Tutti gli articoli di Liza M. Jones

I valori che contano (avrei preferito non scoprirli) – Diego De Silva

E siamo così giunti al penultimo capitolo della serie, almeno per ora. I valori che contano è il quarto volume della saga Malinconico di Diego De Silva. Stavolta, il nostro avvocato deve affrontare più di un problema, uno più serio dell’altro. Uno, forse si è innamorato. Due, ha un sindaco alle calcagna. Tre, un ospite indesiderato da cacciare. La sua proverbiale ironia, lo salverà? Venite che vi racconto.

Trama

Se non vi è mai successo di nascondere in casa una ragazza in mutande appena fuggita da una retata in un bordello al quarto piano del vostro palazzo, non siete il tipo di persona a cui capitano queste cose. Malinconico, oltre a patrocinare la fuggiasca in mutande, dovrà affrontare la malattia che lo travolgerà all’improvviso. Perché ai personaggi capita quello che capita alle persone. E quando diventano di famiglia, di libro in libro li vediamo innamorarsi, nascondersi, combattere, ridere, ammalarsi: vivere, in una parola.

Voi avete letto questa serie? Che ne pensate? Quale dei libri vi è piaciuto di più?

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Nadia Morbelli, Hanno ammazzato la Marinin

Nadia Morbelli scomparsa dai radar scrittori già da un po’. Hanno ammazzato la Marinin è il suo romanzo d’esordio, dove fa capolino per la prima volta…Nadia Morbelli. Eh sì, la protagonista si chiama proprio come lei. Venite che vi racconto.

Trama

È la vigilia di Pasqua e Genova è sommersa da una pioggia torrenziale. Cullata dalle suadenti note di una musica jazz, Nadia Morbelli, redattrice quarantenne magra come un’acciuga e dai capelli rosso fuoco, è immersa in un più che meritato bagno caldo, quando improvvisamente nel palazzo salta la luce. Lì per lì non ci fa troppo caso. Tre giorni dopo, però, suona alla porta un agente di polizia per comunicarle che proprio quella sera, sul suo stesso pianerottolo, è stata ammazzata la Marinin, l’anziana vicina di casa che da poco si è trasferita dal paese d’origine di Nadia…

A spasso di qua e di là

Dico immediatamente una cosa: se è un giallo classico che state cercando, non lo troverete in mezzo a queste pagine. Che ci portano a spasso di qua e di là, tra chiacchiere di paese, aperitivi, cene, su e giù per i colli liguri. Forse l’equivoco lascia interdetti i lettori che pensavano di trovarsi di fronte a una storia completamente diversa, complice anche la copertina gialla limone, che effettivamente farebbe pensare a tutt’altro.

Scelta curiosa del nome  

In realtà l’intento della scrittrice, penso, sia più delineare una certa modalità di vita e pensiero della provincia italiana che raccontarci come mai la Marinin sia deceduta e per mano di chi. Alla fine lo svela, perché Nadia, tra una chiacchiera e l’altra, mette insieme i pezzi. Forse avrebbe dovuto essere preparato diversamente questo finale, perché qualche indizio andava disseminato anche prima, per seguire i voli pindarici di Nadia Morbelli. Omen omen, sceglie una protagonista col suo nome, scelta curiosa e anche densa di significati. E sceglie, questo è un elemento positivo per me, un tutore dell’ordine che non è esattamente nei sogni di ogni lettrice, né un uomo turbato da chissà quale passato burrascoso. Talmente poco significativo che a un certo punto sparisce, per ripresentarsi anche lui verso la fine.

Strano, molto strano

Che dire? Non so se mi ha convinto. Forse fin dall’inizio. Possibile che quest’anziana decida di spostarsi dal paese e andare a vivere proprio nello stesso palazzo di Nadia e che, con questo livello di gossip noioso e continuo, lei non sapesse per via indiretta già tutto su questa famiglia, ma che se lo faccia raccontare a omicidio avvenuto? Strano, molto strano, direbbe l’indagatore che è in me. Minimo minimo, andava inserita anche lei nell’elenco dei sospettati iniziali, anche perché unica presente (a Genova?) nel palazzo al momento dell’omicidio.

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I gatti di Shinjuku, ancora Durian Sukegawa

I gatti di Shinjuku. Ancora Durian Sukegawa, ancora il filone giapponese moderno. Dopo aver amato Le ricette della signora Tokue, nutrivo grandi aspettative su questo romanzo. Venite che vi racconto se sono state soddisfatte o no.

Trama 

Nel cuore di Shinjuku, a Tokyo, c’è Goldengai, un piccolo quartiere che resiste a grattacieli e speculazione edilizia. E nel cuore di Goldengai c’è un localino stretto e lungo dove si raccolgono i randagi del posto, siano essi gatti o esseri umani. A cominciare da un aspirante sceneggiatore daltonico e una cameriera strabica, misteriosa conoscitrice dei felini della zona. Tra i bagliori delle notti di Shinjuku, una storia di incontri umani e felini, di vite sghembe e di palpiti di poesia, in un luogo e in un’epoca – i primi anni Novanta – che riportano a galla una Tokyo ammaliante e ormai scomparsa.

Nostalgia

E’ il sentimento che prevale girando ogni pagina di questo libro. Nostalgia per i locali tradizionali e poco fashion, per la gente comune, con la sua storia e i suoi traumi, che puoi trovare seduta ai tavoli di un bar. Nostalgia per i vecchi edifici che tentano di resistere all’edilizia selvaggia e ultramoderna. Mi ha ricordato, per atmosfera, Estranei di Taichi Yamada, anche se poi la storia narrata è completamente diversa. 

Tornando alle aspettative

Sono state rispettate? Ni. Forse perché mi era piaciuto molto il precedente, forse perché mi aspettavo qualcosa di più, forse perché probabilmente l’autore sta parlando di qualcosa di molto personale, non sono riuscita a entrare con tutti i sentimenti nella storia. Diciamo che non sono entrata con tutte le scarpe nel racconto, per cui il mio giudizio è sostanzialmente intermedio. Penso che piacerà molto a chi ama i gatti, perché qui c’è una carrellata niente male, e a chi ama le atmosfere agrodolci.

Curiosità

Il quartiere che dà l’ambientazione al libro esiste veramente ed è uno dei pochi esempi ancora estitenti della Tokyo prima del “miracolo economico” giapponese della seconda metà del 1900. E’ ancora oggi punto d’incontro di artisti e intellettuali, un posto dove ascoltare buona musica e rifugiarsi quando la megalopoli rischia di schiacciarti.

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Biscotti e sospetti indiani di Stefania Bertola

Biscotti e sospetti è uno dei romanzi di Stefania Bertola più conosciuti e apprezzati. Neanche questo riesce nell’improba impresa di scalzare dal primo posto il mio preferito, che è sempre Romanzo rosa. Tra opere d’aria e improbabili vendite, venite che vi racconto com’è andata la lettura, casualmente proprio mentre ero in viaggo per Torino.

Trama

Violetta Chiarelli, commessa, e sua sorella Caterina, sarta e minuscola imprenditrice in proprio, vivono in affitto in un’elegante villa in collina, dividendo le giornate con gli altri inquilini: Rebecca Demagistris, una madre separata alle prese con tre bambine, Mattia Novalis, un architetto di interni ricercatissimo per il suo pessimo gusto e il fisico prestante,  Emanuele Valfrè, romantico e affascinante proprietario delle omonime vetrerie, tornato da Calcutta con una moglie che sembra intenzionata a rovinargli la vita. 

Ci mette un po’ a partire

Tanti personaggi e innumerevoli situazioni, non sempre correlate alla storia, né portate fino in fondo. Superato lo scoglio della sistemazione di tutti i pezzi, vi confesso con qualche passaggio un po’ noioso in mezzo, alla fine tutto va val posto giusto e, finalmente, possiamo tifare per il lieto fine e per Violetta. Trovo comunque sempre spassoso lo stile di Bertola, non a caso la traduttrice di Sophie Kinsella, e la sua carrellata di personaggi improbabili e riusciti proprio per questo. La storia, invece, avrebbe forse dovuto avere il suo fulcro nella ricerca di Parvati, che avrebbe potuto, e forse dovuto, coinvolgere tutto il condominio. Peccato perché Stefania Bertola avrebbe potuto farne due romanzi, Biscotti e sospetti e Dov’è finita Parvati. Magari le do un’idea per il prossimo romanzo.

Libro da ombrellone

Anche Biscotti e sospetti rientra nel novero del libro da ombrellone di Rosamunde Pilcher, perciò lo consiglio per qualche ora di lettura leggera e senza pensieri.

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Barbara Cartland e una Battaglia di cuori

Barbara  Cartland è conosciuta come scrittrice romance molto prolifica e anche, incidentalmente, come nonnastra di Lady Diana Spencer d’Inghilterra. Regina del romance classico e virginale, mi è capitata sottomano con questo titolo, Battaglia di cuori, uno storico d’annata. Venite che vi racconto cosa ne penso.

Trama

A seguito dell’omicidio accidentale di un noto membro della società inglese, Sir Denzil Caversham viene costretto all’esilio in America. Per affrontare le spese, la figlia Thalia inizia lavorare sotto falso nome in una sartoria alla moda, dove cattura l’attenzione dell’affascinante conte di Hellingham. Dapprima contraria alle avances del conte, Thalia è presto irresistibilmente attratta dal suo strano magnetismo e dalla sua tenerezza. L’amara certezza che la loro storia non potrà mai diventare ufficiale, però, soffoca questo sentimento che nasce.

Lettura di una sera 

Battaglia di cuori è un romanzo semplice e rilassante, che si legge in una serata o poco più. D’altra parte, Barbara Cartland ha pubblicato talmente tanto, che è difficile aspettarsi trame più complesse. Sto scrivendo questo commento qualche giorno dopo averlo finito e stavo per dimenticare anche i nomi dei protagonisti, quindi non posso dire che rimanga impresso a lungo. E’ scritto bene, però, e i due protagonisti sono carini ed entrambi personaggi positivi, quindi non posso dire che mi sia dispiaciuto. Avrei solo voluto che lei gli resistesse un po’ di più, in fondo dovremmo essere in un’epoca in cui (spoiler) non si cena a casa di uno scapolo senza servitù presente! Gli altri personaggi sono solo di contorno, non c’è nessuno che spicchi in modo particolare, tutta la narrazione è concentrata su Thalia e Caversham. Alla fine è più un racconto lungo che un romanzo e lo consiglio se volete una lettura molto rilassante e senza colpi di scena.

Curiosità

 Barbara Carland diceva di essersi ispirata a una delle sue scrittrici preferite, Elinor Glyn, che poi è diventata sua amica. Curiosamente, era attratta da una scrittrice molto “spinta” per l’epoca, mentre lei era fautrice del sesso dopo il matrimonio.
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