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Rosamunde Pilcher riempie d’amore una casa vuota

Trovarsi in una casa vuota è esattamente quello che Rosamunde Pilcher non fa sentire ai suoi lettori. Sono di parte perché sapete che è una delle mie scrittrici preferite, ma il senso di calore che emanano i suoi romanzi è veramente merce rara. La casa vuota non fa eccezione. Oravi racconto perché.

Trama

Dopo dieci anni di lontananza, Virginia Keile torna in Cornovaglia. È alla ricerca di una casetta di fronte al mare dove trascorrere l’estate in pace con i suoi due figli. Ma nell’angolo più riposto del suo cuore, la donna nutre la segreta speranza di ritrovare l’uomo che aveva amato e perduto in una magica, indimenticabile estate della sua giovinezza. Virginia sa che solo quell’uomo, solo quell’amore così lontano ma ancora così vivo potrà finalmente colmare il grande vuoto che riempie la sua casa. E la sua vita.

Lasciare una casa vuota per trovare un posto nel mondo 

Aprire un libro di Rosamunde Pilcher significa immergersi in un’atmosfera serena e rilassante. Ed è per questo che la amo tanto. Le sue storie sono sempre piene di significato, personaggi semplici e di buon cuore, paesaggi splendidi, descritti magnificamente. La casa vuota è un titolo del 1973, uscito inizialmente a puntate su una rivista. Parla di una donna ancora giovane, Virginia, che nonostante un matrimonio e due figli deve ancora trovare una sua voce, un posto nel mondo. Tutto quello che possiede sono soldi e una casa vuota, dove non sa se vuole tornare. Ma d’altra parte, ha sempre fatto scegliere altri per lei. Ed è in questo spartiacque della sua vita che incontra di nuovo Eustace, il suo primo amore di adolescente. Eustace possiede una fattoria in Cornovaglia, è un uomo tutto d’un pezzo, ma stranamente non si è costruito una famiglia. Forse aspettava l’impossibile? E Virginia, è pronta a liberarsi delle sue insicurezze per diventare la donna e la madre che ha sempre sognato?

Una casa che si riempie di amore, gioia e risate

Rosamunde di nuovo ci fa sognare con una storia breve, dove ogni pezzo s’incastra nel puzzle, finché una casa vuota si riempie di amore, gioia e risate, tanto che finisci quasi per sentirla, mentre sulla parola Fine spunta la solita, familiare, lacrimuccia. Bello, da leggere per qualche serata in rilassante compagnia.

E così, posso spuntare La casa vuota dalla mia lista, perché ho intenzione di leggerli tutti. E voi? Quanti ne avete letti? Quanti ne leggerete? Fatemi sapere nei commenti, magari prendo spunto!

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Profumo di timo e d’autunno con la cara Rosamunde

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Il giorno della tempesta – Rosamunde Pilcher

E’ primo pomeriggio, eppure fuori è quasi buio. Tuoni e lampi annunciano pioggia imminente. Chissà perché, quest’atmosfera un po’ grigia mi ha ricordato I giorni della tempesta, di Rosamunde Pilcher. The day of the storm è del 1975 ed è uscito per la prima volta a puntate in una rivista femminile. So che un giorno di pioggia non è proprio l’ideale per suggerirvi un romanzo da ombrellone, ma se ne state cercando uno I giorni della tempesta fa proprio al caso vostro.

Trama

Rebecca Bayliss è una ragazza che vive a Londra da sola e lavora in una libreria. Avvisata che la madre sta morendo, vola in Spagna e scopre con sua grande sorpresa di avere una famiglia di cui ignorava l’esistenza. Decisa a far luce sul mistero delle sue origini, Rebecca si reca in Cornovaglia, nell’antica dimora che la madre le ha indicato. Qui scopre un nonno che sembra custodire un terribile segreto e un bellissimo cugino, al cui fascino è difficile resistere.

Adorerete il nonno

Il giorno della tempesta non è corposo come i capolavori che lo seguiranno negli anni di massima ispirazione di Rosamunde Pilcher, ma contiene già tutti gli elementi che l’hanno resa celebre. Innanzitutto, l’ambientazione nella meravigliosa Cornovaglia, che già da sola vale la lettura. Un maniero, segreti di famiglia da scoprire, un cuore tentennante tra due uomini e una ragazza, Rebecca, che deve ancora capire cosa vuole davvero dalla vita. E’ la lettura perfetta per chi in vacanza preferisce rilassarsi con una lettura leggera ed emozionante. D’altra parte, la stessa Rosamunde ha definito i suoi librida spiaggia per donne intelligenti“. E noi, che siamo donne intelligenti, l’amiamo per questo. Il romanzo è breve e all’inizio è uscito a puntate su una rivista. Forse per questo tutto avviene decisamente in fretta, senza l’approfondimento psicologico cui lei ci ha abituato, però situazioni e personaggi sono come sempre deliziosi. Se non v’innamorerete di Rebecca o dell’uomo che sceglierà, adorerete il nonno. E forse anche il libraio, come nel mio caso 🙂

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Daphne Du Maurier, il lato oscuro di una scrittrice di successo

Inventa personaggi inquietanti, ambientazioni misteriose e condisce le sue storie con un mix di romanticismo e violenza unico nel suo genere, senza mai chiudere con un finale degno di questo nome, come se ogni suo lavoro non dovesse mai avere fine. Come il suo rapporto d’amore con le scogliere della Cornovaglia. Daphne du Maurier ha legato la vita reale e la finzione in modo che, forse, neanche lei sapesse più dove finiva una e iniziava l’altra. La sua biografia, infatti, non è certo da romance come quella di Rosamunde Pilcher, ma è degna di uno dei suoi romanzi. E di un alter ego, Rebecca, di cui mai è riuscita a liberarsi.

What a pity I’m not a vagrant on the face of the earth,” du Maurier wrote in her diary at 21. “Wandering in strange cities, foreign lands, open spaces, fighting, drinking, loving physically. And here I am, only a silly sheltered girl in a dress, knowing nothing at all — but Nothing.”

Peccato che non sia una vagabonda sulla faccia della terra”, scrisse a 21 anni nel suo diario.”Vagando in strane città, terre straniere, spazi aperti, combattendo, bevendo, amando fisicamente. Ed eccomi qui, solo una sciocca ragazza nascosta in un vestito, che non sa niente di niente”.

Dame Daphne du Maurier, Lady Browning

Dame Daphne du Maurier, Lady Browning, nacque a Londra il 13 maggio 1907, ultima di tre sorelle. I genitori, Gerald du Maurier e Moriel Beaumont, avevano entrambi un passato di attori teatrali. Gerald era stato anche impresario ed era figlio di George, scrittore e fumettista, nonché fratello di Sylvia, i cui figli ispirarono il Peter Pan di Sir James Matthew Barrie. Nel 1916 la famiglia Du Maurier si trasferì a Cannon Hall, una villa di stile georgiano ad Hampstead, Londra, quartiere considerato il sobborgo di intellettuali, artisti, musicisti e scrittori e dove ancora oggi sono ubicate alcune delle ville più costose del mondo. Daphne e le sorelle frequentarono la St. Margaret’s School, una scuola per ragazze di Oak Hill Park.

Una famiglia scomoda

Insomma, la vita di Daphne sembra iniziare nel migliore dei modi. Famiglia benestante, genitori artisti e un ambiente vivace in cui crescere. Ma la personalità complessa del padre ha un’enorme influenza sulla crescita delle figlie e sul loro futuro. Dicono di lui che fosse un uomo alla mano, divertente e un bravo imitatore. Daphne era la sua preferita, ma il suo amore eccessivo poteva diventare opprimente. Si comportava come un amico a cui poter confidare anche i più intimi segreti, ma guai se una delle figlie manifestava una qualsiasi volontà di rendersi indipendente. Diventava un padre “vittoriano”, rigido e intransigente. Daphne raccontava spesso di quanto fosse difficile vivere con lui ed essere figlia e nipote di personaggi famosi. Il suo successo come scrittrice arrivò quando Gerald, “D” come lo chiamava la figlia, era già morto; per lui, sarebbe stato probabilmente un colpo ferale essere messo in ombra dalla figlia. Non solo, negli ultimi anni alcune biografie non autorizzate suggeriscono che dietro i rapporti difficili tra padre e figlia ci fosse ben altro, come vedremo più avanti e come avevamo già visto per Virginia Woolf

A Parigi l’incontro con il sesso

La scrittura diventa per Daphne una via di fuga dall’atmosfera familiare. Incoraggiata a scrivere da una governante, la ragazza usciva tutti i giorni per lunghe passeggiate vicino casa e camminando ideava trame e personaggi. Nel 1925 lascia Londra per frequentare una scuola di perfezionamento a Parigi e qui incontra una donna che cambierà la sua vita. Daphne s’innamora, infatti, della preside della scuola, di dodici anni più grande. Non è solo il suo primo amore, ma è anche una persona che la incoraggia a scrivere, a coltivare un’arte e a vivere una vita segreta, che sarà poi fonte continua d’ispirazione per i suoi libri.

The boy in the box

Naturalmente, a casa e non solo Daphne continua a nascondere quel rapporto proibito, così come nasconde altre storie d’amore, per esempio quella con Gertrude Lawrence nel 1948. Anche perché sembra che la Lawrence abbia avuto un flirt anche con il padre dell’autrice. Il rapporto con la sua sessualità è complesso: la scrittrice odia la parola lesbica e non si considera bisessuale. Chiama quella parte della sua personalità “The boy in the box”, il ragazzo in scatola, intendendo dire che sentiva di possedere un cuore di ragazzo dentro un corpo di donna. Questa duplicità è chiaramente percepibile nell’ambiguità di fondo che sotterraneamente pervade i suoi romanzi. D’altra parte, anche il padre, che era conosciuto per essere fortemente omofobo, in realtà secondo Daphne nascondeva una natura sessuale fortemente ambigua.

A Fowey, in Cornovaglia

Dopo aver completato gli studi, torna in Inghilterra per seguire la famiglia che nel frattempo si è spostata a Fowey, in Cornovaglia, in una casa chiamata Ferryside. Proprio a Fowey c’è una casa elisabettiana, Menabilly, da sempre di proprietà della nobile famiglia Rashleigh e che è stata l’ispirazione, insieme a Milton Hall, Cambridgeshire, per “Manderley”, la casa dei coniugi de Winter nel romanzo Rebecca (1938). Come Menabilly, l’immaginario Manderley era nascosto nei boschi e non poteva essere visto dalla riva.

Il padre Gerald

Il rapporto con il padre continua a essere complesso e burrascoso. I vicini di casa non possono fare a meno di notare che lui sia estremamente “tattile” con la sua figlia preferita, tanto da risultare spesso “imbarazzante”. Daphne incoraggia queste intimità inappropriate. “Abbiamo superato il limite“, ammette nel 1965, “e l’ho permesso, mi ha trattato come un’attrice che interpretasse un ruolo romantico in una delle sue commedie“. Durante l’adolescenza, l’atteggiamento di Daphne verso suo padre cambia bruscamente. Comincia a rendersi conto delle sue frequenti scappatelle con giovani attrici e reagisce con un misto di gelosia e profondo risentimento per l’umiliazione causata a sua madre. Una delle sue molte amanti era Gertrude Lawrence, che Daphne odia profondamente “quella maledetta cagna” ma con cui più tardi lei stessa avrà una relazione. Forse, sussurra qualcuno, come vendetta postuma per rovinarle la reputazione nell’ambiente teatrale.

Daphne e Francis Scott Fitzgerald

tender isA 19 anni, il fotografo Cecil Beaton la ritrae in primo piano, con i capelli acconciati e le spalle scoperte, in una posa fresca e giovane e allo stesso tempo sensuale. La foto viene scelta da Penguin per la copertina del romanzo di Francis Scott Fitzgerald “Tender is the Night”, senza però citare il nome di Daphne du Maurier nei credits.

Il debutto

ferrysideNel 1931, a soli 23 anni, grazie anche all’aiuto di uno zio editore Daphne pubblica il suo primo libro The Loving Spirit, Spirito d’amore, la storia di una famiglia di piccoli armatori della Cornovaglia. “The loving spirit fu ispirato dal senso di libertà che la mia nuova esistenza a Ferryside riuscì a portare“. Ferryside era un edificio in granito costituito in origine da un’officina, un cortile e una banchina di un vecchio cantiere navale. Nei suoi 200 anni di vita, è ancora oggi funzionante e visitabile, la banchina originale è stata trasformata in un giardino domestico, il soppalco ospita camere da letto e un bagno, e l’ex negozio di barche è divenuto il salotto della famiglia. Le famiglie che negli anni ’20 davano nuova vita a vecchi ruderi, trasformandoli in case per le vacanze, diedero un impulso notevole all’economia cornica del periodo. Solo che per Daphne, quella che doveva essere una casa per le vacanze, si trasforma nel luogo del cuore e le fornisce ispirazione per la sua prima prova di autrice.

Il matrimonio

famigliaSuccessivamente, mentre gli altri parenti tornano a Londra, decide di rimanere a Fowey. L’anno successivo, nel 1932, Daphne sposa sir Frederick Arthur Montagne Browning, maggiore dell’esercito ed ex atleta olimpico di bob, con un’intima cerimonia in Cornovaglia. L’unione causa al padre di Daphne una crisi nervosa. Dall’unione nascono tre figli: Tessa (1933), Flavia (1937) e Christian (1940), tutti ancora viventi. Per l’attività del marito, la coppia nel 1939 si trasferisce ad Alessandria d’Egitto, dove Daphne scrive Rebecca, la prima moglie, il suo romanzo più conosciuto, lasciando le prime due figlie in Inghilterra, con le tate e i nonni, “Io non sono una di quelle madri che vivono per avere i loro marmocchi con loro tutto il tempo“.

Nel 1934 Gerald muore a 61 anni. Daphne non partecipa al funerale, ma scrive una sua biografia, rivelando quanto fosse vanitoso, amante dell’alcol e di umore instabile.

Jamaica Inn (Taverna della Giamaica, 1936)

IMG_6464Cinque anni dopo il suo esordio, Daphne ottiene il suo primo grande successo. Jamaica Inn è stato anche il primo suo romanzo a essere portato sul grande schermo. L’attore Charles Laughton acquistò i diritti del film e nominò Alfred Hitchcock come regista. Hitchcock conosceva bene i Du Maurier, avendo già lavorato con il padre attore-manager, ma aveva dei dubbi sul progetto, soprattutto per la tendenza di Laughton a voler comandare su tutto, lasciando poco spazio al contributo creativo della regia. Come previsto da Hitch, Laughton dominò il film, mentre Daphne Du Maurier arrivò a odiarlo e Hitchcock a ignorarne l’esistenza.

Rebecca (1938)

rebeccaRebecca viene pubblicato nel 1938, quando la scrittrice ha 31 anni, ed è subito un successo clamoroso, l’opera e il personaggio con i quali verrà poi identificata e riconosciuta per tutta la vita. Rebecca finisce per diventare la sua ossessione, un’ombra dalla quale non riuscirà mai a liberarsi. Tanto che nel 1943 la scrittrice andò a vivere in affitto proprio a Menabilly, rimanendoci fino al 1964, quasi come se volesse identificarsi con l’eroina della sua storia più famosa. E’ incredibile come a volte la vita reale e quella romanzesca si intreccino: Rebecca, infatti, nasce dopo che Daphne scopre casualmente un fascio di lettere d’amore scritte al marito dalla sua ex fidanzata, Jeannette Louisa Ricardo, detta Jan, una donna dai capelli neri di straordinaria bellezza. Parente dell’economista David Ricardo, Jan potrebbe essere definita una Kim Kardashian dell’epoca. Al centro della movimentata vita sociale londinese, Jan si riconobbe nel personaggio di Rebecca. Anche se lei e Daphne non si incontrarono mai, infatti, Daphne scrisse questo romanzo per esorcizzare l’ombra della prima promessa sposa del marito. Lei e Browning avevano annunciato per ben due volte il matrimonio, disdicendo entrambe le volte. Due anni dopo, Browning aveva sposato Daphne. Quest’ultima, tuttavia, era convinta che l’uomo fosse ancora innamorato di Jan, fino a diventarne ossessivamente gelosa. In quelle lettere, a colpirla in modo particolare fu la “R” Ricardo nella firma di Jan. Ricordate Rebecca? La seconda moglie trova una dedica di Rebecca per Max dentro un libro che appartiene all’uomo e odia la calligrafia di Rebecca, soprattutto la firma, con quella “R” che sovrasta le altre lettere, quella “R” tentacolare che la seconda signora de Winter vede ovunque a Manderley. D’altra parte, la stessa gelosia aveva caratterizzato i rapporti con il padre Gerald, con lei che soffriva quando si rendeva conto che il padre non era solo suo.

In Italia il romanzo è uscito nel 1940 col titolo La prima moglie. Anche i diritti cinematografici sono stati venduti immediatamente per diecimila sterline e poco dopo sempre Alfred Hitchcock dirige Laurence Olivier e Joan Fontaine in un film di grande successo. Daphne du Maurier è un’autrice acclamata. Ciò significa che da lei ci si aspettano altri bestseller.

Le accuse di plagio

Quando Rebecca viene pubblicato in Brasile, il critico Álvaro Lins sottolinea le molte somiglianze con A Sucessora, un libro scritto nel 1934 da Carolina Nabuco. Secondo la stessa scrittrice e il suo editore, la Du Maurier avrebbe copiato non solo la trama principale, ma anche situazioni e interi dialoghi. Quando la polemica esce sui giornali, Daphne Du Maurier scrive al New York Times di non aver mai sentito parlare né del romanzo né della scrittrice fino all’anno precedente e che le somiglianze erano dovute semplicemente a una trama piuttosto comune (?). Nel 2002 il New York Times. Ha ripreso la questione. Secondo il quotidiano, Carolina Nabuco avrebbe dichiarato di aver ricevuto pressioni dalla United Artists, che produceva il film di Hitchcock, perché firmasse un documento in cui affermava che le somiglianze erano solo una coincidenza, dietro lauto compenso, ma l’autrice si rifiutò.

Super criticata nonostante milioni di copie vendute

Plagio o no, il destino di Daphne è segnato. Celebrata dal pubblico, sforna un best seller dietro l’altro, ma mai nella sua lunga carriera riuscirà a vincere un premio letterario? Perché? Secondo una recente, e più unica che rara, intervista rilasciata da suo figlio Kits, i critici la bollano come “autrice romance di bassa lega”. Cosa la stessa scrittrice attribuisce alla sua popolarità e alle massicce vendite. Anche Stephen King, a sua volta enormemente criticato per la sua prolificità, la difende: Nel 1993, descrive Rebecca come “un libro che ogni aspirante scrittore popolare dovrebbe leggere, se non altro per il suo coraggio e il suo controllo narrativo. I critici possono sghignazzare, ma è impossibile fare questo genere di cose a meno che tu non abbia un ritmo quasi perfetto nella tua testa“.

I critici, tuttavia, sembrano ignorare quello che il pubblico e il mondo del cinema amano: romanticismo, psicodramma gotico, crimine e intrighi sessuali. Le pessime recensioni la gettano nello sconforto, nonostante la ricchezza accumulata. You don’t know how hurtful it is to have rotten, sneering reviews, time and time again throughout my life. The fact that I sold well never really made up for them”. “”Non sai quanto sia doloroso aver ricevuto recensioni disgustose, beffarde, più e più volte nella mia vita. Il fatto di aver venduto bene non le ha mai compensate“. Per fortuna, però, l’amore per la scrittura è più forte di qualsiasi recensione negativa. E Daphne continua a scrivere.

Donna a bordo (1941)

relittoAnche in quest’altro romanzo storico, sempre ambientato in Cornovaglia alla fine del XVII secolo, Daphne rivela una parte di se stessa. La protagonista, Lady Dona Saint Columb, fugge con i figli dalle convenzioni londinesi e dal marito per rifugiarsi nel maniero di Navron, vicino a Helford. Qui scopre che la casa è stata occupata dal “francese”, un pirata bretone con il quale lei si trova subito in sintonia. Dona vuole quella libertà che sa di non poter avere, se non a prezzo di enormi sacrifici, e arriva a vestirsi da marinaio pur di partecipare a una spedizione da pirata. Non è difficile rintracciare nella trama il “boy in the box”, il lato maschile, che nella scrittrice è così forte e lotta per uscire. Anche stavolta prende ispirazione dalla vita reale. Il marito si allontanava così spesso che Daphne, i suoi figli e la loro tata furono invitati a stare con Paddy e Henry Puxley (Christopher) che vivevano a Langley End, vicino a Hitchin nell’Hertfordshire. Daphne e Christopher hanno una relazione, che viene scoperta dal marito, rientrato improvvisamente dall’estero. Non ci sono scenate, ma Daphne è costretta a lasciare Langley End e a fare ritorno anticipatamente a Fowey, abbandonando definitivamente il suo sogno romantico. Donna a bordo, forse non a caso, è l’unico romanzo vicino al romance che Daphne abbia mai scritto.

Il ritorno nell’amata Cornovaglia e il rapporto con i figli

daphne_1830524cNel 1943 la famiglia Browning torna definitivamente in Inghilterra e Daphne realizza il suo sogno: prendere in affitto Menabilly e andarci a vivere con i figli. Il marito continua a spostarsi per lavoro, ma lei decide di volta in volta se seguirlo o meno. In una lettera all’amica Ellen Doubleday, l’autrice individua il problema nel suo successo professionale: “Le persone come me, che hanno una carriera, mettono davvero in discussione il vecchio rapporto tra uomini e donne. Le donne dovrebbero essere morbide, gentili e dipendenti. Spiriti disincarnati come me hanno torto a prescindere. “Il rapporto con il marito è quasi inesistente, tanto che secondo lei anche lui ha un’amante, una ventitreenne militare, quello con i tre figli è complicato: Daphne viene giudicata spesso una madre distante, fredda quasi, a causa di una evidente fragilità psicologica e dei frequenti alti e bassi cui è soggetta. In realtà, ama tantissimo i suoi figli e loro la ricambiano, tanto che ancora oggi ne difendono strenuamente la memoria. Anche recentemente, hanno ricordato come la mamma volesse essere riconosciuta per quello che era: una dannatamente brava narratrice di storie. A Menabilly, Daphne aveva fatto appendere un ritratto a grandezza naturale di Gerald sulla scala principale. Daphne a volte si fermava di fronte a lui, guardandolo e mormorando gentilmente: “Oh D! Oh D!” Il rapporto complesso con il padre continua anche dopo la morte.

La collina della fame (Hungry Hill, 1943)

Quando esce questo romanzo, addirittura Daphe viene accusata di scrivere solo per soldi e per farne un adattamento cinematografico. Cosa che puntualmente avviene nel 1947, con Margaret Lockwood, una delle attrici britanniche più famose dell’epoca, con la scrittrice che lavora attivamente come co-sceneggiatrice all’adattamento.

Mia cugina Rachele (1951)

E’ leggermente meno conosciuto di Rebecca, ma altrettanto fortunato sia nel mondo letterario sia in quello cinematografico. Dal libro, infatti, sono stati tratti due film: uno nel 1952, diretto da Henry Koster, con Olivia De Havilland nella parte della seducente vedova Rachel. Uno l’anno scorso, intitolato semplicemente Rachel e interpretato da Rachel Weisz. Nel romanzo, di nuovo storico e di nuovo ambientato in Cornovaglia, Philip Ashley, orfano dei genitori, viene allevato dal cugino Ambrose Ashley. Per ragioni di salute Ambrose parte per il continente, lasciando Philip, poco più che ventenne, a casa. Dopo qualche mese arriva a Firenze dove conosce una cugina, Rachel, vedova di un conte italiano. Ben presto i due si sposano. Insospettito dal silenzio di Ambrose, Philip si reca a Firenze, dove apprende che il cugino è morto e Rachele se n’è andata. Ritornato a casa, Philip comincia a odiare Rachele, finché non la conosce. Se ne innamora e il giorno del suo venticinquesimo compleanno, in cui diviene legalmente un adulto, le regala tutta la proprietà e i gioielli di famiglia, proponendole di sposarlo. A quel punto però Rachele rifiuta…. Philip comincia ad avere dei sospetti: Ambrose è veramente deceduto per cause naturali? Daphne rimane delusa dall’adattamento del film di Koster, perché tutti i temi i temi più impegnativi del romanzo, la colpevolezza maschile, la dipendenza economica delle donne sugli uomini, la paura dell’autonomia femminile, vengono diluiti per favorire la storia di base.

Gli uccelli (1953)

Gli-uccelli-Hitchcock“Se la storia avesse coinvolto avvoltoi o rapaci, non mi sarebbe piaciuta”, disse Hitchcock intervistato sull’omonimo film in uscita. “L’attrazione di base per me è che parliamo di uccelli normali e che vediamo tutti i giorni. Capisci cosa intendo?” L’ha capito senz’altro Tippi Hedren, che per colpa sua ha avuto un esaurimento nervoso. Il regista Alfred Hitchcock, infatti, per rendere più credibili le scene dell’attacco dei volatili, fece davvero arrivare sul set stormi di uccelli impazziti che assalirono la giovane attrice. In realtà, l’aggressione degli uccelli potrebbe rappresentare, ma non è sicuro, una metafora degli attacchi per via aerea subito da Londra durante la seconda guerra mondiale. Anche stavolta, arriva puntuale un’accusa di plagio. L’autore Frank Baker è convinto che la trama sia troppo simile a quella del suo romanzo Uccelli, pubblicato nel 1936 con l’editore Davies. Il quale era il cugino di Daphne. Coincidenze? Anche stavolta la Du Maurier nega e Baker, pur considerando di fare causa agli Universal Studios, decide di rinunciare perché sconsigliato dalla costosità dell’operazione.

Il capro espiatorio (1957)

Altro romanzo e altra trasposizione John è un mite professore inglese che tutti gli anni va in vacanza in Francia, dove si limita a osservare le vite altrui. Alla fine di una vacanza uguale a tutte le altre, in attesa di partire, seduto al bar di una stazione di provincia tra viaggiatori, uomini soli, famiglie e bambini urlanti, incontra se stesso. Il suo sosia perfetto, il conte Jean de Gué. Un legame profondo, stretto in una notte d’alcol e confessioni, li incatena. Al mattino John si sveglia stordito, nudo, derubato di tutto, al suo fianco solo gli effetti personali del sosia. Obbligato a prenderne il posto, l’anonimo insegnante si trova intrappolato nella personalità arrogante e seduttiva del nobile, ne diventa l’ombra. Il gioco di identità lo porterà molto vicino a perdere la coscienza di sé, fino a confondere la sua realtà con quella del sosia.

La morte del marito e l’addio a Menabilly

Negli ultimi anni di vita, sempre di più il marito aveva finito per assomigliare al padre: entrambi bevevano troppo. Entrambi avevano problemi e soffrivano di attacchi debilitanti di cupa depressione, nonostante la facciata brillante che mostravano all’esterno. Nel 1957 Frederick Browning inizia a soffrire di un forte esaurimento nervoso e due anni più tardi viene costretto al ritiro. Sembra che il “reale” motivo della malattia fosse la sua passione per la principessa Elisabetta, di cui nel 1948 era divenuto Tesoriere. Di sicuro, c’erano altre due amanti a Londra. Nel 1963 viene coinvolto in uno scandalo: sotto l’influenza di droghe e alcolici, causa un incidente automobilistico in cui due persone rimangono ferite. Muore a Menabilly, il 14 marzo 1965, per un attacco di cuore. In seguito alla sua morte, Daphne prende in affitto Kilmarth, la casa dei giardinieri della tenuta di Menabilly, continuando a scrivere finché la salute e la vecchiaia non glielo impediranno, come una reclusa, in completa solitudine.

Gli altri lavori e gli ultimi giorni

oldNominata Dame Commander dell’Impero britannico nel 1969, Daphne pubblica senza sosta i suoi lavori fino al 1981. Nel 1977 riceve il premio Grand Master Award by the Mystery Writers of America. Il suo ultimo lavoro esce postumo nel 1989, subito dopo la sua morte. Cornovaglia magica è l’autobiografia di una scrittrice solitaria, innamorata della terra che l’ha adottata. L’autrice racconta e rilegge la sua vita attraverso i suoi viaggi e i suoi romanzi ispirati tutti dall’amore per questa terra. Magica, misteriosa, inesplorata, la Cornovaglia è vista e “rivisitata” attraverso gli occhi della scrittrice, assumendo quasi la forma di un testamento spirituale. Subito dopo averla terminata, infatti, Daphne du Maurier muore, il 19 aprile 1989. Il 16 aprile, tre giorni prima di cedere alla broncopolmonite a 81 anni, Daphne sfida il vento e la pioggia per un’ultima nostalgica visita alla suo adorato Menabilly. Dopo la sua morte, i figli assecondano le sue ultime volontà e spargono le ceneri nei campi che circondano la sua ultima abitazione.

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Daphne Du Maurier al Jamaica Inn

Quel che resta del giorno – Kazuo Hishiguro

Mi hanno regalato Quel che resta del giorno dicendo: “tu che ami tanto la Cornovaglia, vedrai che ti piacerà”. Curioso, pur amando il famoso film con Anthony Hopkins, Emma Thompson e Hugh Grant, l’idea di leggere il libro non mi aveva mai sfiorato. Neanche dopo che lo scrittore, Kazuo Ishiguro ha ricevuto il premio Nobel per la Letteratura con “Non lasciarmi”. Per fortuna, è intervenuto il destino a correggere il tiro…

La trama

Oxfordshire, Inghilterra. Estate 1956. Figlio di maggiordomo, e maggiordomo egli stesso, l’anziano Stevens ha trascorso gran parte della sua vita in una antica dimora inglese di proprietà di Lord Darlington, gentiluomo che egli ha servito con devozione per trent’anni. Con altrettanta fedeltà, egli è ora al servizio del nuovo proprietario di quella dimora, l’americano Mr. Farraday, desideroso di acquisire, assieme e attraverso la casa, anche quanto di antico, per storie e tradizione, a essa si accompagni. Ed è su invito del nuovo padrone che Stevens intraprende, per la prima volta nella sua vita, un viaggio in automobile nella circostante campagna inglese, dopo aver ricevuto una lettera di Miss Kenton, ora Mrs Benn, che era stata anch’essa al servizio di Lord Darrington prima di sposarsi e trasferirsi in Cornovaglia. Il viaggio del maggiordomo si rivelerà un appassionante viaggio dentro se stessi e dentro la storia di un Paese.

Dignità e amore

Casualmente, o chissà, davvero per destino, ultimamente mi ritrovo a leggere libri che s’interrogano sulle scelte della vita, su passioni soffocate o tornate prepotentemente, sui punti di svolta che inducono, volenti o nolenti, a ripercorrere le tappe già bruciate e a chiedersi cosa ci sia davanti.

In questo romanzo, l’autore britannico di origine giapponese sceglie il viaggio come metafora del percorso interiore di un uomo che ha fatto della dignità e della perfezione il principio etico guida della propria esistenza. Sceglie un maggiordomo, una persona alla guida di una casa. Sceglie una casa importante, alla guida di un Paese. Sceglie di raccontare quali passioni e sacrifici si nascondano dietro la dignità, l’onorabilità, il decoro. Stevens è un uomo che al suo lavoro ha dato tutto se stesso sempre, senza chiedersi per quale fine. In fondo, il fine stesso era immedesimarsi nel ruolo di maggiordomo, per arrivare al più alto grado di efficienza possibile. La fedeltà, il rispetto, la fiducia riposta in lui nel suo padrone, sono l’essenza di un mondo dove i ruoli sociali sono codificati, chiari, accettati dalla classi di appartenenza. Prima la morte del padre e poi l’irruente presenza della governante Miss Kenton intaccano questa corazza, ma non tanto da scalfirla. La casa, il suo padrone e il maggiordomo stesso sono gli attori principali di un teatro di guerra che si svolge tra le mura domestiche e non c’è spazio per l’amore o una vita privata al di fuori.

Stevens

Stevens è la casa, la rappresenta e la valorizza. I riti sono fondamentali, l’apparenza anche. Lucidare le argenterie è un compito di primaria importanza, perché posate brillanti e perfettamente deterse raccontano una storia, parlano del suo possessore. Il padrone è il padrone, una divinità indiscussa, da compiacere e servire in maniera ineccepibile. Se funziona il maggiordomo, funziona la casa. Ecco che allora il maggiordomo fa propri gli errori di valutazione di Lord Darlington, riceve consigli rivolti al suo padrone dagli ospiti della casa ma non li trasferisce, rifiuta di rispondere a domande imbarazzanti sul suo pensiero. Perché lui non ha un suo pensiero: è un servitore e non si chiede se sia giusto o sbagliato quello che gli viene chiesto di fare. Lo fa e basta.

Miss Kenton 

Miss Kenton questo lo sa. Anche lei, chiusa nella propria dignità, aspetta un cenno da Stevens che non arriverà mai e, rassegnata, lascerà la casa. Lei è diversa: irrequieta, innamorata, possiede il senso della giustizia e porta il peso dei rimorsi per la vigliaccheria di cui suo malgrado sarà testimone. La governante non appartiene alla casa. Lei ha una speranza di felicità in Cornovaglia, tra le dune selvagge e il vento impetuoso. Non è fatta per i giardini curati e asettici dell’Oxfordshire.

Stevens e Miss Kenton 

Soprattutto, dignità e amore non vanno d’accordo. Anzi, sono proprio nemici. L’amore, quello vero, è esattamente il contrario. E’ perderla, la dignità, è lanciarsi verso l’altro abbandonando ogni pudore, è tradire ed essere traditi, è lacrime e risate. Mr Stevens e Miss Kenton sono il prodotto della dignità, non dell’amore. Del pudore, non della passione. Della perfezione, non della pazzia.

Il ritratto di un’epoca

Sarebbe riduttivo, però, definire il romanzo come una storia d’amore mancata e una riflessione sulle scelte di vita. Perché secondo me il romanzo è anche il ritratto di un’epoca finita per sempre. Si affacciano venti di guerra, gli aristocratici non sono all’altezza della situazione perché vissuti negli agi e nelle comodità. Gli errori di Lord Darlington vengono compiuti nell’assoluta inconsapevolezza delle conseguenze orrende che alleanze sbagliate porteranno. Il viaggio è il viaggio di un’intera Nazione che s’interroga sul futuro, che ha perso le proprie certezze, che deve ripartire dalla distruzione guerra su basi nuove e sconosciute. L’argenteria non interessa più a nessuno, la casa è stata acquistata da un americano, il maggiordomo in macchina viene scambiato per un aristocratico. Tutto è diverso, tutto è cambiato, niente tornerà come prima.

Tuttavia, il finale è consolatorio, struggente. Quel che resta del giorno è il tramonto e si dice che nei porti della Cornovaglia sia il momento più bello. Forse è vero, e non solo in Cornovaglia. Quando scendono le ombre della sera, possiamo sederci su una panchina, riposare e ripensare con soddisfazione alla giornata appena trascorsa, in compagnia di un estraneo. Solo per un attimo: poi c’è una nuova giornata da organizzare e un viaggio di ritorno ancora da assaporare. Perché finché il viaggio non avrà fine, la nostra vita non sarà perfetta, non sarà la migliore possibile, ma è certamente la nostra, e va bene così.

Avvertenze per il lettore

Lo scrittore è stupefacente, riesce a rendere vivo il maggiordomo utilizzando uno stile asettico e meticoloso che a tratti farebbe venir voglia di scuotere Stevens per tirargli fuori un po’ di vita. Il mio suggerimento è di arrivare almeno alla seconda parte del romanzo, più o meno al punto in cui Miss Kenton chiede a Mr Stevens che cosa stia leggendo. Arrivate lì e poi decidete se abbandonare la lettura o proseguire. Sappiate solo che se la scelta sarà di abbandonare, perderete un gran finale.

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Il Cornish pasty, uno street food leggendario

E’ riduttivo chiamarlo street food. Il Cornish pasty ha una storia a dir poco affascinante, legata al tempo dei minatori, quando la pausa pranzo era fondamentale per recuperare energie e, soprattutto, terminare la giornata senza veleno aggiuntivo in corpo. Venite a leggere la sua storia e come si prepara (è facile!). Se il solito pranzo al sacco comincia ad annoiarvi, tenete a mente questa ricetta eccezionale. Il cornish pasty potrebbe essere una valida e completa alternativa! Provare per credere.

Come nasce il cornish pasty

Dietro un apparentemente semplice cibo da strada, si nasconde una tradizione antica. Nell’800, la maggiore industria in Cornovaglia era quella mineraria e il cornish pasty era il pranzo preferito dai cornish pasty imm2minatori. Il lavoro di estrazione del carbone era durissimo e il fagotto forniva la perfetta dose di carboidrati, proteine e verdure per continuare un lavoro estenuante e tornare a casa, camminando spesso per chilometri e chilometri, senza cadere stramazzati al suolo. Il cornish pasty era leggermente diverso da quello di oggi: l’involucro era utilizzato come thermos, serviva a mantenere caldo il pasticcio di carne e verdure all’interno. La crosta arricciata, inoltre, così famosa oggi proprio per la sua forma, ricopriva un’altra fondamentale funzione: i minatori l’aprivano per mangiarne il contenuto e poi la buttavano ai “knockers”, gli spiriti dei minatori, perché così evitavano di contaminare il cibo con grosse quantità di arsenico, un potente veleno che infestava le miniere. Vi avevo detto che la sua storia è affascinante. Assaggiandolo, vi tufferete in un pezzo di storia moderna…

Ingredienti per 3 cornish pasty

Per l’involucro
  • farina 00, 250 gr.
  • Burro, 100 gr.
  • acqua, 6 cucchiai circa
  • sale, 1 pizzico
Per il ripieno
  • bistecca di bovino adulto, 200 gr.
  • patate, 3
  • cipolla, 1
  • rutabaga, 1 (facoltativa)
  • sale e pepe per condire
  • cucchiai di acqua fredda, 3

Procedimento

In una terrina versate la farina. Aggiungete il burro freddo di frigorifero e lavorate velocemente con la punta delle dita, per non scaldare l’impasto, fino ad ottenere delle briciole di impasto, senza nessun pezzo di burro ancora intero. Aggiungete poca acqua per volta e il sale e impastate fino ad ottenere un composto omogeneo (se vi sembra secco, aggiungete ancora poca acqua). Rovesciate l’impasto sul piano di lavoro e lavoratelo per qualche minuto, finché non diventa abbastanza liscio ed elastico. Ora la pasta brisée è pronta. Ricoprite l’impasto con pellicola per alimenti e lasciare riposare per almeno 45 minuti e fino a 3 ore in frigorifero.
Nel frattempo, sbucciate le patate, le cipolle e rutabaga e tagliate tutto a cubetti piccoli. Tagliate sempre a cubetti anche la carne. In una casseruola, unite il tutto, regolate di sale e pepe e versate 3 cucchiai di acqua fredda. Mescolate e lasciate riposare.
Preriscaldate il forno a 200° C. Ricavate 6 sfere con l’impasto, aiutandovi con un piattino da dessert per grandezza e forma, dopodiché stendetele con il matterello in una sfoglia sottile ma non troppo, deve reggere un ripieno corposo. Disponete al centro di ciascun disco un po’ di ripieno, sbattete leggermente un uovo e spennellate i bordi. Ora il fagottino si può chiudere. Potete optare per il metodo più facile, cioè cornish pasty imm3ripiegare la pasta a portafoglio su se stessa, oppure seguire il metodo cornico, cioè alzare le due metà fino a sigillare il centro e procedere con le pieghe per sigillare bene. Non è difficile e io ho preferito seguire quest’ultimo metodo, come fa l’operatrice di St. Ives (dove ho mangiato i migliori) in foto. Se non ve la sentite, lasciateli sdraiati e nessuno noterà la differenza. Sigillate pizzicando il bordo e formando delle pieghe “a onda”. Infine, spennellate leggermente con il restante uovo sbattuto e infornate per 30 – 35 minuti o fino a doratura.

Note

  • la ricetta che ho seguito indicava una temperatura del forno di 220°. Ho scritto 200° perché secondo me è più giusta, almeno per il mio forno. Regolatevi in base ai tempi di doratura;
  • nelle ricette inglesi il ripieno non viene cotto prima della chiusura nell’involucro. Anch’io ho fatto così e tutto si è cotto a puntino. Se preferite cuocere prima il ripieno non c’è problema, l’importante è che lo inseriate nell’involucro quando è ben freddo, altrimenti la pasta si romperà;
  • potete servirlo caldo, tiepido o freddo. A me piace in tutti e tre i modi;
  • la rutabaga è una specie a metà tra la rapa e il ravanello, usata nei Paesi del Nord Europa ma difficile da reperire altrove. La maggior parte delle ricette la sostituisce con la rapa bianca. Secondo me non è lo stesso, meglio ometterla perché è proprio lei a dare un gusto particolare all’involto;
  • in alcune versioni troverete la carota al posto della rutabaga. Non cedete alla tentazione, per carità, i cornici potrebbero arrabbiarsi;
  • il cornish pasty tradizionale prevede l’uso di carne, ma potete ovviamente riempirlo con tutto ciò che vi capiti a tiro. Può trasformarsi in un ottimo svuotafrigo;
  • anche se non sembra, è facilissimo da mangiare coperto a metà con un tovagliolo. Se volete portarlo a un picnic si lascerà addentare senza troppi danni.

Dimenticavo, ultimo punto:

Provatelo e fatemi sapere se vi è piaciuto!