Corea del Sud: continua il giro a Jeju

La prima giornata a Jeju è stata fantastica: il tunnel di lava di Manjanggul Cave, il monte Seongsan Ilchulbong, ma soprattutto loro, le haenyeo, mitologiche donne pescatrici che sono il motivo per cui mi sono spinta fino a qui. Ma Jeju, ovviamente, è un’isola grande e di cose da vedere e fare ce ne sono a bizzeffe. In questa seconda parte del giro di Jeju, vi racconterò quello che ho fatto e visto nell’unica isola autonoma della Corea del Sud.

Il noleggio della macchina

Purtroppo il tempo in questo tipo di viaggi gioca sempre a sfavore e, quindi, ho preferito optare per un noleggio macchina che accorciasse i tempi dei mezzi pubblici e che, sopratuttto, si dirigesse immediatamente verso i punti selezionati. Qui devo aprire una parentesi e lo faccio subito, in modo che lo leggiate quasi sicuramente. Il noleggio macchina a Jeju p un servizio diffuso e molto utile, ma proprio per questo bisogna fare attenzione. Non fate come me: sapete che sono una fautrice dell’organizzazione all’ultimo minuto, ma in questo caso vi consiglio di organizzarvi per tempo e di prenotare con diversi giorni di anticipo. Perché? Perché all’ultimo momento troverete gli autisti improvvisati, come è successo a me. Una persona scortese, che contrariamente alle premesse non parlava una parola di inglese, e con la quale era praticamente impossibile comunicare. Prenotate e andate con le idee chiare, dite esattamente cosa volete fare e dove. Il servizio costa 180-200mila,  won, circa 150 euro, e se scegliete bene li vale tutti. Altrimenti, il taxi driver tenderà a portarvi nei cosiddetti tour dello shopping, facendovi perdere tempo, e a mangiare in posti che conosce e con cui ha degli accordi di suddivisione degli utili. Nonostante tutto, la giornata è andata comunque benissimo e ora vi darò una panoramica delle attività da poter fare.

Dol hareubang (돌 하르방) 

Il “nonno di pietra” è ovunque ed è una presenza rassicurante. Mi sono molto divertita a fare foto ai diversi nonni e nipotini con la faccia da vecchietto e il naso a patata sparsi sull’isola. Dai coreani è considerato una sorta di dio, che offre protezione e fertilità agli abitanti. I bambini lo chiamano anche Buddha di pietra. Come souvenir si trova praticamente in ogni negozietto e anch’io ne ho portato uno a casa. La sua espressione bonaria mi conforta.

Yongduam, o Dragon Head Rock

Forse perché anche molto vicina all’aeroporto, questa roccia di origine vulcanica, alta 10 metri e lunga 30 metri, scolpita dalle onde e dal vento fino a sembrare una testa di drago, da qui il nome, è popolarissima. Tanto che a Jeju è considerata un monumento. La leggenda narra che il drago fosse un emissario inviato da un re per raccogliere un elisir di lunga vita sul monte Halla. Un’altra versione sostiene che il drago fosse fuggito con una sacra pietra di giada, di proprietà del guardiano della montagna (forse il gumiho millenario Lee Yeon di Tale of the Nine Tailed?). Per punizione, il drago il guardiano lo abbattè con una freccia e lo trasformò in pietra proprio dove si trova oggi. I visitatori asiatici la considerano comunque di buon auspicio, perché i draghi neri sono considerati simboli di coraggio, speranza e buona fortuna.

Il tendone del pesce

Ma io so che hanno un altro motivo per visitarla volentieri. Sulla spiaggia, proprio sotto la roccia, le donne di Jeju vendono il pesce appena pescato seminascoste, ma non troppo, da un tendone. In mezzo alle rocce, dove si inerpicano persone vestite anche bene, addirittura donne coi tacchi!, per mangiare il pesce seduti alla buona. Vi assicuro, un’esperienza conviviale come ne ho viste poche in vita mia. La mia idiosincrasia per il pesce crudo stavolta è stata un vero peccato! Non perdetevi quest’esperienza “mistica”, mi raccomando. 

Il museo del tè verde Osulloc (오설록티뮤지엄)

E’ stato aperto a Seogwipo city agli inizi degli anni 2000 per incentivare la tradizione del tè a Jeju. Si trova proprio di fronte ai campi da tè, dove ho fatto una meravigliosa passeggiata solitaria tra i filari. Sospetto, infatti, che i coreani preferiscano di gran lunga l’interno, che architettonicamente somiglia a quei cafè moderni che vediamo nei kdrama. L’esterno simboleggia una pietra da inchiostro e calamaio, l’interno è in legno e acciaio, con il disegno pulito ma caldo che caratterizza questi interni. Dentro, è possibile visitare il museo, assaggiare diversi tipi di tè, fermarsi per un pezzo di torta o un dolce di forme particolari, oppure fare tappa nella sala cosmetici, dove ovviamente c’è di tutto e di più. Io, però, vi suggerisco di passare più tempo fuori che dentro.

Il tè al mandarino e la spiaggia

Ho apprezzato il museo del tè, i campi e il paesaggio,  ma l’esperienza più rilassante da fare sull’isola è, ovviamente, passeggiare sul lungomare. Magari sorseggiando un ottimo tè al mandarino in uno dei piccoli cafè che si trovano sulla strada. Non l’avevo mai assaggiato prima e mi è proprio piaciuto.

I mandaranci

I mandaranci sono una vera e propria specialità locale ed effettivamente meritano, anche se rispetto ai prezzi coreani costano molto di più, ma sempre abbordabili. Oltre ai mandaranci veri e propri, ci sono innumerevoli prodotti e gadget al mandarancio, sicuramente un possibile regalo da riportare a casa.

Il villaggio Folk

Questo è una delle tappe che ci sono state consigliate dall’autista a noleggio. Che dire, ci ha fatto passare da una porta laterale, si è consultato con alcune persone fuori. Tutto un po’ strano e il villaggio finto che più finto non si può. Comunque piuttosto interessante, il signore che ci ha fatto da guida all’interno ci ha raccontato qualche aneddoto sugli abitanti di questi villaggi del passato. In particolare sulle donne, che facevano anche cinque chilometri al giorno con un’anfora sulla schiena per andare a prendere l’acqua. Come già vi ho detto nella prima parte, le donne di Jeju, e della Corea del Sud in generale, erano e sono delle grandi lavoratrici. Immancabili i maiali neri locali e la stanza dove ha tentato di venderci dei cosmetici di latte d’asina che fanno ringiovanire all’istante. Mi ha fatto una bella foto, però. Signore perdonato all’istante.

Il bookcafè più pazzo del mondo

Divertentissimo, trovato sempre durante una passeggiata sul lungomare di Jeju. La scritta “bookcafè” mi ha attirato subito. Sono entrata: dentro, molti libri, nessun caffè. E neanche nessuno dentro, se è per questo. Ancora mi chiedo che tipo di locale fosse e non trovo una risposta.

Tramonto sulla spiaggia

Non ho la lista delle location utilizzate, ma la spiaggia che frequentano Ji Chang-wook/Park Jae-won e Kim Ji-won/Yoon Seon-a quando si incontrano fuori dalla Corea del Sud mi ha ricordato una di quelle in cui ho visto il tramonto a Jeju. Ce ne sono tante, scegliete quella che vi piace di più o che è più vicina al vostro alloggio, ma non fatevi mancare quest’esperienza. Il tramonto in spiaggia è strepitoso. 

Le cascate di Cheonjiyeonpokpo 

Il nome significa letteralmente “il cielo e la terra sono collegati”, perché osservando la cascata, l’acqua sembra cadere dal cielo. Un po’ esagerato, forse, ma l’ambiente è suggestivo. L’area forestale intorno alla cascata ospita diverse varie piante rare, così come il laghetto che circonda la cascata è un habitat naturale per diverse specie di pesci. La cascata è alta 22 metri, larga 12 metri e profonda 20 metri. 

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Corea del Sud: Jeju, il regno delle donne pescatrici

Arrivo a Jeju in un modo a dir poco rocambolesco. All’aeroporto di Busan mi dicono che non c’è posto sull’aereo, eppure ne parte uno al minuto! Allora guardo la mappa: mi segnala un altro aeroporto a circa 80 km di distanza. Perfetto, treno più taxi (avete presente quelli nei kdrama? Ppalli ppalli, lui annuisce e finalmente arrivo all’aeroporto). Ma orrore! I check sono chiusi! Noooo. Allora interviene questa santa di hostess, che avrà avuto vent’anni o poco più. Mi chiede la carta di credito e sparisce dietro. Calma, va tutto bene. Ha solo la mia carta, e non ho contanti, cosa potrà mai succedere? Succede che esce con la carta in mano e la ricevuta del pagamento: ha fatto tutto lei! Vorrei baciarla, ma non posso. Poi mi dice: stia tranquilla, misuro io il bagaglio e la chiamo quando è il momento d’imbarcarsi. Ragazzi, Asiana ha un servizio fantastico. O forse era bravissima lei? Non lo so, sta di fatto che tempo due ore, il viaggio è salvo e atterro a Jeju, nell’isola più grande, e l’unica a statuto autonomo, della Corea del Sud.

Manjanggul Cave

Io sono venuta a Jeju per un motivo solo. Loro, le haenyeo, le donne pescatrici di Jeju. Le conoscete, almeno di nome? La loro storia è fantastica, ma ve la racconto tra un attimo, perché quando arrivo sull’isola…piove a dirotto! Eh, finora mi era andata bene, per essere autunno inoltrato. Ma le isole si sa, hanno un tempo ballerino. E allora rimando l’incontro con le haenyeo ed entro nella Manjanggul Cave. Letteralmente significa “tunnel di lava” e in effetti si scende sottoterra per 113 gradini, per poi ritrovarsi dentro una grotta che sembra un lungo, lunghissimo tunnel. Il tunnel è lungo circa 7.400 metri, con un’altezza massima di 25 metri e una larghezza di 18, misure che lo rendono uno dei tunnel di lava più grandi del mondo.

Manjanggul ha un grandissimo valore scientifico

Perché le formazioni sono ben mantenute nonostante si siano formate oltre centomila anni fa! Proprio per consentire gli studi, e per preservarlo, la maggior parte della grotta è chiusa, abbiamo potuto camminare per un solo chilometro. All’interno di questa sezione aperta, i visitatori possono vedere un gran numero di stalattiti, stalagmiti e pilastri di pietra. Alla fine della camminata dentro il tunnel, c’è un pilastro di pietra alto 7,6 metri, che è registrato come il più grande del mondo. La temperatura all’interno è sui 12° C e c’è molta umidità. Se considerate che quando sono entrata ero zuppa di pioggia, vi lascio immaginare come mi sono immolata sull’altare del sapere scientifico. Il fondo è accidentato, ma facilmente percorribile con scarpe adatte. La visita dura in tutto meno di un’ora, considerando anche le foto suggestive dentro un’ambiente che si presta come pochi. Ricordatevi, però, che sono chiuse il primo mercoledì del mese. 

Le haenyeo

Finalmente, il giorno dopo il sole torna a splendere e io penso che sia il giorno perfetto per andare a conoscere queste fantastiche donne pescatrici. A colazione ne parlo con il padrone del b&b, che però si dice un po’ scettico. Non è la stagione adatta per la pesca, vuole evitarmi una delusione. La temperatura, però, è alta. Mi dico che se non sono solo un fenomeno turistico, ma di pesca ci vivono davvero, allora in una giornata come questa devono uscire. E allora, m’incammino verso il punto in cui ho la concreta speranza di fare la loro conoscenza, il Seongsan Ilchulbong (성산 일출봉, letteralmente Picco dell’alba di Sòngsan). 

Seongsan Ilchulbong

Il monte Seongsan Ilchulbong è davvero spettacolare. Dalla cima di questo antico vulcano ammirerete un panorama mozzafiato, con le acque cristalline dell’oceano a fare da perfetto sfondo. Si chiama così perché dicono che il momento migliore del giorno per visitare la cima del monte sia all’alba, quando il sorgere del sole riempie il cielo di mille colori. Purtroppo posso solo immaginarlo, per arrivarci ci è voluto un po’ di tempo con l’autobus e, soprattutto, non potevo assolutamente perdere la spettacolosa colazione del b&b. La salita, comunque, è consentita a partire da un’ora prima dell’alba, proprio per permettere a chi vuole di arrampicarsi e farsi trovare in cima in tempo per l’arrivo del sole. Con i suoi 182 metri di altezza, non è particolarmente difficile da scalare e la durata media della salita è, appunto, di circa un’ora, al netto di tappe intermedie varie per fotografare, perché ogni angoletto meriterebbe un book fotografico. Ci sono due opzioni: il free trail, a sinistra, o il percorso a pagamento, a destra. Molti fanno i furbi, partono col free trail e poi si spostano sulla destra. Ma voi non fatelo: il biglietto serve a mantenere questa meraviglia.

In cima

Il monte si trova nella parte orientale dell’isola di Jeju e il picco è stato originato dall’attività di un vulcano sottomarino, centinaia di migliaia di anni fa. In salita, c’è un sentiero guidato che si arrampica sulla parete nord-occidentale della montagna. Una volta arrivati in cima, fermatevi ad ammirare lo spettacolare panorama dell’isola vista dall’alto. Da lì, è visibile anche l’interno del cratere, un enorme buco di 600 metri di diametro che rende perfettamente l’idea di quanto debba essere stata violenta l’esplosione che ha dato origine alla montagna.

Scendendo, i cartelli cominceranno a segnalare la presenza delle haenhyeo, che usano le rocce ai piedi del vulcano come base per le loro escursioni subacquee in cerca di abaloni. Questi molluschi, tipici del posto, vengono utilizzati per preparare un’ottima zuppa. Sicuramente li avrete sentiti nominare in qualche kdrama. Ma…perché in ogni drama che si rispetti c’è un ma, io non troverò le haenhyeo dove indicato dai cartelli.

Pesce appena pescato venduto sulla spiaggia

O meglio, lì trovo donne che sgusciano l’abalone e vendono il pesce appena pescato, crudo, con un lavoro a catena fascinosissimo per me che non avevo mai visto una cosa del genere. Purtroppo per me, non mi avvicinerei mai a mangiare il pescato in questo modo, quindi posso solo ammirare le donne che vendono, i coreani che comprano e che se lo gustano su un tavolaccio allestito alla meno peggio. Sanno come divertirsi, non c’è dubbio. La mia mente, invece, corre ai parassiti intestinali e un po’ mi toglie la poesia lo confesso. Meglio continuare a cercare le pescatrici.

Le haenhyeo, trovate! 

Faccio il giro del tornante, torno al via per intenderci, ed eccole lì, esattamente dove avevo previsto. Durante la salita, girandomi a guardare il mare a destra, avevo intravisto dei pallini colorati che subito dopo sparivano. Le boe. Le donne pescatrici pescano indisturbate, mentre il resto della folla le cerca seguendo i cartelli. Infatti, da questa parte della spiaggia non c’è nessuno, giusto una famiglia che pesca granchi con le mani. Per (vostra) fortuna :p ci sono pure io ed eccole qua, in tutta la loro maestosità. Poche, perché siamo fuori stagione, ma stanno lavorando! Per (mia) sfortuna, non ho il coraggio di rivolgere loro la parola e quindi mi limito a osservarle.

Quando ho letto Figlie del mare di Mary Ann Bracht, ho capito cosa devono aver pensato di me:

“…come i turisti che andavano a vedere le haenyeo sull’isola di Jeju…In pochi si sentivano abbastanza sicuri da mettere alla prova le proprie scarse conoscenze di coreano parlando alle tuffatrici, che ridacchiavano e sorridevano a ogni loro tentativo di fare conversazione. “Dovresti essere più riconoscente nei loro confronti – le aveva detto una volta JinHee, quando lei si era lamentata. Almeno si sforzano di parlare con noi. – Ci fissano come se fossimo animali in uno zoo, aveva risposto Emi senza guardare l’amica”. 

Io spero tanto che non abbiano pensato questo di me. Certo, l’espressione non era proprio amichevole, e anche se avessi tentato una conversazione non credo che avrei avuto un gran successo, ma vi assicuro che non vi ho guardato come animali nello zoo, che peraltro odio profondamente e non frequenterei neanche morta. Anzi, vi ho osservato con grande rispetto e ammirazione!

haenyeo copertina logo

Il museo delle haenyeo

Se volete saperne di più su queste donne coraggio, simbolo di forza e resistenza, non fatevi mancare una visita al museo, fortemente voluto dalla comunità dell’isola per rivalutarne la cultura e far conoscere questa figura fondamentale per lo sviluppo dell’isola. Visitando il museo, ho scoperto che si hanno tracce di questa attività di pesca, da sempre in mano alle donne, almeno dal 1600, quando ne fu registrata la presenza su un documento ufficiale. Altre fonti, però, sembrano far risalire la loro nascita addirittura all’epoca precedente la nascita di Cristo. Se fosse così, sarebbe davvero stupefacente. Questa attività, inoltre, ha sempre regalato alle donne di Jeju un’autonomia e una libertà molto più ampie rispetto alle donne coreane, tanto che sono state in grado di contribuire alla resistenza durante la dominazione giapponese.

Sumbi – sori

Quello che mi è rimasto più impresso,visitando le sale del museo, è questo suono “sori”, loro lo chiamano “sumbi”, che emettono quando escono dall’acqua per riprendere fiato dopo l’immersione, e che suona come un fischio. Espirano anidride carbonica per circa uno o due minuti e inspirano ossigeno, emettendo una specie di “ho-ho-ho-o-i”. Questa è una tecnica che hanno sviluppato  per poter continuare a immergersi anche con una breve pausa. Guardate l’espressione del viso: non vi sembra che stia piangendo? 

haenyeo

Ogni immersione potrebbe essere l’ultima

Avrete già capito che quello delle haenyeo è un mestiere molto pericoloso, che mette a dura prova il fisico e la mente delle donne pescatrici. Per questo lavorano sempre in gruppo, per aiutarsi l’un l’altra. E per lo stesso motivo, sanno che ogni immersione potrebbe essere l’ultima. La loro è una storia affascinante a dir poco, se state programmando un viaggio in Corea del Sud, e avete tempo per visitare l’isola, non perdete l’incontro con queste donne stupefacenti.

Il giro di Jeju continua nella seconda parte. Clicca qui per leggere

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Bosudong, il labirinto misterioso dei libri

Bosudong è la fantasia, il mistero, l’avvenimento imprevisto che ti capita in viaggio e che dà un senso non solo al viaggio, ma anche alla vita. Sto esagerando? ora vi racconterò cosa mi è successo mentre visitavo Busan, la “regina del mare” coreana. E dopo aver ascoltato la storia, ditemi voi se la mia meraviglia non è ben riposta.

Un bookcafè qualsiasi…

Tutto inizia con una forte voglia di riposarmi, possibilmente a un tavolino con una tazza di qualsiasi liquido sembri commestibile. Sono appena uscita dal mercato del pesce di Jagalchi e, come vi ho già spiegato, la vista di tutto quel pesce, soprattutto di quello vivo, mi ha un po’ scombussolato. Sulla strada incontro dei ragazzini che mi guardano come se fossi un pesce rosso nell’acquario. Non è la stagione dei turisti stranieri, loro si divertono e vogliono una foto di gruppo. Anche a me sembra divertente e ci facciamo la foto insieme. Subito dopo, attraverso la strada e vedo un’insegna: Boo cafè, la K è saltata.

bosodong ok

Bene, un “boocafè” è proprio quello che ci vuole, ma vi dirò, dall’esterno non c’era niente che mi ispirasse più di tanto, veramente volevo solo un caffè o qualcosa del genere. Entro e capisco immediatamente di essermi sbagliata. Il locale è una vera e propria libreria, stipata in ogni dove, con un angolo caffè e qualche tavolino. Ordino un cappuccino e mi arriva servito in una bella tazza colorata. Fantastico. Tutto mi predispospone al meglio.

bosodong tazza logo

Mi accorgo che la libreria prosegue all’interno con diversi ambienti e gironzolo per curiosare un po’, senza grandi aspettative. Ma a un certo punto, da una delle sale vedo che c’è un’uscita sul retro e, quello che vedo fuori, sembra proprio un banco di libri. Mi sembra di essere finita dentro The king eternal monarch, vi ricordate la scena davanti alla libreria dell’usato? Uguale uguale. Esco e là fuori trovo un mondo parallelo, proprio come succede a Lee Gon nel kdrama! Pazzesco, veramente.

Bosudong 

Insomma, sono finita, del tutto casualmente, nel bel mezzo della Strada dei libri Bosudong. La strada, che in realtà è composta da circa 2 chilometri di vicoli e vicoletti tutti dedicati ai libri con stand che sembrano infiniti, è una goia per gli occhi e il cuore di ogni bibliofilo che si rispetti. E’ fantastico non solo girare per i diversi rivenditori, ma anche occhieggiare quello che scelgono o valutano gli altri. Nel momento in cui sono passata io, essendo mattina, essenzialmente mamme con figli piccoli e studenti. Ve lo dico, se avessi avuto abbastanza tempo, ci avrei passato tutto il giorno. Ed esserci passata dopo aver trascorso due giorni al Tempio di Bomosa ha reso l’esperienza ancora più mistica. Anche perché, la storia di questo Mercato, perché di questo si tratta in fondo, affonda le radici nella cultura e nella storia coreana. Ed è stupefacente a dir poco. Ora vi racconto.

bosodong labirinto logo

La storia di Bosudong

L’atmosfera sonnacchiosa che ho incontrato io a Bosudong non deve trarre in inganno, la storia di queste stradine è tinta di sangue. Il sangue della guerra di Corea. L’area, infatti, era stata aperta per la prima volta negli anni ’50, sulla scia dell’indipendenza della Corea dal controllo coloniale giapponese alla fine della seconda guerra mondiale. Esistevano i presupposti, perché prima della guerra, qui c’era il mercato di Gukje prima che venisse buttato giù. Durante la guerra di Corea, Busan fu dichiarata capitale provvisoria e l’unica città che resistette all’avanzata degli invasori. A un certo punto, fu circondata su tutti i lati, tranne che dal mare. In questo ultimo baluardo di libertà, affluivano profughi da ogni parte della penisola. Alcuni, nella fuga, avevano portato via i loro libri ed erano stati costretti a venderli a poco prezzo, allestendo le prime bancarelle.  Ma come, direte voi, scappano per salvarsi e si portano dietro un peso inutile? Il fatto è che per loro i libri non erano per niente inutili. Anzi, una delle cose più preziose che avessero. Prima della guerra, infatti, Pyongyang e le aree di quella che sarebbe diventata la Corea del Nord, ospitavano una popolazione molto benestante e istruita. Immaginate cosa devono aver passato questi studiosi, o professionisti, nel dare via a poco prezzo quello che avevano studiato e letto per tutta la vita? Immaginateli mentre vanno via e riempiono la sacca di quello che è trasportabile, le pagine simbolo della loro esistenza

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Perdetevi nel labirinto

Non è una storia incredibile? Per questo vi dico, se arrivate fino a Busan, e se amate i libri, questo pezzo di storia coreana è imperdibile. Magari fate al contrario: prima gironzolate per gli stand e poi fermatevi a gustare un buon caffè. Ci sono locali a tema libri e personaggi tutto intorno al mercato, non mancherà certo quello di vostro gusto. Come non mancherà una bancarella a tema che vi farà trovare la perla che stavate cercando. Magari, chissà, appartenuta a un antenato dell’ufficiale Ri Jeong-hyuk prima che incontrasse Yoon Se-ri (Crash landing on you). E sempre a proposito di kdrama, proprio dentro Bosudong è stata girata la scena del tenero bacio tra Louis e Go Bok Shil nell’episodio 8 di Shopping King Louis

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Che ne pensate di Bosudong? Vi piacerebbe visitarlo? Scrivetemi nei commenti le vostre impressioni!

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I miei giorni leggeri leggeri alla libreria Morisaki

Templestay, due giorni nella vita di un monaco coreano

Templestay, un viaggio nel viaggio. Due giorni nella vita di un monaco buddista che ha scelto di ritirarsi in un tempio. Trappola per turisti o esperienza per chi vuole trovare se stesso, come recita il sito ufficiale? Vi racconto tutto sulla mia esperienza nel tempio di Beomeosa, a Busan.

Appuntamento alle 14

Sono arrivata al tempio il sabato pomeriggio, con un autobus che mi ha lasciato a circa un km dal tempio. Il resto, tutto a piedi, in mezzo a una stupenda foresta con i colori dell’autunno.

templestay bosco logo

Appena arrivata nel tempio, la coordinatrice e interprete del programma templestay, volontaria come il resto dello staff, mi ha accolto nella parte degli alloggi riservati a chi decide di vivere quest’esperienza. Mi ha consegnato il cartellino con il mio nome in hangul e alfabeto e la divisa color glicine da indossare per la durata del soggiorno. Poi, ci hanno dato un po’ di tempo per girare nei dintorni, prima dell’incontro con il monaco. Nel frattempo, con gli altri partecipanti al templestay ci siamo un po’ studiati. Quasi tutti coreani, alcune famiglie, una coppietta di francesi e una signora svedese a rappresentare l’Europa.

templestay partecipanti logo

Il monaco si presenta

Dopo un’oretta siamo arrivati tutti e finalmente arriva il monaco. Si presenta subito dicendo di essere un monaco novizio, appena ordinato. Dice anche di essere cresciuto negli Stati Uniti e di essere tornato in Corea del Sud per scegliere la strada della religione subito dopo. Poi, passa a darci le informazioni pratiche sul templestay. Prima di tutto, cosa fondamentale!, come sedersi a gambe incrociate senza rimanere bloccati al momento di alzarsi. Secondo, un accenno sui riti buddisti e su cosa ci aspetta di lì a poco. Informazione che rassicura tutti all’istante, nessuno è obbligato a fare niente. La partecipazione è completamente libera, in tutti i sensi. Quindi, prostrazioni e meditazione sono a discrezione del partecipante, se per motivi ideologici o di salute non può partecipare, è libero di non farlo. Sembra banale, ma vi assicuro che nel corso dell’esperienza, ne capirete l’importanza. Continuate  a leggere e vi darò un assaggio. Finita questa breve introduzione, ci ha accompagnato in un tour di gruppo del tempio.

Il tour del tempio

Il templestay prevede come prima cosa il tour del tempio. La visita è iniziata dal punto più basso, dove ci ha fatto osservare i caratteri “下馬 “, cioè “smonta cavallo” incisi su un pilastro, che in passato indicava agli ospiti che arrivavano a cavallo il punto per lasciarlo.

templestay smonta cavallo logo

Abbiamo proseguito attraverso le quattro porte d’ingresso del tempio: la prima, sostenuta da quattro pilastri di pietra, la seconda contenente quattro feroci guardiani del tempio, la terza che rappresenta il concetto buddista di non dualità e l’ultima, che sorregge un intero edificio. 

primo cancello logo guardiani templestay logo terzo cancello logo

Siamo così arrivati al cortile principale del tempio, da dove con una rampa di scale fino a Daeungjeon, la sala centrale, anche detta “sala del Dharma”.

templestay sala logo

Nonostante sia la sala principale, i due edifici alla sua sinistra e destra sono in realtà i preferiti dai visitatori: a sinistra, un piccolo edificio dietro un’enorme pietra incisa risale ai tempi pre buddisti. Dedicato al dio della montagna, è l’unico posto a Beomeosa dove ai devoti è permesso portare alcol come offerta sull’altare. A destra, Gwaneumjeon Hall è il tempio più popolare poiché è lì che Avalokitesvara, il Bodhisattva della compassione, risponde ai desideri delle persone. La disponibilità del nostro accompagnatore nel rispondere alle nostre curiosità mi ha molto colpito. Come immaginerete, la domanda più ricorrente è: perché? Perché una persona abbandona il mondo e gli affetti per diventare un eremita? Lui ci ha confessato candidamente che la religione non è quasi mai il motivo, o l’unico motivo, per cui una persona decide di farsi monaco. Anzi, sono spesso le vicende della vita, o le difficoltà del percorso, che fanno propendere per una scelta così radicale. Sembrava quasi di avere di fronte il monaco del kdrama Naui Ajusshi, lo ricordate? 

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La cena

Alle 17 scatta l’ora della cena, il barugongyang, cioè il pasto vegetariano dei monaci buddisti. Molto presto, perché prima di andare a dormire è prevista un’altra parte del programma, come vi dirò tra poco. Comunque, questa è la parte del programma a mio avviso in cui sarebbe bene arrivare preparati, perché può trasformarsi in un momento molto imbarazzante. Dovete sapere, infatti, che per i monaci il pasto non è un momento conviviale, come per la maggior parte delle persone. Al contrario, è anch’esso un processo di meditazione. Ragione per cui, non solo il pasto va consumato in rigoroso silenzio, ma anche in fretta! Il tempo ci è stato dato all’inizio, solo quindici minuti per finire tutto. Ora, dovete sapere che io mangio con una lentezza esasperante. Figuratevi, quando ho sentito che ci avrebbero praticamente cronometrato, mi è quasi venuto un colpo. Ero talmente agitata, che non ho sentito la raccomandazione chiave: finite tutto, senza lasciare neanche un avanzo, tranne la radice gialla. Che ho fatto secondo voi? Ho mangiato pure quella! Allora loro, carinamente, ne hanno data una seconda a me e a un altro paio di persone che l’hanno mangiata. E io ho pensato: “che gentili, ne hanno poche e le danno alla straniera”. Quando hanno visto che prendevo le bacchette per inforchettare, l’assistente è arrivata di corsa “stop! stop!”, rompendo il silenzio. Non potete capire come mi ha guardato il monaco. La radice gialla, infatti, serve a sgrassare i piatti a fine pasto e a favorire la digestione. Quindi va mangiata per ultima, dopo un complicato rito di pulizia e impilaggio delle ciotole in un ordine prestabilito.  Hahahahah! Non avevo capito niente! Comunque, subito dopo siamo andati a pulire i piatti in modo tradizionale, con il sapone. Quello lo so fare 🙂

Musica

Dopo cena, scatta la serata danzante. Prima, ci hanno fatto assistere a un’esibizione di tamburi: una squadra di monaci sale su un’apposita torretta, dove è montato un tamburo gigante centrale e suona, dandosi il cambio, o suonando a coppie, senza mai far cessare la musica. E’ stato un momento molto suggestivo, ma anche questo breve, perché prima di andare a dormire i monaci fanno esercizio fisico.

108 prostrazioni

E’ il momento delle 108 prostrazioni. Avete visto il kdrama Vincenzo? A un certo punto Vincenzo e il funzionario si ritrovano nella sala del tempio e gli occupanti del palazzo prima e i due monaci dopo li trovano a genuflettersi.

Che ci fate qui?
Facciamo i 108 inchini.
Così all’improvviso? Perché?
Per liberare i nostri cuori dall’avidità e dall’egoismo.

Nella fase di accoglienza ci avevano spiegato perché sono proprio 108, il numero degli illuminati del buddismo, e ci hanno fatto vedere come farle, avvertendoci che non è necessario farle tutte, perché bisogna sempre rispettare il fisico e i suoi limiti. Un po’ il principio dello yoga, non a caso le prostrazioni ricordano il saluto al sole. Che ve lo dico a fare, non sarei uscita di lì senza averle fatte tutte e 108, ma sono stata uno dei pochi. La maggior parte ha preso il tappetino, ne ha fatta qualcuna e poi ha atteso tranquillamente che finissimo. Nel frattempo, un tamburo e i canti dei monaci davano il ritmo all’esercizio. Considerate che il tempio rimane aperto fino a tardi, quindi noi eravamo mescolati ai fedeli. In questo e in altri templi ho visto che a volte le persone si fermano, fanno tre prostrazioni ed escono (penso sia come l’acqua santa e  il segno della croce per i cattolici).

A nanna

E’ ora di andare a letto, anche se l’atmosfera si è fatta molto intima e piacevole. Le persone sono andate via, regna il silenzio e il buio ha preso possesso del complesso.

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C’è il tempo per una doccia e poi tutti a dormire, su un futon steso a terra, gli uomini in una sala e noi donne in quella dell’accoglienza mattutina, perfettamente pulita per accogliere dodici donne. Accanto a me, la signora svedese. Devo dire che ho fatto fatica ad addormentarmi, anche se non ci sono stati rumori molesti. Per la sveglia del mattino ci hanno dato due opzioni: alle 04:15 per una nuova sessione di tamburi o alle 5 per la colazione. Sono masochista, lo so, ma ho scelto le 04:15, non volevo perdere neanche un secondo dell’esperienza.

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Sveglia alle 04:15 

Dopo aver passato la notte in dormiveglia, quando hanno svegliato le volontarie all’ora convenuta, sono scattata subito in piedi. Dormire per terra l’ho trovato comodo, ma avevo paura di non riuscire a svegliarmi. Fuori è ancora buio e c’è talmente tanto silenzio che il rumore dei passi sulla ghiaia sembra quello degli assassini nei film thriller. Ci avviciniamo alla torretta della sera precedente e assistiamo a una nuova performance dei monaci suonatori di tamburo. Se possibile, è ancora più suggestiva di quella della sera precedente. Non so, è come se chiamassero a raccolta le forze dell’universo. Subito dopo, entriamo nel tempio per le prostrazioni. Non 108 come la sera prima, solo tre. Se la sera precedente l’attività fisica era seguita alla meditazione, al mattino il rito è a al contrario. Prima l’attività fisica, poi la massima concentrazione.

Meditazione

Questa è stata una delle prove più dure del templestay, forse più impegnativa delle 108 prostrazioni. Venti minuti immobili, a gambe incrociate, con gli occhi chiusi, nella posizione yoga del loto. Il monaco ci ha dato il là, chiedendoci di riflettere su questa domanda: chi ero io prima di nascere? Io ho usato un cuscino per stare più comoda e, dopo un po’, in parecchi mi hanno imitato. Sembrano pochi, ma venti minuti in quella posizione ucciderebbero chiunque, se non sei abituato. Avevo già fatto sessioni di meditazione durante le lezioni di yoga, quindi più o meno sono riuscita a portare a termine il compito. Dietro di me, però, è successo di tutto. I più giovani, i coreani figli di chi li ha trascinati lì, si sono alzati e sono usciti. A un certo punto, la sveglia di un telefono a iniziato a squillare ad altissimo volume. Il monaco non si è mosso di un centimetro e neanche i partecipanti, all’inizio. Poi, la ragazza francese ha preso in mano la situazione e, sbuffando, è andata nello spogliatoio per spegnerlo, seguendo il suono. Ovviamente la colpevole si è guardata bene dallo scusarsi per l’interruzione. Come faccio a sapere che era una donna? Perché dopo la meditazione l’ho sorpresa furtivamente a guardare il telefono rosso che la ragazza aveva in mano! Ora so per certo che la signora coreana di solito si sveglia alle 6 di mattina, perché a quell’ora più o meno stavamo meditando. Mentre il telefono squillava, ho aperto un occhio per vedere se qualcuno si alzava per spegnere e, non ci crederete, qualche coreano aspettava tranquillamente seduto con lo specchio in mano. Non c’è niente da fare, ossessionati dall’estetica in ogni contesto.

La meritata colazione

La giornata dei monaci inizia in maniera movimentata, come avete visto. La colazione arriva dopo e più o meno è uguale alla cena, anche se un po’ meno varia. Giusto il tempo di lavare i denti e poi via, verso il secondo tour del templestay.

L’hermitage 

Nel secondo giro, il monaco ci ha portato a fare una breve escursione in uno degli undici eremi situati sulle colline che circondano Beomeosa. Sono dei piccoli templi, in cui i monaci si ritirano durante il periodo invernale. Noi abbiamo visto quello di Cheongnyeonam, che è caratterizzato da un enorme Buddha dorato circondato da statue, che rappresentano animali, personaggi ed elementi del buddismo coreano. Mentre facevamo foto, il posto è davvero molto bello, il religioso ci ha spiegato che i monaci vivono nel tempio inferiore durante la bella stagione e si ritirano in meditazione solitaria durante l’inverno. In questo periodo, passano lunghe giornate senza parlare con nessuno e meditando, anche per venti ore di seguito. Riuscite a immaginarlo? La vita del monaco non è così semplice come potremmo pensare. 

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Tè con il monaco

Siamo alle battute finali, il templestay sta per terminare. Tornando alla base, ci fanno rilassare dandoci i pallini per costruire il nostro braccialetto buddista di legno e, subito dopo, sgomberiamo la sala per prende il tè con il monaco senior. Davanti a una tazza di tè coreano e due dolcetti colorati, il monaco si presta a rispondere alle nostre curiosità. E’ stata una conversazione un po’ difficile da seguire, perché i partecipanti coreani si sono ovviamente dimostrati più curiosi e hanno articolato le domande in modo complesso, tanto che a un certo punto la traduzione è stata certamente più semplificata rispetto alla conversazione. Ma è stata comunque piacevole da seguire. 

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Lo consigli?

Assolutamente sì, il templestay è un’esperienza unica e sincera. A patto che abbiate voglia e un minimo di preparazione per affrontarla. I ragazzi francesi sono andati via prima del termine, evidentemente annoiati. I ragazzi coreani hanno sofferto e anche qualcuno degli adulti. Per tutti gli altri, sono sicura che sia stata un’esperienza entusiasmante, come lo è stata per me. Non ci sono mezze misure, o la amate o la odiate. Solo noi conosciamo noi stessi, sconsiglio di farla come gita turistica senza voglia di riflettere, questo sì. Se invece avete voglia di entrare in un mondo così diverso da quello a cui siamo abituati, vi lascerà qualcosa d’importante.

Allora? Che ne pensate del templestay? Vi incuriosisce come esperienza? La fareste?

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Memorie dal sottosuolo – Fëdor Dostoevskij

Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij  è il secondo audiolibro, dopo Orgoglio e pregiudizio, che inizio e finisco nello spazio di pochi giorni.  Sempre di Ménéstrandise Audiolibri e ascoltato su Spotify. Se state cercando un titolo per avvicinarvi agli autori russi, o a Dostoevskij in particolare, mi sento di consigliarvelo. Soprattutto ora che causa Covid passiamo più tempo nel sottosuolo di casa nostra…

Trama 

A quarant’anni Fëdor Dostoevskij è uscito da poco da una serie di vicende drammatiche (la militanza socialista, la condanna a morte commutata all’ultimo momento, la deportazione siberiana) e, pur praticando un’intensa attività giornalistica, sta ancora cercando la sua strada. “Memorie dal sottosuolo” (1864) è il libro che annuncia i capolavori della maturità. Con i suoi tratti autobiografici, il protagonista delle memorie è un uomo timido, senza risorse e protezioni, che la brutalità della vita sociale respinge nel sottosuolo, e a cui non resta che cercare uno sfogo provvisorio tormentando chi sta ancora più in basso di lui: Liza, misera prostituta alle prime armi, incontrata in una sera di neve bagnata.

Il sottosuolo

Il libro è diviso in due parti. Nella prima, l’autore russo ci introduce al concetto di sottosuolo, quel luogo recondito dove albergano le più infime pulsioni umani. Il protagonista è un uomo apparentemente timido, che sfoga la sua aggressività quando non dovrebbe, che agisce impulsivamente e si pente un minuto dopo, che soffre in una società che lo relega al margine solo perché non accetta le convenzioni e non è simpatico come alcuni suoi colleghi. Che finiscono per avere più riconoscimenti anche senza meriti particolari.

Liza

Anche nella vita privata le cose non vanno meglio. Con il suo unico servitore ha un rapporto difficile, perché non sempre riesce a pagarlo. E si è innamorato di una prostituta, Liza, sulla quale però finisce per sfogare tutte le sue frustrazioni.

La sofferenza è l’unica origine della coscienza 

Quello che Dostoevskij ci apre è il diario di quest’uomo, il suo ritratto più intimo, nel quale confessa quello che in pubblico nessuno oserebbe mai neppure pensare. Seguiamo pagina dopo pagina i suoi ragionamenti e le sue paranoie, trovandolo a volte esagerato, a volte troppo rancoroso, spesso nel giusto. Vi troverete ad esclamare “anch’io!” più e più volte, perché tutti abbiamo un sottosuolo, che il ruolo sociale non raggiunge. E da questo momento in poi, nelle opere di Dostoevskij il sottosuolo non mancherà mai. E sarà difficile accettare che esista, che conviva in noi, che la nostra immagine faccia a pugni con il nostro io più profondo. Ma non è forse vero che La sofferenza è l’unica origine della coscienza? 

Voi l’avete letto? Scrivetemi nei commenti cosa ne pensate 🙂

***

Nei ricordi di ogni uomo ci sono certe cose che egli non svela a tutti, ma forse soltanto agli amici. Ce ne sono altre che non svelerà neppure agli amici, ma forse solo a se stesso, e comunque in gran segreto. Ma ve ne sono infine, di quelle che l’uomo ha paura di svelare perfino a se stesso, e ogni uomo perbene accumula parecchie cose del genere.

Tutti noi ci siamo disabituati alla vita, e zoppichiamo tutti, chi più chi meno. Ci siamo anzi a tal punto disabituati che avvertiamo talvolta una sorta di ripugnanza per ciò che è veramente “vita viva”, e perciò non riusciamo nemmeno a sopportare che qualcuno ce ne parli. Già perché noialtri ormai siamo arrivati a un punto tale che tutto ciò che è veramente “vita viva” lo consideriamo quasi una fatica, quasi un qualcosa che si fa per dovere di servizio, e siamo tutti d’accordo che è molto meglio quello che leggiamo nei libri.

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