Museo dell’Arte Salvata, chicca per un Natale romano

Il Museo dell’Arte Salvata è una chicca che vi lascio per i vostri giri romani natalizi. L’offerta museale a Roma certo non manca, ma, come dire, si concentra spesso sempre sui soliti posti. Il tempo è  poco e allora vincono per definizione i pezzi più pregiati. Alt! Che dico? Pezzi pregiati? E cosa c’è di più pregiato delle Terme di Diocleziano? Direte voi, che c’entrano le Terme di Diocleziano con il Museo dell’Arte Salvata? Ora vi racconto.

Parto dalle Terme di Diocleziano

Nessun romano che si rispetti può evitare di visitare questo monumento eccezionale almeno una volta nella vita. Le Terme di Diocleziano, infatti, sono un complesso monumentale unico al mondo per dimensioni e stato di conservazione. Un’opera incredibile sotto tutti i punti di vista. Pensate che ci sono voluti solo otto anni per costruirle, tra il 298 e il 306 d.C. In effetti si chiamano di Diocleziano, ma non fu lui a volerle. L’estensione è altrettanto stupefacente: si estendevano su una superficie di ben 13 ettari, nella zona compresa tra i colli Viminale e Quirinale. Il complesso poteva contenere fino a 3000 persone contemporaneamente ed era strutturato secondo lo schema consueto delle grandi terme imperiali, con le sale principali del percorso termale distribuite lungo un asse centrale. Dal calidarium, la sala calda riscaldata artificialmente con un complesso sistema di camere d’aria  sotto i pavimenti e intorno alle pareti, si accedeva al tepidarium, con temperatura intermedia, e quindi al frigidarium, l’ampia sala per i bagni freddi. Il frigidarium oggi è la Basilica di S. Maria degli Angeli. Ma non finisce qui: c’erano la natatioun’enorme piscina scoperta di 4000 metri quadrati impreziosita da una maestosa facciata monumentale, due grandi palestre disposte simmetricamente ai lati dell’edificio centrale e una serie di aule con diverse funzioni. I romani sapevano proprio vivere!

Piazza Esedra

Oggi di tutto questo rimane solo una piccola parte, ma grazie a un plastico all’interno del Museo, è possibile immaginare come doveva essere all’epoca. Vi basti pensare che il colonnato semicircolare dell’attuale piazza della Repubblica, opera di fine Ottocento dell’architetto Gaetano Koch, ricalca la grande esedra delle terme romane di Diocleziano. Infatti, fino a qualche anno fa, la piazza si chiamava proprio Piazza Esedra e così è ancora conosciuta dai romani. 

E qui veniamo al Museo dell’Arte Salvata 

Vi ho detto sopra che una serie di ampie aule con diverse funzioni. Tra queste, c’era l’Aula Ottagona, anche nota come Planetario perché la sua cupola a ombrello venne utilizzata nel 1900 per riprodurre la volta celeste. Devo ringraziare la signora della biglietteria che me l’ha segnalata. L’edificio è distaccato dal museo principale, bisogna uscire (il museo è a lato della stazione Termini) e rientrare sulla piazza, dopo aver superato la Basilica di S. Maria degli Angeli. Forse, senza le sue indicazioni mi sarebbe sfuggita. Invece, è molto interessante: l’Aula Ottagona è da pochissimo diventata Museo dell’Arte Salvata, uno spazio espositivo in cui le opere tratte in salvo da trafugamenti e dispersioni vengono custodite e presentate al pubblico, prima di fare ritorno alle loro sedi originarie. Qui vengono raccontate le storie dei ritrovamenti, dei salvataggi, delle restituzioni o delle indagini effettuate. Peccato solo che siano conservati in teca. Non si dovrebbe dire e neanche pensare, ma a voi posso confidarlo: ci sono manufatti così belli esteticamente, che quasi quasi posso capire i trafugatori. Vi assicuro che non stonerebbero neanche un po’ in una casa moderna come oggetti di uso quotidiano! Cosa che all’epoca della creazione erano. Perché non ricreare un ambiente in cui gli oggetti “vivevano”? La butto lì, l’allestimento sembrerebbe meno “freddo”.

Orfeo e le Sirene 

Vi consiglio di finire il giro proprio qui dentro, al Museo dell’Arte Salvata, senza accorciare. Credo che per Natale potrete ancora trovare un’opera arrivata da poco, il trittico Orfeo e le Sirene. Le tre figure in terracotta erano state portate alla luce da scavi illeciti effettuati in Puglia negli anni Settanta, finendo poi al Getty Museum di Los Angeles. Sono state restituite all’Italia e da settembre ospitate al Museo dell’Arte Salvata. Le tre opere, gruppo magnogreco del IV secolo a.C., raffigurano l’episodio in cui le sirene cercano di ammaliare con il proprio canto gli argonauti. Ma Orfeo, con il suono della sua cetra, “vince la voce delle fanciulle” e salva i compagni. L’opera dovrebbe poi tornare nella sua sede originaria, in Puglia, al MArTa – Museo archeologico di Taranto.

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Rifugio di montagna, protette dal Virgin River

La montagna anche in questo secondo capitolo come luogo di protezione, in cui una donna può rifugiarsi mentre scappa dalla sua vita precedente. Nel primo capitolo, da un grande dolore. Nel secondo, il romanzo di cui vi sto per parlare, da un marito violento. E voglio parlarvene proprio oggi, che si celebra in tutto il mondo la violenza contro le donne. Facciamo abbastanza? A Virgin River sanno come prendere in mano la situazione. Donne e uomini. E un forte senso di comunità. Venite che vi racconto.

Trama

La vita a Virgin River scorre quasi in un’altra dimensione, avvolta nell’abbraccio protettivo dei boschi che la circondano. Il luogo ideale per trovare rifugio e rigenerarsi. È una sera d’autunno. Piove. L’unico locale di Virgin River sta per chiudere. Ma ecco arrivare una giovane donna ferita. Una donna che non vuol dire il suo nome, che sobbalza a ogni rumore, che è chiaramente in fuga. John “Preacher” non ha un buon carattere e, con quel suo fisico imponente, incute lo stesso timore reverenziale delle sequoie che svettano nei dintorni. La fragilità di Paige, però, risveglia in lui il senso del dovere e l’istinto di protezione verso i più deboli. E in breve questi sentimenti evolvono in qualcosa di molto più dolce e intenso perché gli occhi di chi ci ama davvero non si lasciano ingannare dalle apparenze, ma vedono direttamente la nostra anima.

L’abbraccio della montagna 

Di nuovo una donna che fugge. Nel primo capitolo, dalla morte del marito e da una vita che non sente più sua. In questo, una donna con un bambino piccolo in fuga da un marito violento. La montagna di Virgin River è pronta ad accoglierla. come un rifugio (il titolo originale è proprio Mountain shelter, Rifugio di montagna). Non solo lei, anche Preacher, il burbero aiutante di Jack alla locanda, apre le sue possenti braccia per farle spazio nella sua vita solitaria. Come nel primo capitolo, lo stile della casa è quello: diretti, asciutti, subito al sodo, sia gli uomini sia le donne. Questo aspetto mi piace molto, come mi piace lo stile di Robyn Carr per i dialoghi, sembra quasi di essere lì con loro. Anche l’aspetto riguardante la violenza di genere viene trattato con la giusta profondità. La scrittrice è molto brava a far percepire la paura, gli errori che vengono commessi da chi vive queste situazioni sulla propria pelle, l’importanza di avere intorno una comunità che ti protegga e ti aiuti a uscirne. Devo dire che questa serie mi sta piacendo, penso che continuerò, anche se confesso: il numero dei volumi un po’ mi spaventa. Voi che siete più avanti, che mi dite? La serie prosegue con la stessa intensità?

Tutti i libri in ordine

  • La strada per Virgin River (Virgin River)
  • Innamorarsi a Virgin River (Shelter Mountain)
  • I ponti di Virgin River (Whispering Rock)
  • Le stagioni di Virgin River (A Virgin River Christmas)
  • Ritrovarsi a Virgin River (Second Chance Pass)
  • Sognare a Virgin River (Temptation Ridge)
  • Destinazione Virgin River (Paradise Valley)
  • Natale a Virgin River (Under the Christmas Tree)
  • Le campane di Virgin River (Forbidden Falls)
  • Novità a Virgin River (Angel’s Peak)
  • Tra i boschi di Virgin River (Moonlight Road)
  • Midnight Confessions
  • Un’eredità a Virgin River (Promise Canyon)
  • Chiaro di Luna a Virgin River (Wild Man Creek)
  • Una chef a Virgin River (Harvest Moon)
  • Bring Me Home for Christmas – inedito in Italia
  • Sotto il cielo di Virgin River ( Hidden Summit)
  • Viaggio a Virgin River (Redwood Bend)
  • Mele dolci a Virgin River (Sunrise Point)
  • Romantiche vacanze a Virgin River (My Kind of Christmas)
  • Ritorno a Virgin River – (Return to Virgin River)

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La tenebra nel cuore di Joseph Conrad

Joseph Conrad rappresenta un caso più unico che raro nel panorama letterario mondiale. Dentro vi spiegherò perché. Intanto, vi dico che sono tornata a leggere libri sul treno! Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho letto un romanzo tra andata e ritorno? Troppo. Stavolta è stato più facile. Cuore di tenebra di Joseph Conrad è un racconto intenso. Vola via, come le ore di viaggio…

Trama

Marlowe racconta di aver avuto l’incarico di sostituire un capitano fluviale ucciso dagli indigeni nell’Africa centrale. Si imbarca su una nave e, giunto alla stazione della compagnia, vede come gli indigeni muoiano di stenti e di sfruttamento. Dopo un lungo viaggio di duecento miglia sul fiume rintraccia Kurtz, un leggendario agente capace di procurare più avorio di ogni altro. In realtà Kurtz, uomo solo e ormai folle, è quasi morente. Sul battello che lo trasporta, pronuncia un discorso che non può nascondere “la tenebra del suo cuore”.

Un caso più unico che raro

Vi ho detto in premessa che Joseph Conrad rappresenta un caso più unico che raro. Il perché è presto detto: ha scritto dei capolavori in inglese pur non essendo di madrelingua inglese! Incredibile. Joseph Conrad nasce, infatti, in Polonia ed emigra in Gran Bretagna da adulto. Altra nota biografica per comprendere Cuore di tenebra, si arruola in marina. Quello che racconta, è probabilmente quello che ha visto.

La tenebra del colonialismo

E veniamo proprio a Cuore di tenebra. Joseph Conrad non nomina mai il Paese e il fiume in cui si svolge la narrazione, ma sappiamo che è il Congo. Il protagonista, Charles Marlowe, racconta di questa esperienza mentre si trova su una nave ancorata nel Tamigi, a Londra. Sappiamo già in partenza, quindi, che dalla sua avventura è tornato. Ma non sappiamo se la sua ossessione per Kurtz, un agente di commercio specializzato in avorio, abbia trovato sfogo nell’incontro con quest’uomo. In realtà, Kurtz è il trait d’union tra l’imperialista Europa e il continente africano e Joseph Conrad vuole farci vedere quanto non ci sia grande differenza tra le due realtà. Sì, la foresta è più fitta e sconosciuta, gli uomini parlano un’altra lingua, ma non sono aggressivi, hanno solo fame. E Kurtz, questo mito, è solo un uomo con le sue miserie, anche se venerato come un dio. 

Appassionante e vivido

Il racconto è appassionante e vivido. A un certo punto mi è sembrato di essere lì con Marlowe e di attraversare questa foresta buia e pericolosa, di sfidare l’ignoto, di poter morire di febbre come gli avventurieri. Sul finale, ho qualche perplessità. L’incontro con Kurtz fa salire il pathos e le parole che l’uomo pronuncia, e che vi lascerò scoprire per non togliervi il gusto della lettura, sono le parole che chiunque di noi potrebbe pronunciare, soprattutto in questo momento. Eppure, Joseph Conrad decide di non chiudere così, ma di aggiungere una parte che…dovrebbe rasserenarci? Chissà. Comunque, racconto super consigliato. Soprattutto a chi cerca ispirazione per letture adatte a ragazzi e adolescenti. Per altri consigli librosi, cliccate sul link in basso.

E poi ditemi: conoscete Joseph Conrad? Qual è il suo romanzo che preferite?

“È impossibile comunicare la sensazione della vita di un qualsiasi momento della propria esistenza, ciò che rende la sua verità, il suo significato, la sua essenza sottile e penetrante. È impossibile. Viviamo come sogniamo: soli“.

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La casa dei libri nel bosco delle fiabe di Manziana

Il bosco di Manziana. O meglio, una casa dei libri nel bosco delle fiabe di Manziana. L’autunno per me è il periodo dei parchi. Mi piacciono i colori, il silenzio, il freddo pungente e il conforto di una buona cioccolata calda. Quest’anno al freddo ho ormai rinunciato, e di conseguenza alla cioccolata calda, ma ai parchi no. Stavolta vi parlo del bosco delle fiabe di Manziana, dove una casetta di legno è diventata la casa dei libri di Cappuccetto rosso, dei cerri secolari la tomba della fata turchina di Pinocchio e una solfatara che sembra quella dei ragazzi dello zoo di Berlino…venite che vi racconto tutto.

La casa dei libri di Cappuccetto rosso

Più avanti vi parlerò degli itinerari in cui è suddiviso il bosco di Manziana. Ora però vorrei iniziare dalla casa dei libri, che fa la sua comparsa dalla strada, ancora prima di entrare. Sarà stato il silenzio, l’aria fresca di un sabato pomeriggio di novembre, ma la visione di questa casetta e di quella accanto, con un venditore di castagne e miele, mi ha fatto subito pensare a Cappuccetto rosso e alla sua passeggiata nel bosco. Niente lupi in vista. Solo due pareti e un tetto, a ospitare una stazione di bookcrossing. Lasci un libro, ne prendi un altro. I libri sono parecchi, suddivisi ordinatamente negli scaffali. Non avevo portato con me un libro, e quindi non ho potuto prenderne nessuno, però ho visto diversi titoli interessanti. Segno che chi li lascia è intenzionato veramente a fare bookcrossing e non a disfarsi dei libri. Peccato soltanto che la costruzione non sia dotata di luci come il venditore lì accanto, perché al buio sarebbe ancora più suggestiva.

casa dei libri 2 logo

La passeggiata

A parte i libri, che lo sapete per me sono sempre fonte di attrazione, il bosco di Manziana è un posto perfetto dove concedersi una passeggiata a tutto relax. Mi ha stupito vederlo quasi vuoto, abitassi nei dintorni ci passerei le giornate. Fossi il Comune, o l’Università agraria che lo gestisce, renderei le entrate ancora più visibili, mi sono fermata perché ho visto la casetta, ma non avevo capito di essere arrivata. A parte noi, c’era qualche passeggino, qualcuno che giocava a pallone, un signore col cane, un altro in bici e nessun altro. Eppure, ha tutto per essere considerato godibile: sentieri tematici, di cui fra poco vi parlo, un’area picnic con tavoli e barbecue, panchine e fontanella, i cavalli, una biodiversità che lo fa luogo eccellente per le scuole. Cosa volere di più? 

poesia con logo

Itinerario nel bosco di Manziana

Il bosco di Manziana è suddiviso in 4 percorsi: Sentiero Alberi monumentali «A» – Colore verde, Sentiero dei Fontanili «B» – Colore giallo, Sentiero del Cinema «C»– Colore azzurro, Sentiero del Bologno «D» – Colore rosso. A volerlo percorrere tutto, si tratterebbe di più di 20 km. Io sono riuscita a farne una buona parte, arrivando anche alla solfatara. 

capanna con logo

Sentiero Alberi monumentali «A» – Colore verde

E’ il sentiero che parte dal punto da cui sono entrata, quello dove c’è la casetta dei libri. La lunghezza del percorso è più di 6 km, molto facile da percorrere, tutto pianeggiante e senza curve. Se volete fare il barbecue, è il posto giusto. Se invece di inoltrarvi nel bosco girate subito alla sinistra della casetta, dopo poco troverete la solfatara. Ovunque viene descritto un geyser che io non ho visto, però l’atmosfera “lunare” mi ha ricordato I ragazzi dello zoo di Berlino e una frase che mi accompagna da tutta la vita. Non a caso, qui hanno girato Amore tossico, un film del 1983 proprio su un gruppo di ragazzi tossicodipendenti. Sicuramente il regista aveva in testa la stessa frase!

Noi ci immaginiamo di comprarci la cava di calce quando non verrà più sfruttata. E lì sotto ci vogliamo costruire delle case di legno con un enorme giardino pieno di animali e con tutto quello di cui uno ha bisogno per vivere. L’unica strada che c’è per arrivare alla cava la vogliamo chiudere. Non avremmo comunque più alcuna voglia di ritornare su.”

cava zoo di Berlino logo

Sentiero dei Fontanili «B» – Colore giallo

E’ facile anche questo, e leggermente più lungo del sentiero A, circa 7,5 km. E’ il punto con la maggiore biodiversità e si chiama dei fontanili perché qui sono collocati i punti acqua per gli animali. Per loro esclusivo utilizzo, non è possibile bere l’acqua dei fontanili.

Sentiero del Cinema «C»– Colore azzurro

E’ il più breve, quasi 3 km, e sempre facile. E’ anche il più interessante per chi, come me, ama visitare le location dei film e delle serie tv. Si chiama del cinema, infatti, perché in questo tratto sono state girate diverse scene di film e serie televisive di successo: Distretto di Polizia nel 2000, La Freccia Nera nel 2006, Romanzo Criminale nel 2008. Questa zona è stata anche location per molti western all’italiana, tra cui Django di Sergio Corbucci del 1966 e Oggi a me… domani a te! di Tonino Cervi del 1968. Qui hanno anche girato delle scene di Pinocchio di Roberto Benigni nel 2019. Per esempio, la scena in cui Pinocchio scopre che la fata turchina è deceduta. L’allestimento è stato fatto nei pressi del fontanile testa di Bovo, chiamato così perché la testiera ricorda le corna di un bovino. Guardate il video della scena e la foto. Lo riconoscete? 🙂

pinocchio scena con logo

fontanile bovo
Sentiero del Bologno «D» – Colore rosso

E’ l’unico tratto impegnativo, lungo circa 4,5 km. Qui pascolano bovini, equini e asinini allo stato brado.

Che ne dite? Vi è piaciuta la passeggiata? Conoscevate già questo bosco fatato? 

Bonus track

Se poi vi viene fame, in Via degli Scaloni, proprio all’entrata con la casetta dei libri, c’è un forno superlativo, Baldassarini, lo vedrete facilmente. Portatevi qualche biscotto a casa, servirà a ritemprarvi dalla fatica della passeggiata! :p

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Antica Monterano, borgo fantasma alle porte di Roma

L’antica Monterano si trova a circa 50 km da Roma, praticamente nel mezzo del nulla. Eppure, è stata set di film molto famosi e indubbiamente ha il fascino di un passato che solo i borghi fantasma riescono a evocare in modo così suggestivo. Oggi è una riserva naturale e meta di turismo locale e voglio darvi qualche suggerimento per una gita in questo borgo laziale.

Un po’ di storia

Sembra che sia stata abitata sin dall’età del Bronzo (XI secolo a.C.), per passare poi agli etruschi a partire dal VII secolo a.C. e, ovviamente, ai romani dal 390 a.C. Infatti, tracce di un mausoleo romano e le sepolture scavate nella parete tufacea ci dicono che sopravvisse come piccolo borgo per tutta l’età romana. Divenne poi sede vescovile tra il VI e il VII secolo d.C. Insomma, una storia travagliata. Che non finisce qui. Ben presto, infatti, si trasformò in un feudo che passava di mano alle famiglie nobili che dominavano l’area: Anguillara, Colonna, Della Rovere, Cybo. Sempre loro. Finché, eccoli, l’acquistano gli Orsini nel 1492. Quasi 200 anni dopo passa di nuovo di mano e viene acquistata da Papa Clemente X, cioè dalla famiglia Altieri. E’ di questo periodo la costruzione dell’acquedotto e della chiesa e convento di San Bonaventura, uno dei motivi principali per visitare oggi l’antica Monterano. Il borgo diventa una zolfatara, ma la malaria causa lo spopolamento progressivo. Nel 1798 le truppe francesi entrano a Roma e proclamano la Repubblica romana, deponendo il papa. Per vendetta, bruciano questo borgo papale e gli abitanti sono costretti a rifugiarsi lì vicino, dove sorge l’attuale comune di Canale Monterano.

Storia interessante, vero?

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Le rovine dell’acquedotto e la fontana

E’ la prima cosa che vedrete entrando nel sito e già da una prima occhiata complessiva, vi renderete conto del perché questo posto sia così amato dal cinema. Dell’acquedotto cinquecentesco rimangono oggi le arcate. Fu costruito per portare l’acqua dalla confinante Oriolo, utilizzando anche le opere degli etruschi. Pensate che ancora oggi l’acqua segue lo stesso percorso e viene trasportata fino a Civitavecchia.

Le rovine del Castello Orsini-Altieri

Il castello  nacque molto probabilmente come roccaforte nel secolo VIII, quando Monterano era sede vescovile. Teoricamente avrebbe dovuto essere usato come abitazione del principe Altieri, ma praticamente non lo sfruttò mai,  preferendo risiedere a Oriolo, più comodo per gli spostamenti. Anche gli Orsini non lo avevano mai abitato, quindi possiamo considerarlo una specie di cattedrale nel deserto ante litteram. Anche se non utilizzato, evidentemente il principe Altieri aveva soldi da spendere, visto che nel 1679 affidò al Bernini la ristrutturazione del castello, dopo avergli fatto costruire la chiesa di S. Bonaventura. Con la solita maestria, il Bernini riuscì ad accentuare la prospettiva sfalsando le le aperture ad arco del porticato rispetto alle aperture del fabbricato preesistente. In questo modo, l’osservatore che avesse guardato il castello dal dal basso della piazza avrebbe avuto l’impressione di uno spazio dilatato. 

La cattedrale di Santa Maria Assunta 

La chiesa di San Rocco

La chiesa e il convento di San Bonaventura e il fico “più antico del mondo”

I resti della chiesa e del convento di San Bonaventura sono quelli che danno più atmosfera a tutto il sito, a mio parere. Anche perché si è conservata abbastanza bene da poter essere girata anche all’interno. Entrambi, chiesa e convento, sono stati costruiti su progetto di Lorenzo Bernini. Di fronte al sagrato c’era una fontana ottagonale che oggi è sulla Piazza del Comune, mentre davanti al rudere c’è una copia. All’interno sorge un mastodontico e secolare albero di fico, che quest’anno ha rischiato di perire per cause naturali, ma per fortuna è stato recuperato. 

Le cascate della Diosilla

Set cinematografico

Tutti abbiamo visto l’antica Monterano in televisione o al cinema. Compare nel film Guardie e Ladri (1951) di Mario Monicelli e Steno,  Ben Hur (1959) con Charlton Heston, Brancaleone alle Crociate (1970) con Vittorio Gassman nel 1970 e ne Il Marchese del Grillo con Alberto Sordi nel 1981, entrambi sempre di Mario Monicelli.

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