Van Gogh in mostra a Roma: io sono ancora qui

Van Gogh è nato nel 1853 oggi, 30 marzo, a Zundert, nei Paesi Bassi. E 170 anni dopo, la mostra a lui dedicata a Roma è stata appena prorogata fino al 7 maggio 2023. Ora vi racconto cosa ho visto e perché vale la spesa.

La mostra

La mostra è ospitata a Palazzo Bonaparte, all’angolo di Piazza Venezia. Attraverso ben 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller Müller di Otterlo – che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere di Van Gogh – e grazie a tante testimonianze biografiche, ne ricostruisce la vicenda umana e artistica, per celebrarne la grandezza universale.
Un percorso espositivo dal filo conduttore cronologico, che fa riferimento ai periodi e ai luoghi dove il pittore visse: Olanda, Parigi, Arles, fino a St. Remy e Auvers-Sur-Oise, dove mise fine alla sua breve e tormentata vita.

Il percorso espositivo al buio

Vi dico subito: la mostra merita, per allestimento e qualità delle opere presentate. Mi è piaciuta moltissimo la scelta di lasciare il pubblico praticamente al buio, mettendo così in risalto le opere di Van Gogh e il suo uso fenomenale del colore. Anche aver seguito un ordine cronologico, mi ha dato la sensazione di partecipare alla discesa all’inferno del pittore, alle sue illusorie risalite, fino alla tragica conclusione.

Il ruolo delle donne 1: Johanna Bonger, la moglie di Theo

Purtroppo la mostra è affollatissima, in qualsiasi giorno e orario. E non tutti i fruitori sono in grado di reggere l’urto della folla, mettiamola così. Se però saprete mantenere la calma e aspettare il vostro momento davanti al quadro, allora sarà una festa per la mente e il cuore. Se conoscete bene Van Gogh, come me, non vi diranno niente di nuovo, o quasi. La cosa che mi ha fatto piacere, è vedere esaltato il ruolo della cognata di Vincent, Johanna Bonger. E’ lei la vera artefice del successo postumo del cognato, perché ha dato un impulso commerciale e intellettuale al suo lavoro, mentre Theo si era limitato a cercare di vendere.

frase johanna bonger logo

Il ruolo delle donne 2: Helene Kröller-Müllerla filantropa

Altro ruolo fondamentale, quello di un’altra donna: Helene Kröller-Müller, una filantropa che di fatto ha reso Van Gogh uno degli artisti più quotati di sempre. I due non si sono mai incontrati, ma nelle lettere e nelle opere di Van Gogh questa ricca borghese tedesca riconobbe il suo stesso travaglio interiore e collezionò tutto quello che riuscì ad acquistare. Tanto che oggi il suo museo, il Museo Kröller Müller di Otterlo, possiede la seconda collezione di opere di Van Gogh più vasta, dopo naturalmente il Museo di Van Gogh di Amsterdam. 

donna frumento logo

Il ruolo delle donne 3: Sienla compagna

All’interno della mostra, c’è uno spazio molto commovente dedicato a Clasina Maria Hoornik (Sien), prima amante e poi compagna di Vincent van Gogh per un paio di anni. Sien è una prostituta e quando Vincent van Gogh la incontra è sola e malata. Senza dimora fissa e, per di più, incinta. E’ già madre di una bambina di cinque anni, Maria Wilhelmina. Van Gogh rimane fortemente colpito da questa situazione e vede forse in Sien la possibilità di riscattarsi, tanto che decide di ospitarla e provvedere a loro. Sien, in cambio, si presta a fare da modella al pittore e alcuni dei suoi ritratti sono esposti, insieme alle lettere di Vincent e di Theo, che manifesta la contrarietà sua e della famiglia a questa unione. Tanto che Vincent decide di lasciarla, lasciando Sien al suo tragico destino. E andando incontro al suo. 

prostituta van gogh logo

Informazioni utili

La mostra è aperta dal lunedì al giovedì 9.00 – 19.00, venerdì, sabato e domenica 9.00 – 21.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Dal 1 al 7 maggio 2023 la mostra sarà aperta dalle ore 9.00 fino alle ore 00.00. Per i prezzi dei biglietti e prenotazioni, cliccate qui per il link al sito.

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Ultimi giorni per la mostra L’arte liberata 1937-1947 alle Scuderie del Quirinale. Avete tempo solo fino al 10 aprile 2023! Qui tutte le informazioni su quest’altra interessante esposizione.

Agatha Christie, la nostra lettura condivisa sta finendo

E anche stavolta stiamo per mettere fine alla lettura condivisa del BookclubPeC. Se con Vacanze in villa di Sophie Kinsella avevamo finito prima del tempo, con Agatha Christie e il suo L’assassinio di Roger Ackroyd ci è voluto più tempo. Eh sì, perché la regina del giallo richiede attenzione e osservazione dei particolari. In attesa dei commenti sul romanzo nel suo complesso, vi lascio le mie impressioni e l’ultima curiosità su L’assassinio di Roger Ackroyd. E poi vorrei che commentassimo il finale (SPOILER, SPOILER, SPOILER. NON LEGGETE I COMMENTI SE NON AVETE LETTO IL ROMANZO).

Un finale a sorpresa

Come vi ho detto fin dall’inizio, di tutta la produzione di Agatha Christie, e in generale del genere giallo fino a quel momento, L’assassinio di Roger Ackroyd ha un finale inedito, assolutamente inaspettato. Figuratevi come può essere stato accolto all’epoca! Vi riporto alcuni commenti delle principali testate:

The New York Times Book ReviewCi sono senza dubbio molte storie poliziesche più eccitanti e raccapriccianti di The Murder of Roger Ackroyd, ma questo recensore ne ha recentemente lette pochissime che forniscono uno stimolo analitico maggiore. Questa storia, sebbene sia inferiore a loro nel migliore dei casi, è nella tradizione dei racconti analitici di Poe e delle storie di Sherlock Holmes. Miss Christie non è solo una narratrice straordinariamente brava, ma conosce anche il giusto numero di indizi da offrire sul vero assassino. Nel caso in esame la sua identità è resa ancora più sconcertante dall’abilità tecnica dell’autore nello scegliere la parte che deve recitare nella storia. Il lettore esperto probabilmente lo noterà, ma si può dire con certezza che spesso avrà i suoi dubbi man mano che la storia si svolge”.

All’Observer piaceva molto il personaggio di Catherine, che secondo alcuni anticipa quello che diventerà Miss Marple, ancora non inventata. “Nessuno è più abile di Miss Christie nella manipolazione di falsi indizi, irrilevanze e false piste. Peccato che in due punti importanti – la natura della soluzione e l’uso del telefono – Miss Christie sia stata anticipata da un altro recente romanzo: la verità è che in questo particolare campo è difficile trovare nuovi spunti. Ma la storia di Miss Christie si distingue dalla maggior parte della sua classe per la sua coerenza, la sua ragionevolezza e il fatto che i personaggi vivono, si muovono e hanno il loro essere: la Caroline amante dei pettegolezzi sarebbe quel quid in più per qualsiasi romanzo“.

Lo Scotsman, secondo me, centra il vero punto: “Quando nelle ultime dozzine di pagine del romanzo poliziesco di Miss Christie, arriva la risposta alla domanda: “Chi ha ucciso Roger Ackroyd?” il lettore sentirà di essere stato giustamente o ingiustamente venduto. Fino ad allora è stato tenuto a bilanciare nella sua mente di capitolo in capitolo le probabilità a favore o contro le otto o nove persone su cui punta il sospetto… Ognuno nella storia sembra avere un proprio segreto nascosto nel manica, la cui produzione è indispensabile per incastrare i pezzi del puzzle”

 

La curiosità

Ed eccoci alla curiosità su questo libro. Scriverò qui questa e un’altra nei commenti, perché contiene spoiler. L’assassinio di Roger Ackroyd segna una svolta nella vita artistica di Agatha Christie, perché per la prima volta uno dei suoi romanzi diventa una commedia teatrale. Alibi, è il nome di questa rappresentazione. E’ lei stessa a parlarne nella sua autobiografia, La mia vita.

Alibi fu adattata da Michael Morton, uno specialista in questo genere di interventi. Mi scontrai subito con la sua proposta di ringiovanire Poirot di una ventina d’anni, di cambiargli il nome in Beau Poirot e di circondarlo di uno stuolo di estatiche fanciulle…obiettai energicamente al fatto che la sua personalità venisse ad essere così modificata”.

Aspetto i vostri commenti: avete finito L’assassinio di Roger Ackroyd? State per finire? Stavolta commentiamo il lavoro di Agatha Christie nel suo complesso. Fatemi sapere cosa ne pensate, soprattutto sul finale! Come lettori, sentite di essere stati giustamente o ingiustamente venduti?

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Laura Dean continua a lasciarmi, di Mariko Tamaki e Rosemary Valero-O’Connell

Mariko Tamaki ci fa immergere in un mondo adolescenziale dove i personaggi sono sicuri della propria sessualità e delle loro preferenze. Peccato, ahimè, che ci sia una cosa che non cambia mai, da adolescenti come da adulti. La necessità di sentirsi amati, anche da chi purtroppo non ricambia. Insistere o lasciar perdere? E’ quello che Freddy tenta di capire in questo fumetto. Ora vi racconto cosa ne penso.

Trama 

«Come faccio a rompere con qualcuno che ha già rotto con me?». Freddy ha 17 anni, frequenta il liceo a Berkeley, lavora part-time in una caffetteria ed è perdutamente innamorata della sua ragazza, Laura Dean. Ma è la terza volta consecutiva in un anno che viene mollata da lei e ha davvero bisogno di prendere una decisione definitiva: deve troncare questa relazione. Per riuscirci, affida le sue confidenze a una rubrica sentimentale. Riuscirà nel suo intento?

Ragazzi risolti

 Vi dico subito cosa mi è piaciuto di questo nuovo lavoro di Mariko Tamaki. Il fatto che questi ragazzi siano consapevoli della propria identità e la vivano tranquillamente alla luce del sole. Tranne uno screzio appena accennato, tutti sanno tutto, i genitori in primis. Mi sembra un bel passo avanti rispetto alle solite storie di disagio, menzogne e discriminazioni. Il secondo aspetto che ha reso valevole la lettura è la capacità delle illustrazioni di seguire la storia narrata, sottolineando i momenti topici con il colore rosa e richiamando nei tratti il periodo selvaggio in cui tutti stiamo più o meno vivendo. E i sentimenti assoluti, che nel periodo dell’adolescenza dominano, a qualsiasi latitudine e in qualsiasi periodo storico.

E però

Premetto che è il primo lavoro di Mariko Tamaki che leggo e che la copertina mi aveva ingannato, pensavo che Laura Dean fosse la ragazza che ci guarda (volutamente ingannevole? Mi tengo il dubbio). Quello che proprio non mi convince, in ogni caso, è la storia in sé. Di queste due ragazze, e dei loro amici, alla fine sappiamo poco, ma proprio poco. Temo che anche questo corrisponda ai tempi veloci in cui siamo immersi. Cosa sappiamo del loro rapporto? Solo quelle due cose che Freddy ci racconta. E in tutti i commenti e note pubblicitarie che ho letto online, si parla di “amore tossico”. Ma è veramente così? Laura Dean è veramente la persona frivola,  carismatica e volubile di cui Freddy ci parla? Eppure, i genitori di Freddy l’accolgono con favore in casa. Non si sono accorti dei tormenti della figlia? Che ci sia questo tira e molla che va avanti da un po’? Non sarà proprio Freddy a volere qualcosa che non era nei patti iniziali? A volte, l'”amore tossico” dipende da entrambi gli interessati, non solo dal partner. E’ solo che non è quello giusto, se non c’è abuso.

C’è abuso?

Qui c’è abuso? A tratti sembrerebbe di sì, ma ci sono pochi elementi per capire. Penso che sia dovuto anche al target di lettura, un teenager forse potrebbe trovarlo interessante, un adulto vede un qualcosa di già visto e poco approfondito. Il faro puntato su Doodle mi lascia anche più perplessa: troppi elementi sensazionali e poca veridicità. Un padre potrebbe mai comportarsi in quel modo? Spero proprio di no.

E vorrei chiudere con una frase di George Michael, dedicata all’adolescente che è in noi. E all’adolescente che dovesse trovarsi per caso a navigare in queste pagine: sii buono con te stesso, perché nessun altro ha il potere di renderti felice. Ricordiamocelo, sempre.

Voi che mi dite? Laura Dean continua a lasciarmi vi è piaciuto?

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Jessica Au, Tempo di neve e quel rapporto madre-figlia

Jessica Au fa il suo esordio nella narrativa con questa novella, Tempo di neve, il racconto di quel filo sottile che unisce madri e figlie. O meglio, di quei nodi che lo piegano e sfilacciano. Il risultato è una serena riflessione su ciò che siamo, su chi ci ha fatto diventare ciò che siamo e su chi saremmo potuti essere, se solo non fossimo il prodotto delle nostre esperienze e dell’ambiente in cui siamo cresciuti. Vi ho detto diverse volte che i libri spesso ti vengono a cercare. Ecco: questo è decisamente un libro che mi è venuto a cercare. Di cui avevo bisogno in questo momento, in un certo senso.

Trama 

Una figlia e sua madre, che vivono da tempo lontane, si danno appuntamento nella capitale giapponese. Non è un viaggio come gli altri: questo ha l’aspetto di un addio. Così come la giovane regola il diaframma della sua Nikon per fissare l’immagine dell’anziana donna per sempre, allo stesso modo è costretta a scegliere quali dettagli del loro rapporto mettere a fuoco e quali invece lasciar galleggiare in superficie e poi disperdere, come sull’acqua increspata dei canali della città. Le due condividono ciotole di noodles fumanti in minuscoli ristoranti, visitano mostre e fanno del loro meglio per evitare che la pioggia di ottobre rovini i loro programmi. Ma rifugiarsi nei ricordi non è sufficiente quando ci si trova in un corpo a corpo privato di ogni traccia di intimità e possibilità di avvicinamento. Qual è allora il significato di questo errare fianco a fianco?

Il viaggio comincia

Era mattina presto e la strada era piena di gente, la maggior parte lasciava la stazione anziché entrarci, come facevamo noi. Per tutto il tempo mia madre restò al mio fianco, quasi temesse che se ci fossimo separate il flusso della folla, come una corrente, ci avrebbe impedito di tornare l’una dall’altra, mandandoci sempre più alla deriva e allontanandoci ancora e ancora. 

E’ la narratrice, la figlia, a raccontarci perché madre e figlia prendono due voli diversi per ritrovarsi in Giappone. All’inizio dell’anno le avevo chiesto di venire con me in Giappone. Ormai non vivevamo più nella stessa città, e non eravamo mai state via insieme da quando ero adulta, ma iniziavo a rendermi conto che era una cosa importante, per ragioni a cui non ero ancora in grado di dare un nome. Avevo scelto il Giappone perché…forse sentivo che che ci avrebbe messo in una situazione di parità, che saremmo state entrambe straniere. 

Per ragioni a cui non si sa dare un nome

Essere figli non è facile. O meglio, non è sempre facile. C’è un passato con cui fare i conti, un passato che non è il tuo, ma che è presente anche quando non vorresti. Jessica Au spiega in questo passaggio quali sono le ragioni cui non sa dare nome. Una volta io e Laurie (il compagno) avevamo scherzato sulla mia frugalità, sul fatto che finivo sempre gli avanzi di ogni pasto, anche se non avevo più fame, perché non potevo sopportare di vedere il cibo andare sprecato. All’epoca avevo scherzato anch’io, ma non avevo replicato che era la frugalità di mia madre che imitavo, non la mia.

Tempo di neve

In questo loro pellegrinaggio per il Giappone, le due donne cercano una sintonia che probabilmente non hanno mai avuto. Figlie di epoche diverse, di tradizioni diverse, di mentalità distanti. Una donna moderna una, un’emigrata mai perfettamente integrata l’altra. Eppure, durante questo viaggio, di fronte ai quadri o davanti a un tè, senza quasi parlare, madre e figlia imparano a sintonizzarsi sull’altra. O meglio, è la figlia che forse lascia andare la figura materna. Il tutto è pervaso da un senso attutito di perdita, di ultimo incontro, di pensiero su quello che verrà dopo. Il senso attutito della neve, che è nell’aria, ma non cade. E che la madre vorrebbe tanto vedere per la prima volta, anche se sappiamo, chissà come e chissà perché, che non la vedrà mai.

Camminando nella neve

Una novella che mi ha preso, pagina dopo pagina. Che mi ha trasmesso un senso di pace, di tranquillità, come se davvero stessi camminando nella neve e, intorno, silenzio. Avrei voluto che Jessica Au continuasse. Che quella madre così silente trovasse una sua voce. Che non si sentisse troppo l’ineluttabilità della fine. Ma ho adorato il finale, anche se temo che nella traduzione italiana si sia perso il simbolismo delle scarpe (SPOILER in fondo al post). Voglio adottare il punto di vista della narratrice: Esausta e confusa, pensai che forse era giusto non capire tutto, ma limitarsi a vedere le cose e a trattenerne le impressioni. Anche perché Forse è un bene fermarsi di tanto in tanto a riflettere sulle cose che sono successe, pensare alla tristezza potrebbe anche finire per renderti felice.

***

Mentre procedevamo mi chiese del mio lavoro. All’inizio non risposi, poi le spiegai che in molti dipinti antichi si poteva scoprire quello che veniva chiamato un pentimento, uno strato precedente di qualcosa sopra cui l’artista aveva scelto di dipingere altro. Dissi che in questo senso la scrittura era molto simile alla pittura. Solo in quel modo si poteva tornare indietro e cambiare il passato, rendere le cose non com’erano, ma come avremmo voluto che fossero o, piuttosto, come le percepivamo. Aggiunsi che, per quel motivo, era meglio non si fidasse di ciò che leggeva. 

Attenzione, SPOILER: nella versione italiana, si perde il simbolismo delle scarpe. La figlia aiuta la mamma a infilarle, non ad alzarle. In Cina, infilare le scarpe significa intesa reciproca. Quello che la figlia aveva bisogno di trovare.

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Roger Ackroyd ha fatto la storia del giallo

La storia del giallo. Continua la nostra lettura condivisa de L’assassinio di Roger Ackroyd di Agatha Christie per il primo BookClubPeC del 2023. Ormai siamo quasi in dirittura d’arrivo. Dopo aver commentato il villaggio in cui Agatha Christie ha ambientato la sua storia ed esserci focalizzati sulle persone, adesso è il momento di parlare della storia. E di prenderci il tempo giusto per analizzarla, perché come abbiamo già detto l’idea della scrittrice inglese è molto, molto originale. E molto, molto dibattuta. Anche quasi cento anni dopo averla scritta!

Vediamo qualche commento dell’epoca (1926) 

Al contrario di altri suoi lavori, come Poirot a Styles Court per esempio, L’assassinio di Roger Ackroyd ha avuto fin dall’inizio un’ottima accoglienza. E questa sensazione positiva dura ancora oggi, tanto che nel 2013 la British Crime Writers’ Association lo ha votato miglior romanzo poliziesco di sempre. Come vi ho già detto sopra, uno dei motivi del successo, in un certo senso, è la controversia che lo accompagna da sempre. Ha un finale così particolare da aver segnato la storia del giallo. Ma lo scopriremo presto. Intanto, posso dirvi che da molti è considerato il suo capolavoro. 

E voi? Cosa ne pensate?  

La storia vi sembra credibile? La costruzione di Agatha Christie regge? Come vi ho già detto tante volte, sentitevi liberi di commentare sotto il post le vostre sensazioni, perplessità, emozioni, e tutto ciò che L’assassinio di Roger Ackroyd vi sta dando, in positivo o negativo. Non fatevi bloccare dalla timidezza, più riusciamo a esprimerci liberamente e più una lettura condivisa acquista valore, non credete?

Aspetto i vostri commenti qui sotto! 🙂 

Se volete recuperare o aggiungere qualcosa sull’ambientazione o sui personaggi, fate sempre in tempo. Cliccate qui e lasciate i vostri pareri:

King’s Abbot, la tranquilla ? campagna inglese

Roger Ackroyd è stato assassinato. Da chi?