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Spettri e fantasmi cinesi, antichi racconti

Cos’è uno yaksha? E un essere “peloso”? Gli spettri come si comportano? Un libricino per gli amanti di storie di fantasmi. Ora vi racconto.

Trama

Un piccolo libro di racconti, con scritti di: T’ao Ch’ien (Tao Qian, alias Tao Yuanming) [365-427] Liu Tsung-yüan (Liu Zongyuan) [773-819] Yüan Hao-wen (Yuan Haowen) [1190-1257] Feng Meng-lung (Feng Menglong) [1574-1646] Ch’en Ting (Chen Ding) [vixit din. Qing, 1644-1911] Ch’ien Yung (Qian Yong) [vixit din. Qing, 1644-1911] P’u Sung-ling (Pu Songling) [1640-1715] Yüan Mei (Yuan Mei) [1716-1797] Chi Yün (Ji Yun) [1724-1805] Yi Ting (Yi Ding) [1832-1880] Miao Ch’üan-sun (Miao Quansun) [1844-1919]

Yaksha

Leggere libri di racconti cinesi per me è sempre ostico. Probabilmente perché mi manca la cultura di base, soprattutto sugli autori del passato più remoto. Leggendo questo libro, però, penso di aver acquisito almeno un’infarinatura sulle figure mostruose e non che popolano la fantasia cinese. Lo yaksha, per esempio, mi ha affascinato: “aveva il corpo azzurro, la bocca aperta verso l’alto, gli occhi rotondi, il naso all’insù, le labbra a punta, i capelli rossi, gli speroni da pollo e gli zoccoli da cammello”. Gli “esseri pelosi”, invece, sono solitamente creature ottuse e servili, raramente pericolose, con grande appetito sessuale, quindi comunque bisogna fare attenzione. Poi ci sono gli spettri, le figure che animano monti e boschi e, ovviamente, demoni travestite da donna, quelle non mancano in nessuna cultura.

Il visibile e l’invisibile 

Alcuni racconti sono molto brevi, altri più articolati. Quello che li caratterizza tutti è il ricorso a un tono di osservazione dei fatti e a un umorismo macabro, a volte velato, a volte più spinto. Tanto che sembrano scivolare nel grottesco, o nel paradossale, con chiusure spesso brusche. Senza morale finale, come siamo abituati noi. E’ come se la cultura cinese non consideri il mondo delle tenebre o i fantasmi come altro dalla vita umana, ma un tutt’uno con la parte più visibile dell’esistenza. Una cultura millenaria non può che pensarla così, non trovate?
Vi piacciono i racconti orientali? Datemi suggerimenti nei commenti!
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La tenebra nel cuore di Joseph Conrad

Joseph Conrad rappresenta un caso più unico che raro nel panorama letterario mondiale. Dentro vi spiegherò perché. Intanto, vi dico che sono tornata a leggere libri sul treno! Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho letto un romanzo tra andata e ritorno? Troppo. Stavolta è stato più facile. Cuore di tenebra di Joseph Conrad è un racconto intenso. Vola via, come le ore di viaggio…

Trama

Marlowe racconta di aver avuto l’incarico di sostituire un capitano fluviale ucciso dagli indigeni nell’Africa centrale. Si imbarca su una nave e, giunto alla stazione della compagnia, vede come gli indigeni muoiano di stenti e di sfruttamento. Dopo un lungo viaggio di duecento miglia sul fiume rintraccia Kurtz, un leggendario agente capace di procurare più avorio di ogni altro. In realtà Kurtz, uomo solo e ormai folle, è quasi morente. Sul battello che lo trasporta, pronuncia un discorso che non può nascondere “la tenebra del suo cuore”.

Un caso più unico che raro

Vi ho detto in premessa che Joseph Conrad rappresenta un caso più unico che raro. Il perché è presto detto: ha scritto dei capolavori in inglese pur non essendo di madrelingua inglese! Incredibile. Joseph Conrad nasce, infatti, in Polonia ed emigra in Gran Bretagna da adulto. Altra nota biografica per comprendere Cuore di tenebra, si arruola in marina. Quello che racconta, è probabilmente quello che ha visto.

La tenebra del colonialismo

E veniamo proprio a Cuore di tenebra. Joseph Conrad non nomina mai il Paese e il fiume in cui si svolge la narrazione, ma sappiamo che è il Congo. Il protagonista, Charles Marlowe, racconta di questa esperienza mentre si trova su una nave ancorata nel Tamigi, a Londra. Sappiamo già in partenza, quindi, che dalla sua avventura è tornato. Ma non sappiamo se la sua ossessione per Kurtz, un agente di commercio specializzato in avorio, abbia trovato sfogo nell’incontro con quest’uomo. In realtà, Kurtz è il trait d’union tra l’imperialista Europa e il continente africano e Joseph Conrad vuole farci vedere quanto non ci sia grande differenza tra le due realtà. Sì, la foresta è più fitta e sconosciuta, gli uomini parlano un’altra lingua, ma non sono aggressivi, hanno solo fame. E Kurtz, questo mito, è solo un uomo con le sue miserie, anche se venerato come un dio. 

Appassionante e vivido

Il racconto è appassionante e vivido. A un certo punto mi è sembrato di essere lì con Marlowe e di attraversare questa foresta buia e pericolosa, di sfidare l’ignoto, di poter morire di febbre come gli avventurieri. Sul finale, ho qualche perplessità. L’incontro con Kurtz fa salire il pathos e le parole che l’uomo pronuncia, e che vi lascerò scoprire per non togliervi il gusto della lettura, sono le parole che chiunque di noi potrebbe pronunciare, soprattutto in questo momento. Eppure, Joseph Conrad decide di non chiudere così, ma di aggiungere una parte che…dovrebbe rasserenarci? Chissà. Comunque, racconto super consigliato. Soprattutto a chi cerca ispirazione per letture adatte a ragazzi e adolescenti. Per altri consigli librosi, cliccate sul link in basso.

E poi ditemi: conoscete Joseph Conrad? Qual è il suo romanzo che preferite?

“È impossibile comunicare la sensazione della vita di un qualsiasi momento della propria esistenza, ciò che rende la sua verità, il suo significato, la sua essenza sottile e penetrante. È impossibile. Viviamo come sogniamo: soli“.

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Fratello Oceano, di Folco Quilici

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Katherine Mansfield, quanti cetrioli ingoiano le donne!

Un racconto di Katherine Mansfield, A dill pickle, un cetriolo sottaceto, che ho ascoltato con il programma di RaiPlayRadio, Ad alta voce.

Trama

Un uomo e una donna si incontrano per caso in un caffè dopo sei anni dalla fine della loro storia. La conversazione, come è naturale, torna ai tempi passati, ai rimpianti e alle recriminazioni che una relazione finita trascina con sé. Ma sotto le ceneri, cova anche un sottile filo psicologico che lega i due, un rapporto di oppressione/sottomissione che piano piano si fa strada in una discussione apparentemente tranquilla. 

Un non luogo. Un non uomo 

Un uomo e una donna che si rivedono casualmente dopo anni. Non sappiamo quanti anni abbiano, ma il fatto che accennino al passare degli anni e a un corpo “che ha sempre più freddo” fanno pensare che non siano giovanissimi. Di lei Katherine Mansfield ci dice il nome, Vera. Quello dell’uomo, non viene mai nominato. Non sappiamo neanche dove siano, probabilmente a Londra, considerando il bricco di crema e la frutta che vengono serviti. Il luogo è un non luogo, potrebbero essere ovunque, e l’uomo è un non uomo, potrebbe essere chiunque.

Un cetriolo sottaceto

Quello che conta è l’atmosfera che Katherine Mansfield riesce a creare in una manciata di pagine. Vera sembra avvolta in un limbo romantico, ma tutto ciò che ricorda del passato sembra spiacevole, particolari che contrastano con l’immagine che l’uomo vuole dare di sé. Un’immagine che s’infrange anch’essa sui particolari: l’uomo non ricorda un cane, eppure dovrebbe, parla della Russia come se non avesse compreso le complesse vicende politiche in cui era immersa all’epoca, siamo nel 1917 quando viene pubblicato il racconto. Interrompe Vera regolarmente, non l’ascolta. Ha un rapporto meschino col denaro, nonostante sia evidentemente benestante. Il cetriolo sottaceto, il “dill pickle” del titolo, è il sapore acido che Vera deve ingoiare. Che le donne devono ingoiare. Non mi spingo oltre nella metafora, ognuno si crei un suo libero pensiero su quello che Katherine Mansfield volesse sottintendere. 

Vera alzerà il velo?

E in tutto questo, Vera come agirà? Vera è una donna che si semplificherebbe la vita se in lui trovasse più lati positivi che negativi. Per questo per un attimo alza il velo. Lo lascerà alzato? Vi invito all’ascolto, così potrete saperlo. L’audio di Ad alta voce dura in tutto venti minuti, il tempo di lavare i piatti.

In copertinaFederico Zandomeneghi, Coppia al caffè, 1885 circa 

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Virginia Woolf: una biografia tutta per sé

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Storie dalla Corea – Benedetta Merlini (a cura di)

Storie dalla Corea. Per capire un popolo e la sua storia bisogna avvicinarsi alla sua letteratura. Gli scrittori coreani inseriti in questa raccolta offrono uno spaccato della vita in questo piccolo Paese dell’estremo Oriente che mi ha trasportato immediatamente nel Paese del Calmo Mattino. Vi va di scoprire qualche scrittore da noi poco conosciuto?

L’antologia 

La storia della Corea nel Ventesimo secolo è stata una triste serie di oppressioni, umiliazioni e tradimenti. La presenza del Giappone nella penisola coreana si tramutò nel 1910 in una vera e propria colonizzazione, che terminerà solo nel 1945 con la fine della Seconda guerra mondiale. Eppure, i moderni scrittori coreani sono stati in grado non solo di trovare le proprie voci distintive, ma di forgiare una letteratura nazionale che parla in modo eloquente della sopravvivenza dello spirito umano in tempi di crisi. Questa antologia include i racconti dei migliori scrittori della prima metà del Novecento (Kim Dong-in, Kim Yu-jeong, Hyun Jin-geon, Kim Nam-cheon, Ch’ae Man-sik, Lee Hyoseok, Yi Kwang-su, Yi Sang). 

Il dispiacere per la fine

Questa raccolta di racconti mi è piaciuta così tanto che a un certo punto ho iniziato a centellinare le pagine. Avete presente quando il dispiacere per la fine diventa più potente della curiosità? Ecco, questi racconti hanno avuto questo effetto. Peccato solo che nella selezione non ci fosse neanche una scrittrice, evidentemente hanno fatto fatica a ottenere riconoscimenti. Penso che comunque la curatrice, docente di lingua e letteratura coreana, sia stata bravissima a organizzare le storie suddividendole in storie d’origine, d’amore e matrimonio, bellezza e fantasia. E arricchendo Storie dalla Corea con una breve biografia degli autori alla fine. Così ho scoperto che, per i parametri odierni, sono morti tutti giovani.

Sentimenti profondi ed eterni

Eppure, hanno saputo creare delle storie appassionanti, in cui amore, dolore, violenza, nostalgia, rimpianto, si fondono fino ad avvolgere completamente il lettore in un tessuto di sentimenti profondi ed eterni. La povera moglie di Hyun Jin-geon, per esempio, è sposata con uno scrittore che non riesce a garantirle la vita dignitosa che vorrebbe offrirle. Eppure, non rinuncia ai suoi sogni per guadagnare di più, mentre lei rimane la sua più fervente sostenitrice, non le importa il resto. Gasil, di Yi Kwang-su è una storia ambientata durante il regno di Silla. Il protagonista Gasil rimane nel cuore per l’altruismo e la generosità che lo spinge ad andare in guerra al posto del padre della sua promessa sposa. Riuscirà a tornare a casa? Il maialino di Lee Hyoseok è una metafora di libertà, riconquistata e solo desiderata. Poi c’è il racconto più lungo, o piuttosto una novella, Il pesce congelato. Dopo tutta la sofferenza del popolo coreano, piegarsi ai giapponesi è impossibile, ma per riconquistare la libertà si farebbe di tutto, anche sembrare filo-giapponesi. E’ questo odio-amore a trasformare la relazione tra i due Paesi, e tra le persone, in pesce congelato.

Vi lascio scoprire il resto con un’unica avvertenza: come scrive la curatrice nella conclusione, non esiste la storia senza letteratura e non esiste letteratura senza storia. Perdete cinque minuti del vostro tempo per scoprire la storia coreana prima di aprire il libro. Non ve ne pentirete.

p.s. continuate a seguire, perché nei prossimi giorni pubblicherò le ricette goduriose che intravedete in foto! 🙂

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Scrivete il vostro racconto: La vita in quarantena

In questi giorni abbiamo difficoltà a concentrarci. Sì, leggiamo, guardiamo film, stiamo con i nostri cari, mangiamo. Facciamo tutto, con la mente sempre rivolta a un pensiero solo. Cosa succederà? Cosa faremo? Quanto cambierà il mondo che finora abbiamo conosciuto e frequentato?

Per dare voce ai nostri pensieri, quelli positivi e quelli negativi, quelli che sostengono e quelli che ci abbattono, proviamo a metterli su carta. Scrivere serve a tirare fuori quello che abbiamo dentro, le paure a cui non riusciamo a dare voce, le speranze che abbiamo nel cuore. Scrivetemi il vostro racconto della quarantena, in qualsiasi forma, con qualunque mezzo abbiate a disposizione, nella vostra lingua (il sito è tradotto in più lingue). Proviamo a raccontare quello che succede fuori e dentro di noi, vi va?

Prendete carta e penna e date vita al vostro racconto. Queste le uniche indicazioni da seguire:

  1. una lunghezza compresa tra 2000 e 3000 battute;
  2. il titolo e il tema per tutti è La vita in quarantena;
  3. il racconto deve contenere obbligatoriamente il seguente passaggio: “quando tutto questo sarà finito…”.
  4. inviate l’elaborato a lizamjones@hotmail.com, preferibilmente in formato .rtf;
  5. scrivete liberamente nella vostra lingua madre;
  6. non preoccupatevi troppo di stile e grammatica. Non è un concorso e non è un invito rivolto (solo) a scrittori di professione. Ci sono io per aiutarvi, in caso di bisogno;
  7. potete usare un nome di fantasia o il vostro nome reale, come preferite. Se volete, potete corredare il racconto di una breve presentazione e/o biografia;
  8. non ci sono premi, non ci sono restrizioni, non c’è copyright. I diritti rimangono degli autori;
  9. i racconti saranno pubblicati in base all’ordine di arrivo nella casella di posta elettronica sopra indicata.

L’iniziativa non ha fini di lucro. L’obiettivo è solo quello di sentirci più uniti e vicini. Ora più che mai abbiamo bisogno della fantasia per sentirci vivi.

E ora…forza, al lavoro, vi aspetto!

La vita in quarantena: il racconto di Natascia

La vita in quarantena: il racconto di Skywalker

La quarantena di una quarantenne: il racconto di Giovanna