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Il vino Rossovermiglio di Benedetta Cibrario

Rossovermiglio è il romanzo d’esordio di Benedetta Cibrario, vincitrice con questo suo lavoro del premio Campiello 2008. Una storia non proprio originale, che si legge però con piacere.

Trama 

Torino 1928. La diciannovenne Manuela è costretta dal padre a decidere chi sposare tra cinque uomini di buona famiglia. Non piacendole nessuno di loro, sceglie Francesco Villaforesta, un uomo al quale si sente accomunata dalla passione per i cavalli. Il matrimonio naufraga immediatamente e la giovane si rifugia in Toscana, nella tenuta “la Bandita”. Lì Manuela inizia una “convivenza” con Trott, un uomo sposato conosciuto durante il viaggio di nozze a Parigi e poi rivisto a Torino. L’uomo dimostra grande abilità nella coltivazione del vino e grazie a lui Manuela fa nascere il Rossovermiglio, dal “colore della luna in certe sere limpide”. Ma anche il rapporto con Trott finisce improvvisamente quando lui sparisce senza spiegare perché. Ormai anziana, Manuela decide di organizzare una cena per rivedere un’ultima volta gli amici della giovinezza, incluso Trott. Inaspettatamente, però, riceve una lettera dal marito, quel Villaforesta da lei tanto disprezzato…

Solitudine, silenzi, menzogne

L’autrice traccia quasi un secolo di storia, dal fascismo ai giorni nostri, raccontandolo attraverso la voce della contessa. L’ottantenne Manuela rivive il suo percorso di vita, alternando passato e presente, ricordi e accadimenti. Ne esce il ritratto di una donna che per sfuggire al tessuto sociale di appartenenza, troppo rigido e convenzionale si isola, quasi, trovando solo nel contatto con la terra e nel lavoro una ragione di esistere. Gli altri personaggi, e lei stessa in fondo, rimangono arroccati nei loro privilegi, schiavi delle etichette e di un mondo che cambia sotto i loro occhi e nel quale rischiano di perdere tutto quello che (non) hanno costruito, ma che posseggono solo in virtù della discendenza. Manuela cerca passione e amore, troverà solitudine, silenzi, menzogne. Anche le sue, perché il tessuto sociale penetra nelle ossa e non è facile liberarsene.

Il finale è spiazzante

Il finale è spiazzante e movimenta una narrazione che fino a quel momento scorre placida e senza grandi colpi di scena. Una trama forse non originale, ma che si legge con piacere. Peccato per la trasposizione poco emozionale dei fatti storici che accompagnano la vita di Manuela. Leggendo senza sapere nulla dell’autrice, ho pensato che le vicende della guerra dovessero essere per lei qualcosa di così distante da non riuscire a far immedesimare il lettore nella tragica atmosfera dell’epoca. E non mi sbagliavo.

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Una vita, di Guy de Maupassant

An Invisible Sign of My Own – Aimee Bender

Romanzo d’esordio di Aimee Bender, che dal 2000, anno di uscita di questo libro, ne ha fatta di strada. Io lo conservo in libreria come uno dei titoli che mi hanno colpito di più e inaspettatamente. Considerando anche che l’avevo comprato a scatola chiusa, attratta dalla trama e dalla foto di copertina.

Trama

Mona Gray ha vent’anni ed è innamorata dei numeri fino all’ossessione: l’ordine e la precisione dell’aritmetica le servono a difendersi dall’instabilità del mondo. Da quando il padre ha contratto una misteriosa malattia, infatti, Mona ha bloccato ogni aspirazione, ha paura di innamorarsi e si rifugia in una serie di piccoli gesti e oggetti scaramantici. Ma quando viene assunta come insegnante di matematica alle elementari, la sua vita sembra poter cambiare irreversibilmente.

Consigliato ai numerologi

Romanzo che consiglio vivamente a matematici, numerologi e a tutti quello che credono che il destino sia in fondo racchiuso in cerchi, esagoni, numeri primi o tripli e moltiplicazioni. E soprattutto a chi riesce a vedere un 7 nella forma di un’ascia. Perché si divertiranno a vedere il mondo che conoscono bene.

Sconsigliato a chi si aspetta realismo

Sconsigliato, invece, a chi si aspetta situazioni realistiche e personaggi o dialoghi da inquadrare nella normalità della vita. Aimee Bender ci offre uno spaccato delle percezioni di Mona e la visione di un mondo favolistico filtrato dalle sue percezioni. Ora, non siamo di fronte a una ragazza comune, né lo sono i personaggi che le ruotano intorno. Tutti loro vivono in funzione delle loro psicosi, talmente potenti da impedire di vivere la vita in modo aperto e sereno. Al contrario, i riti scaramantici diventano la regola, un modo per rimanere al mondo e allontanare la paura che li domina. Leggetelo in quest’ottica e sono convinta che vi piacerà. 

Invece, chi l’ha letto che ne pensa? Raccontatemi nei commenti 🙂

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Il tratto dell’estensione – Adua Biagioli Spadi

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La lista di Charlotte – Brenda Cullerton

Un’assassina seriale nella New York dei ricchi mi ha intrigato subito. Soprattutto se l’assassina in questione è un’insegnante di yoga, che dovrebbe insegnare tutt’altro. Tra un om e un namasté, mi viene il sospetto fondato che ogni insegnante prima o poi debba aver immaginato di far fuori i suoi allievi. Soprattutto quando hanno l’arroganza del potere. Chissà, forse Brenda Cullerton è una di loro…

Trama

New York. Upper East Side. Charlotte Wolfe è una talentuosa interior designer al servizio di una clientela ricca sfondata. Sa bene che il suo successo le è costato caro. Lavorare per clienti spaventosamente magre, venali e insensibili la sta facendo letteralmente “uscire pazza”. Così, si auto investe della missione di “sfoltire” le fila di queste mostruose creature, armata di tappetino yoga e attizzatoio. A ogni nuovo omicidio, la tensione s’ispessisce e aumentano le probabilità di essere colta in flagrante… Ma chi potrà dubitare dell’insospettabile Charlotte?

Siamo tutti vittime e carnefici

Come rovinare una buona idea con un finale troppo semplicistico. Charlotte è una trentasettenne in guerra con le ricchissime bionde patinate dell’upper east side, descritte come “inutili soggetti di cui il mondo farebbe meglio a liberarsi”. Charlotte interpreta alla perfezione il ruolo di angelo vendicatore, l’unica ad avere il coraggio di mettere in pratica quello che “personal trainer, arredatori, stilisti e fisioterapisti di Manhattan sognano ogni giorno della loro vita”. Cioè uccidere le loro dispotiche, viziate e superficiali clienti.
La personalità della protagonista è complessa, disturbata, ossessiva. Eppure, in qualche modo, non sono riuscita a prendere le sue parti, né quelle delle vittime. Forse perché, in qualche modo, siamo tutti vittime e carnefici allo stesso tempo?
Poi, nel finale, Brenda Cullerton inciampa vistosamente su una conclusione improbabile. Come inverosimili sono anche gli stereotipi tipicamente americani sugli stranieri: russi di cui non fidarsi, italiani truffaldini, eccetera. Peccato, perché gli elementi per un ottimo thriller c’erano tutti.

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Tua – Claudia Piñeiro

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Noi, i ragazzi dello Zoo di Berlino – Christiane F.

Il libro autobiografico intitolato Wir Kinder vom Bahnhof Zoo (titolo italiano Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino) descrive la discesa all’inferno di Christiane F., dal trasloco a sei anni dalla campagna di Amburgo al quartiere-dormitorio berlinese di Gropiusstadt, l’infanzia difficile, la tossicodipendenza e la prostituzione iniziate fin dalla preadolescenza. Questo drammatico saggio-denuncia destò molto scalpore in tutto il mondo e fu tradotto in diverse lingue, diventando un controverso simbolo per la generazione che più di tutte subì le conseguenze dell’abuso di stupefacenti. Al libro è seguito nel 1981 il film.

Ritratto impietoso

Ne esce un ritratto della società berlinese degli anni ’70 impietoso. Famiglie assenti, o talmente deboli da risultare impotenti, scuola indifferente, polizia tollerante ma esclusivamente punitiva nei confronti di ragazzini forse ancora recuperabili, centri giovanili religiosi inconsapevolmente (?) ricettacolo di pusher, medici e psicologi che curano i sintomi, ma non le cause. In mezzo, Christiane in cerca di un’identità che erroneamente trova nell’uniformarsi a un gruppo, per sembrare “paracula”, “tosta”, “giusta”. Senza chiedersi perché, senza domandarsi per chi, senza trovare la forza di chiedere aiuto. O, piuttosto, cercandolo nella madre, che non capisce, non vuole vedere, non riconosce nel suo angelo quel demonio che la spinge sempre più in basso, fino a una morte certa. Quella morte che coglie senza sorpresa Axel, Stella, Babsi, e tanti ragazzi senza volto come loro, che una mattina diventano un trafiletto del giornale. Quella morte in solitudine che li aspetta alla fermata della stazione del giardino zoologico, la Banhof zoo.

Soli

Soli, come i tossicodipendenti non possono che essere, perché i loro rapporti sociali si basano esclusivamente sull’egoismo e la necessità di rimediare la dose quotidiana. Stop. Non c’è spazio per altro. Forse è proprio questo l’aspetto più sconvolgente del saggio di Christiane F., i giorni che si susseguono uguali, uno dopo l’altro, in un meccanismo che sembra poter essere interrotto solo dal viaggio finale, nella sua attesa. Quando, per salvarla, la madre la mette su un aereo, lei prova orrore nei confronti dei parenti che si divertono al centro commerciale, tutti uguali, tutti senza valori veri. Christiane rifiuta l’omologazione, eppure vuole omologarsi a centinaia di altri tossici senza nome. E’ in questo eterno conflitto con se stessa che vedo il nodo del libro. Christiane non si accetta, non ha abbastanza personalità per farlo, e trasforma la sua debolezza in un’arma. “Guardatemi, sono un’adolescente perduta. Sono il risultato vivente dei vostri errori”.

Da leggere

Terribile, sconvolgente, eppure da leggere, assolutamente. L’avevo già affrontato da adolescente e mi aveva scosso profondamente. L’ho riletto oggi, da adulta, e finalmente vedo Christiane F., e gli altri personaggi, per quello che realmente sono, niente di più. Non è un caso, forse, che oggi l’unico a essersi veramente tirato fuori dai guai è il dolce Detlef. Christiane Vera Felscherinow, invece, è rimasta fedele a se stessa, dalla Banhof zoo, in fondo, non è mai veramente uscita. Ma di questo parlerò nella recensione al libro che ha pubblicato due anni fa, “La mia seconda vita”.

Noi ci immaginiamo di comprarci la cava di calce quando non verrà più sfruttata. E lì sotto ci vogliamo costruire delle case di legno con un enorme giardino pieno di animali e con tutto quello di cui uno ha bisogno per vivere. L’unica strada che c’è per arrivare alla cava la vogliamo chiudere. Non avremmo comunque più alcuna voglia di ritornare su.”

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Segnalo questo interessante documentario di quasi un’ora sulla storia di Christiane F., con interviste, spezzoni dell’epoca e molti temi su cui riflettere.

Ich bin Berliner: il mio viaggio a Berlino

Olimpiche, storie immortali in cinque cerchi – Luca Pelosi

Luca Pelosi e le storie olimpiche. Le olimpiadi di Rio de Janeiro sono appena finite e abbiamo ancora tutti nel cuore e negli occhi quelle immagini e quelle emozioni che solo le olimpiadi sanno regalarci. Per allungare un altro po’ questa sensazione, mi sono regalata questo libro di racconti legati alle olimpiadi. Che di emozioni ne regala parecchi.

Trama

Le Olimpiadi hanno tanti volti, personaggi e storie che le rendono speciali. Uniche, perché le Olimpiadi hanno qualcosa di diverso. Sono il posto dove puoi trovare storie che emozionano, appassionano, insegnano. Storie dove la rivalità diventa amicizia, la debolezza diventa forza, la morte diventa vita. 

I cinque cerchi

Nell’anno delle olimpiadi di Rio, Luca Pelosi ci regala una serie di racconti “olimpici” che vanno oltre quello che accade in campo, divisi giustamente in cinque cerchi. Solo che i cerchi, invece di rappresentare i continenti, qui simboleggiano i valori più alti dell’uomo: amicizia, amore, coraggio, giustizia, saggezza.

Da leggere

Dico solo una cosa: da leggere. Alcuni faranno piangere, altri sorridere, altri ancora riflettere intensamente sul significato profondo della parola sport. Quello vero, di chi soffre, combatte, lotta e si rialza. Il doping, gli affari, i soldi, il marketing. Lasciateli fuori, o voi che entrate in questo mondo parallelo. E meraviglioso.

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Indoor: la nostra storia, Dominic Cobello con Mike Agassi

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Una corsa per amore, il mio secondo romanzo

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