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An Invisible Sign of My Own – Aimee Bender

Romanzo d’esordio di Aimee Bender, che dal 2000, anno di uscita di questo libro, ne ha fatta di strada. Io lo conservo in libreria come uno dei titoli che mi hanno colpito di più e inaspettatamente. Considerando anche che l’avevo comprato a scatola chiusa, attratta dalla trama e dalla foto di copertina.

Trama

Mona Gray ha vent’anni ed è innamorata dei numeri fino all’ossessione: l’ordine e la precisione dell’aritmetica le servono a difendersi dall’instabilità del mondo. Da quando il padre ha contratto una misteriosa malattia, infatti, Mona ha bloccato ogni aspirazione, ha paura di innamorarsi e si rifugia in una serie di piccoli gesti e oggetti scaramantici. Ma quando viene assunta come insegnante di matematica alle elementari, la sua vita sembra poter cambiare irreversibilmente.

Consigliato ai numerologi

Romanzo che consiglio vivamente a matematici, numerologi e a tutti quello che credono che il destino sia in fondo racchiuso in cerchi, esagoni, numeri primi o tripli e moltiplicazioni. E soprattutto a chi riesce a vedere un 7 nella forma di un’ascia. Perché si divertiranno a vedere il mondo che conoscono bene.

Sconsigliato a chi si aspetta realismo

Sconsigliato, invece, a chi si aspetta situazioni realistiche e personaggi o dialoghi da inquadrare nella normalità della vita. Aimee Bender ci offre uno spaccato delle percezioni di Mona e la visione di un mondo favolistico filtrato dalle sue percezioni. Ora, non siamo di fronte a una ragazza comune, né lo sono i personaggi che le ruotano intorno. Tutti loro vivono in funzione delle loro psicosi, talmente potenti da impedire di vivere la vita in modo aperto e sereno. Al contrario, i riti scaramantici diventano la regola, un modo per rimanere al mondo e allontanare la paura che li domina. Leggetelo in quest’ottica e sono convinta che vi piacerà. 

Invece, chi l’ha letto che ne pensa? Raccontatemi nei commenti 🙂

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Il tratto dell’estensione – Adua Biagioli Spadi

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Prince e George Michael, li ho persi entrambi

Li ho persi entrambi. Nello stesso anno.

Quante volte diciamo sono un fan di questo o di quello, ho tutti i suoi cd, finalmente viene nella mia città devo comprare i biglietti. Più o meno tutti i gesti spensierati legati alla musica che ognuno di noi ha sperimentato almeno una volta nella vita.

Già, la vita. Gli artisti assurgono a ruolo di miti, perdono le loro fattezze umane e stanno lì, sul piedistallo che abbiamo creato per loro, fino a che un evento qualsiasi ci costringe a vederli per quello che sono. Uomini. Donne. Qualche volta adolescenti o bambini.

Prima Prince, poi George Michael. La mia infanzia e la mia adolescenza spazzate via nel giro di un anno. I cd comprati con la paghetta, i poster strappati ai settimanali, o direttamente per strada, le discussioni per dimostrare agli amici che il mio è più forte, ha più successo, ha più voce.

Prince e George Michael. Curioso. Anni luce distanti dal punto di vista musicale, eppure così simili nelle vicende della vita. Entrambi provenienti da famiglie che poco li hanno compresi, forse perché talenti del genere sono per loro natura incomprensibili. Entrambi hanno raggiunto il successo giovanissimi. Hanno firmato il primo contratto a 18 anni e poi sono sempre stati protagonisti dell’aspetto commerciale del loro lavoro. Tutti e due hanno poi avuto vicende turbolente con le loro case discografiche, Prince perché rivendicava maggiore libertà, George Michael pure, stufo di essere considerato solo un sex symbol da ballate orecchiabili. Tutti e due, in un certo senso, hanno vinto le loro battaglie, pagandone pesanti conseguenze.

La loro vita privata è stata tormentata. Prince si è sposato due volte e ha avuto un figlio, morto pochi giorni dopo la nascita. Dopo, non ha avuto più figli. George amava i bambini, i figli dei suoi amici lo considerano un secondo padre. George ha mantenuto a lungo il mistero sulla sua sessualità, per poi essere costretto a fare coming out dopo le ben note vicende americane.  Prince ha puntato sull’ambiguità, ma ha sempre amato donne. George Michael è stato a lungo combattuto sul rivelare o meno le sue preferenze, forse perché proveniente da un ambiente ostile all’omosessualità.

Prince e George Michael, benefattori in incognito, generosi nel donare parte dei loro lauti introiti ai bisognosi. Con una sola clausola: mantenere il silenzio sulla provenienza. La beneficenza si fa e non si racconta, si dice. Se lo dici a tutti, sei solo in cerca di notorietà e la causa in fondo non ti interessa.

Soprattutto, Roger e George sono morti soli. Loro, che avevano schiere di fans pronti ad adorarli e a riverirli. Loro, che hanno a lungo cercato l’amore senza mai trovare una stabilità affettiva. Loro, che se ne sono andati in silenzio, giovani e schiavi delle loro ossessioni, più che di droghe o di antidolorifici.

Due mostri sacri che un soffio di vento ha portato via. A noi, i loro fans, non rimane che cercare il silenzio, mettere su un cd e sognare: un nuovo concerto, una nuova canzone, un’intervista esclusiva. Chissà, forse in un’altra vita il sogno potrà realizzarsi.

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Morte in ascensore – Cornell Woolrich

Ho appena finito di leggere questo racconto giallo davvero intrigante, scritto dall’autore americano Cornell Woolrich nel 1938 come parte di una raccolta intitolata “After-Dinner Story” che comprendeva al suo interno anche il celeberrimo “La finestra sul cortile”, portato sullo schermo da Alfred Hitchcock. Tutto parte da quello che sembra un banale incidente dalle conseguenze purtroppo mortali, invece piano piano si dipana una matassa che porta a una conclusione davvero sconvolgente.

Trama 

Un gruppo di uomini sale sull’ascensore di un grattacielo, che improvvisamente prende velocità e finisce per schiantarsi al suolo. Nell’impatto muoiono il manovratore e un’altra persona. Quando, però, i superstiti vengono tirati fuori, i soccorritori si accorgono che è deceduto un terzo uomo, forse per un infarto. Uno degli occupanti della cabina, Stephen MacKenzie, è poco convinto, perché fino a poco prima che li tirassero fuori l’aveva sentito parlare e stava benissimo. L’altro è il padre del ragazzo deceduto, che non si rassegna alla sua morte ed escogita un piano diabolico per stanare l’assassino…

L’inventore del genere noir

Non conoscevo l’autore, Cornell Woolrich, che è addirittura definito come l’inventore del romanzo noir e che ha scritto diverse sceneggiature e racconti per il cinema. Suo è, per esempio, il racconto  It Had to be Murder, che fu rinominato Rear Window (La finestra sul cortile) e che divenne l’omonimo film di Alfred Hitchcock. Morte in ascensore è un racconto diabolicamente costruito, nel quale la tensione cresce con il numero di pagine, fino ad arrivare al gran finale. Purtroppo, se decidi di uccidere la persona sbagliata, le conseguenze sono inevitabili. In questo caso, un padre che non accetta la semplice tesi dell’incidente e che vuole vederci chiaro. Se poi questo padre ha anche abbastanza sangue freddo da organizzare una trappola per l’assassino, toccherà a questi dimostrare di essere più scaltro delle vittime.

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Agguato sull’isola – Elizabeth George

È una nebbiosa mattina di dicembre quando, su una spiaggia nell’isola di Guernsey, viene ritrovato il cadavere di Guy Brouard, ricco uomo d’affari e benefattore della comunità. La polizia ferma China River, una fotografa californiana arrivata da poco sull’isola con suo fratello Cherokee per consegnare dei progetti architettonici a Brouard. China chiede aiuto all’amica di un tempo, Deborah, moglie di Simon St. James, esperto della Scientifica. Nella loro indagine privata, i St. James scaveranno nei segreti degli isolani, alla ricerca del colpevole…

Mi accingo un po’ titubante a commentare questo romanzo, che purtroppo si è rivelato una grandissima delusione. Dopo aver sentito parlare dell’autrice in termini lusinghieri, ho scelto di iniziare a conoscerla con un libro che non appartenesse alla serie dell’ispettore Linley, con cui ha raggiunto la notorietà.

Mai scelta si  rivelata meno azzeccata. Il romanzo è scialbo, noioso, scontato. La trama esile, inconsistente. Pagine e pagine colme dei pensieri contorti degli innumerevoli personaggi, protagonisti senza spessore, a tratti quasi infantili, soprattutto Deborah.

Confesso, l’ho terminato solo per il mio auto challenge di novembre. Altrimenti l’avrei abbandonato senza neanche arrivare a metà. Mi dispiace molto, ero convinta che la George potesse almeno avvicinarsi alla mia amatissima Agatha Christie, ma siamo lontani anni luce!

Mi fermo qui per non spoilerare e rovinare la lettura a chi la pensa diversamente e ama i suoi thriller. Su Goodreads darò qualche particolare in più.

Lo strano caso dell’apprendista libraia – Deborah Meyler

Deborah Meyler, Lo strano caso dell’apprendista libraia. Il titolo è fuorviante. E’ inutile sperare, andando avanti con le pagine, di capire quale sia lo strano caso. Non c’è nessuno strano caso. In lingua originale, infatti, s’intitola semplicemente “La libraia”. Per il resto, un po’ di incongruenze e un elemento di interesse. Vediamo quale…

Trama 

Esme è incinta e non sa cosa fare: il fidanzato Mitchell l’ha lasciata prima che potesse parlargli del bambino. Per questo il cartello “Cercasi libraia” le sembra un segno del destino. Ma Esme non ha nessuna idea di come funzioni una libreria. Per fortuna ad aiutarla ci sono i suoi curiosi colleghi: George, che crede ancora che le parole possano cambiare il mondo; Mary, che ha un consiglio per tutti; David e il suo sogno di fare l’attore. Poi c’è Luke, timido e taciturno, che comunica con lei con le note della sua chitarra. Sono loro a insegnarle la difficile arte di indovinare i desideri dei lettori. E proprio quando Esme riesce di nuovo a guardare al futuro con fiducia, la vita la sorprende ancora: Mitchell viene a sapere del bambino e vuole tornare con lei. 

Mah 
Dunque, c’è un’apprendista libraia, che magicamente viene assunta negli Usa senza uno straccio di permesso per lavoro. Mah. Roba da far arrestare lei, il proprietario e tutti quelli che sanno, ma non hanno denunciato.
La ragazza è negli Usa grazie a una borsa di studio, ripete spesso di aver bisogno di soldi ma è in affitto da sola in un appartamento sulla Broadway e quando rimane incinta rimane negli Stati Uniti invece di tornare in Inghilterra. Mah, i misteri dell’assicurazione fantasma.

La descrizione onesta di una ragazza incinta 
Ho avuto spesso la tentazione di abbandonare questo libro di Deborah Meyler, però alla fine sono contenta di essere arrivata fino in fondo, perché qualche elemento d’interesse l’ho rintracciato proprio nell’andamento della gravidanza. Nessuna descrizione edulcorata dell’attesa, ma la descrizione onesta di una ragazza che rivoluziona la sua vita per amore, seppur inconsapevolmente. La scrittrice è madre di tre figlie, è evidente che conosce bene le difficoltà e le lotte psicologiche di una donna che da un giorno all’altro si trova a dover cambiare prospettiva di vita non esattamente per scelta (consapevole).

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