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Durian Sukegawa e Le ricette della signora Tokue contro i pregiudizi

Di Durian Sukegawa è uscito da poco l’ultimo romanzo, Il sogno di Riōsuke. Io, in proverbiale ritardo sulle letture, ho recuperato il suo successo inaspettato, Le ricette della signora Tokue. Mi aspettava su uno scaffale della biblioteca di quartiere, in cui sono tornata per la prima volta dopo le chiusure e gli ingressi contingentati dell’era Covid. Ho ritrovato un ambiente familiare, addetti desiderosi di parlare di libri con i (pochi) avventori e quella mania dei libri di attaccarsi alle mani come calamite. Detto fatto, ho portato a casa la signora Tokue e i suoi dorayaki e Yoga, di Emmanuel Carrère, di cui vi parlerò a seguire. Intanto, infiliamoci per un attimo nella tenerezza di questa piccola e anziana donna giapponese, vi va?

Trama 

Sentaro è un uomo di mezza età, ombroso e solitario. Pasticciere senza vocazione, è costretto a lavorare da Doraharu, una piccola bottega di dolciumi nei sobborghi di Tokyo, per ripagare un debito contratto anni prima con il proprietario. Da mattina a sera Sentaro confeziona dorayaki e li serve a una clientela composta principalmente da studentesse chiassose che si ritrovano lì dopo la scuola. Il pasticciere infelice lavora solo il minimo indispensabile: appena può abbassa la saracinesca e affoga i suoi dispiaceri nel sakè, contando i giorni che lo separano dal momento in cui salderà il suo debito e riacquisterà la libertà. Finché all’improvviso tutto cambia: sotto il ciliegio in fiore davanti a Doraharu compare un’anziana signora dai capelli bianchi e dalle mani nodose e deformi. La settantaseienne Tokue si offre come aiuto pasticciera a fronte di una paga ridicola. Inizialmente riluttante, Sentaro si convince ad assumerla dopo aver assaggiato la sua confettura an. Sublime. Nel giro di poco tempo, le vendite raddoppiano e Doraharu vive la stagione più gloriosa che Sentaro ricordi. Ma qual è la ricetta segreta della signora Tokue?

Amore

La ricetta della signora Tokue è semplice: amore. Forse non più così semplice, in un mondo che va sempre più di corsa verso il baratro e lascia indietro le categorie non gradite: i fragili, gli anziani, in generale le persone che non si uniformano a uno standard di vita preconfezionato. Queste anime diverse, però, a volte si incontrano e danno vita a questo sentimento di cui molti hanno paura: amore. Amore contro la violenza, la segregazione, la vita ai margini. Anime che esprimono gratitudine, nonostante tutto. E’ così che Durian Sukegawa descrive l’atmosfera che permea il romanzo, a partire dalla preparazione dell’an, il ripieno di fagioli rossi del dorayaki. 

E gratitudine 

L’an è fatto di piccoli fagioli rossi. Nella realtà un fagiolo sarebbe semplicemente un fagiolo. Ma nella bollitura sono implicite infinite possibilità di moltiplicazioni in termini di peso e forma. Quando noi abbiamo a che fare con dei fagioli da cuocere, dobbiamo porgere i nostri rispetti a tutto l’universo che è presente in un singolo fagiolo. Questa mentalità porta a una reale gratitudine per gli ingredienti che compongono una pietanza”. Così Durian Sukegawa parla della salsa che dà inizio alla storia. La signora Tokue la prepara prestando attenzione al singolo fagiolo. Un atteggiamento quasi incomprensibile per noi occidentali, ma che smuove qualcosa nell’ex galeotto Sentaro. Il quale fino a questo incontro con l’anziana signora aveva una sola religione, la bottiglia, e tanti debiti. Anche la signora Tokue ha avuto una vita difficile e tanti problemi di salute, ma questo non le ha impedito di cogliere il bello di un’esistenza trascorsa ai margini

Ricordi dolciamari

Una storia semplice, una fiaba con finale agrodolce, una ricetta da tramandare e un piatto che scatena ricordi dolciamariDurian Sukegawa, con le sue lauree in filosofia orientale e pasticceria giapponese (sì, esiste anche questa laurea) è riuscito a lasciare un’impronta lieve nella mia anima di lettrice. Saranno diversi i nostri ingredienti e i piatti, ma il sentimento è lo stesso. E poi, di contorno ma non troppo, Durian Sukegawa ci racconta di questa pagina nera della storia giapponese, la segregazione dei lebbrosi nei sanatori anche dopo la guarigione dalla malattia. Retaggi del passato? Un passato più recente di quanto pensassi e, comunque, con un monito sempre in agguato: la diversità fa paura a chi non sa aprirsi a ciò che gli altri hanno da dire. 

“Si tratta di osservare bene l’aspetto degli azuki. Di aprirsi a ciò che hanno da dirci. Significa, per esempio, immaginare i giorni di pioggia e i giorni di sole che hanno vissuto. Ascoltare la storia del loro viaggio, dei venti che li hanno portati fino a noi”.

E per voi? Qual è il piatto che vi scatena ricordi dolciamari?

Curiosità

Dal libro è stato tratto un film, An, per la regia di Naomi Kawase, presentato al festival di Cannes e al Toronto film festival nel 2015.

Leggi anche: 

A sud del confine, a ovest del sole – Haruki Murakami

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Prenditi cura di mamma, di Shin Kyung-Sook

Shin Kyung-Sook con questo romanzo è stata la prima scrittrice a vincere il Man Asian Literary Prize. Premio che non esiste più, ma che veniva assegnato al miglior romanzo di scrittore asiatico tradotto in inglese. Scrittore, non scrittrice. Shin Kyung-Sook sfonda il tetto di cristallo con la storia di una madre che non ha tempo né desiderio di essere altro. Una madre che un giorno scompare, lasciando nei suoi cari tanti interrogativi. Ma soprattutto rimorsi.

Trama 

Park So-nyo, 69 anni, minuta, capelli argentati, scompare, senza denaro e senza documenti, nella sterminata marea umana della metropolitana di Seul. Era arrivata  con il marito nella grande città dalla campagna per andare a trovare i figli: il primogenito, appena diventato dirigente di un’impresa immobiliare; la secondogenita, scrittrice; la terzogenita, madre di tre figli. La sua scomparsa è non soltanto fonte di angoscia e preoccupazione, ma anche di rimorsi e sensi di colpa. Park So-nyo non era più la stessa da qualche tempo. Una volta, rientrando in campagna dalla città, una delle figlie ha trovato la casa materna nel più totale disordine. E la mamma che, seduta nel cortile, si stringeva la testa con le mani. 

Figure monodimensionali

E’ incredibile come, a volte, la nostra percezione delle persone si cristallizzi: la madre, il padre, che so, l’avvocato, lo scrittore. Tutti monodimensionali, tutti con un ruolo ben definito e inamovibile. Mamma è mamma sempre. E sempre e solo mamma. La immaginiamo mai con i suoi sogni e desideri? Pensiamo mai che, forse, nella vita avrebbe voluto fare altro? Essere, altro? Magari non è così, magari si è sempre presa cura di tutti, in casa. Come Park So-nyo, per una vita a completa disposizione della famiglia. E poi? Quando lei ha avuto bisogno di aiuto, chi c’era?

Nessuno

Nessuno. Non c’era nessuno. Questo romanzo è straziante, perché sembra quasi di vederla, questa vecchietta con un principio di demenza senile, forse, che si perde nella caotica Seoul. Come ha fatto a perdersi? Il marito camminava troppo veloce, il figlio grande ha preferito andare alle terme a rilassarsi piuttosto che andare a prendere i genitori, la figlia di mezzo era per lavoro all’estero, la figlia più piccola ha a sua volta tre figli a cui badare, non ha tempo per se stessa, figuriamoci per i genitori. A puntare il dito è un farmacista: non vi eravate accorti?

I vecchi non li vuole nessuno

No, non si sono accorti, ognuno troppo preso dal vortice della sua vita per accorgersi che la mamma aveva bisogno di aiuto. Eppure, i segnali c’erano, erano sotto gli occhi di tutti. Guardate che succede spessissimo, non è qualcosa che può accadere in un mondo diverso dal nostro. Accade ovunque, ogni giorno. Park So-nyo lo sa bene, a un certo punto dice che i vecchi non li vuole nessuno, meglio prepararsi il funerale finché la salute c’è. Infatti, a ulteriore riprova che può accadere ovunque, il romanzo finisce a Roma, non in Corea del Sud. Perché a Roma?

E’ sbagliato annullarsi per gli altri?

Vi lascio scoprire il finale che è molto, molto bello. E molto, molto commovente. Potrei dire che la morale è semplice, abbracciamo e aiutiamo i nostri vecchietti finché sono con noi, ma forse sarebbe paternalistico. Ognuno di noi ha la sua storia. Forse, ha ragione la figlia minore, quando dice “io non sono come mamma, non potrei sacrificare tutto per i miei figli”. Ha sbagliato Park So-nyo ad annullarsi per gli altri? Quello che è successo è il risultato di un carattere troppo accomodante? 

Le voci di tutti

Un romanzo che lancia molti spunti di riflessione, un buon momento per guardarsi dentro e darsi delle risposte. Sto facendo tutto quello che posso? Esisto, in qualche modo? E gli altri esistono per me? Peccato che perda un po’ di mordente nella fase centrale, con dei passaggi quasi da telenovela, per poi riprendersi alla fine. Dal punto di vista stilistico, la scrittrice sceglie di farci sentire le voci di quasi tutti, del figlio, della figlia scrittrice, del marito e anche della signora scomparsa. A volte, utilizzando la seconda persona, a volte la prima. Per farci immedesimare, come se il personaggio parlasse al lettore. O come se qualcuno osservasse il personaggio, dandogli del tu. A me è piaciuto questo stile, mi ha ricordato La donna giusta di di Sándor Márai, anche se ovviamente lontano anni luce come tema.

Il titolo

Il titolo originale è 엄마를 부탁해, Prenditi cura di mamma, e ho deciso di lasciare questo titolo per il post. E’ un titolo molto significativo. Come significativo è il santino che ho trovato nel romanzo, lasciato da qualcuno in un punto di bookcrossing. Ritrae La Madonna con bambino e angeli, attribuito a Longhi della scuola del Garofalo e, sull’altro lato, una frase in latino firmata da papa Benedetto XVI e datata 2007. Lo ammetto, mi è partita la trama. La persona che ha lasciato il romanzo, l’ha comprato in Vaticano? Ha comprato lì anche il santino? L’ha lasciato nel libro appositamente? La mia risposta è sì, sì, sì. E’ come se mi avesse lasciato il testimone: “prenditi cura di lui. E di lei”. E io lo farò. 

E voi? Conoscete quest’autrice? Avete letto qualcosa di lei? p.s. curiosità, per un po’, credo che non avremo novità da parte sua. Nel 2015 è stata coinvolta in uno scandalo, accusata di plagio ai danni nientedimenoche…Yukio Mishima. All’inizio ha negato, ma sembra che alla fine abbia chiesto scusa.

Leggi anche: 

http://www.pennaecalamaro.com/2016/09/07/77/

http://www.pennaecalamaro.com/?s=bambini+nel+tempo

Gli Stivali di gomma svedesi di Henning Mankell

Stivali di gomma svedesi è l’ultimo romanzo di Henning Mankell, conosciuto per i romanzi polizieschi che hanno come protagonista Wallander. Un’elegia alla vecchiaia e un inno alla vita che continua, nonostante tutto. Il protagonista, un medico ormai in pensione che vede andare a fuoco la sua casa. E, con lei, i ricordi di una vita. Ma chi aveva interesse a colpirlo in questo modo? 

Trama

In una notte d’autunno, mentre un vento freddo soffia da nord, Fredrik Welin si sveglia colpito da un bagliore improvviso. La sua casa, ereditata dai nonni materni in una sperduta isola del Mar Baltico, sta bruciando. Prima di fuggire e lasciarsi alle spalle un cumulo di cenere, Welin riesce a infilarsi un paio di stivali di gomma. Calzano entrambi il piede sinistro. A settant’anni, oltre a quegli stivali spaiati, una roulotte e una piccola barca, non gli è rimasto più nulla. Anche le poche persone intorno a lui sono sfuggenti: la figlia Louise che non ha mai veramente conosciuto, l’ex postino in pensione Ture Jansson dalle mille malattie immaginarie e Lisa Modin, la giornalista della stampa locale di cui inaspettatamente si innamora. Tormentato da dubbi e rimorsi, ora che ha perso tutti gli oggetti che costituivano la sua stessa esistenza, Welin sente di trovarsi sulla soglia di un confine umano, parte del gruppo di persone che si stanno allontanando dalla vita. Mentre l’inverno avvolge l’arcipelago al largo di Stoccolma, si continua a indagare sulle cause di un disastro che non rimarrà isolato. E il fuoco che torna a divampare sembra quasi voler illuminare un buio per qualcuno insostenibile. 

Gli elementi per piacermi c’erano tutti, ma…

Un anziano medico lascia la professione per un errore grave e si ritira nella sua casa su un isolotto svedese. Lì, vive senza molti contatti, ma una notte la sua casa va a fuoco. Chi è il piromane? Qualche paziente danneggiato? Oppure…? All’inizio, non si comprende chi avesse interesse a bruciargli casa, anche se secondo la polizia l’incendio è sicuramente doloso. Tra i sospettati ci finisce addirittura lui, solo che altre case subiscono la stessa sorte.

..rimane un po’ di amaro in bocca

A questo punto il mistero s’infittisce, non si comprende chi sia il misterioso incendiario e perché dia  fuoco a queste case, essendo una piccola comunità dove tutti si conoscono da sempre. Si fa largo il sospetto che sia uno di loro il responsabile di questi incendi. Fin qui tutto bene. Senonché, alla fine non sappiamo nulla delle motivazioni. Henning Mankell le tiene per sé e lascia un po’ di amaro in bocca. Sicuramente un romanzo ben scritto, da Henning Mankell non ci si può aspettare niente di diverso, anche se il lungo percorso narrativo diventa un po’ ripetitivo. In tutto questo, si intersecano i rapporti personali del medico, con sua figlia e con una giornalista, per la quale comincia a provare un tenero sentimento. E lo stato d’animo del protagonista, nel tramonto della vita, quando anche la provenienza di un paio di stivali diventa di fondamentale importanza.

Una certa insoddisfazione

Peccato che Henning Mankell decida di puntare più sulla riflessione filosofica che sul racconto giallo in sé. In sostanza, dà vita a un buon romanzo, che però lascia una certa insoddisfazione.

Voi che ne dite? Vi piacciono gli autori scandinavi? Cosa mi consigliate di leggere? 

Leggi anche:

Piccoli limoni gialli – Kajsa Ingemarsson

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La fata carabina – Daniel Pennac

Dopo Il paradiso degli orchi ho ripreso in mano Il Malaussène di Daniel Pennac, il capro espiatorio in odore di santità. Famiglia sempre più incasinata, capofamiglia che stavolta lascia spazio a una miriade di altri personaggi, sempre ovviamente finendo nel registro degli indagati. E vecchiette in pericolo. Che tanto indifese non sono. E neanche tanto vecchiette.

Trama

Intenta ad attraversare la strada con tutta la circospezione dovuta all’età avanzata, una vecchietta tremolante impugna improvvisamente una P38, prende la mira e fa secco un giovane commissario di polizia… È proprio attorno ai vecchietti che gira il romanzo: vecchietti uccisi a rasoiate, vecchietti a cui la sorellina di Benjamin, Thérèse, legge la mano reinventando ogni giorno un avvenire diverso, vecchietti vittime e vecchietti assassini. Cosa sta succedendo nel mercato della droga parigino? Come mai gli anziani abitanti del quartiere di Belleville sono diventati accaniti consumatori di stupefacenti? E perché se non li fa fuori la droga, vengono uccisi uno dopo l’altro con i sistemi più brutali? A tutte queste domande risponderà Benjamin, ritenuto in un primo momento, come al solito, il principale indiziato.

La giostra gira e si riempie 

In questo secondo appuntamento con i Malaussène, la giostra dei personaggi, sembra impossibile, aumenta esponenzialmente rispetto al primo libro della saga. In un appartamento dalla metratura imponente, almeno penso, Ben decide di ospitare una selva di vecchietti in pericolo, da quando nel quartiere gira un assassino di anziani. Ma chi è che può avercela con questo target di abitanti di Belleville? La criminalità del quartiere? Un pazzo furioso? Oppure qualcuno vuole lucrare e ha trovato una bella fonte di guadagno? Nell’indagine finisce in mezzo anche la bella Julia, la fidanzata di Ben, che rischia di fare una brutta fine. Anche stavolta sono stata catturata dalla rotondità dei personaggi e dalla voglia di trovare la soluzione dell’enigma prima che Pennac la dichiari ufficialmente. 

Nonni e nipoti, siparietti garantiti

Ci sono riuscita a metà, con alcune sorprese in mezzo nel comportamento dei personaggi, soprattutto i poliziotti e un immigrato filosofo. Meravigliosi i siparietti tra i nonnini ospitati da Ben e i piccoli di casa. Quanta forza reciproca possono trarre generazioni così distanti! E l’ingordigia che non ha mai fine  a quali atti criminali può spingere. Ancora una volta Pennac promosso e ho già tirato fuori dalla libreria il terzo della serie, La prosivendola.

Vi saprò dire. E a voi? Piace Pennac? Quale dei suoi romanzi avete preferito? Scrivetemi nei commenti 🙂

Leggi anche:

Il paradiso degli orchi, il primo romanzo della saga Malaussène

La prosivendola, il terzo romanzo della saga Malaussène

Altri romanzi noir