La “Pizza Picasso destrutturata” vince il contest

Non avevo mai partecipato a un contest finora, ma quello del Molino Gatti mi ha ispirato subito. L’azienda di Castiglione del Lago voleva festeggiare l’apertura nella sua cittadina della mostra di Picasso, castiglione 2allestita a Palazzo della Corgna dal 30 aprile al 27 agosto 2017, con un concorso a ricetta libera. Arte e cucina, binomio perfetto per me, sapete quanto ami entrambe. Dopo un weekend di riflessione mi sono messa all’opera e ho creato una pizza dell’amicizia Italia-Spagna, mezza tricolore e mezza giallorossa, come i colori delle due bandiere, perché la mostra celebra appunto i 100 anni dalla venuta in Italia dell’artista. Però Picasso non era tondo, non era quadrato, era…destrutturato! E allora ecco l’idea di spezzettare la pizza per deformarla e darle un aspetto picassiano. Com’è andato il contest? Prima la ricetta, leggete fino in fondo e vi racconterò com’è andata.

Poolish:

  • 120 gr pasta madre rinfrescata
  • 160 gr acqua
  • 120 gr farina manitoba

Impasto finale:

  • 40 gr farina manitoba
  • 200 gr farina tipo 2
  • 200 gr farina integrale
  • 180 gr acqua circa
  • 10 gr malto d’orzo
  • 22 gr olio evo
  • 10 gr sale

Condimento:

  • Polpa di pomodori
  • Burrata
  • Pesto (basilico, pinoli, parmigiano reggiano, olio evo)
  • Formaggio tipo Cheddar

Procedimento

Per l’impasto ho usato come base la ricetta della pizza tonda di Antonella Scialdone, modificandola nel tipo di farina utilizzata e nella quantità di sale, abbassata perché troppo sapida per le mie abitudini alimentari.

La sera prima preparate il poolish

Mettete in una scodella la pasta madre, aggiungete acqua tiepida e con una forchetta o un cucchiaio sciogliere bene il lievito. Aggiungete la farina e mescolate fino a ottenere un composto omogeneo e molle. Coprite la scodella con pellicola trasparente e lasciate lievitare per 12 ore a temperatura ambiente.

La mattina dopo

Aggiungete al poolish, nell’ordine, l’acqua tiepida meno un cucchiaio, il malto, le farine e mescolare. Aggiungete l’olio emulsionato con un cucchiaio d’acqua preso dal totale e il sale e mescolate bene. Rovesciate l’impasto sulla spianatoia infarinata e lavoratelo energicamente per circa 10 minuti, finché risulti liscio e omogeneo. Formate una palla, coprite con pellicola trasparente e lasciate lievitare per un’ora e mezza lontano da correnti d’aria.

Dopodiché, sgonfiate l’impasto e procedete con una serie di pieghe. Coprite e lasciate riposare ancora un’ora, al termine della quale prendete l’impasto e con la spatola spezzatelo in due, formate due pallette e mettetele in due contenitori. Lasciatele riposare in frigo fino al momento di utilizzarle, ricordandovi però di toglierle almeno due ore prima di infornare.

La farcitura

Mentre lei riposa, voi accendete il forno alla massima temperatura e preparate la farcitura. Per la pizza Picasso ho spezzettato la burrata, lasciandola in pezzi grandi perché così mi piace, il formaggio cheddar e ho preparato il pesto, anche se ovviamente potete utilizzare quello già pronto. Per le dosi del pesto sono andata a occhio, come tutte le salse inserisco gradualmente gli ingredienti finché il mix di profumi soddisfa il palato. Ho scelto il Cheddar per dare il colore alla bandiera spagnola, ma potete sostituirlo con il tipo che più vi piace, soprattutto perché non è sempre facile trovarlo.

La cottura

All’ora x, cioè quando manca mezz’ora al momento di andare in tavola, sulla spianatoia leggermente infarinata stendete ciascuna pallina facendo pressione con le mani partendo dal centro e andando verso l’esterno, facendo attenzione a non schiacciare le bolle che si saranno formate e a non strappare la pasta. Arrivati allo spessore e alla larghezza desiderata, trasferitele su una teglia e conditele. Stendete uno strato uniforme di polpa di pomodoro e poi aggiungete su metà la burrata e sull’altra metà il formaggio Cheddar. Dopo un quarto d’ora aprite il forno e controllate che cornicione e retro siano ben cotti, altrimenti prolungate di qualche minuto.

Destrutturatela come farebbe Picasso

pizza picassoDopo averla sfornata, la trasferite in un piatto grande e la tagliate a pezzi irregolari che poi dovrete ricomporre (per l’effetto destrutturato). E’ anche comoda da servire se avete gli ospiti, perché ognuno prenderà il pezzo che gli piace di più per forma. Unica accortezza, il lavoro di taglio dev’essere finito in tempi record, altrimenti servirete una pizza fredda! Ultimo tocco a completamento, il pesto, che da un cucchiaino farete colare su metà pizza come se fosse un quadro astratto, e un goccio di olio extravergine di oliva su tutta la superficie.

logo gattiComunque, il contest alla fine l’ho vinto! E sì, sono tanto soddisfatta, perché ora ho tantissima farina da utilizzare per i miei pasticci e una ricetta sicura quando ho voglia di una pizza speciale. Provatela e poi mi direte.

 

 

 

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Margherita dolcelunedì

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Prima o poi – Elinor Glyn

Ci sono dei libri che scegli, li prendi da uno scaffale e li porti a casa, oppure li scarichi sull’e-reader per leggerli dove ti pare. Ce ne sono altri, invece, che ti vengono a cercare e per qualche misterioso motivo trovano te e non qualcun altro. Prima o poi di Elinor Glyn (Sooner or later, 1933), edizione I Romanzi della Rosa Salani del 1963 mi stava aspettando, abbandonato dentro uno scatolone. Praticamente nuovo, perfetto. Non potevo non dargli una seconda vita, non vi pare?

Trama

La trama è semplice: Maria Ottley è una ragazza umile, figlia della domestica di una gran signora, che le vuole talmente bene da farne una sua protetta. Quando l’anziana signora muore, Maria si ritrova ingenua diciassettenne a fare i conti con il mondo. L’istruzione, le buone maniere e una gran bellezza, tuttavia, le sono di aiuto nel perseguire il suo obiettivo: diventare segretaria, che all’epoca, per le persone della sua condizione sociale, significava arrivare a essere “qualcuno”. Mentre cerca la sua strada, nella vita si affaccia anche l’amore. Ben presto bussano alla sua porta: un giovane ambizioso, un industriale, un anziano commerciante, un giovane aristocratico e Maria dovrà scegliere la via giusta per la felicità senza farsi abbagliare dal solo denaro.

L’antesignana della narrativa erotica popolare

Come dicevo, l’intreprima o poiccio è semplice e il romanzo porta via non più di due tranquille serate di lettura. Quello che mi ha colpito, invece, è il profilo della scrittrice, insieme allo sguardo diretto che dalla foto sembra trapassarti l’anima. Elinor Glyn, nata Sutherland (Jersey 1864 – Londra 1943) fu una scrittrice e sceneggiatrice considerata l’antesignana della narrativa erotica popolare e i suoi romanzi ebbero un successo notevole agli inizi del ventesimo secolo, arrivando a influenzare anche le carriere addirittura di Rodolfo Valentino e Gloria Swanson! Sposata e separata, due figlie, ebbe numerosi amanti, da cui prese spunto per scrivere le sue trame “spinte”.

IT girl

Nel 1920 Elinor Glyn si trasferì a Hollywood per lavorare nell’industria cinematografica dove lavorò come sceneggiatrice per il cinema muto sia per la MGM sia per la Paramount Pictures. Sapete chi coniò il termine IT che usiamo ancora oggi per indicare il sex appeal (avete presente le IT Girls) o quel certo non so che? Sempre lei! IT, quando ancora non era identificato da tutti come un romanzo di Stephen King, divenne uno dei suoi successi più grandi, facendola diventare un’icona delle donne libere, che conquistano gli uomini con il loro fascino.

Insomma, dopo Katherine Brush e Patricia Highsmith, sono ahimè costretta a dirlo di nuovo: queste autrici del passato hanno davvero una marcia in più!

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Young Man of Manhattan – Katharine Brush

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Una vita – Guy de Maupassant

270px-La_Parure_-_Gil_Blas Una vita (titolo originale Une vie) è il primo romanzo di Guy de Maupassant, comparso originariamente come romanzo d’appendice nel 1883 sul quotidiano Gil Blas. Dopo aver finito La metà di niente, dove Rose era alle prese con il divorzio dal marito Ben, riprendere questo libro già iniziato è venuto naturale.

Trama

Jeanne è una giovane aristocratica, che dopo essere stata educata nel collegio religioso del Sacro Cuore fino all’età di 17 anni, nel 1819 va a vivere nella residenza di famiglia “I pioppi” vicino alla località normanna di Yport: qui vive giorni felici carichi di sogni e di aspettative per il futuro. Dopo solo tre mesi di fidanzamento va in sposa al visconte Julien de Lamare. Appena tornati dal viaggio di nozze in Corsica, così carico di romanticismo e di passione, la sua vita reale prende inaspettatamente una piega ben più triste. Il marito si rivela ben presto per quello che è realmente, un uomo avido ed egoista, meschino e del tutto indifferente alla vita coniugale. Giovanna scopre poco dopo cosa si cela dietro tanta freddezza…

Uno spaccato del mondo femminile ottocentesco

E’ il primo romanzo di Guy De Maupassant che leggo e il primo che lui abbia scritto. La storia è piuttosto semplice, non ci sono grandi sussulti se non nel modo cruento in cui i due amanti “nobili” vengono eliminati. All’amante domestica di casa, invece, lo scrittore riserva un trattamento più umano, forse perché del popolo, e all’epoca le donne del popolo non avevano grandi scelte se non sottostare ai voleri dei padroni, qualunque essi fossero. Guy de Maupassant, però, ci offre uno spaccato del mondo femminile dell’800. La protagonista esce a diciassette anni dal convento con idee romantiche e illusorie sulla vita. I genitori, benestanti e senza grandi pretese, si limitano a viziarla, protetti e felici nel loro piccolo mondo popolato di personaggi tipici: il prete, il sindaco, i vicini aristocratici, la servitù.

Nulla di più, nulla da chiedere, nulla da raggiungere

A Giovanna (ho letto un’edizione italiana molto datata del romanzo di Guy de Maupassant, dove i nomi stranieri sono stati tutti tradotti) viene spontaneo e naturale adeguarsi senza nulla pretendere, senza nulla dare, come una qualsiasi figlia coccolata e adorata sente di poter fare. Appena si avvicina un pretendente, tutta la famiglia è concorde nell’accoglierlo in casa come uno di loro. Peccato che l’uomo sia preda dei vizi e che cerchi solo una moglie facoltosa per sistemarsi. Quando lo capisce, Giovanna abbozza un rifiuto, vorrebbe cacciarlo via, ma in pochi giorni e con laconiche parole viene ricondotta alla ragione. D’altra parte, quale uomo non ha mai tradito la moglie? E quale donna non ha mai trovato un uomo vero che riaccendesse la passione sopita?

Tutto è sempre uguale 

La famiglia non è certo il luogo dove si sfogano gli istinti, piuttosto un porto sicuro riconosciuto dalla comunità. Anche la campagna sembra immersa nel sonno. Tutto è sempre uguale, le stagioni si susseguono senza sorprese, la primavera torna sempre puntuale. Non a caso, gli unici atti di passione colgono i coniugi nella mia amatissima e selvaggia Corsica. Giovanna non cede al ricatto di cercare la felicità fuori dal matrimonio, ma aver aperto gli occhi non basta. Rimane supina, senza volontà, senza capacità di diventare davvero una donna, una madre, una figlia. E’ un fantoccio, in balìa degli eventi e delle persone manipolatorie che la circondano.

Non è finita finché non è finita

Finché, a salvare questa disperata, non arriva un’altra donna. Anzi, torna un’altra donna. Rosalia, la sua sorella di latte, la donna del popolo che tanto l’aveva fatta soffrire e a cui eppure lei vuole ancora bene. Sua sorella, la sua amica, se amica può essere chiamata una persona alle proprie dipendenze, prende in mano le redini e riconduce Giovanna a una parvenza di felicità. Sì, quella felicità che sembrava smarrita per sempre, accanto a una persona forte Giovanna sente di poterla di nuovo riacciuffare. Perché Rosalia possiede la saggezza del popolo e lei lo sa bene, come diceva qualcuno, che non è finita finché non è finita.

p.s. la foto in copertina è mia, scattata durante un fantastico viaggio in Corsica. 

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Bel Ami – Guy de Maupassant

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La metà di niente – Catherine Dunne

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La metà di niente – Catherine Dunne

Un giorno Ben entra in cucina. Sta cercando Rose, che è occupata a bollire le uova.

«Rose.»

Ultimamente non l’ha quasi mai chiamata per nome, perciò lei alza lo sguardo sorpresa.

«Dobbiamo parlare.»

Il mondo crolla, anni e anni precipitano turbinando, vite vengono distrutte. Adesso Rose sa che tutte le venture sono state annunciate da quella frase. Dobbiamo parlare.

«Devo andar via per un po’. Penso che abbiamo bisogno di stare ognuno per conto proprio, solo per un periodo. Mi dispiace farlo così, ma è che non sono felice.»

Rose fissa le uova.

Trama

Rose e Ben sono una coppia come tante. Dublinesi, sui 40 anni, sposati da vent’anni, tre figli, casalinga lei e imprenditore lui. Annoiati, con giorni che si susseguono sempre uguali. Ma questo non è un giorno come gli altri, perché Ben ha deciso di lasciare la famiglia per un’altra donna. Rose si ritrova di punto in bianco a dover fare fronte all’emergenza economica immediata, a doversi improvvisare capofamiglia, a inventarsi un mestiere e un nuovo equilibrio familiare. Grazie al sostegno delle persone che le sono vicine e a risorse che non sapeva neanche di avere, riesce a riprendere in mano le fila della routine domestica e a ritrovare una parvenza di felicità.

L’esordio di Catherine Dunne

In questo romanzo d’esordio, la scrittrice irlandese Catherine Dunne alterna la cronaca dei fatti che stanno accadendo nel 1995, anno in cui Ben decide di voler tornare a essere felice, alla ricostruzione della storia che li ha portati da giovani fidanzati ai drammatici eventi di oggi.

“Non era più la metà di una rispettabile, solida coppia borghese. Era la metà di niente.”

Questa frase, secondo me, racchiude l’essenza del libro. Rose e Ben anelano entrambi al riconoscimento sociale, a costruire un nucleo che li faccia sentire accettati, dove ognuno si comporta con giudizio e secondo quanto gli viene richiesto, senza chiedersi mai se è questo ciò che davvero vuole. Quando Ben annuncia alla moglie di aver deciso di andarsene, non sta infliggendo un duro colpo a una moglie innamorata, no, ma a una donna che ha fatto dell’apparenza e della convenienza il suo stile di vita. La sua prima reazione, infatti, non è di disperazione per l’abbandono, ma d’incredulità, perché queste sono cose che succedono agli altri, non a lei.

Ma chi sono gli altri?

Sono quelli che accompagnano i figli a scuola, che fanno spesa al supermercato, che puliscono casa ogni giorno, che aspettano la ciurma la sera con un piatto fumante in tavola. Gli altri siamo noi. E quando tutte queste attività quotidiane perdono di senso, non possiamo fare altro che chiederci: chi sono io? Perché “gli altri” continuano a girare per il supermercato come se nulla fosse successo? Perché in effetti è così: per loro, per “gli altri” non è successo proprio nulla, il mondo continua a girare lo stesso. Il dramma privato, se possibile, deve essere tenuto nascosto. Se ti chiedono come stai, devi rispondere: “bene”, non “mi sento morire, non lo vedi?”, perché potrebbero prenderti per pazzo o, peggio, allontanarti per sempre.

Gli altri elementi del romanzo di Catherine Dunne, tutto sommato, sono meno interessanti. Sorvolo sulla traduzione, zeppa di errori soprattutto sulla consecutio temporum. I continui flashback rendono la lettura veloce, ma non arricchiscono più di tanto le figure dei protagonisti, né del loro contorno familiare. Rose e Ben rimangono due personaggi piatti, senza grandi evoluzioni, fondamentalmente bloccati nel loro egocentrismo. Anche se l’autrice prende evidentemente le parti della donna, direi che entrambi risultano alla fine due bambini poco cresciuti.

Ho cercato per anni di parlarti”. (attenzione, spoiler)

Ben lascia la moglie e i bambini nei guai, è vero, ma anche lei sembra talmente impegnata a costruire la famiglia del Mulino Bianco per gli estranei da non accorgersi di quello che le succede in casa. Eppure, i segnali c’erano tutti. In fondo, non è sempre così? Siamo sempre gli ultimi a capire quello che ci riguarda. Anche gli accadimenti risultano inverosimili: lei si trasforma in una super donna imprenditrice di se stessa in pochi mesi, trovando lavoro senza neanche cercarlo! Forse, Catherine Dunne ha voluto aprire uno spiraglio di speranza per tutte le donne che subiscano un divorzio, ma il percorso dall’abisso alla risalita è lungo e andrebbe esplorato fino in fondo, non lasciato, appunto, a metà.

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