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Patrizia Marzocchi e Le coincidenze necessarie

Patrizia Marzocchi e una dimostrazione in diretta delle coincidenze necessarie in cui crede la sua protagonista, Jolanda Marchegiani. Ho trovato questo romanzo a prezzo stracciato in un supermercato e l’ho preso, attirata dalla trama. Ma il nome dell’autrice mi diceva qualcosa: e infatti era lì, tra i miei contatti facebook, anche se credo non ci siamo mai parlate. Coincidenze? Forse. Necessarie? Sicuramente. Venite che vi racconto.

Trama

Jolanda Marchegiani è un’investigatrice sui generis: ha un’agenzia low cost e di solito indaga su fedifraghi, figli ribelli, inquilini inquietanti.
Quando viene chiamata per la scomparsa di un rappresentante di biancheria intima in un paese della Bassa di cui non sospettava l’esistenza capisce che si trova di fronte a qualcosa di inedito. L’intuizione è confermata dal fatto che nei paraggi è stata uccisa una dottoressa. Questo omicidio sembra collegato a quello di uno psichiatra, sul quale sta indagando lo sgradevole commissario Tommaso Pedroni a Bologna.
Come distinguere i nessi logici tra gli eventi dalle semplici coincidenze? 

Sulle tracce di…Agatha Christie

Dico subito che quello di Patrizia Marzocchi è un giallo ben architettato e ben costruito. In effetti, la premessa viene soddisfatta: non è stato facile distinguere i nessi logici e le semplici coincidenze. Questo perché Patrizia Marzocchi ha seminato indizi qui e là, buttato frasi per sviare l’attenzione, mandato in campo esperti e pivellini, per arrivare a una conclusione che così scontata non è.

Tesi tutta da dimostrare

O meglio, per gli amanti di Agatha Christie i colpevoli da un certo punto in poi sono abbastanza chiari. Cosa che era sicuramente nelle intenzioni dell’autrice, visto che a un certo punto è la stessa Jolanda a essere mezzo e messaggero degli elementi utili. Quello che è difficile, è dimostrare la tesi. La cosa più importante è che l’attenzione rimane fino alla fine, il finale non si perde, come ahimè spesso succede in questi casi, e tutti i personaggi sono funzionali alla riuscita, come un buon giallo deve essere. Quindi, lettura consigliata per chi vuole cimentarsi in un giallo cervellotico.

Sotto una coltre di nebbia

Eh sì, forse avrei dovuto dirvelo all’inizio: qui tra psichiatri, psicologi e detective in autoanalisi, c’è veramente da chiedersi se il male si nasconda davvero sotto il sole, come diceva il buon Hercule. O se, in fondo, sotto una coltre di nebbia si nascondano i pensieri più nascosti dell’umanità. L’unica cosa che spero dal profondo del cuore è che il povero Sassi non incontri mai Rocco Schiavone: alla prima parola su Roma finirebbe pure lui dritto dritto ad Aosta!

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La costola di Adamo, seconda indagine per Rocco Schiavone

Antonio Manzini e la seconda indagine della serie Rocco Schiavone. Stavolta, siamo alle prese con un misterioso delitto: assassinio o suicidio? L’infallibile istinto del vicequestore Schiavone ci porterà dritti dritti dentro i segreti di casa Baudo. Riuscirà questo burbero romano a capire come diavolo sia stato possibile? Venite che vi racconto.

Trama

Una donna viene trovata cadavere dalla domestica, mentre il marito è fuori. Impiccata al lampadario di una stanza immersa nell’oscurità. Intorno la devastazione di un furto. Ma Rocco non è convinto. E una successione di coincidenze e divergenze, così come l’ambiguità di tanti personaggi, trasformano a poco a poco il quadro di una rapina in una nebbia di misteri umani, ambientali, criminali. Per dissolverla, il vicequestore Rocco Schiavone mette in campo il suo metodo annoiato e stringente, fatto di intuito rapido e brutalità, di compassione e tendenza a farsi giustizia da sé, di lealtà verso gli amici e infida astuzia.

Rocco Eastwood

Torno a leggere Antonio Manzini dopo più di un anno da Pista nera, che mi era piaciuto soprattutto per il colpo di scena finale. Anche qui, i colpi di scena non mancheranno, vi posso assicurare. In questa seconda indagine di Rocco Schiavone, però, predomina la personalità del vicequestore sui fatti. Di lui, veniamo a sapere qualcosa in più, luci e ombre in un carattere certamente non facile. provato dai fatti della vita, ma anche dalla tendenza a volersi fare giustizia alla Clint Eastwood. Stavolta, il costrutto generale è meno convincente: a partire dal richiamo che la capitale esercita su di lui, e che lo spinge a tornare a Roma nel pieno di un’indagine, fino al vero e proprio rompicapo che si trova a dover risolvere.

Ossessione patologica

Intendiamoci: gli espedienti e le soluzioni trovate da Antonio Manzini sono godibili e avvicinano questo romanzo alla sceneggiatura di una serie tv, cosa che in effetti per la maggior parte degli estimatori di questo personaggio è. Però. C’è un però. I comportamenti di alcuni personaggi sono al limite (superato) dell’ossessione patologica. Non è un messaggio edificante e, probabilmente, neanche vuole esserlo. Tuttavia, non capisco la nota a fine romanzo in cui l’autore si riferisce esplicitamente alla violenza contro le donne.  L’amarezza che mi lascia l’escamotage non è descrivibile: è questa l’unica soluzione? Una delle uscite becere di Schiavone sarebbe stata apprezzata da tutte le lettrici, ne sono sicura. La supina verticale rassegnazione…no.

Arrivederci, Schiavone. Al prossimo delitto.

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Chiara Moscardelli, Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli

Di Chiara Moscardelli non avevo letto mai nulla e ho iniziato dalla sua serie più famosa, quella di Teresa Papavero, Pap per gli amici. Una quarantenne irrisolta, o almeno così appare agli occhi della società e del padre. Talmente sfiduciata, che decide di tornare da dove è venuta, nel ridente paesino di Strangolagalli. Ridente, fino a un certo punto…

Trama

Superati i 40 anni Teresa Papavero, dopo avere perso l’ennesimo lavoro, decide di tornare a Strangolagalli, borghetto a sud di Roma nonché suo paese natio, per ricominciare in tranquillità. E invece la tanto attesa serata romantica con Paolo, conosciuto su Tinder, finisce nel peggiore dei modi: mentre Teresa è in bagno, il ragazzo si butta dal terrazzo. Suicidio? O piuttosto, omicidio? Il maresciallo Nicola Lamonica è assai confuso. Non lo è invece Teresa che capisce subito che qualcosa non va. 

Teresa incarna una generazione

La maledizione di Strangolagalli è il primo romanzo della serie, di cui l’11 ottobre 2023 uscirà il terzo libro. Ormai è tardi per consigliarvi libri da ombrellone, ma la serie di Chiara Moscardelli entra  a pieno diritto nei consigli per la spiaggia. Il romanzo è leggero, divertito, ha un buon ritmo. Teresa Papavero è una donna che incarna la generazione dei quarantenni che, se non corrispondono a uno standard predefinito, vengono trattati male dalla comunità e pure dai genitori. In questo caso, il padre. Solo che ognuno di noi ha il proprio modo di essere e sentire e, anche se la butti sul ridere, non è detto che le critiche non facciano male. E soprattutto, oltre al proprio sentire, tutti noi abbiamo delle qualità. Quella di Teresa? Ricordarsi nei minimi dettagli tutto, anche aspetti apparentemente insignificanti.

Da Strangolagalli con furore

Ed ecco che questa direttrice di b&b improvvisata, improvvisamente diventa centrale per la risoluzione dell’omicidio. In mezzo, ed è questo l’aspetto più riuscito del romanzo di Chiara Moscardelli, il microuniverso in cui Teresa Papavero si trova catapultata dopo aver lasciato Roma. In fondo, alle motivazioni del suicidio/omicidio (per non fare spoiler vi lascio il dubbio), un lettore appassionato di gialli arriverà presto. Il romance c’è, ma lasciato a metà, forse in vista di puntate future già pianificate (e sapete quanto non mi piaccia la cosa), ma in fondo è coerente con il personaggio della protagonista. Rimane la scelta di fondo, andarsene dalla città e trovare una propria strada, anche quando tutti pensano che ormai tu sia una causa persa. Chi di noi non farebbe il tifo per Teresa?

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Il diario di Marco Goldin e Gli ultimi giorni di Van Gogh

Il diario di Marco Goldin sugli ultimi giorni di Van Gogh mi è capitato sottomano in biblioteca qualche giorno prima che andassi a visitare la mostra di Roma di cui vi ho già parlato. Ancora fresche le sensazioni dell’esposizione, mi sono letta con calma questo diario inventato su uno dei miei pittori preferiti. Ora vi dico cosa ne penso.

Trama

Come in un vero e proprio «diario ritrovato» Vincent van Gogh ci racconta, giorno per giorno, le ultime settimane della sua vita trascorse nel villaggio di Auvers-sur-Oise, a nord di Parigi. Un’autobiografia ideale e poetica, fatta anche di tanti ricordi, in cui Marco Goldin presta le sue parole al grande pittore olandese, con un passo narrativo coinvolgente e sempre fedele alle fonti storiche e all’epistolario. La scena si apre il 15 maggio 1890, quando Van Gogh lascia ancora fresco sul cavalletto l’ultimo quadro a Saint-Rémy, in Provenza, prima di andare a Parigi dal fratello Theo. E prima di prendere il suo ultimo treno per Auvers. Da lì in avanti il racconto si snoda avvincente, tra le strade strette di quel villaggio, la casa del dottor Gachet, le distese di erba medica su cui galleggia il rosso dei papaveri, il fiume che scorre lento, la chiesa con un cielo smaltato di azzurro come una vetrata gotica. E infine i campi di grano come un appuntamento con il destino.

L’originale è emozione allo stato puro

Il grande pregio di questo libro è che si legge in un attimo, la scrittura è fluida e le vicende narrate sono di grande interesse per tutti gli amanti di Van Gogh. Tuttavia, lo consiglio quasi esclusivamente a chi vuole farsi un’idea del pittore e leggere una storia semplice come l’azzurro in copertina. Per gli appassionati del grande artista olandese, invece, potrebbe essere quasi deludente. Non tanto per i contenuti, Marco Goldin è uno dei massimi esperti sul tema, ma per il paragone inevitabile con gli scritti lasciati da Vincent Van Gogh. Le parole originali sono così intense, profonde e commoventi, che immedesimarsi in questa “imitazione” risulta troppo complicato. Questo è quello che è successo a me. A un certo punto, la lettura ha finito per essere interessante quando ha toccato particolari di cui non ero a conoscenza, ma mi è sembrata blanda dal punto di vista emozionale. D’altra parte, Vincent Van Gogh è emozione allo stato puro, difficile anche solo accostarsi all’originale.

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Divorziare con stile secondo Malinconico

Sta per partire su Raiuno la serie dell’avvocato Malinconico di Diego De Silva e io ho finito in calcio d’angolo la quarta uscita. Dopo Non avevo capito niente e Mia suocera beve, per me finora i migliori, e Sono contrario alle emozioni, sempre per me bocciato, ho ripreso in mano la saga di questo avvocato perdente, in subaffitto, divorziato e lasciato, che tenta di restare a galla tra una figura di m. e un’altra. Come sarà andata stavolta la lettura di Divorziare con stile? Ora vi racconto. E vi dico anche che la serie raggruppa le tre uscite di cui sopra.

Trama

Questa volta Vincenzo e la sua voce sono alle prese con due ordini di eventi: il risarcimento del naso di un suo quasi-zio, che in un pomeriggio piovoso è andato a schiantarsi contro la porta a vetri di un tabaccaio; e la causa di separazione di Veronica Starace Tarallo, sensualissima moglie del celebre  avvocato Ugo Maria Starace Tarallo, accusata di tradimento virtuale commesso tramite messaggini, che Tarallo (cinico, ricco, spregiudicato e cafone) vorrebbe liquidare con due spiccioli. La Guerra dei Roses tra Veronica e Ugo coinvolgerà Vincenzo molto, molto più del previsto. E una cena con i vecchi compagni di scuola, quasi tutti divorziati, si trasformerà in uno psicodramma collettivo. Perché la vita è fatta anche di separazioni ricorrenti, ma lo stile con cui ci separiamo dalle cose e dalle persone, il modo in cui le lasciamo e riprendiamo a vivere, è – forse – la migliore occasione per capire chi siamo. E non è detto che sia una bella scoperta.

Il libro vero inizia alla fine

Continua la saga e continuano le divagazioni di Malinconico. D’accordo che ci ha avvisato di questo suo vizio fin dalla prima uscita, ma veramente questa modalità di narrazione sembra avergli preso la mano. Non so, sembra quasi che su Malinconico ci sia poco da aggiungere e, quindi, il romanzo debba essere necessariamente infarcito di elementi che rimandano al pensiero dell’autore, più che del personaggio. Eppure io trovo che sia un peccato, perché il libro vero inizia a cinquanta pagine dalla fine. O meglio, il libro che a me sarebbe piaciuto leggere, incentrato sul divorzio degli Starace Tarallo, magari intervallato dalla reunion dei compagni di scuola. Invece, il divorzio si risolve in un nanosecondo, con l’aggravante che a suggerire la difesa giusta è un amico di Malinconico. E la reunion, che in fondo è la parte più divertente del romanzo…pure.

Muccino style

Insomma, anche stavolta è un nì-barra-no. Se uno vuole vedere cinquantenni irrisolti e infantili, può tranquillamente godersi il maestro Muccino, non c’è certo bisogno di sfogliare su pagine di massime, ripicche e scherzi da asilo. E perché allora continui la saga, direte voi? Purtroppo per me, omai mi sono affezionata a Malinconico. Sì, proprio al personaggio, e la curiosità di vedere come va a finire è più forte delle perplessità. Detto questo, se guidi una Ferrari come una 500, come fai a non sottolinearlo?

Voi che mi dite? Siete anche voi aficionados delle avventure di Malinconico? Guarderete la serie tv?

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Terapia di coppia per amanti – Diego De Silva

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