Archivi tag: isole

Lisa See, Jeju e le madri di vento e di sale

Se volete sapere tutto, ma proprio tutto, sulle haenyeo coreane, questo romanzo di Lisa See fa per voi. Se, al contrario, volete solo leggere una storia di amicizia e sorellanza, un po’ meno. Venite che vi racconto.

Trama

Le giovani Mi-Ja e Young-Sook sono nate e cresciute sull’isola di Jeju, in Corea, e fin dal loro incontro sono state inseparabili. È il 1938 e sull’isola incombe la minaccia della guerra sino-giapponese. La madre di Young-Sook è la guida delle haenyeo, le pescatrici del villaggio, che per giornate intere si tuffano in acqua e riemergono con il frutto della loro pesca in apnea, unico sostegno delle loro famiglie. Perché a Jeju sono le donne a lavorare, mentre gli uomini si occupano della casa e dei bambini più piccoli. Mi-Ja è la figlia di un collaborazionista giapponese e sarà sempre associata all’imperdonabile scelta del padre. Quando le ragazze cominciano la loro formazione come haenyeo, sanno che stanno per iniziare una vita ricca di responsabilità, di onori, ma anche di pericoli. Quello che non sanno è che il futuro ha in serbo per loro qualcosa di diverso da ciò che sognavano e che non basteranno le centinaia di immersioni fianco a fianco a tenerle unite. L’irruzione della Storia nella tranquilla Jeju, che rimarrà intrappolata per decenni nello scontro tra le due grandi potenze, accrescerà le differenze e plasmerà le vite delle due donne, che affronteranno ogni avversità senza mai arrendersi.

L’amica geniale

Tra le due protagoniste, Mi-Ja e Young-Sook, la voce narrante, c’è un legame che si piegherà ma non si spezzerà ai colpi della vita. Sembra un po’ di rivedere la storia di Elena Greco e Lila Cerullo de L’amica geniale. Un po’ tanto, in effetti. Forse troppo. Lisa See sarà per caso una fan di Elena Ferrante? La storia delle due amiche, la loro sorellanza, viene ben presto fagocitata dai fatti reali che accompagnano tutta la narrazione. E che, per quanto mi riguarda, sono l’elemento più interessante e il motivo per leggere questo romanzo-saggio. 

Il romanzo-saggio

Questa modalità di narrazione va ora di moda. Il saggio romanzato ha lasciato posto a una storia romanzata poco approfondita, a tutto vantaggio dei particolari storici che non fanno più da contorno o ambientazione, ma prendono il sopravvento e il largo, visto che in questo caso parliamo di mare.  Lisa See descrive i fatti storici realmente accaduti a Jeju dal 1938 ai giorni nostri, come l’occupazione giapponese della seconda guerra mondiale, la guerra tra Cina e Giappone e la guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, in maniera minuziosa.Così, spiega molto dell’attuale assetto di quest’isola, nonché le ricadute nefaste che hanno avuto su popoli incolpevoli, che avevano come loro unico obiettivo lavorare e sfamare la famiglia. Il clima di terrore e sospetto innescato dagli occupanti, qualunque fosse la loro nazionalità, ha portato prima miseria e poi morte.

Il 3 aprile 1948

Non dobbiamo pensare che siano fatti confinati nel passato. La fossa comune di quello conosciuto come “Incidente del 3 aprile 1948“, che poi andrebbe chiamato col suo nome, cioè massacro, è stata scoperta solo nel 2008, meno di vent’anni fa. E se penso che i corpi sono seppelliti a pochi metri dalla pista dell’aeroporto in cui anch’io sono atterrata sull’isola di Jeju, mi vengono i brividi. Questa è una parte di storia recente che per noi occidentali è sconosciuta o quasi. Lisa Lee è preparatissima, ha condotto studi minuziosi, si è fatta raccontare le storie di famiglia dagli abitanti e quelle documentate dai professionisti. Ha svolto un lavoro eccellente, a mio parere, molto approfondito, crudo, realistico.
Società matrifocale 
Come super interessante è la storia delle haenyeo e dell’organizzazione sociale matrifocale che fa di quest’isola quasi un unicum. A Jeju gli uomini sono casalinghi, cuochi e babysitter…vi dice niente? Le donne, invece, sono capofamiglia e procacciano cibo e sostentamento per tutti. Nonostante sia riuscite a vederle in azione coi miei occhi e abbia visitato il museo a loro dedicato, penso di aver appreso almeno il 90% di quello che ha raccontato Lisa See su di loro. 
Cadi otto volte, rialzati nove. Per me, questo detto non riguarda tanto i morti che preparano la strada alle generazioni future quanto le donne di Jeju. Soffriamo di continuo ma, a ogni nuova sofferenza, ci rimettiamo in piedi e continuiamo a vivere“. 
A terra, sarai una madre. In mare, le tue lacrime si aggiungeranno agli oceani di lacrime salate che spazzano il pianeta con le loro onde. Di questo sono sicura: se ti impegni a vivere, allora puoi vivere bene“. 
“Ogni donna che entra in mare porta una bara sulla schiena. In questo mondo, il mondo degli abissi, trasportiamo i fardelli di una vita dura”. 

Storia seppellita dai particolari

Sulla parte più strettamente romanzata, invece, Lisa See non è così efficace. Il finale è convincente, le figure di Mi-Ja e Young-Sook anche, due bambine prima, e due adulte poi, che si completano. Io ero come le rocce della nostra isola: frastagliata, ruvida, tutta spigoli ma desiderosa di aiutare e molto concreta. Lei (Mi-Ja) era come le nuvole: in continuo movimento, in continuo cambiamento, impossibile da afferrare o da comprendere appieno. Ma la loro storia finisce per essere seppellita dai particolari più insignificanti. Lisa See sa molto e vuole farlo vedere. Quello che, però, è un pregio per un racconto di storia, non sempre lo è per un racconto di fantasia. Allora non sarebbe stato meglio scrivere direttamente un sagggio?
“L’ho deluso…Non tengo la casa in ordine come faceva sua madre”.
“Non difenderlo e non giustificare le sue azioni come se le compiesse per colpa tua”. 
“Ma forse è davvero colpa mia”.
“Nessuna moglie chiede di essere picchiata”. 
“Secondo te che sapore ha il pane?” chiese Wan-soon un pomeriggio. 
“E il latte di capra?”, mi chiese Min-lee. “L’hai bevuto quando eri all’estero?”
“No, ma una volta ho assaggiato il gelato”. 
“Vuoi diventare una scienziata o una ciclista?” chiesi.
“Voglio fare entrambe le cose. Voglio…”
“Tu vuoi?”dissi, interrompendola. Tutti vogliamo. Ti lamenti quando per il pranzo a scuola ti do una patata dolce, ma io ho vissuto anni interi con una sola patata dolce come unico pasto della giornata”. 
“Puoi fare tutto per tua figlia. Puoi incoraggiarla a leggere e a fare i compiti di matematica. Puoi proibirle di andare in bicicletta, di sghignazzare troppo o di vedere un ragazzo. A volte, tutto quello che fai è inutile e senza senso come gridare al vento”. 
Leggi anche:

Corea del Sud: Jeju, il regno delle donne pescatrici

Arrivo a Jeju in un modo a dir poco rocambolesco. All’aeroporto di Busan mi dicono che non c’è posto sull’aereo, eppure ne parte uno al minuto! Allora guardo la mappa: mi segnala un altro aeroporto a circa 80 km di distanza. Perfetto, treno più taxi (avete presente quelli nei kdrama? Ppalli ppalli, lui annuisce e finalmente arrivo all’aeroporto). Ma orrore! I check sono chiusi! Noooo. Allora interviene questa santa di hostess, che avrà avuto vent’anni o poco più. Mi chiede la carta di credito e sparisce dietro. Calma, va tutto bene. Ha solo la mia carta, e non ho contanti, cosa potrà mai succedere? Succede che esce con la carta in mano e la ricevuta del pagamento: ha fatto tutto lei! Vorrei baciarla, ma non posso. Poi mi dice: stia tranquilla, misuro io il bagaglio e la chiamo quando è il momento d’imbarcarsi. Ragazzi, Asiana ha un servizio fantastico. O forse era bravissima lei? Non lo so, sta di fatto che tempo due ore, il viaggio è salvo e atterro a Jeju, nell’isola più grande, e l’unica a statuto autonomo, della Corea del Sud.

Manjanggul Cave

Io sono venuta a Jeju per un motivo solo. Loro, le haenyeo, le donne pescatrici di Jeju. Le conoscete, almeno di nome? La loro storia è fantastica, ma ve la racconto tra un attimo, perché quando arrivo sull’isola…piove a dirotto! Eh, finora mi era andata bene, per essere autunno inoltrato. Ma le isole si sa, hanno un tempo ballerino. E allora rimando l’incontro con le haenyeo ed entro nella Manjanggul Cave. Letteralmente significa “tunnel di lava” e in effetti si scende sottoterra per 113 gradini, per poi ritrovarsi dentro una grotta che sembra un lungo, lunghissimo tunnel. Il tunnel è lungo circa 7.400 metri, con un’altezza massima di 25 metri e una larghezza di 18, misure che lo rendono uno dei tunnel di lava più grandi del mondo.

Manjanggul ha un grandissimo valore scientifico

Perché le formazioni sono ben mantenute nonostante si siano formate oltre centomila anni fa! Proprio per consentire gli studi, e per preservarlo, la maggior parte della grotta è chiusa, abbiamo potuto camminare per un solo chilometro. All’interno di questa sezione aperta, i visitatori possono vedere un gran numero di stalattiti, stalagmiti e pilastri di pietra. Alla fine della camminata dentro il tunnel, c’è un pilastro di pietra alto 7,6 metri, che è registrato come il più grande del mondo. La temperatura all’interno è sui 12° C e c’è molta umidità. Se considerate che quando sono entrata ero zuppa di pioggia, vi lascio immaginare come mi sono immolata sull’altare del sapere scientifico. Il fondo è accidentato, ma facilmente percorribile con scarpe adatte. La visita dura in tutto meno di un’ora, considerando anche le foto suggestive dentro un’ambiente che si presta come pochi. Ricordatevi, però, che sono chiuse il primo mercoledì del mese. 

Le haenyeo

Finalmente, il giorno dopo il sole torna a splendere e io penso che sia il giorno perfetto per andare a conoscere queste fantastiche donne pescatrici. A colazione ne parlo con il padrone del b&b, che però si dice un po’ scettico. Non è la stagione adatta per la pesca, vuole evitarmi una delusione. La temperatura, però, è alta. Mi dico che se non sono solo un fenomeno turistico, ma di pesca ci vivono davvero, allora in una giornata come questa devono uscire. E allora, m’incammino verso il punto in cui ho la concreta speranza di fare la loro conoscenza, il Seongsan Ilchulbong (성산 일출봉, letteralmente Picco dell’alba di Sòngsan). 

Seongsan Ilchulbong

Il monte Seongsan Ilchulbong è davvero spettacolare. Dalla cima di questo antico vulcano ammirerete un panorama mozzafiato, con le acque cristalline dell’oceano a fare da perfetto sfondo. Si chiama così perché dicono che il momento migliore del giorno per visitare la cima del monte sia all’alba, quando il sorgere del sole riempie il cielo di mille colori. Purtroppo posso solo immaginarlo, per arrivarci ci è voluto un po’ di tempo con l’autobus e, soprattutto, non potevo assolutamente perdere la spettacolosa colazione del b&b. La salita, comunque, è consentita a partire da un’ora prima dell’alba, proprio per permettere a chi vuole di arrampicarsi e farsi trovare in cima in tempo per l’arrivo del sole. Con i suoi 182 metri di altezza, non è particolarmente difficile da scalare e la durata media della salita è, appunto, di circa un’ora, al netto di tappe intermedie varie per fotografare, perché ogni angoletto meriterebbe un book fotografico. Ci sono due opzioni: il free trail, a sinistra, o il percorso a pagamento, a destra. Molti fanno i furbi, partono col free trail e poi si spostano sulla destra. Ma voi non fatelo: il biglietto serve a mantenere questa meraviglia.

In cima

Il monte si trova nella parte orientale dell’isola di Jeju e il picco è stato originato dall’attività di un vulcano sottomarino, centinaia di migliaia di anni fa. In salita, c’è un sentiero guidato che si arrampica sulla parete nord-occidentale della montagna. Una volta arrivati in cima, fermatevi ad ammirare lo spettacolare panorama dell’isola vista dall’alto. Da lì, è visibile anche l’interno del cratere, un enorme buco di 600 metri di diametro che rende perfettamente l’idea di quanto debba essere stata violenta l’esplosione che ha dato origine alla montagna.

Scendendo, i cartelli cominceranno a segnalare la presenza delle haenhyeo, che usano le rocce ai piedi del vulcano come base per le loro escursioni subacquee in cerca di abaloni. Questi molluschi, tipici del posto, vengono utilizzati per preparare un’ottima zuppa. Sicuramente li avrete sentiti nominare in qualche kdrama. Ma…perché in ogni drama che si rispetti c’è un ma, io non troverò le haenhyeo dove indicato dai cartelli.

Pesce appena pescato venduto sulla spiaggia

O meglio, lì trovo donne che sgusciano l’abalone e vendono il pesce appena pescato, crudo, con un lavoro a catena fascinosissimo per me che non avevo mai visto una cosa del genere. Purtroppo per me, non mi avvicinerei mai a mangiare il pescato in questo modo, quindi posso solo ammirare le donne che vendono, i coreani che comprano e che se lo gustano su un tavolaccio allestito alla meno peggio. Sanno come divertirsi, non c’è dubbio. La mia mente, invece, corre ai parassiti intestinali e un po’ mi toglie la poesia lo confesso. Meglio continuare a cercare le pescatrici.

Le haenhyeo, trovate! 

Faccio il giro del tornante, torno al via per intenderci, ed eccole lì, esattamente dove avevo previsto. Durante la salita, girandomi a guardare il mare a destra, avevo intravisto dei pallini colorati che subito dopo sparivano. Le boe. Le donne pescatrici pescano indisturbate, mentre il resto della folla le cerca seguendo i cartelli. Infatti, da questa parte della spiaggia non c’è nessuno, giusto una famiglia che pesca granchi con le mani. Per (vostra) fortuna :p ci sono pure io ed eccole qua, in tutta la loro maestosità. Poche, perché siamo fuori stagione, ma stanno lavorando! Per (mia) sfortuna, non ho il coraggio di rivolgere loro la parola e quindi mi limito a osservarle.

Quando ho letto Figlie del mare di Mary Ann Bracht, ho capito cosa devono aver pensato di me:

“…come i turisti che andavano a vedere le haenyeo sull’isola di Jeju…In pochi si sentivano abbastanza sicuri da mettere alla prova le proprie scarse conoscenze di coreano parlando alle tuffatrici, che ridacchiavano e sorridevano a ogni loro tentativo di fare conversazione. “Dovresti essere più riconoscente nei loro confronti – le aveva detto una volta JinHee, quando lei si era lamentata. Almeno si sforzano di parlare con noi. – Ci fissano come se fossimo animali in uno zoo, aveva risposto Emi senza guardare l’amica”. 

Io spero tanto che non abbiano pensato questo di me. Certo, l’espressione non era proprio amichevole, e anche se avessi tentato una conversazione non credo che avrei avuto un gran successo, ma vi assicuro che non vi ho guardato come animali nello zoo, che peraltro odio profondamente e non frequenterei neanche morta. Anzi, vi ho osservato con grande rispetto e ammirazione!

haenyeo copertina logo

Il museo delle haenyeo

Se volete saperne di più su queste donne coraggio, simbolo di forza e resistenza, non fatevi mancare una visita al museo, fortemente voluto dalla comunità dell’isola per rivalutarne la cultura e far conoscere questa figura fondamentale per lo sviluppo dell’isola. Visitando il museo, ho scoperto che si hanno tracce di questa attività di pesca, da sempre in mano alle donne, almeno dal 1600, quando ne fu registrata la presenza su un documento ufficiale. Altre fonti, però, sembrano far risalire la loro nascita addirittura all’epoca precedente la nascita di Cristo. Se fosse così, sarebbe davvero stupefacente. Questa attività, inoltre, ha sempre regalato alle donne di Jeju un’autonomia e una libertà molto più ampie rispetto alle donne coreane, tanto che sono state in grado di contribuire alla resistenza durante la dominazione giapponese.

Sumbi – sori

Quello che mi è rimasto più impresso,visitando le sale del museo, è questo suono “sori”, loro lo chiamano “sumbi”, che emettono quando escono dall’acqua per riprendere fiato dopo l’immersione, e che suona come un fischio. Espirano anidride carbonica per circa uno o due minuti e inspirano ossigeno, emettendo una specie di “ho-ho-ho-o-i”. Questa è una tecnica che hanno sviluppato  per poter continuare a immergersi anche con una breve pausa. Guardate l’espressione del viso: non vi sembra che stia piangendo? 

haenyeo

Ogni immersione potrebbe essere l’ultima

Avrete già capito che quello delle haenyeo è un mestiere molto pericoloso, che mette a dura prova il fisico e la mente delle donne pescatrici. Per questo lavorano sempre in gruppo, per aiutarsi l’un l’altra. E per lo stesso motivo, sanno che ogni immersione potrebbe essere l’ultima. La loro è una storia affascinante a dir poco, se state programmando un viaggio in Corea del Sud, e avete tempo per visitare l’isola, non perdete l’incontro con queste donne stupefacenti.

Il giro di Jeju continua nella seconda parte. Clicca qui per leggere

Leggi anche: 

Corea del Sud: continua il giro a Jeju

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

La Kents Cavern di Torquay, Gran Bretagna

Figlie del mare – le “comfort women” di Mary Lynn Bracht

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

Colazione da Darcy – Ali McNamara

Una sperduta isola irlandese, un’eredità inattesa e un gruppo sparuto di persone in cerca di un’occasione per ripartire o cambiare la propria vita. Sono gli ingredienti che Ali McNamara mixa in Colazione da Darcy, un romance leggero che sotto l’ombrellone vi porterà un po’ di vento celtico.

Trama

Quando Darcy McCall perde l’adorata zia Molly, l’ultima cosa che si aspetta è di ricevere in eredità un’isoletta in mezzo al mare. Secondo le ultime volontà della donna, però, per entrarne in possesso, Darcy dovrà trascorrere almeno dodici mesi sull’isola di Tara, al largo delle coste occidentali dell’Irlanda. Una bella sfida, non c’è che dire, per una come lei, abituata alla frenetica vita londinese. E così, senza quasi rendersene conto, da un giorno all’altro si ritrova a dover dire addio alle amate scarpe con il tacco per indossare un paio di orribili stivali. Adattarsi alla spartana vita dell’isola sarà un’impresa tutt’altro che facile, ma presto Darcy scoprirà che l’isola ha molto da offrire… Nuovi amici e forse un nuovo amore l’attendono dietro l’angolo: chi, tra l’affascinante Conor e il testardo Dermot, saprà far battere il suo cuore?

Sorvola senza mai atterrare

Gli ingredienti per una compagnia senza impegno di qualche ora ci sono tutti. A tenere insieme il racconto ci pensa l’amore che Ali McNamara nutre per l’Irlanda e che poi ci spiegherà alla fine della storia, dando anche qualche suggerimento di viaggio. La narrazione in sé è semplice, credo che a parte Darcy tutti i lettori abbiano capito qualche pagina prima della rivelazione dei misteri…i misteri. Si fa leggere, e niente più. Tutto sommato per una lettura poco impegnativa sotto l’ombrellone può andare. Personalmente avrei preferito che venisse dato più spazio alle singole storie e meno alle marche di quello che indossano, perché alla fine posso dire di conoscere solo la vita di Darcy e neanche questa più di tanto. Non so, è stato come sorvolare l’isola con un deltaplano, senza mai atterrare.

p.s. per una volta non mi posso lamentare del titolo italiano, che è uguale all’originale. Perché infilare il famoso film e Audrey Hepburn ovunque, anche con un tubino nero che non collima con la storia? E perché chiamare Darcy la protagonista? Di Darcy ce n’è uno solo ed è un uomo 🙂

Leggi anche:

Un’estate così, di Roisin Meaney

Altri libri ambientati in Irlanda

Il mio viaggio letterario: Sulle tracce delle grandi scrittrici

L’isola delle farfalle – Corina Bomann

Sapete che da un po’ di tempo mi sento orfana e sto cercando tra le autrici contemporanee una degna sostituta di Rosamunde Pilcher. Ho letto troppo poco per affermare con certezza che Corina Bomann possa in qualche modo assolvere questa fondamentale funzione nella mia vita. Posso però dire con sicurezza che L’isola delle farfalle mi ha tenuto incollata fino all’ultima pagina…

Trama

È un triste risveglio per l’avvocatessa berlinese Diana Wagenbach. Solo la sera precedente, infatti, ha scoperto che suo marito l’ha tradita. Come se non bastasse, una telefonata dall’Inghilterra la informa che la cara zia Emmely ha le ore contate e vorrebbe vederla un’ultima volta. Non le resta che fare i bagagli e prendere il primo volo verso l’antica dimora di Tremayne House, dove i suoi avi hanno vissuto per generazioni. Diana non può sapere che cosa l’attende. Non sa che in punto di morte zia Emmely le sta per consegnare un terribile segreto di famiglia, custodito gelosamente per anni. Come in un rebus, con pochi, enigmatici indizi a disposizione, a Diana è affidato il difficile compito di portare alla luce che cosa accadde tanti anni prima, nel lontano Oriente, a Ceylon, l’incantevole isola del tè e delle farfalle. Qualcosa che inciderà profondamente anche sul suo destino…

Quattro indizi per un mistero

Nel suo romanzo d’esordio, Corina Bomann mescola sapientemente gli ingredienti del mistero per confezionare una saga familiare che si muove tra passato e presente, svelando piano piano tutte le sue carte. Una foto ingiallita che ritrae una bellissima donna di fronte a una casa tra le palme, una foglia incisa in caratteri misteriosi, una bustina di tè, una vecchia guida turistica: questi sono gli unici elementi di partenza che la zia Emmely affida alla nipote Diana. Da qui, la donna dovrà fare un salto indietro nel tempo, per riconciliare i suoi avi e guardare serenamente al suo futuro. Non sa bene cosa cercare, sa solo che la sua vita ha bisogno di una scossa, di togliersi di mezzo un matrimonio infelice. Scoprirà il segreto della famiglia, l’amore e anche che in lei scorre sangue tamil.

Un altro mondo e un’epoca lontana per sognare

Se ancora non conoscete Corina Bomann, ve la consiglio. Trovo la sua scrittura un tantino superiore a quella di Lucinda Riley, che insieme a lei viene citata come una delle migliori del genere, insieme a Kate Morton. La storia è piacevole, perfetta per i consigli da ombrellone che vi sto dando. Il finale, con quel colpo di scena imprevisto, mi ha commosso. L’isola delle farfalle promossa a pieni voti, senza dubbio. Se proprio devo trovargli un difetto, direi che avrei bilanciato meglio passato e presente, dando più spazio al secondo. Anche il significato della foglia non è propriamente centrato e, chissà perché, Diana dimentica il suo amico tedesco che sta indagando sul contenuto delle foglie. Chissà cosa c’era scritto alla fine? Sono comunque dettagli, il romanzo merita il vostro tempo e vi trasporterà in un altro mondo e in un’epoca lontana. Cosa c’è di meglio per sognare un po’?

Un’estate così – Roisin Meaney

La seconda proposta per i libri da ombrellone si traduce in questo delizioso romanzo di Roisin Meaney, che mi ha fatto degna compagnia sotto il sole e nelle pause tra una nuotata e l’altra. Le avventure degli abitanti di Roone mi hanno conquistato fin da subito e quasi quasi è stato un dispiacere terminarlo. Quanto mi piacerebbe vivere su un’isola, possibilmente semi deserta!

Trama

Nell Mulcahy è cresciuta su un’isoletta al largo della costa irlandese e sta per sposarsi con Tim, un affermato programmatore. Le spese per le nozze, però, sono tante e Nell sta cercando disperatamente un modo per racimolare qualche soldo in più e avere finalmente la cerimonia perfetta che ha sempre sognato. Decide così di affittare durante l’estate il vecchio cottage che possiede sull’isola. Ma con l’arrivo degli ospiti, tutto comincia ad andare a rotoli e anche il suo matrimonio sembra sul punto di essere annullato. Perfino lei dovrà rimettere in discussione le sue convinzioni: la nostra vita è scritta nelle stelle o siamo noi i responsabili del nostro destino? Di sicuro, una sola cosa è certa: sarà un’estate che nessuno sull’isola dimenticherà facilmente…

A casa di Nell

Roisin Meaney ha scelto una costruzione azzeccata. Tante mini storie dentro un unico capitolo. Fin dall’inizio, la storia degli abitanti di Roone è corale. D’accordo, le vicende di Nell e Tim sono il motore principale. Ben presto, tuttavia, ti ritrovi avvolto nelle storie degli abitanti dell’isola e degli ospiti che Nell alloggia a casa sua. Una casa delle favole, quella dove tutte vorremmo abitare. Con un vicino che tutte vorremmo avere. E un aiutante nei lavori faticosi che tutte vorremmo ammirare. Insomma, una vita paradisiaca, tranquilla, senza la congestione del traffico e la fretta di andare da qualche parte che da qualche anno si è impossessata più o meno di tutti. La vita sull’isola è così. Anche nel mio Una corsa per amore, ambientato in Corsica, i ritmi sono placidi e Manon fatica a riabituarsi.

Una bella protagonista 

Nell, invece, è nata per vivere in un posto così, dove tutti conoscono tutti e l’aiuto è reciproco e donato senza riserve. Roisin Meaney ha tratteggiato un bel personaggio, tondo e lineare nei comportamenti. E’ l’amica per definizione, sempre pronta a farsi in quattro per gli altri. Peccato che non sempre venga ripagata con la stessa moneta, soprattutto dal fidanzato. Il quale a sua volta non ha nessuna colpa, se non quella di sentirsi distante, non solo fisicamente perché vive a Dublino, dalle logiche che regolano la vita sull’isola. Sarà il destino di Nell, avere a che fare con uomini che scappano? Perché anche il padre non è che la racconti proprio giusta.

V’innamorerete 

In definiva, un romanzo che vi consiglio. So che amerete Nell, e James, e Moira, e Walter (Roisin Meaney, che mi combini!!!), e Hugh, e i gemelli, e le storie collaterali degli ospiti di Nell. E soprattutto il mio preferito, Andy. So già che la soffitta commuoverà anche voi. Leggete Un’estate così e poi scrivetemi nei commenti cosa ne pensate.

Curiosità

Valentia Island Kerry
Valentia Island Kerry

Roone non esiste, ma la scrittrice consiglia di fare un viaggetto a Valentia Island, nel Kerry, che le ha dato l’ispirazione. Che dite? Suggerimento buono per il prossimo viaggio letterario?

Nel risvolto di copertina della versione italiana, si accenna al fatto che “in paese gira voce che quella casa sia stregata“. Dove? Quando? Che libro avete letto? 🙂

La traduzione è condivisa tra due traduttrici, con pagine ben definite. L’avevo capito prima di guardare il nome del traduttore, non vi dirò perché.

Leggi anche

Cupcake club – Roisin Meaney

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

Il mio viaggio letterario: Sulle tracce delle grandi scrittrici

Altri libri ambientati in Irlanda