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Romancè, puntata 5: Il caffè della Peppina

Romancè, il 14 luglio 2021: il caffè della Peppina

La perpetua, una canonica, un prete ammazzato. Gli elementi per il giallo classico all’inglese. c’erano proprio tutti. Se non fosse stato per quel caldo bestia insopportabile, che era incompatibile con un’ambientazione anglosassone.

“Sarà come dice Agatha Christie, che il male si nasconde sotto il sole, ma almeno lì possono investigare senza ascelle pezzate”. Solo la belloccia era sempre profumosa, con qualsiasi temperatura. Come diavolo facesse, per lui era un mistero.

“Ecco qui, un bel caffè caldo caldo per i nostri ispettori”, cinguettò la perpetua, poggiando sul tavolino basso davanti a loro un vassoio. Sembrava essersi ripresa in un nanosecondo dallo choc. E siccome la perpetua è il maggiordomo dei parroci, questo la faceva entrare dritta dritta nell’elenco dei sospettati. Che per ora comprendeva solo lei. Ma era un dettaglio. Se non altro, aveva abbandonato l’idea del tè fumante.

“Zucchero?”. La belloccia si limitò a fermarla con la mano, lo zucchero era bandito dalla sua dieta. E dalla sua vita, ci avrebbe scommesso.

“Sì, grazie, un cucchiaino”. Si sforzò di sorriderle mentre gli porgeva la tazzina, indeciso tra un frollino e un canestrello. Frollino, decise alla fine, fa più colazione.

“Dicevamo, ieri sera ha sentito il parroco che si muoveva per la canonica intorno alle 23. Non l’ha visto, ma l’ha riconosciuto da una camminata particolare, è corretto?” Belloccia era partita a razzo, dopo aver trangugiato il liquido, sicuramente senza neanche sentire il sapore.

“Sì”, annuì la perpetua con convinzione. Era anziana, ma sembrava sicura del fatto suo. Più o meno come lui col frollino, ben attento a non inzupparlo nel caffè per evitare che si sbriciolasse sulla camicia.

“Come fa a essere sicura dell’orario?”

“Ho una radiosveglia accanto al letto. Stavo leggendo per farmi venire sonno, quando ho sentito il don che camminava nel corridoio e la porta che si chiudeva. Lei è ancora giovane, ma sa, a una certa età farsi venire sonno è sempre più difficile. Comunque, stavo quasi per appisolarmi, quando il rumore dei passi mi ha ridestato”. Belloccia annuì, comprensiva. Incredibile, lui dubitava che dormisse, le funzioni primarie a lei non servivano.

“Ha sentito la porta che si chiudeva? E’ sicura? Non è possibile che si aprisse?”

“Assolutamente. Si chiudeva. Ho sentito distintamente i passi avvicinarsi, poi allontanarsi e la porta che si richiudeva”.

“Com’è precisa”, commentò Belloccia, parlando sempre col taccuino. “Bene, testimoni come lei sono sempre preziosi”, aggiunse regalando uno dei suoi rari sorrisi. Quando Belloccia rideva, il mondo s’illuminava. E il testimone si rilassava immediatamente. L’aveva vista usare quella tecnica mille volte. Che iena, poveraccio il fidanzato, se ne aveva uno. La vita privata di belloccia era top secret.

La perpetua non fece eccezione, come ampiamente previsto.

“Sa”, si era avvicinata leggermente col busto con fare cospiratorio, “sono un’amante della serie di Padre Brown, la conosce? Oh, quanto mi piace, guardo anche i film alla tv.” Perfetto, l’amante di Padre Brown, cento euro che si sarebbe messa a indagare per conto suo.

“Speriamo che Padre Brown non faccia una brutta fine, hahaha!”, se ne uscì alla cazzum, tanto per far notare la sua presenza. Belloccia e la perpetua non la presero benissimo.

“Non ha sentito la porta che si apriva?”

“Come dice, mi scusi?”. La perpetua sembrava disorientata dal modo in cui Belloccia pungolava. Pensava che tra detective ci fosse più complicità.

“Come mai non ha sentito la porta che si apriva? Sarebbe potuta uscire e chiedere subito al don se gli servisse qualcosa. Perché non l’ha fatto? Eppure, dice di aver sentito distintamente i passi in corridoio e la porta che si richiudeva”.

“Oh, be’, non era certo la prima volta che il don usciva dalla sua stanza senza avvisarmi. In fondo, anch’io ho un orario di lavoro e lui l’ha sempre rispettato, per mia fortuna. Non tutti sono così, c’è chi pretende che siamo sempre a disposizione, notte e giorno. Senza sottintesi, è chiaro. L’altra sera non so, ho sentito il bisogno di chiedergli se avesse bisogno di qualcosa. Povera me, ora che mi ci fa pensare, forse ho avuto un presentimento…”. La puerpera si nascose dietro un fazzoletto per lacrimare. O per nascondere il tremito delle mani.

“Dopo tanti anni di servizio, si diventa ipersensibili”. La Belloccia si riferiva al finto presagio o alle finte lacrime?

“Comunque, per ora abbiamo finito. Si tenga a disposizione. E grazie per il caffè”.

“Certo, certo, vi accompagno”. La perpetua sembrava fin troppo contenta di accompagnarli all’uscita.

Fuori dalla chiesa, si era radunata una piccola folla. Lui aggrottò la fronte in un disperato tentativo di sembrare cattivo a vantaggio dei fotografi. Belloccia, fotogenica di suo, si guardò intorno con apparente disinteresse, dietro gli occhiali da sole non si capiva esattamente se volesse mostrare profilo destro e sinistro per gli scatti o se semplicemente non sapesse da che parte guardare.

“La perpetua ha mentito”, fece lui, tanto per darsi un tono.

“Ma certo. Non era nella sua stanza quando il prete è uscito. Le va un caffè come si deve? Offro io”.

In momenti come quello, Belloccia era quasi una buona compagnia. Soprattutto perché, dietro gli oblò neri che li nascondevano, due occhi freddi avevano registrato i presenti. E notato, lì in mezzo, qualcosa che ancora doveva depositarsi nella mente. Sapeva che, a tempo debito, quel particolare sarebbe riemerso da chissà dove…

Hai perso le puntate precedenti? Recuperale qui: 

Romancè, puntata 1: In religioso silenzio

Romancè, puntata 2: La verità non ti piace abbastanza

Romancè, puntata 3: Sangue in canonica

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Romancè, puntata 4: Dalla perpetua

Romancè, il 14 luglio 2021: dalla perpetua

La perpetua, una canonica, un prete ammazzato. Gli elementi per il giallo classico all’inglese. c’erano proprio tutti. Se non fosse stato per quel caldo bestia insopportabile, che era incompatibile con un’ambientazione anglosassone.

“Sarà come dice Agatha Christie, che il male si nasconde sotto il sole, ma almeno lì possono investigare senza ascelle pezzate”. Solo la belloccia era sempre profumosa, con qualsiasi temperatura. Come diavolo facesse, per lui era un mistero.

“Ecco qui, un bel caffè caldo caldo per i nostri ispettori”, cinguettò la perpetua, poggiando sul tavolino basso davanti a loro un vassoio. Sembrava essersi ripresa in un nanosecondo dallo choc. E siccome la perpetua è il maggiordomo dei parroci, questo la faceva entrare dritta dritta nell’elenco dei sospettati. Che per ora comprendeva solo lei. Ma era un dettaglio. Se non altro, aveva abbandonato l’idea del tè fumante.

“Zucchero?”. La belloccia si limitò a fermarla con la mano, lo zucchero era bandito dalla sua dieta. E dalla sua vita, ci avrebbe scommesso.

“Sì, grazie, un cucchiaino”. Si sforzò di sorriderle mentre gli porgeva la tazzina, indeciso tra un frollino e un canestrello. Frollino, decise alla fine, fa più colazione.

“Dicevamo, ieri sera ha sentito il parroco che si muoveva per la canonica intorno alle 23. Non l’ha visto, ma l’ha riconosciuto da una camminata particolare, è corretto?” Belloccia era partita a razzo, dopo aver trangugiato il liquido, sicuramente senza neanche sentire il sapore.

“Sì”, annuì la perpetua con convinzione. Era anziana, ma sembrava sicura del fatto suo. Più o meno come lui col frollino, ben attento a non inzupparlo nel caffè per evitare che si sbriciolasse sulla camicia.

“Come fa a essere sicura dell’orario?”

“Ho una radiosveglia accanto al letto. Stavo leggendo per farmi venire sonno, quando ho sentito il don che camminava nel corridoio e la porta che si chiudeva. Lei è ancora giovane, ma sa, a una certa età farsi venire sonno è sempre più difficile. Comunque, stavo quasi per appisolarmi, quando il rumore dei passi mi ha ridestato”. Belloccia annuì, comprensiva. Incredibile, lui dubitava che dormisse, le funzioni primarie a lei non servivano.

“Ha sentito la porta che si chiudeva? E’ sicura? Non è possibile che si aprisse?”

“Assolutamente. Si chiudeva. Ho sentito distintamente i passi avvicinarsi, poi allontanarsi e la porta che si richiudeva”.

“Com’è precisa”, commentò Belloccia, parlando sempre col taccuino. “Bene, testimoni come lei sono sempre preziosi”, aggiunse regalando uno dei suoi rari sorrisi. Quando Belloccia rideva, il mondo s’illuminava. E il testimone si rilassava immediatamente. L’aveva vista usare quella tecnica mille volte. Che iena, poveraccio il fidanzato, se ne aveva uno. La vita privata di belloccia era top secret.

La perpetua non fece eccezione, come ampiamente previsto.

“Sa”, si era avvicinata leggermente col busto con fare cospiratorio, “sono un’amante della serie di Padre Brown, la conosce? Oh, quanto mi piace, guardo anche i film alla tv.” Perfetto, l’amante di Padre Brown, cento euro che si sarebbe messa a indagare per conto suo.

“Speriamo che Padre Brown non faccia una brutta fine, hahaha!”, se ne uscì alla cazzum, tanto per far notare la sua presenza. Belloccia e la perpetua non la presero benissimo.

“Non ha sentito la porta che si apriva?”

“Come dice, mi scusi?”. La perpetua sembrava disorientata dal modo in cui Belloccia pungolava. Pensava che tra detective ci fosse più complicità.

“Come mai non ha sentito la porta che si apriva? Sarebbe potuta uscire e chiedere subito al don se gli servisse qualcosa. Perché non l’ha fatto? Eppure, dice di aver sentito distintamente i passi in corridoio e la porta che si richiudeva”.

“Oh, be’, non era certo la prima volta che il don usciva dalla sua stanza senza avvisarmi. In fondo, anch’io ho un orario di lavoro e lui l’ha sempre rispettato, per mia fortuna. Non tutti sono così, c’è chi pretende che siamo sempre a disposizione, notte e giorno. Senza sottintesi, è chiaro. L’altra sera non so, ho sentito il bisogno di chiedergli se avesse bisogno di qualcosa. Povera me, ora che mi ci fa pensare, forse ho avuto un presentimento…”. La puerpera si nascose dietro un fazzoletto per lacrimare. O per nascondere il tremito delle mani.

“Dopo tanti anni di servizio, si diventa ipersensibili”. La Belloccia si riferiva al finto presagio o alle finte lacrime?

“Comunque, per ora abbiamo finito. Si tenga a disposizione. E grazie per il caffè”.

“Certo, certo, vi accompagno”. La perpetua sembrava fin troppo contenta di accompagnarli all’uscita.

Fuori dalla chiesa, si era radunata una piccola folla. Lui aggrottò la fronte in un disperato tentativo di sembrare cattivo a vantaggio dei fotografi. Belloccia, fotogenica di suo, si guardò intorno con apparente disinteresse, dietro gli occhiali da sole non si capiva esattamente se volesse mostrare profilo destro e sinistro per gli scatti o se semplicemente non sapesse da che parte guardare.

“La perpetua ha mentito”, fece lui, tanto per darsi un tono.

“Ma certo. Non era nella sua stanza quando il prete è uscito. Le va un caffè come si deve? Offro io”.

In momenti come quello, Belloccia era quasi una buona compagnia. Soprattutto perché, dietro gli oblò neri che li nascondevano, due occhi freddi avevano registrato i presenti. E notato, lì in mezzo, qualcosa che ancora doveva depositarsi nella mente. Sapeva che, a tempo debito, quel particolare sarebbe riemerso da chissà dove…

Hai perso le puntate precedenti? Recuperale qui: 

Romancè, puntata 1: In religioso silenzio

Romancè, puntata 2: La verità non ti piace abbastanza

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Romancè, puntata 3: Sangue in canonica

Romancè continua con la terza puntata del racconto. Torniamo un attimo indietro, alla giornata dell’omicidio. Chi è arrivato sulla scena del delitto? Se state leggendo il racconto, lasciatemi un commento alla fine, così saprò che siete passati!

***

Romancè, il 14 luglio 2021

“Mai nessuno che trovi un cadavere alle 11 di mattina, dopo che uno si è bevuto succo d’arancia corretto e cornetto con calma, mentre legge il giornale. No, troppo facile. Porca miseria, ciò la barba di tre giorni e i capelli unti”.

“Dirameremo un appello agli assassini: per cortesia, l’ispettore vuole sbarbarsi, lavarsi e desinare. Rispettate le ore di silenzio condominiale, grazie”.

Con un singulto rassegnato, l’ispettore poggiò la testa indietro e chiuse gli occhi. Ma porca miseria 2, in fumetti, libri e telefilm, l’agente è sempre un mezzo cretino e il capo quello col cervello. Proprio a lui doveva capitare l’agente sveglia, ironica e pure belloccia? Che barba, che noia. La verità è che lui non vedeva l’ora di andarsene in pensione, come Bloch. Solo che Bloch aveva la concreta speranza di andarci, in pensione, e gli sembrava di aver letto che Bonelli alla fine ce l’avesse mandato. Ma lui? Neanche quarant’anni e neanche un caso fallito, finora. Grazie alla belloccia, mica a lui. E Bloch era pure pelato, lui neanche quel favore aveva ricevuto. Quanto avrebbe resistito ancora tra teste rotte e pistolettate in mezzo alla strada? Quel lavoro non faceva per lui, chissà perché l’aveva scelto poi, ci pensava e ripensava, ma non riusciva proprio a ricordarselo. Sicuramente non poteva essere per lo stipendio.

“Siamo arrivati. Se resiste dieci minuti senza vomitare, dopo le offro un caffè”.

Un caffè, dio quanto ne avrebbe avuto bisogno. Le sei di mattina, già un caldo bestia che si affacciava, e lui che stava per entrare in chiesa. E con il vomito come unico punto in comune con il povero Bloch. Speriamo che almeno stare a stomaco vuoto mi aiuti.

“Ha bisogno di un antiemetico?”, sogghignò la belloccia. Gli leggeva nel pensiero, quell’infida.

“Le preparo un tè?”, si preoccupò la perpetua.

Bella coppia la poliziotta e la perpetua. Neanche fossimo in un giallo di Padre Brown.

“No, grazie. Lasciatemi osservare con attenzione, per favore”.

Il medico legale si limitò a lanciargli un’occhiata disgustata, per la serie “ma chi t’ha raccomandato?”, prima di tornare alle sue foto.

Belloccia scattava foto a ripetizione e scriveva appunti sul suo mini blocco. Tutto, dal copri cellulare al pennino, era rosa con paillettes argento. Eppure, la perpetua e il medico legale la guardavano con rispetto, in attesa delle sue domande. Lui avrebbe pure potuto annegare nelle paillettes e nessuno se ne sarebbe accorto.

“Le forbici nel petto possono averlo ucciso secondo lei?”, sguardo e richiesta diretti, come al solito.

E sagaci. Meno male che al dinoccolato avevano affiancato la belloccia, pensava il doctor, altrimenti saremmo diventati lo spin off italiano di Cold case.

“Difficile dirlo. Potrebbe essere, ma il colpo non sembra inferto con particolare ferocia”.

“Una donna”; il dinoccolato pareva essersi ripreso. Faceva sempre così, neanche i parenti del morto di turno diventavano verdi come lui.

“O una persona anziana. Un bambino. O qualcuno che non voleva uccidere”, sussurrò Belloccia a nessuno in particolare, forse al taccuino.

“Praticamente una folla, hahaha”, la spiritosaggine del dinoccolato cadde nel vuoto.

“Devo approfondire in laboratorio. Intanto posso dirvi che l’omicidio è collocabile tra mezzanotte e le tre del mattino”.

“Il don si coricava non più tardi delle 21, tutti giorni. Ieri, però, l’ho sentito muoversi per la canonica intorno alle 23”, la perpetua voleva accelerare i tempi e si era messa a parlare senza essere interpellata.

“L’ha sentito? Non l’ha visto?”, rimbeccò subito Belloccia. Non le sfuggiva niente, inutile.

“No, non l’ho visto. Quando sono uscita per chiedergli se gli servisse qualcosa, aveva già richiuso la porta della stanza”.

“Allora come fa a essere sicura che fosse lui?”

“Dai passi. Ha, cioè aveva, una camminata particolare, strascicava leggermente una gamba. Diceva di essere nato così”.

“Ma lei non ci crede”. Era una constatazione, non una domanda.

“Io non so niente. Se non vi servo, mi trovate di là”, il riccio si era richiuso appena aveva sentito odore di guai.

“Arriviamo tra poco. Finiamo qui con il dottore. Lei eviti di toccare qualsiasi cosa finché i tecnici non avranno finito di effettuare i rilievi”.

Il medico legale nel frattempo si era rialzato: “Io qui ho finito. Vi farò sapere al più presto i risultati degli esami”.

“D’accordo. Noi andiamo a raccogliere la testimonianza della perpetua e poi facciamo un giro qui intorno”. Dinoccolato quando si svegliava sembrava quasi efficiente.

All’uscita, i due poliziotti trovarono una piccola folla di curiosi ad aspettarli. Erano ormai le otto, il bar e l’edicola erano lì vicino, far finta di passare e ammirare il paesaggio non era poi così difficile. Come nascondersi dietro a un albero per osservare meglio i tutori dell’ordine. Aveva imparato a non sottovalutare mai gli avversari, altrimenti avrebbe detto che si trovava davanti una coppia di sfigati. Meglio così, il suo piano aveva bisogno di complici. Consapevoli o inconsapevoli…

Fine terza puntata Romancè

Se la puntata vi è piaciuta, o anche se non vi è piaciuta, lasciate un commento, così saprò che siete passati di qui. Grazie e alla prossima puntata di Romancè!

Puntate precedenti: 

Romancè, puntata 1: In religioso silenzio

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Romancè, puntata 2: La verità non ti piace abbastanza

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Romancè, puntata 2: La verità non ti piace abbastanza

Romancè, il 15 luglio 2021

“Questo coltello è inutile, bah. Le forbici, ci vogliono le forbici per aprire le fascette, lo dico sempre a quel rincitrullito di mio figlio e lui che fa? Mi fa trovare un coltello. Bah”, e imbonitore come un illusionista, per sottolineare l’ultimo bah, lo fa cadere sul banco a mano aperta, stock!”

“Ah Sè, hai saputo che è successo? Hanno ammazzato il prete”, azzarda Elvio, novantacinque anni portati da dio, ex tramviere, l’unico che può azzardarsi a parlare quando Sergio se la prende col rampollo, erede di una licenza da duecentocinquantamila euro. Fatto che al rampollo viene continuamente ricordato. Elvio, invece, che giornale prende non se lo ricorda mai e ogni mattina Sergio gliene affibbia uno diverso.

“E ti pare che non lo so? Me l’ha detto ieri mattina il fotografo de La verità non ti piace abbastanza. Ed è tornato pure stamattina a comprare qualche quotidiano. Ormai qua dentro ci entrano due categorie: quelli che per sembrare fighi s’infilano la mazzetta sotto al braccio, e i vecchi, che se non cedono al ricatto delle figurine ai nipoti finiscono dentro l’ospizio il giorno dopo.” Il sopracciglio di Sergio cala sugli astanti con aria di sfida. Che in effetti, pure se non hanno nipoti, l’età media per l’ospizio ce l’avrebbero tutti.

“Ma senti te che sciocchezze che ci rifili da cinquant’anni”, con Elsa, la parrucchiera rosso fuoco, la filosofia non attacca, ‘Namo che al Gossippe Villagge le clienti me stanno a aspettà co Grazia e GGente e le urtime notizie. E da chi posso venì io, se non dar più informato de tutti. Stamo qua tutti pe’ lo stesso motivo, ggiusto?”

Le teste annuiscono all’unisono, nessuno vuole essere rapato “per errore” al prossimo appuntamento al Gossip.

“Visto? Famme la solita mazzetta e dimme: che t’ha detto sto fotografo? Ma poi sarà davero un fotografo o è venuto a snasa’ quarcosa? Ah, ma io se se presenta ar Gossippe je dico che nun so gnente.”

“Perché, sai qualcosa?”

“Elvio, sta’ bono che il biglietto non te lo pago”.

“Se non paghi, sul tram non ti faccio salire”.

“Ma io me ce attacco al tram, nun te preoccupa’. Come quanno ero ragazzetta, te ricordi?”

“Come no, quant’eri bella”.

“So’ ancora bella. sessant’anni ben portati me lo dicono tutti. Insomma Sé, er fotografo t’ha raccontato qualche artra cosa stamattina?”

Lui, un narratore prestato alla nobile arte di distribuire lettere stampate, dà una rapida occhiata all’uditorio, prima di esibirsi. Non c’è mai stata tutta quella gente desiderosa di comprare carta, conta sette persone dentro e tre o quattro che scalpitano fuori.

“Lui niente, ha fatto due foto del medico legale e dei poliziotti che uscivano dalla canonica e voleva controllare come sono venute. Secondo me un po’ troppo sfocate, soprattutto quella della poliziotta che secondo me meritava, dovrebbe cambiare obiettivo, ma ormai pure loro sono sottopagati. Sono io che gli ho dato una dritta”.

“E che dritta gli avresti dato? Hai visto qualcosa te che abiti lì di fronte?”, pure il nonnetto che realmente era venuto solo per le figurine dei nipoti a questo punto è curioso.

Sergio neanche si degna di rispondere.

“Sangue in canonica”.

“Sarebbe?”

“Il giallo dell’estate de Il Messaggero, uscito il 5 agosto 1980. Pure lì un prete veniva ammazzato in canonica, in un villaggetto chiuso, come il nostro quartiere. La piazzetta, la chiesa, qualche negozio e nient’altro. Nessuno o quasi di passaggio, facce strane nessuna, un prete apparentemente irreprensibile”.

“Apparentemente?”

Sotto i baffi, Sergio era soddisfatto del suo uditorio attento.

“Bravo nonno. Apparentemente. Perché dopo mesi e mesi d’indagine, alla fine è uscito fuori che il parroco non era uno stinco di santo e che nella vita passata era stato un medico, o un infermiere ora non mi ricordo, licenziato per aver causato la morte della sorella della perpetua, che si era sottoposta a una plastica completa per non essere riconosciuta e piano piano, giorno giorno dopo giorno, l’aveva avvelenato fino a causargli un infarto”.

“Come l’hanno scoperta?”

“Una pianta innaffiata con il tè del sacerdote. Il diacono era un ex giardiniere”.

“Che trama assurda. Teresa non farebbe mai una cosa del genere”.

“Come al solito guardate il dito e non la luna. Ora mi sono stufato, quello che dovevo dire l’ho detto. Comprate le figurine, i giocattoli e quello che diavolo vi pare e lasciate posto agli altri. Tieni Elvio, il solito quotidiano”.

“Ma io non prendo questo”.

“Sì, oggi prendi questo”.

Brontolando e protestando, la piccola folla si disperde e lascia entrare quelli in attesa. Che sono riusciti a sentire la storia del giornalaio. Solo una, tra tutte le persone presenti, non la trova poi così assurda la trama…

***

Fine seconda puntata Romancè

Se la puntata vi è piaciuta, o anche se non vi è piaciuta, lasciate un commento, così saprò che siete passati di qui. Grazie e alla prossima puntata di Romancè!

Hai perso la prima puntata di Romancè?

Romancè, il 14 luglio 2021

“Avete saputo che è successo? Hanno ammazzato il prete”.

Boom!

“Noooo!”

“Ma davvero?”

“Era ora”.

“Come ti permetti? Miscredente!”

“Ave Maria, Madre di Dio…”

“E’ sicuro?”

Leggi anche: 

Romancè, puntata 1: In religioso silenzio

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Romancè, puntata 1: In religioso silenzio

Romancè, il 14 luglio 2021

“Avete saputo che è successo? Hanno ammazzato il prete”.

Boom!

“Noooo!”

“Ma davvero?”

“Era ora”.

“Come ti permetti? Miscredente!”

“Ave Maria, Madre di Dio…”

“E’ sicuro?”

Stock!

Tutti a fissare la mannaia di Gino che cala. In religioso silenzio, è il caso di dire.

Polli, maiali, vitelli, vitelloni, manzi, anatre, tutti c’erano passati sotto quella forca. Era naturale, persino gustoso. Ma stamattina, quella folla abituale che s’accalcava davanti al bancone del sor Gino, che aspettare il proprio numeretto non si può, devo pur vedere se le salsicce col finocchietto sono belle prima che me la rubi quella furba della portiera del 13, quella strana rappresentanza dei clienti della macelleria DaManlio, che poi aveva ceduto a Gino, seguiva i movimenti del macellaio e intanto pensava al prete.

Chi può uccidere un religioso il 14 luglio?

Stamattina, c’è qualcosa di più gustoso delle fettine panate di Gino.

“Scusa Gi’, mi sono ricordato che oggi esce quel giornale nuovo…come si chiama…coso…Vabbè, ripasso dopo”.

“Oddio, pure io, ho dimenticato l’appuntamento da Fiorella. Che quella è capace di lasciarmi con la ricrescita fino al mese prossimo. Ritorno domani, lasciami qualche hamburger eh?”

“Uh! Ciai ragione, ora che mi ci fai pensare devo fare la manicure. Guarda che unghie. Scappo, ciao a tutti”.

“Hiiii! Ma non è che ho lasciato la macchinetta del caffè sul fuoco? Vado a controllar…”

Piano piano, a gambero e con le scuse via via più fantasiose, che se quelle classiche te le hanno fregate qualcosa devi pur inventarti, Gino, la cassiera e il garzone rimangono soli.

Il macellaio continua a disossare, tagliare, dividere, appendere, macinare, ché tanto dopo trent’anni lo sa cosa ordineranno, pagheranno, cuoceranno.

Solo che a un certo punto rimane con la mannaia a mezz’aria. La cassiera e il garzone aspettano trepidanti che professi parola.

“Il popolo sa”, professa a occhi chiusi, “chi non chiede come è morto il morto è l’assassino”.

Stock!

Posa la mannaia sul bancone, perfettamente inclinata a 45°, come fa sempre.

“Vado al bar”.

In fondo, anche Gino al pettegolezzo resisteva solo finché il quarto di bue non diventava un quarto di vinello.

“Ma Gino”, lo ferma la cassiera sulla porta, “nessuno di loro ha chiesto com’è morto”.

“Appunto”.

***

Solo una persona, tra gli abitanti del quartiere, quella mattina rimane in religioso silenzio. E’ troppo indaffarata, quella persona. Quella persona sa che, dopo ogni utilizzo, i coltelli vanno lavati subito con un detergente neutro e asciugati con un panno morbido. Di solito li sciacqua subito, per togliere residui ad alto tenore di acidità o salinità. Li lava e li asciuga dal dorso al filo, per non farsi tagli alle mani. Sa che non sono adatti per tagliare ossa, cartilagini o alimenti surgelati, a meno che non siano per uso specifico. Quando li ripone, fa attenzione che le lame non vadano a contatto con altri oggetti metallici. Ogni tanto, li affila con l’acciaino, così: regge l’acciaino con la mano sinistra e il coltello con la destra, poi inclina il coltello in modo da formare un angolo di 15 – 20° tra la lama e l’acciaino. Fa passare la lama sopra l’acciaino con movimenti a mezzaluna, sfruttando tutta la lunghezza dell’acciaino: la parte terminale della lama scivola in basso fino alla punta, esercitando una lieve pressione sulla lama. Passa la lama allo stesso modo sull’acciaino tornando in alto. Su e giù, su e giù più volte, per ogni lato. Alla fine, pulisce il coltello con un panno spugna umido e lo asciuga, prima di riporlo nel ceppo. Quella persona stamattina li ha puliti, asciugati, affilati, puliti di nuovo e asciugati. Potrebbe specchiarcisi, dentro quelle lame. Li ha coccolati uno a uno, con calma, c’è tutto il tempo del mondo.

Alla fine, quella persona può dirsi soddisfatta. Li ha riposti tutti nel ceppo.

Tutti, tranne uno.

***

Fine prima puntata Romancè

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