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Ritos de muerte – Alicia Giménez Bartlett

Prima avventura della coppia Petra Delicado, ispettore della polizia di Barcellona, e del suo vice Fermin Garzón, creati dalla penna di Alicia Giménez Bartlett.

Trama

Petra ha da poco divorziato per la seconda volta e ha lasciato il lavoro di avvocato per entrare in polizia ad occuparsi degli archivi. Un giorno, però, viene assegnata al caso di un violentatore seriale che lascia un tatuaggio sulle sue vittime. Aiutata dal viceispettore Garzón, un cinquantenne vedovo, “lento, grasso, leale, carico di esperienza e di pregiudizi”, Petra dovrà risolvere il caso prima che cittadini e stampa insorgano contro l’incompetenza della polizia.

Un puzzle convincente

Il primo libro della serie Petra Delicado e il primo che leggo di quest’autrice, che avevo scelto quasi unicamente per esercitare il mio spagnolo e che invece mi ha convinto sempre più mentre procedevo con la lettura. I due personaggi principali sono divertenti e ben assortiti, il mistery costruito come un puzzle. Dopo una partenza soft, senza morti, via via i colpi di scena si fanno sempre più ravvicinati, fino alla soluzione finale che per un lettore di gialli smaliziato e attento ai particolari è intuibile con largo anticipo, senza però togliere mordente al caso e alle vicende personali dei protagonisti.

Geniale, Petra

Oltre al giallo, è interessante anche la costruzione dei personaggi. Petra Delicado, perfino il nome è geniale. Una donna inquieta, nella vita personale e in quella professionale. Una quarantenne dura, solitaria, che non ama il potere “come lo intendono gli uomini”, che sorride del viceispettore Garzon quando dice che mette le donne “su un piedistallo perché sono delicate come un fiore”, mentre vorrebbe fargli notare che il piedistallo è instabile e il fiore è caduco. Credendo di omaggiare le donne, il viceispettore cade in uno stereotipo senza speranza. Proseguendo nell’indagine, però, i due finiscono per avvicinarsi e trovare nelle loro differenze i presupposti per una grande amicizia. Il momento in cui tra  due scocca la scintilla è uno dei più divertenti che abbia mai letto, l’arringa di Petra al commissario per rivendicare le pari opportunità in polizia è spassosissimo. Posso quasi immaginare la faccia attonita del capo!

Pienamente convincente anche la ricostruzione degli ambienti infimi di Barcellona che una poliziotta si trova a frequentare. Lei, che da ex avvocato era abituata ad analizzare i fatti seduta a una scrivania, ora passa le sue giornate in bar e locali malfamati, alla ricerca della pista giusta.

Se proprio devo trovare un difetto nel libro, direi che alcune situazioni si ripetono inutilmente e che Petra scoppia a ridere un po’ troppo spesso. D’altra parte, il primo romanzo di una serie serve anche ad affinare la punta della penna. Continuerò nella serie, credo proprio che la scrittura salirà ancora.

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Il secondo libro della serie Petra Delicado: Día de Perros – Alicia Giménez Bartlett

Il terzo libro della serie Petra Delicado: Mensajeros de la oscuridad – Alicia Giménez Bartlett

 

Le quattro casalinghe di Tokyo – Natsuo Kirino

Quattro operaie, logorate dalla vita casalinga e coniugale, s’incontrano tutte le sere in fabbrica per lavorare in squadra durante il turno di notte. Sono diverse per età, condizione sociale, avvenenza. Tutte, però, hanno in comune una situazione familiare disastrosa. Una sera la più giovane, la bella Yayoi, giudicata da tutti madre e moglie esemplare, in un impeto di rabbia strozza con una cintura il marito, tornato a casa ubriaco dopo aver dilapidato tutti i risparmi al gioco. Yayoi chiede aiuto a Masako, la più intelligente e coraggiosa delle quattro, che a sua volta coinvolge la “maestra” Yoshie, la quale combatte con la mancanza di soldi, una casa fatiscente e una suocera invalida. Per caso, mentre si sbarazzano del corpo dell’uomo, arriva l’inaffidabile e superficiale Kuniko. E saranno guai per tutte loro.

Il romanzo nella prima parte è davvero avvincente. Sono entrata subito nell’atmosfera noir accentuata dalla notte, che avvolge tutto e rende il male non così brutto, in fondo. Perché ancora più brutta è la vita senza sogni e senza domani che queste quattro donne si trovano a (soprav)vivere. Una vita dominata dagli occhi rossi della mancanza di sonno, in cui l’omicidio di un marito fedifrago appare quasi come un risarcimento, la speranza di un futuro più leggero. Poi, piano piano, queste donne mostrano tutte le loro fragilità, i loro difetti. Ecco che da vittime si trasformano in carnefici, da schiave della grande distribuzione si tramutano in usuraie e ricattatrici. Sullo sfondo, uomini nostalgici, troppo giovani per capire, oppure troppo marci dentro per redimersi. Il bene e il male si confondono, si sostituiscono l’un l’altro, come i piatti pronti che le quattro preparano hanno finito per sostituire cibi preparati con amore.

Una bella sorpresa questa scrittrice, uno stile originale e scorrevole. Peccato solo che il romanzo via via perda intensità, fino ad arrivare a un finale che mi ha lasciato insoddisfatta, per quanto sembra tirato via. Comunque un libro che merita. Basta non farsi trarre in inganno dalla traduzione fuorviante del titolo. Le quattro sono tutto tranne che casalinghe. Sono invece Out, proprio come nel titolo originale.

Lo strano caso dell’apprendista libraia – Deborah Meyler

Deborah Meyler, Lo strano caso dell’apprendista libraia. Il titolo è fuorviante. E’ inutile sperare, andando avanti con le pagine, di capire quale sia lo strano caso. Non c’è nessuno strano caso. In lingua originale, infatti, s’intitola semplicemente “La libraia”. Per il resto, un po’ di incongruenze e un elemento di interesse. Vediamo quale…

Trama 

Esme è incinta e non sa cosa fare: il fidanzato Mitchell l’ha lasciata prima che potesse parlargli del bambino. Per questo il cartello “Cercasi libraia” le sembra un segno del destino. Ma Esme non ha nessuna idea di come funzioni una libreria. Per fortuna ad aiutarla ci sono i suoi curiosi colleghi: George, che crede ancora che le parole possano cambiare il mondo; Mary, che ha un consiglio per tutti; David e il suo sogno di fare l’attore. Poi c’è Luke, timido e taciturno, che comunica con lei con le note della sua chitarra. Sono loro a insegnarle la difficile arte di indovinare i desideri dei lettori. E proprio quando Esme riesce di nuovo a guardare al futuro con fiducia, la vita la sorprende ancora: Mitchell viene a sapere del bambino e vuole tornare con lei. 

Mah 
Dunque, c’è un’apprendista libraia, che magicamente viene assunta negli Usa senza uno straccio di permesso per lavoro. Mah. Roba da far arrestare lei, il proprietario e tutti quelli che sanno, ma non hanno denunciato.
La ragazza è negli Usa grazie a una borsa di studio, ripete spesso di aver bisogno di soldi ma è in affitto da sola in un appartamento sulla Broadway e quando rimane incinta rimane negli Stati Uniti invece di tornare in Inghilterra. Mah, i misteri dell’assicurazione fantasma.

La descrizione onesta di una ragazza incinta 
Ho avuto spesso la tentazione di abbandonare questo libro di Deborah Meyler, però alla fine sono contenta di essere arrivata fino in fondo, perché qualche elemento d’interesse l’ho rintracciato proprio nell’andamento della gravidanza. Nessuna descrizione edulcorata dell’attesa, ma la descrizione onesta di una ragazza che rivoluziona la sua vita per amore, seppur inconsapevolmente. La scrittrice è madre di tre figlie, è evidente che conosce bene le difficoltà e le lotte psicologiche di una donna che da un giorno all’altro si trova a dover cambiare prospettiva di vita non esattamente per scelta (consapevole).

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Brava a letto – Jennifer Weiner

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La casa sopra i portici – Carlo Verdone

Grande protagonista del libro è la casa paterna di Carlo Verdone. La casa sopra i portici del titolo. Un luogo attraverso il quale si snodano tanti eventi: le catastrofiche feste dannunziane, gli incontri con Federico Fellini e Alberto Sordi, le incursioni destabilizzanti di geni dell’avanguardia come Gregory Markopoulos. E poi il rapporto con i genitori e i fratelli, gli scherzi (tanti, fulminanti), le prime esperienze sentimentali ma anche i drammi familiari che si susseguono.

La casa è quel posto in cui tutti torniamo

verdoneLa casa è quel posto in cui tutti torniamo, che ci fa sentire veramente noi stessi, che ci accoglie e ci protegge sempre. E’ con questo spirito che ho letto il libro di Verdone, un uomo (famoso) attaccato alla sua città, Roma, e alla sua famiglia. Quando, per le vicende della vita, una casa si spoglia delle persone che l’hanno abitata e degli oggetti che l’hanno arredata, è difficile immaginare sentimenti diversi dalla tristezza e dalla nostalgia. Alla morte dei genitori del regista, infatti, la casa è stata svuotata e restituita al Vaticano, che ne era il proprietario.

Persone e fatti che sopravvivono 

Eppure, Carlo Verdone affronta questo doloroso momento con l’ironia che da sempre lo contraddistingue. Ci racconta con arguzia e spirito d’osservazione le vicende della sua famiglia. Della famiglia che quella casa l’ha vissuta e amata profondamente. Di una famiglia e di persone che sopravvivono alla vita terrena e che rimangono nei nostri cuori e nei nostri ricordi. Trovo che sia un bel modo per ricordare i cari che non ci sono più e lasciare traccia di quello che è stato, nel bene e nel male.
Per questo ho deciso di sorvolare su alcune ingenuità stilistiche e su alcuni aneddoti probabilmente inventati, il libro è godibile e a tratti divertente.
Un po’ come i suoi film: risate condite di malinconia e riflessione.

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La scrittrice abita qui, di Sandra Petrignani

L’Accabadora di Michela Murgia

Accabadora è il primo romanzo di Michela Murgia che leggo e, certamente, il suo titolo più famoso. E a ragione, direi. Una figura, quella dell’accabadora (colei che finisce), la cui esistenza non è mai stata provata, ma che probabilmente esiste in ogni luogo del mondo. Forse non è una donna, forse non veste di nero. Ma c’è un’unica cosa sicura nella vita dell’uomo. E quando la Signora viene a bussare, l’essere umano è costretto a fronteggiarla.

Trama

accabadoraSardegna anni ’50. Maria ha sei anni ed è appena diventata «figlia d’anima» dell’anziana Bonaria Urrai, secondo l’uso campidanese che consente alle famiglie numerose di compensare la mancanza di figli altrui attraverso un’adozione sulla parola. La bambina è inizialmente convinta che Bonaria Urrai faccia la sarta, e infatti le giornate sono segnate dallo scorrere nella bottega casalinga di un’umanità paesana, fatta di piccole miserie e relazioni basate su sguardi  gesti. Accettata come normale dal paese, l’adozione solidale tra la vecchia e la bambina si consolida negli anni. Un giorno, però, Maria viene messa di fronte a una realtà che non può più fingere di ignorare: Bonaria non è solo una sarta. Bonaria è un’accabadora, una donna che toglie la vita.

Figlia dell’anima

Sono due i temi importanti affrontati in questo romanzo di Michela Murgia. Uno, è la maternità e la condizione di figlia e figlio. E’ necessario aver generato per essere madri e padri? E’ necessario vivere nella famiglia di origine per essere felici? La risposta di Michela Murgia a entrambe le domande è no e la società campidanese, nella sua semplicità, lo sa bene e lo affronta con spirito pragmatico. Così, nascono, crescono e prosperano i figli d’anima, nome che trovo meraviglioso, e voi? Se tutti i dibattiti etici venissero affrontati senza pregiudizi e retorica, saremmo tutti più felici, ne sono convinta.

Mai dire mai

E poi c’è l’argomento principale. Quello di Michela Murgia è un piccolo libro che affronta un tema grande, più grande di noi finché non abbiamo la sventura di viverlo sulla nostra pelle. Quando viene affrontata nei dibattiti pubblici, l’eutanasia divide in due gli intervenuti, con le motivazioni filosofiche, religiose, morali ed etiche che ne conseguono. Credo che l’accabadora si limiterebbe a seguirle con viso immobile e sguardo vitreo, mormorando un’unica frase: “Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata”.

Il che vale come monito per quasi tutti i fatti della vita, non credete?

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