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La costola di Adamo, seconda indagine per Rocco Schiavone

Antonio Manzini e la seconda indagine della serie Rocco Schiavone. Stavolta, siamo alle prese con un misterioso delitto: assassinio o suicidio? L’infallibile istinto del vicequestore Schiavone ci porterà dritti dritti dentro i segreti di casa Baudo. Riuscirà questo burbero romano a capire come diavolo sia stato possibile? Venite che vi racconto.

Trama

Una donna viene trovata cadavere dalla domestica, mentre il marito è fuori. Impiccata al lampadario di una stanza immersa nell’oscurità. Intorno la devastazione di un furto. Ma Rocco non è convinto. E una successione di coincidenze e divergenze, così come l’ambiguità di tanti personaggi, trasformano a poco a poco il quadro di una rapina in una nebbia di misteri umani, ambientali, criminali. Per dissolverla, il vicequestore Rocco Schiavone mette in campo il suo metodo annoiato e stringente, fatto di intuito rapido e brutalità, di compassione e tendenza a farsi giustizia da sé, di lealtà verso gli amici e infida astuzia.

Rocco Eastwood

Torno a leggere Antonio Manzini dopo più di un anno da Pista nera, che mi era piaciuto soprattutto per il colpo di scena finale. Anche qui, i colpi di scena non mancheranno, vi posso assicurare. In questa seconda indagine di Rocco Schiavone, però, predomina la personalità del vicequestore sui fatti. Di lui, veniamo a sapere qualcosa in più, luci e ombre in un carattere certamente non facile. provato dai fatti della vita, ma anche dalla tendenza a volersi fare giustizia alla Clint Eastwood. Stavolta, il costrutto generale è meno convincente: a partire dal richiamo che la capitale esercita su di lui, e che lo spinge a tornare a Roma nel pieno di un’indagine, fino al vero e proprio rompicapo che si trova a dover risolvere.

Ossessione patologica

Intendiamoci: gli espedienti e le soluzioni trovate da Antonio Manzini sono godibili e avvicinano questo romanzo alla sceneggiatura di una serie tv, cosa che in effetti per la maggior parte degli estimatori di questo personaggio è. Però. C’è un però. I comportamenti di alcuni personaggi sono al limite (superato) dell’ossessione patologica. Non è un messaggio edificante e, probabilmente, neanche vuole esserlo. Tuttavia, non capisco la nota a fine romanzo in cui l’autore si riferisce esplicitamente alla violenza contro le donne.  L’amarezza che mi lascia l’escamotage non è descrivibile: è questa l’unica soluzione? Una delle uscite becere di Schiavone sarebbe stata apprezzata da tutte le lettrici, ne sono sicura. La supina verticale rassegnazione…no.

Arrivederci, Schiavone. Al prossimo delitto.

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Natale, New York, Henry Kane e i gioielli rubati

Henry Kane è uno di quegli autori anni ’50 specializzati in hard boiled e riscoperti da queste serie di gialli che per fortuna li fanno conoscere anche a noi. Penna brillante e ironica, un protagonista sagace e una sfilza di belle donne che gli girano intorno. Metteteci New York, la neve, la sera di Natale e l’atmosfera giusta è servita. Mancano giusto copertina e bicchiere in mano, ma a quello, caro lettore, devi pensare da solo. E poi mettiti comodo a gustare questa bella lettura. Magari in buona compagnia, come il nostro Peter Chambers.

Trama

Peter Chambers, l’investigatore privato con un debole (ricambiato) per le belle donne, non può resistere alla richiesta della sua affascinante collega Gene Tiny di occuparsi di una piccola faccenda al posto suo. La detective era stata assunta dal gangster Barney Bernandino perché gli procurasse un misterioso incontro “d’affari” con Sheldon Talbot, uno scienziato che si supponeva fosse morto tempo prima in un incidente e che invece vive sotto falso nome. Ma la vigilia di Natale, subito prima di quell’appuntamento, Gene Tiny è stata arrestata per guida in stato d’ebbrezza e si rivolge a Chambers affinché mantenga i contatti con i due uomini fino all’udienza per il suo rilascio. In fondo si tratta di un incarico poco impegnativo, ben remunerato e da sbrigare in poche ore, ma… Appena l’investigatore mette piede nell’appartamento dello scienziato, scopre che il finto morto stavolta è morto per davvero e si trova implicato in una vicenda che ruota intorno ad antichi gioielli rubati. 

La faccenda scotta 

Gene Tiny era davvero straordinaria, ed era la vigilia di Natale, ed eravamo soli nel mio appartamento, vicini e comodi, con la neve che si accumulava sul davanzale, e il parco tutto bianco e la stanza silenziosa e tranquilla, e quel non so che, che mi bolliva dentro…” non crea un’atmosfera fantastica? Peccato che “Eravamo insieme e immischiati entrambi in una faccenda che s’inquadrava con un morto dalla barba rosso vino, un mucchio di gioielli e l’amara delusione per la perdita di un guadagno di venticinquemila dollari“. Gli elementi ci sono tutti e Henry Kane li riassume quando la storia dei gioielli comincia a scottare. E non solo quella…

Henry Kane, ironia e immagini efficaci

La storia è godibile, gli elementi per divertirsi ci sono tutti e la scrittura di Henry Kane è ricca di immagini efficaci. Sembra proprio di essere lì, a New York, sotto la neve, a indagare con l’investigatore privato. E’ anche ironico, il che non guasta: “Il povero caro non era più lui. O aveva proprio bisogno di dormire come si deve, o aveva bisogno di uno psichiatra. Il sonno costava meno. Tornai a dormire“. Se avessi un caminetto, è questa l’immagine del lettore tipo che mi salterebbe in testa, sdraiato sul divano vicino al fuoco a cercare di districarsi tra tutti i possibili colpevoli. Chi avrà ucciso barba rosso vino? Se state attenti ai passaggi, lo capirete prima della fine. Dovrete però fare molta attenzione, perché quel furbetto di Henry Kane tenterà in tutti i modi di sviarvi, facendo girare a vuoto Pete Chambers come se non sapesse dove andare a parare. Invece lo sa bene, oh se lo sa! Ma se voi siete giallisti esperti, riderete sotto la barba rosso vino. Se non lo siete, vi divertirete un mondo.

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Chi sono i traditori di tutti di Scerbanenco?

“Vi prego, non fraintendetemi. Le donne sono splendide creature. Possono fare tutto quello che fanno gli uomini, e molte cose anche meglio. Certe donne. Altre no. Sono imparziale; ma non voglio cadere nella trappola più vecchia del mondo: quella di commettere la parzialità di essere imparziale. Magari a proposito del modo di guidare una macchina. Gene Tiny al volante di una carretta mi dava le palpitazioni. Non riuscivo a sopportarlo. Ero troppo stanco e avevo bisogno di pace. Guidai io”. 

Chi sono i traditori di tutti di Scerbanenco?

Giorgio Scerbanenco è uno di quegli autori in lista da un po’, se non altro perché considerato il padre del noir all’italiana. Ho trovato Traditori di tutti in un mercatino ed è da questo libro che inizio la mia conoscenza dell’autore. Ma chi sono i traditori di tutti?

Trama

Notte di nebbia a Milano. Una macchina ferma sull’orlo del Naviglio: all’interno un uomo e una donna, di una certa età, hanno mangiato e bevuto troppo, lui specialmente. Una ragazza spinge la macchina piano…un tonfo, qualche spruzzo, neanche una bollicina. Per Duca Lamberti, ex medico e investigatore a mezzo tempo, tutto comincia una mattina di primavera: sulla porta, un giovanotto, lo manda l’avvocato Sompani… Ma Sompani non è quello annegato due giorni fa nel Naviglio?

Duca Lamberti

Traditori di tutti è il secondo numero della serie che vede come protagonista Duca Lamberti, un collaboratore della polizia a dir poco inusuale. Purtroppo non ho letto i libri in ordine, avrei dovuto iniziare dal primo, Venere privata. Solo che ho trovato prima questo ed ero troppo curiosa di leggere questo autore, di cui avevo tanto sentito parlare. La lettura non è stata per niente deludente, anzi. Diciamo che scelgo raramente questo genere di poliziesco duro e crudo, però ogni tanto passare dall’altro lato del fiume, rispetto ai romance, fa bene.

Buoni e cattivi

A proposito di fiume, il fiume e la campagna , eppure quello che rimane è la descrizione di Milano, una città tanto indaffarata quanto tortuosa nel suo sottobosco e con la quale Scerbanenco era dovuto scendere a patti quando si era trasferito da Roma con la madre. Duca Lamberti incarna, probabilmente, lo spirito di giustizia dell’autore stesso, che chissà quante volte avrà anelato la possibilità di farsi giustizia da solo. Cosa che non è possibile, su questo la morale del romanzo è chiara, come è altrettanto netto il sentimento che a Duca fa dividere le persone in buoni e cattivi: il rispetto, o una persona riesce a guadagnarselo, o finisce nella lista nera. Ma non è che basti il rispetto per far chiudere un occhio alla polizia, sia chiaro. Qui siamo di fronte a uomini tutti d’un pezzo.

Gli anni settanta sono già qui

Mi è piaciuto. Mi hanno convinto i personaggi, le atmosfere, una Milano che anticipa gli anni settanta (il libro è stato scritto nel 1966), il finale. Forse, un po’ troppi dialoghi da gangster anni trenta e quello che io considero sempre un errore, dare per scontati alcuni particolari, rimandando ad altre uscite delle serie la soddisfazione della curiosità. Se per Duca, e Scerbanenco, due personaggi sono importanti, e lo sono, ci deve raccontare di più, a costo di ripetere tra un volume e l’altro. Ma a parte queste piccole note di contorno, un romanzo che sicuramente consiglio ai nostalgici dell’hard boiled alla Chandler.

Ma chi sono i traditori di tutti? 

“…non si può, non si può, la legge proibisce di ammazzare le canaglie, i traditori di tutti, anzi specialmente questi che devono avere sempre un avvocato difensore, un processo regolare, una regolare giuria e un verdetto ispirato alla redenzione del disadattato, mentre invece si può, senza alcun permesso, innaffiare di proiettili due carabinieri di pattuglia, o sparare in bocca a un impiegato di banca che non si sbriga a consegnare le mazzette di biglietti da diecimila, o mitragliare in mezzo alla folla, per scappare, dopo una rapina, questo si può, ma dare un buffetto sulla rosea gota al figlio di baldracca che vive di canagliate, questo no, la legge lo proibisce, è male, non avete capito niente di Beccaria, no, lui, Duca Lamberti, non aveva capito niente Dei delitti e delle pene, era un grossolano e non aveva speranza di raffinarsi, ma gli sarebbe piaciuto incontrare quelle canaglie, lui glieli avrebbe dati, i buffetti sul viso.”

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Daniel Pennac – La prosivendola

I Malaussène di Daniel Pennac sono una droga. Dopo essere entrato nel loro mondo, non puoi fare a meno di andare avanti. La prosivendola è il terzo atto di questo psicodramma che stavolta lascia il capofamiglia in panchina, mentre la sua famiglia d’origine e non cerca di risolvere l’ennesimo mistero. Che in questo episodio li colpisce pesantemente…

Trama

Per rilanciare le vendite del suo autore di maggior successo, del quale non si devono conoscere né il nome né il viso, la regina Zabo, tirannica regina e geniale “prosivendola” della casa editrice Taglione, decide di reclutare un sostituto che incarni pubblicamente il misterioso J. L. B. L’operazione riesce, ma il sostituto rimane vittima di un attentato durante uno show delirante. Bloccato in ospedale in stato di coma, Benjamin viene ciò nonostante informato degli sviluppi del caso dalla sua tribù, resa tranquilla sulla sua salute dall’affermazione della sorellina astrologa secondo cui Ben vivrà fino a 93 anni.

Un po’ troppo virtuosismo 

Il terzo capitolo della saga non mi ha convinto del tutto. Ci sta che ci sia qualche flessione nelle lunghe serie. Stavolta, a mio parere, Daniel Pennac si è fatto prendere un po’ troppo la mano dal virtuosismo della scrittura, a tutto discapito della storia narrata. Che lo scrittore francese sia dotato di una penna notevole non c’è dubbio, ma ho notato una sorta di autocompiacimento che ha reso difficile seguire quello che stava accadendo ai personaggi. Anche aver lasciato in panchina Ben ha forse contribuito alla dissociazione dalla trama. In fondo, Ben è l’anima di questa famiglia, è lui che la porta avanti con determinazione e coraggio. Senza di lui, anche i fratelli sembravano smarriti, come il lettore. Fortuna che c’era Julia a tenere alto il vessillo dei Malaussène. Anche lei, tuttavia, emerge poco, fagocitata dalla regina Zabo, che regina non è per caso. 

Critica al mondo editoriale

Con mio sommo dispiacere, anche stavolta diamo addio a uno dei miei personaggi preferiti, però la sua uscita di scena è geniale. Nonostante le pecche di cui vi ho parlato sopra, e anche se la storia prende il via a fatica,  vale comunque la pena di andare avanti nella serie. La protesta dell’autore respinto, a inizio libro, vale da sola il tempo speso per leggerlo. E anche la critica al mondo editoriale, che premia tutto tranne la scrittura, è non solo condivisibile, ma anche perfettamente espressa. E, quindi, ho già tirato fuori Il signor Malaussène, il quarto capitolo di Ben e famiglia a dir poco allargata.

Come al solito, tra un po ‘ vi saprò dire. E a voi? Piace Pennac? Quale dei suoi romanzi avete preferito? Rinnovo l’invito a scrivermi nei commenti 🙂

Leggi anche:

Il paradiso degli orchi, il primo romanzo della saga Malaussène

La fata carabina, il secondo romanzo della saga Malaussène

Altri romanzi noir

La fata carabina – Daniel Pennac

Dopo Il paradiso degli orchi ho ripreso in mano Il Malaussène di Daniel Pennac, il capro espiatorio in odore di santità. Famiglia sempre più incasinata, capofamiglia che stavolta lascia spazio a una miriade di altri personaggi, sempre ovviamente finendo nel registro degli indagati. E vecchiette in pericolo. Che tanto indifese non sono. E neanche tanto vecchiette.

Trama

Intenta ad attraversare la strada con tutta la circospezione dovuta all’età avanzata, una vecchietta tremolante impugna improvvisamente una P38, prende la mira e fa secco un giovane commissario di polizia… È proprio attorno ai vecchietti che gira il romanzo: vecchietti uccisi a rasoiate, vecchietti a cui la sorellina di Benjamin, Thérèse, legge la mano reinventando ogni giorno un avvenire diverso, vecchietti vittime e vecchietti assassini. Cosa sta succedendo nel mercato della droga parigino? Come mai gli anziani abitanti del quartiere di Belleville sono diventati accaniti consumatori di stupefacenti? E perché se non li fa fuori la droga, vengono uccisi uno dopo l’altro con i sistemi più brutali? A tutte queste domande risponderà Benjamin, ritenuto in un primo momento, come al solito, il principale indiziato.

La giostra gira e si riempie 

In questo secondo appuntamento con i Malaussène, la giostra dei personaggi, sembra impossibile, aumenta esponenzialmente rispetto al primo libro della saga. In un appartamento dalla metratura imponente, almeno penso, Ben decide di ospitare una selva di vecchietti in pericolo, da quando nel quartiere gira un assassino di anziani. Ma chi è che può avercela con questo target di abitanti di Belleville? La criminalità del quartiere? Un pazzo furioso? Oppure qualcuno vuole lucrare e ha trovato una bella fonte di guadagno? Nell’indagine finisce in mezzo anche la bella Julia, la fidanzata di Ben, che rischia di fare una brutta fine. Anche stavolta sono stata catturata dalla rotondità dei personaggi e dalla voglia di trovare la soluzione dell’enigma prima che Pennac la dichiari ufficialmente. 

Nonni e nipoti, siparietti garantiti

Ci sono riuscita a metà, con alcune sorprese in mezzo nel comportamento dei personaggi, soprattutto i poliziotti e un immigrato filosofo. Meravigliosi i siparietti tra i nonnini ospitati da Ben e i piccoli di casa. Quanta forza reciproca possono trarre generazioni così distanti! E l’ingordigia che non ha mai fine  a quali atti criminali può spingere. Ancora una volta Pennac promosso e ho già tirato fuori dalla libreria il terzo della serie, La prosivendola.

Vi saprò dire. E a voi? Piace Pennac? Quale dei suoi romanzi avete preferito? Scrivetemi nei commenti 🙂

Leggi anche:

Il paradiso degli orchi, il primo romanzo della saga Malaussène

La prosivendola, il terzo romanzo della saga Malaussène

Altri romanzi noir