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Jamaica Inn, un fantasy di Daphne Du Maurier

Durante il viaggio letterario Sulle tracce delle grandi scrittrici, mi sono fermata alla Taverna della Giamaica, la locanda che ha ispirato a Daphne Du Maurier l’omonimo romanzo, Jamaica Inn. Atmosfera cupa, vento impetuoso e una giovane che bussa alla porta cigolante di un edificio sinistro…

La trama

Mary Yellan è una ragazza che vive in una fattoria del Devon. In punto di morte, ha promesso alla madre che non sarebbe rimasta sola, ma che avrebbe cercato la zia Prudence per andare a vivere con lei e il marito Joss Merlyn al Jamaica Inn, una locanda sperduta tra le brughiere della Cornovaglia. Qui spera di ritrovare la zia Patience che ricorda, affettuosa e gentile. Arrivata al Jamaica Inn scopre una realtà ben diversa. Joss Merlyn è un  uomo imponente, rozzo e violento e Patience è triste e impaurita, completamente soggiogata dal marito. Sconvolta, decide di rimanere per proteggere la zia e convincerla ad andare via insieme. Vivendo nella taverna, Mary scopre ben presto i loschi traffici dello zio, che usa la locanda come copertura ma in realtà  pratica il contrabbando dalla costa all’interno della Cornovaglia. Jem, il fratello dello zio, le offre il suo aiuto per andarsene, ma la ragazza non si fida di lui. Così cerca l’aiuto di Francis Davey, parroco di Altarnum, che la ospita a casa sua. Nel frattempo, anche il giudice Bassat cerca le prove per arrestare Merlyn e la sua banda…

L’ispirazione

Daphne Du Maurier stessa ha raccontato di avere avuto l’ispirazione dopo che lei e un amico nel 1930 si persero nella nebbia mentre cavalcavano e si fermarono nella notte nella locanda perché troppo pericoloso proseguire. Durante il tempo trascorso nella taverna, si dice che il parroco locale l’abbia divertita con storie di fantasmi e racconti di contrabbando. Più tardi, Daphne du Maurier continuò a trascorrere lunghi periodi presso l’Inn, parlando apertamente a più riprese del suo amore per la località.

Dopo aver visto la locanda, non fatico a credere che si sia persa nella nebbia, né che si fosse innamorata del posto. Perché ancora oggi è esattamente come lo descrive nel libro. E’ incredibile quanto mi sembrasse di essere là con Mary e Jem, in mezzo alla brughiera, al vento selvaggio e alle scogliere maestose della Cornovaglia. La locanda in cui è ambientato il libro ha subito modifiche all’interno, ma non all’esterno, quindi anche l’architettura è esattamente come la descrive lei. Che è bravissima sia a costruire un’ambientazione noir che cattura immediatamente, sia a creare la giusta suspense sulla sorte di Mary. Cosa succederà  a questa ragazza finita in mano a parenti poco raccomandabili? Può davvero fidarsi delle persone con cui si confida? Jem è come il fratello o potrebbe nascere una storia?

Il diavolo e l’acqua santa

Jamaica Inn è in definitiva un bel fantasy che si segue con piacere, anche se certamente non all’altezza dei suoi romanzi più famosi, come Rebecca la prima moglie, per esempio. Questo perché se proprio devo trovargli un difetto, direi che il finale è un po’ tirato via, troppo frettoloso. Mi ha dato quasi l’impressione che l’autrice volesse chiudere il prima possibile, facendo virare un mistery svelato fino a quel momento tassello dopo tassello in un finale quasi consolatorio che poco ha a che vedere con il resto della trama. Rimane comunque una lettura godibile, soprattutto per il bel personaggio femminile che la Du Maurier ha creato. Considerando che scriveva negli anni ’30, una ragazza che anela all’indipendenza e che si muove da sola in un mondo di uomini spesso violenti è indice della visione progressista del mondo di un’autrice e di una donna che rivendica un ruolo femminile che vada oltre il tradizionale angelo del focolare.  Fa da contraltare il personaggio altrettanto riuscito dell’albino vicario di Altarnun. Ovvero quando diavolo e acqua santa s’incontrano, trovandosi reciprocamente attraenti.

Nel 1939 la storia è stata portata sullo schermo da Alfred Hitchcock, con l’omonimo film Jamaica Inn. Su youtube il film integrale gratis.

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Carol, di Patricia Highsmith

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Jamaica Inn: leggende, fantasmi, navi pirata e l’incontro con la quinta scrittrice

Dopo un sonno ristoratore, cullati dal vento forte che a tratti ci è sembrato potesse far crollare la fattoria, ci siamo alzati la mattina di buonumore e in preda a una fame pazzesca. Dopo il cornish cream tea che la padrona di casa ci aveva gentilmente offerto la sera prima, infatti, non ce la siamo sentita di cenare. Scelte che ovviamente si pagano il giorno dopo. La colazione ci è stata servita nella sala da pranzo della fattoria, dove ci siamo ritrovati a banchettare con una full english breakfast vista oceano. Una meraviglia per gli occhi e per lo stomaco: caffè, tè, uova strapazzate, bacon, yogurt e panini fatti in casa, fragole, frutta secca, burro, miele, cereali e biscotti, con la signora che faceva avanti e indietro continuamente per assicurarsi che non fosse poco. Poco??? Sembrava un pranzo nuziale! Siamo grati per aver incontrato sulla nostra strada gente autenticamente ospitale, che ha voluto condividere con noi anche i segreti della cucina. Appena ho chiesto alla mia ospite come avesse fatto i panini, ha tirato fuori il libro di cucina e mi ha invitato a fotografare la ricetta, ha preso dalla cucina una ciotola con l’impasto in lievitazione per farmi vedere come deve venire, mi ha regalato una bustina del lievito secco che usa lei per provarci e mi ha anche chiesto di spedirle la foto dei panini per farle vedere come sono venuti. Con una certa rassegnazione, e tanti saluti festosi da entrambe le parti, ci siamo salutati e abbiamo ripreso il nostro viaggio, a pancia piena e mente leggera.

Direzione

Jamaica Inn stands today, hospitable and kindly, a temperance house on the twenty-mile road between Bodmin and Launceston.

Oggi il Jamaica Inn è una locanda che non vende alcolici e sorge, ospitale e accogliente, lungo la strada dche va da Bodmin a Launceston.

Così Daphne Du Maurier nel 1935 descriveva il pub verso cui siamo diretti nell’introduzione all’omonimo romanzo. Ed è proprio per lei che sto venendo qui, perché è un posto in cui la scrittrice, che visse a lungo in Cornovaglia, amava soggiornare e che le ha dato l’ispirazione per realizzare uno dei suoi romanzi di maggior successo, successivamente trasposto al cinema da Alfred Hitchcock in un film di grande successo.

Non è un posto di passaggio, per arrivare fin qui bisogna essere intenzionati a vederlo e, dopo averci passato qualche ora, leggere il romanzo assumerà tutto un altro sapore. Ora vi racconto perbene (spero). Siamo arrivati più o meno all’ora di pranzo in questa landa desolata, dove praticamente c’è solo questa locanda. E’ subito chiaro come e perché questa costruzione avesse assunto un ruolo centrale come snodo del contrabbando subito dopo la sua costruzione, nel 1750. Formalmente locanda per viaggiatori di passaggio, in realtà veniva utilizzata per nascondere i prodotti di contrabbando che arrivavano via mare. Pare che circa la metà del brandy e un quarto 20170819_122748_LLSdi tutto il tè che veniva contrabbandato nel Regno Unito sbarcasse lungo le coste della Cornovaglia e del Devon. Il Jamaica Inn, in particolare, si trovava in un luogo remoto e isolato, quindi ideale per fermarsi sulla strada prima di continuare verso il Devon e oltre. Nel 1778 fu anche allargato, per includere una stazione per le carrozze, scuderie e una selleria, facendo assumere all’edificio l’aspetto a L che vediamo ancora oggi. Adesso è più banalmente una tappa folcloristica, dove si può dormire, mangiare, bere birra e visitare il museo dei contrabbandieri. La taverna si chiama così non perché nascondesse il rum di contrabbando importato dalla Giamaica, ma prende il nome dalla più importante famiglia di proprietari terrieri locali, i Trelawney, in omaggio al fatto che due suoi membri furono governatori della Giamaica nel XVIII secolo. Secondo gli storici, all’epoca sulla costa della Cornovaglia abbondavano delle gang che attiravano le navi sugli scogli proiettando luci che gli armatori scambiavano per quella dei fari, per poi razziare barche e navi appena queste andavano a infrangersi sugli scogli e loro stessi venivano incaricati di disincagliarle.

Daphne Du Maurier al Jamaica Inn

La storia dei contrabbandieri è molto interessante e avevo già fatto la loro conoscenza a Polperro, Mullion, Lizard Point, Tintagel e Boscastle, ma non è questo il motivo per cui mi sono avventurata fin qui. Sono qui per la quinta delle scrittrici che sono venuta a trovare in questo viaggio letterario. Dopo Agatha Christie, Jane Austen, Virginia Woolf e Rosamunde Pilcher, stavolta voglio incontrare Daphne Du Maurier.

Il Jamaica Inn, infatti, è così famoso perché la scrittrice nel 1936 pubblicò un romanzo di grande successo incentrato proprio sulla storia IMG_6460di una giovane che, alla morte della madre, va a stabilirsi dagli zii, locandieri del Jamaica Inn, senza sapere in quali traffici loschi si troverà invischiata. La stessa autrice ha raccontato di avere avuto l’ispirazione dopo che lei e un amico nel 1930 si persero nella nebbia mentre cavalcavano e si fermarono nella notte nella locanda perché troppo pericoloso proseguire. Durante il tempo trascorso nella taverna, si dice che il parroco locale l’abbia divertita con storie di fantasmi e racconti di contrabbando. Più tardi, Daphne du Maurier continuò a trascorrere lunghi periodi presso l’Inn, parlando apertamente a più riprese del suo amore per la località. Il romanzo è poi diventato un film diretto da Alfred Hitchcock nel 1939, che l’anno successivo diresse anche Rebecca la prima moglie, altro titolo della scrittrice, e qualche anno più tardi il più famoso Gli uccelli.

Il Museo

Abbiamo visitato il museo, soffermandoci in particolare sull’ala dedicata proprio a Daphne. In sua 30memoria, i proprietari del Jamaica Inn hanno ricreato il suo studio, con la scrivania e la macchina da scrivere, insieme a un pacchetto di sigarette “Du Maurier”, chiamate così in onore del padre, famoso attore britannico, e un piatto di  mentine, le sue caramelle preferite. Ci sono poi una serie di oggetti appartenenti all’era del contrabbando e un video che ricostruisce la storia della locanda, che si dice sia infestata dai fantasmi. Secondo la credenza popolare, infatti, nelle notti più fredde, al chiaro di luna si ode il rumore dei cavalli al galoppo e delle ruote, voci che parlano in una lingua sconosciuta, cornico antico?, si scorgono delle IMG_6464ombre che sfrecciano e un uomo che appare e scompare tra le porte in abiti ottocenteschi. E cosa dire della storia più terribile? Molti anni fa uno sconosciuto sedeva al bar bevendo birra. Dopo essere stato chiamato fuori, lasciò la birra e uscì nella notte. Quella fu l’ultima volta che venne visto vivo. La mattina seguente, il suo cadavere fu trovato nella brughiera, ma le cause della morte e l’identità del suo aggressore rimangono ancora un mistero. la cosa strana, fu che in molti l’avevano visto seduto su un muretto. I padroni di casa, sentendo dei passi di notte lungo il passaggio che conduce al bar, credevano fosse lo spirito dell’uomo morto che tornava per finire la sua birra. Nel 1911, suscitò sconcerto nella stampa la notizia di uno strano uomo che era stato visto da molte persone seduto sul muro fuori dall’Inn. Non parlava, né si muoveva, né rispondeva a un saluto, ma il suo aspetto era simile a quello dello straniero assassinato. Potrebbe essere il fantasma del morto? E quale strano obbligo lo porta a ritornare così spesso al Jamaica Inn?

Ci sono davvero i fantasmi?

Vi ho spaventato? No, vero? Infatti anch’io mi sono fatta due risate. Ora però dovete avere pazienza e leggere cosa mi è successo appena uscita dal museo. Ho chiesto al ragazzo del bar di darmi una birra “leggera”. Mi sono alzata da tavola ondeggiando, in qualche modo sono arrivata al bagno e il cellulare mi è caduto nella tazza. Mentre asciugavo il cellulare sotto l’aria calda, mi è sembrato di sentire l’eco di una risata. Un contrabbandiere si è forse divertito con me?

Arrivederci Cornovaglia

Apatica e muta, tipo lo straniero assassinato, vi devo dire che la mia esperienza favolosa in Cornovaglia finisce qui. Il mio è un arrivederci, ne sono sicura, e il viaggio letterario va avanti. Lasciatemelo però affermare con il cuore in mano: la Cornovaglia è un luogo dell’anima, e se ci ho convinto a fare un viaggio come il mio che comprende delle tappe in altre regioni del Regno Unito, datemi ascolto, lasciatela per ultima. Perché dopo essere stati rapiti e ammaliati da questa terra magica, il resto vi sembrerà niente. O quasi. Domani vi racconterò di Salisbury, della Magna Charta e dell’orologio più antico del mondo.

(continua)

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Morte in ascensore – Cornell Woolrich

Ho appena finito di leggere questo racconto giallo davvero intrigante, scritto dall’autore americano Cornell Woolrich nel 1938 come parte di una raccolta intitolata “After-Dinner Story” che comprendeva al suo interno anche il celeberrimo “La finestra sul cortile”, portato sullo schermo da Alfred Hitchcock. Tutto parte da quello che sembra un banale incidente dalle conseguenze purtroppo mortali, invece piano piano si dipana una matassa che porta a una conclusione davvero sconvolgente.

Trama 

Un gruppo di uomini sale sull’ascensore di un grattacielo, che improvvisamente prende velocità e finisce per schiantarsi al suolo. Nell’impatto muoiono il manovratore e un’altra persona. Quando, però, i superstiti vengono tirati fuori, i soccorritori si accorgono che è deceduto un terzo uomo, forse per un infarto. Uno degli occupanti della cabina, Stephen MacKenzie, è poco convinto, perché fino a poco prima che li tirassero fuori l’aveva sentito parlare e stava benissimo. L’altro è il padre del ragazzo deceduto, che non si rassegna alla sua morte ed escogita un piano diabolico per stanare l’assassino…

L’inventore del genere noir

Non conoscevo l’autore, Cornell Woolrich, che è addirittura definito come l’inventore del romanzo noir e che ha scritto diverse sceneggiature e racconti per il cinema. Suo è, per esempio, il racconto  It Had to be Murder, che fu rinominato Rear Window (La finestra sul cortile) e che divenne l’omonimo film di Alfred Hitchcock. Morte in ascensore è un racconto diabolicamente costruito, nel quale la tensione cresce con il numero di pagine, fino ad arrivare al gran finale. Purtroppo, se decidi di uccidere la persona sbagliata, le conseguenze sono inevitabili. In questo caso, un padre che non accetta la semplice tesi dell’incidente e che vuole vederci chiaro. Se poi questo padre ha anche abbastanza sangue freddo da organizzare una trappola per l’assassino, toccherà a questi dimostrare di essere più scaltro delle vittime.

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Altri titoli noir 

Carol, di Patricia Highsmith

Oggi chiameremmo Carol, di Patricia Highsmith, un romanzo di formazione, o young adult. Allora, era il tentativo coraggioso di dire alle donne “prendete la vita in mano e fate le vostre scelte, libere dai condizionamenti esterni”. Tema prepotentemente attuale, a me sembra.

Trama

Tutto inizia con gli auguri di Natale che la giovane commessa di un grande magazzino Therese invia a Carol, una elegante signora che ha acquistato una bambola per sua figlia. Inizia per la ragazza, aspirante scenografa teatrale, un lungo percorso dentro se stessa e in giro per gli Stati Uniti, alla ricerca della sua identità. Therese è fidanzata e promessa sposa, Carol è più grande di lei e sposata. Eppure, l’attrazione che sentono l’una per l’altra è più forte degli obblighi sociali. Almeno per Therese. Ma Carol potrà mai rinunciare alla figlia e alla sua vita dorata per una ragazzina appena conosciuta? E Therese, riuscirà a capire se quello che vuole davvero è un futuro irto di difficoltà?

Il prezzo del sale

Nella versione inglese, la prima integrale, il romanzo non si chiama Carol, ma il prezzo del sale. All’epoca, però, andava di moda dare nomi femminili ai romanzi per donne. E questo in parte lo è. Quasi tutto scritto in prima persona, dal punto di vista della giovane Thérèse, non esplicita mai chiaramente di cosa stiamo parlando. Ed è proprio questa la sua forza, creare un’atmosfera sospesa di dubbi, incertezze, sentimenti che si affacciano prepotenti e a cui bisogna dare un nome. E, dall’altra parte, una donna più matura, che sa, capisce immediatamente e che ha tanto, tantissimo, da perdere. E tutto questo per cosa? Per una commessa poco più che bambina? Ammettiamolo: tutti ci aspettiamo un finale di un certo tipo. Sarà così che finirà? Con un sogno irrealizzabile? Ve lo lascio scoprire con la lettura. 

L’opera coraggiosa di una giovane donna 

Intanto, vi dico che siamo di fronte a un‘opera coraggiosa, sia per il tempo in cui è stata scritta, gli anni ’40, sia per le tematiche lgbt al femminile, materia rara da portare in pubblico. Eppure, nella postfazione Patricia Highsmith racconta di aver scritto questo libro a soli 27 anni, quando viveva da sola in un monolocale a New York. Le venne l’idea una sera, di ritorno dai grandi magazzini nei quali nel 1948 stava lavorando come commessa per il periodo natalizio. A quel tempo, aveva già pubblicato Delitto per Delitto, un romanzo comprato dal grande Alfred Hitchcock che l’aveva portato con successo sullo schermo. Con la vendita di quel libro il suo editore l’aveva catalogata come giallista.

Il rifiuto di pubblicare

Ma Carol non è un giallo e Patricia Highsmith è costretta a trovarsi un altro editore perché il suo si rifiuta di pubblicarlo. Il libro alla fine esce nel 1952 con uno pseudonimo, Claire Morgan, stavolta per non essere etichettata come romanziera lesbica. L’anno dopo, con l’edizione economica, il libro vende quasi un milione di copie e l’autrice riceve per anni migliaia di lettere di ringraziamento.

L’avete letto? Vi è piaciuto? In questi giorni trovate anche il il film del 2015 su Raiplay, interpretato da Cate Blanchett, Rooney Mara e Kyle Chandler. 

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http://www.pennaecalamaro.com/2018/01/08/964/