per chi non abita in montagna, quindi le ho abbinate al pesce, come potete vedere dalla foto;
  • provatele e fatemi sapere se vi sono piaciute!

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Una vacanza da sogno? A La Thuile, in Valle D’Aosta

Scommetto che siete appena tornati dalle vacanze e vi sentite ancora come qualche giorno fa: sotto il sole, su una sdraio, ascoltando pigramente le onde del mare che s’infrangono a riva. Poetico, eh? Oppure siete ridotti come me, avete sofferto il caldo di un’estate in città? Sia come sia, oggi per vendicarmi voglio parlarvi di freddo, neve e un luogo incantato. Vi racconto di un viaggio meraviglioso a La Thuile, in Valle d’Aosta. Anche perché La Thuile ha un unico, piccolo ma non trascurabile difetto: per trovare posto a prezzi umani bisogna muoversi per tempo.

Perché La Thuile

IMG_6756Bramavo La Thuile fin dall’anno scorso, per un semplice motivo. Ho chiesto a un gruppo di montanari (veri) di indicarmi una località con le seguenti caratteristiche: bella ed elegante, ospitale, facilmente raggiungibile anche solo con il trasporto pubblico perché sono una sostenitrice della mobilità sostenibile, dotata di piste di buon livello e di divertimenti anche per i non puristi dello sci. Obiettivo: 3-4 giorni di vacanza in un posto dove si respiri aria vera di montagna.

La risposta dei montanari consultati è stata univoca: La Thuile, Valle d’Aosta. E La Thuile sia. Di seguito vi darò qualche dritta su dove dormire, cosa fare, dove mangiare e come arrivare a La Thuile e dintorni. Come sempre, se avete altri suggerimenti o domande, scrivetemi nei commenti e cercherò di aiutarvi.

Dove dormire a La Thuile?

Cosa faccio nella vita? Scrivo. E cosa faccio quando non scrivo? Leggo. Dove avrei potuto alloggiare se non in una locanda letteraria? Il primo impatto con La Thuile è stato fiabesco. Sono entrata nella Locanda Collomb e mi è sembrato di essere finita in quella di Lorelai Gilmore, delle Gilmore Girls. Ve la ricordate? La locanda, che si trova in una delle strade laterali del paese, a pochissima distanza dalla stazione dei pullman, è in realtà un piccolo albergo a conduzione familiare, gestito con la libertà tipica del bed & breakfast. Il motivo per cui l’ho scelta, però, non è né la colazione pantagruelica, seppur apprezzabile, né la piccola sauna esterna in cui rilassarsi la sera. No, quello che mi ha convinto è la quantità smisurata di libri che ho trovato. Purtroppo, rimanendo pochi giorni non ho potuto sfruttare a dovere la stanza della lettura, ma ho fatto comunque in tempo a finire il romanzo che ho trovato lì dentro, A sud del confine, a ovest del sole di Murakami Haruki, di cui vi ho parlato qualche tempo fa. Spuntava da una pila e sembrava proprio che mi stesse aspettando.

In generale, la maggior parte delle sistemazioni di La Thuile sono in case vacanze, ma se preferite ci sono alberghi di diversa taglia e prezzo tra cui scegliere.

Cosa fare a La Thuile?

Sciare

Innanzitutto sciare, sulle piste o sull’anello di sci di fondo. Anche se gli autoctoni preferiscono fare sci di fondo direttamente in montagna, secondo me non è prudente avventurarsi se non si conoscono bene i percorsi. Motivo per cui me ne sono rimasta buona buona negli anelli, anche perché ho avuto bisogno di una lezione per assimilare i fondamentali e ho preso un’insegnante. In paese, nella zona della Piana di Arly, partono 3 anelli di fondo di varie lunghezze, ai quali si accede gratuitamente. I tre percorsi sono da 1, 3 e 7 kilometri. La tecnica di sci di fondo è più semplice rispetto a quella di discesa, però non ditelo al mio fondoschiena e al mio braccio destro, che sono rimasti doloranti per un bel po’ di giorni. Che volete farci, la forza di gravità mi ha attratto irresistibilmente verso terra piuttosto spesso!

Le piste 

IMG_6757Se amate le piste da sci, invece, avete solo l’imbarazzo della scelta. L’Espace San Bernardo è un vasto comprensorio internazionale che, da oltre 30 anni, unisce La Thuile e La Rosière. Italia e Francia. Cioè oltre 150 chilometri di piste e per godervele appieno (attenzione: non per farle tutte, per godervele) ci vogliono almeno tre giorni. Gli impianti sono efficienti e moderni, inoltre i panorami che offrono il ghiacciaio del Ruitor e il Monte Bianco da una parte e la vallata di Albertville dall’altra vi costringeranno a inevitabili soste per scattare foto. A Chaz Dura, punto più alto dalla parte di La Thuile, ho tolto gli sci per arrampicarmi su una piccola cima proprio vicino all’arrivo della seggiovia. Non faticherete a individuarla: vi chiama e vi dice: “Vieni qui su, che il panorama è ancora meglio”. E’ vero. Sono pochi passi, anche se un po’ faticosi. Se non siete così temerari c’è sempre il Belvedere, a 2641 metri, proprio all’altezza (in tutti i sensi…) del confine, con apposito balconcino per scattare le fotografie. Per quanto riguarda le piste, c’è di tutto e per tutti. Meglio la parte francese per chi è alle prime armi (non mancano gli snow park per bambini), ma attenzione: anche i più esperti possono trovare pane per i loro denti nello stadio da slalom. A tutti consiglio di spingervi fino alla partenza della seggiovia “Ecudets”, basta seguire i cartelli. Non tutti ci arrivano perché è il punto più basso (si scende fino a 1100 metri) e più lontano da La Thuile, ma è una pista fantastica, che si può fare da due lati, uno più facile e uno più impegnativo, in mezzo ad abeti innevati che, soprattutto quando risalirete, vi faranno sentire a Natale anche se non lo è. Tante “rosse” non molto ripide ma lunghe e strette sul versante italiano, in totale 13 piste nere tra cui la mitica Franco Berthod, la numero 3, usata per la Coppa del Mondo. Per esperti, direi. Ma l’esperto si diverte tantissimo. Curve strette e obbligate nella prima parte, sempre più ripida fino al primo muro, dove si raggiunge la pendenza del 73%. Poi il pendio diventa più dolce, ma la pista più stretta, per arrivare al secondo muro, non meno impegnativo del primo: siamo al 65% di pendenza e prima di affrontarlo è meglio fermarsi per riprendere fiato, perché la parte finale, dove si è un po’ più stanchi, merita il massimo dell’attenzione. Se ce la mettete, però, vi divertite tantissimo tra curve obbligate, dossi e, per i più coraggiosi, anche qualche saltino per arrivare fino alla base della cabinovia. E poi, naturalmente, ricominciare. Perché il bello di questa pista è che la finisci esausto ma vuoi subito farne un’altra. Sì, rischia di diventare una droga.

Salire sullo Skyway

Il terzo giorno, stanca di sciare, mi sono alzata e ho visto un sole splendente già di prima mattina. Il tempo di vestirmi ed ero sull’autobus per Courmayer. Direzione: Skyway. Ve lo dico subito: costa, ma vale tutti gli euro che spenderete. L’unica accortezza è quella di salire quando c’è una giornata di sole pieno, altrimenti in cima la nebbia non vi permetterà di vedere nulla. Mentre va su, la cabina gira di 360°, quindi non c’è neanche bisogno di muoversi per gustare in tutta la sua magnificenza il panorama verso valle e quello della parete rocciosa del Monte Bianco. In più, gli ooohhh degli altri passeggeri vi avviseranno in caso di avvistamento di uno stambecco o di altri animali che si affacciano a guardare quella cosa curiosa che sale e gira continuamente.

La cabina fa una prima sosta intermedia a Pavillon du Mont Fréty (2.200 m), comoda per chi ha bisogno o voglia di acclimatarsi, mentre una seconda stazione porta invece a Punta Helbronner (3.466 m). Io ho optato per la salita diretta in cima, senza soste intermedie: la curiosità era davvero troppa.

IMG_6778“Sbarcata” dalla funivia, siamo saliti tutti utilizzando una rampa di scale, ci siamo scambiati un in bocca al lupo tra coraggiosi e poi via! Un’altra rampa di scale e finalmente sul tetto del mondo. Beh, forse proprio sul tetto del mondo non ero, però vi assicuro che la vista da lassù è davvero spettacolare. Soprattutto se andate preparati, cioè coperti fino alla fronte, limiterete i danni da congelamento alla sola mano sguainata in favore di macchina fotografica o cellulare. Finite le avvertenze, dicevo, il panorama è qualcosa di unico. Innanzitutto, dalla terrazza panoramica a 360° ho potuto vedere il Monte Bianco, il Cervino, il Monte Rosa e il Gran Paradiso, senza contare che l’aria rarefatta e il gelano creano un mix quasi estatico…per un quarto d’ora, dopodiché l’estasi inizia pericolosamente a somigliare al torpore. Magari, a quel punto, è meglio rientrare per poi riaffacciarsi dopo qualche minuto di scongelamento, anche perché li ignorano quasi tutti ma nella sala interna è possibile osservare i minerali esposti e fare qualche foto scenografica sfruttando la pavimentazione trasparente.

La tappa intermedia 

La tappa intermedia, che io ho fatto al ritorno, è forse migliore. Infatti, se in alto l’unica possibilità di movimento consiste nel girare a 360° su una terrazza, al “1° piano” ci si può anche avventurare sulla neve. A questo punto, ci sono diverse opzioni: scendere a valle con gli sci sui fuoripista della Vallée Blanche, del Ghiacciaio del Toula, dei Marbrées. O dei boschi del Pavillon, ovviamente consigliati solo ai più esperti, passeggiare lentamente scattando foto (eccomi!), oppure spingersi fino al Rifugio Torino (http://www.rifugiotorino.com/ ), dove tra l’altro mi hanno detto che si mangia molto bene.

Io ho optato per la soluzione soft, una passeggiata tranquilla, anche perché, e stentavo io stessa a crederlo, la giornata vola via in un lampo, anche se apparentemente le cose da fare non sono molte. Lo spettacolo della natura, però, richiede tempo, quindi mi raccomando, concedetevi il tempo per gustarvi l’esperienza con calma.

Tornata alla base, ho scoperto per caso che il bar all’entrata del complesso partecipa al bookcrossing internazionale. Dopo un rapido esame dei libri a disposizione, ho scelto e portato via Olive Kitteridge, che ora dovrebbe trovarsi in un’osteria di Treviso, se v’interessa (altro viaggio che devo raccontarvi), da cui ho portato via Il ricco e il giusto di Helen Van Slyke.

Rilassarsi alle Terme di Pre Saint Didier

Sulla via del ritorno, mi sarebbe tanto piaciuto fermarmi alle famose terme di Pre Saint Didier, che si trovano proprio a metà strada tra Courmayeur e La Thuile, e che sono rinomate per le piscine di lusso e all’aperto, con la montagna che si staglia davanti. Uno scenario suggestivo. Almeno credo, perché purtroppo ahimè sono sempre prenotate. Mi hanno dato appuntamento alle 19, a tramonto finito ma sarei comunque entrata. Peccato che l’ultima navetta per La Thuile passasse alle 20:40. Troppo poco, per una che è tornata a Budapest quasi esclusivamente per le terme. Beh, non proprio, però avete capito il concetto.

Dove mangiare a La Thuile?

Qui il capitolo si fa interessante. Ve lo dico, ,c’è solo l’imbarazzo della scelta. Prima di tutto, è mio dovere informarvi che La Thuile è stata dichiarata Città del Cioccolato nel 2009. Dopo una giornata sulle piste, non c’è niente di meglio di una cioccolata con panna per riscaldarsi e confortarsi. Se volete andare oltre e farvi davvero male con un dolce ultra calorico, come ho fatto io non c’è neanche da dirlo, vi suggerisco una vera e propria bomba, in tutti sensi.

La Tometta

IMG_6752La Tometta è stata inventata da Stefano Collomb, un pasticcere di La Thuile che ha deciso di far ingrassare felicemente tutte le donne che varcano la soglia della sua pasticceria, la Pasticceria Cioccolateria Chocolat (ricordate il film Chocolat? Forse un nome ormai inflazionato, ma rende perfettamente l’idea). Prende il nome dalla forma, che ricorda quella dell’omonimo formaggio d’alpe, ed è un enorme cioccolatino di 350 grammi, a base di cioccolato al latte, gianduja e nocciole del Piemonte IGP, che provoca la pace dei sensi al primo morso. Giuro che non sto esagerando e se non ci credere assaggiatela pure voi.

Se, invece, preferite una cena tradizionale, ho il posto giusto per una serata indimenticabile.

Il rifugio Lo Riondet

In inverno, il rifugio Lo Riondet è raggiungibile solo con i gatti della neve messi a disposizione dai gestori, che scendono a prendere i clienti a un orario concordato nei pressi della chiesetta del paese fantasma di Pont Serrand. Dico paese fantasma, anche se non lo è, perché è abitato quasi solo d’estate, mentre d’inverno rimane fuori anche dalle rotte della navetta, che effettua l’ultima fermata a La Thuile, più in basso. Peccato, perché raggiungerlo senza macchina diventa estremamente difficile, visto che anche i taxi sono un miraggio. Noi, indomiti camminatori, non abbiamo voluto rinunciare nonostante gli impedimenti, e ci siamo avviati…a piedi! sui tornanti sprovvisti di marciapiede, con un vento gelido che tirava giù la neve dal ciglio della strada. Non vi consiglio di seguire il nostro esempio, ma di cercare per tempo un passaggio. Da queste parti, l’autostop è pratica ancora comune e usata regolarmente (sempre con le dovute cautele).

IMG_6764Comunque, in qualche modo siamo arrivati al luogo dell’appuntamento, e finalmente in salvo, siamo saliti sul gatto. L’esperienza è divertente: il gatto è chiuso e munito di telecamere, così abbiamo potuto sempre vedere dove stavamo andando, sempre ovviamente tenendo in considerazione il buio e la neve. All’arrivo, siamo stati accolti da un piccolo aperitivo e un gradito vin brulé e poi subito dentro, perché oggettivamente faceva un freddo cane. Dentro, abbiamo trovato sale accoglienti e un’atmosfera calda (in fase di prenotazione, vi raccomando di chiedere un tavolo lontano dalle finestre, soprattutto se la temperatura è rigida). Complice anche il vino, la sensazione di trovarsi fuori dal mondo per una sera favorisce la convivialità e gli scoppi di risa iniziano subito e mettono allegria.

Il menù è abbondante, con 65 euro a persona, escluse bevande, avrete una panoramica eccellente dei piatti valdostani. Impossibile elencarvi tutto quello che ho assaggiato. Cito solo la Raclette Savoyarde, vi arriva in tavola una mezza forma che viene scaldata e che con una spatola il cliente stesso mette nel piatto, Il costato di maialetto arrosto alla senape, davvero notevole, e il caffè alla valdostana, che viene servito nella tipica Grolla valdostana, o coppa dell’amicizia. Ho mangiato da scoppiare e quindi purtroppo per me ho dovuto saltarlo, però il rito del caffè è divertente: i commensali bevono dalla coppa a giro utilizzando le bocchette di cui è dotata e passandola al vicino di posto, girandola leggermente in modo che il convitato accanto abbia davanti la bocchetta da cui bere. Se nessuno appoggia la Grolla sul tavolo prima di bere, e prima che il caffè sia finito, significa che tra loro va tutto bene. Meglio, dunque, non metterla in tavola con i parenti serpenti!

Come arrivare a La Thuile?

In automobile: entrando in Valle d’Aosta a Pont-Saint-Martin, si percorre l’autostrada A5, che attraversa la regione da est a ovest e si esce dall’autostrada a Morgex, imboccando la S.S. 26, seguendo le indicazioni per La Thuile.

In treno: la stazione ferroviaria più vicina è Aosta e il collegamento con La Thuile è garantito da un servizio di pullman di linea. Oppure potete optare per la stazione di Torino, più lontana ma servita da diverse compagnie ferroviarie e da pullman.

Souvenir di La Thuile 

Prima di andare via, ho scelto proprio la coppa dell’amicizia come souvenir. Campeggia trionfale nel mio salotto, a futura memoria di una vacanza splendida e dell’importanza dell’amicizia nella vita.

Vi aspetto al prossimo viaggio. A proposito di terme, chi non vorrebbe trovarsi a Budapest per un weekend autunnale? Nei prossimi giorni su Penna e Calamaro, il racconto di Un caffè letterario a Budapest.

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