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Jane Austen favorevole allo schiavismo?

Quale famosissima autrice viene messa oggi in discussione come favorevole allo schiavismo a causa del suo amore per il tè e gli abiti di cotone? Ho fatto questa domanda sui social e nessuno ha saputo rispondere. Il che non mi stupisce. Chi avrebbe mai pensato che anche Jane Austen potesse essere sottoposta a revisionismo storico? Invece sì. E quando saprete CHI l’ha sottoposta al giudizio dei contemporanei, rimarrete ancora più increduli. Leggete sotto cos’è successo.

Jane Austen’s House nella tempesta 

Tutto parte dal movimento Black Lives Matter, al quale hanno aderito anche i musei.  Tra questi,  c’è  il museo di Jane Austen nel villaggio inglese di Chawton, dove passò gran parte della sua breve vita. Il mese scorso il museo, Jane Austen’s House, ha iniziato questo processo di “interrogazione storica”, attraverso lo studio dei legami della famiglia Austen con la tratta degli schiavi. Il padre di Jane, infatti, era l’amministratore di una piantagione di zucchero sull’isola caraibica di Antigua. I membri della sua famiglia, quindi, avrebbero consumato prodotti della tratta degli schiavi come tè, cotone e zuccheroLa tratta degli schiavi e le conseguenze del colonialismo nell’era regency hanno toccato ogni famiglia. Quella di Jane Austen non ha fatto eccezione“, ha dichiarato al Daily Telegraph la direttrice del museo, Lizzie Dunford. La quale ha anche aggiunto: “questo è solo l’inizio di un costante e ponderato processo di interrogazione storica”. 

La polemica e le reazioni del museo

Vi lascio immaginare la polemica seguita a queste dichiarazioni, “follia“, la più blanda. Al che, il museo ha dovuto rilasciare una dichiarazione, in cui afferma che “non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di contestare Jane Austen, i suoi personaggi o i suoi lettori per aver bevuto tè“. Il museo si è giustificato dicendo che i visitatori sempre di più chiedono informazioni sul legame della scrittrice con la tratta degli schiavi, che dal 1807 fu vietata nell’impero britannico. “È quindi appropriato che condividiamo le informazioni e le ricerche che già esistono sui suoi collegamenti con la schiavitù e e le citazioni che fa nei suoi romanzi “. Il piano del museo, quindi, sarebbe quello di indagare non tanto il comportamento singolo di una persona, ma l’eredità dell’Impero britannico e il suo ruolo nella tratta degli schiavi. 

E i lettori? Cosa ne pensano?

Intanto, i lettori cosa ne pensano? Sostanzialmente, preferiscono non prendere parte al dibattito e continuare a godersi la lettura come hanno sempre fatto. Secondo Claudia L. Johnson, professoressa alla Princeton University e autrice del saggio Jane Austen’s Cults and Cultures, chi legge Jane Austen, vuole immaginare che vivesse in un mondo più tranquillo e civile”. I suoi romanzi, infatti, hanno come protagonista una ristretta élite e sono ambientati in villaggi di campagna, per lo più tagliati fuori dai problemi del mondo esterno. Altri studiosi, invece, affermano che nei suoi romanzi ci siano tracce di una sua posizione abolizionista, ma sono abbastanza incerte e nella sua corrispondenza privata non sono emersi ulteriori elementi. Altri ancora, più prosaicamente, affermano che è ingiusto giudicare la coscienza civile di una persona fuori dal suo tempo e che tutti noi, consapevolmente o inconsapevolmente, nella nostra vita quotidiana finiamo in contraddizione con gli alti principi civici e sociali che professiamo. 

E noi? Cosa ne pensiamo?

Io penso che, semplicemente, Jane Austen fosse davvero tagliata fuori dal mondo, i suoi romanzi lo dimostrano ampiamente, e che giudicarla con gli occhi di chi ha ha già visto l’evoluzione della storia, sia un esercizio di stile e nient’altro. D’altra parte, non è preferibile giudicare gli altri piuttosto che lavorare sui nostri comportamenti?

E voi, a quale corrente di giudizio storico sentite di appartenere? Scrivetemi nei commenti!

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Quante ne sai? 15 curiosità su Jane Austen che forse non conosci

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A maggio leggiamo Min Jin Lee e il pachinko

Il Book Club PeC lascia, ma non del tutto, l’ambientazione americana e, per la terza lettura, si avventura in Asia. Un libro al mese, scelto insieme. Stavolta, leggeremo La moglie coreana dell’autrice americana, di origine coreana, Min Jin Lee.  Parleremo dell’ambientazione, dei personaggi, della storia. Ci confronteremo con sensazioni, modi di pensare, idee diverse dalle nostre. E’ anche questo il bello di condividere e confrontarsi, no? Allora, se siete pronti con il libro in mano, vi lascio qualche dettaglio iniziale sul romanzo che stiamo per leggere e un’avvertenza su cosa l’abbia ispirato. Alla prossima settimana con altre curiosità sul romanzo e il primo dibattito!

Pachinko

La moglie coreana, Pachinko nel titolo originale, è un romanzo di Min Jin Lee, un’autrice americana nata nel 1968 da una famiglia di origine coreana. Ormai per me è una condanna, anche stavolta ritengo Pachinko un titolo più azzeccato per la storia che racconta? Perché? Ne parleremo durante la lettura, magari alla fine. Intanto, vi dico che il pachinko è una sala giochi, un business considerato equivoco.

pachinko-parlor

Prima di partire 

E’ la stessa Min Jin Lee, nella prefazione, a spiegarci come le è venuta l’idea per questo romanzo: “ero al terzo anno di università, nel 1989, e un giorno assistetti a un ‘Master’s Tea’, una lezione tenuta da un relatore d’eccezione ospite di Yale. Un missionario americano che svolgeva il proprio operato in Giappone teneva una lezione sugli zainichi, un termine spesso usato per descrivere i giapponesi di origine coreana che erano migranti di epoca coloniale, oppure loro discendenti. Il missionario parlò di questa lunga storia e raccontò la vicenda di un ragazzino delle scuole medie il cui nome era stato infangato all’interno dell’annuario scolastico per via delle sue origini coreane. Il ragazzino si era lanciato da un edificio ed era morto. Non lo dimenticherò mai. Dopo aver abbandonato la carriera legale, fin dal 1996 ho deciso di scrivere dei coreani che vivono in Giappone”. 

Vuoi partecipare? 

Sei capitato qui per caso, ma vorresti saperne di più? Se anche tu vuoi partecipare al Book Club PeC leggi qui come farlo. Unico requisito: tanta voglia di leggere.

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Le parole che non ti ho detto e le seconde occasioni della vita

Le parole che non ti ho detto. Anche per il secondo libro del Book Club PeC, siamo arrivati alla conclusione. Ci siamo confrontati sui personaggi, sui tempi e i luoghi in cui è ambientata la storia, e sulla storia in sé. Ora è tempo di tirare le fila ed esprimerci sul romanzo nel suo complesso. La lettura è finita e ora possiamo confessarlo: ci è piaciuto o no quest’opera di Nicholas Sparks? Parto io con le mie sensazioni, se volete commentate sotto il post con le vostre.

Second chance che la vita ti offre

Il romanzo di Nicholas Sparks non mi è dispiaciuto. Le parole che non ti ho detto è un libro sulle seconde occasioni, da prendere o lasciare. Ci si può rifare una vita dopo aver sofferto? Sparks dice di sì, ma non è così facile come si potrebbe pensare. Per lasciarsi andare a un nuovo amore, a una nuova vita, bisogna saper alleggerire lo zaino della vita precedente. Per rimanere nella metafora marinara, bisogna capire quando scaricare la zavorra e quando, invece, è meglio lasciarla così com’è. E’ tutta una questione di equilibrio. Come capire quando si è pronti a farlo?

Ma sapremo afferrarle?

E’ quello che succede a Garrett. Un uomo giovane, che tuttavia vive nel ricordo incancellabile della moglie Catherine, morta in un incidente. Garrett si limita a sopravvivere, un passo dopo l’altro, scrivendo lettere, che poi butta in mare, all’amata moglie. Ma quando Theresa ne trova una, il destino sembra cambiare il vento e riportare la barca in asse. Theresa vuole lasciarsi alle spalle un brutto divorzio e ricominciare a vivere. Ma sarà Garrett l’uomo giusto per farlo? E’ possibile amare un uomo accompagnato dall’ombra di qualcun’altra? Catherine, questa ragazza scomparsa nel fiore degli anni e con un segreto ancora custodito, è viva, vivissima tra le pagine del romanzo di Sparks.

La storia dell’autore dentro le pagine 

E’ questo il problema e una consolazione insieme. Catherine è ancora viva. Avevo promesso che vi avrei raccontato perché Nicholas Sparks sceglie di far navigare Theresa in acque alte. La storia di Garrett è la storia del padre dell’autore americano. Rimasto vedovo ancora giovane, a causa di un incidente in cui ha perso la moglie, per quattro anni si è lasciato andare a una solitudine senza rimedio. Racconta l’autore: “poi, una sera, mi ha chiamato per dirmi – mi sono fidanzato -. Ero al settimo cielo, un figlio desidera solo che i genitori siano felici. Qualche giorno dopo, tornando a casa tardi, si è addormentato al volante ed è scomparso così”. Ora capite perché il romanzo finisce come finisce?

Cosa che a me non dispiace 

Il finale, tutto sommato, è quello giusto. Anche se Nicholas Sparks ammette che molti lettori non ne sono stati soddisfatti. Invece io penso che, in fondo in fondo, Garrett non fosse l’uomo giusto per Theresa e che a lungo andare le loro differenze sarebbero emerse con prepotenza. Voi che dite?

Commentate sotto al post 

Come vi ho già detto, sentitevi liberi di commentare sotto il post le vostre sensazioni, perplessità, emozioni, e tutto ciò che Le parole che non ti ho detto vi ha dato, in positivo o negativo. Vi prego solo di badare più alla sostanza che alla forma. Non fatevi bloccare dalla timidezza, più riusciamo a esprimerci liberamente e più una lettura condivisa acquista valore.

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Altri romanzi sulle second chance

Gli altri romanzi del Book Club PeC 

Le Sette sorelle, Lucinda Riley annuncia una novità

Le Sette sorelle. L’8 luglio 2021 Harry, il figlio di Lucinda, che ha lavorato con lei a una serie per ragazzi, ha annunciato ufficialmente che il libro su Pa’ Salt si farà. Il titolo? In fondo all’articolo, con data ufficiale di uscita.

L’11 giugno 2021 purtroppo Lucinda Riley ci ha lasciato. Solo qualche tempo prima aveva gestito una diretta sui social per annunciare novità nella saga de Le sette sorelle. Credo che la programmazione delle uscite verrà confermata dai suoi eredi, perché la scrittrice ha fatto in tempo a scrivere la chiusura. Che triste ironia la vita, si chiude un cerchio letterario e, nello stesso tempo, diamo l’ultimo saluto a una donna che ci ha fatto sognare. Grazie Lucinda, ora sei anche tu una sorella luminosa in cielo.

***

Dal sito di Lucinda Riley: quando ho avuto l’idea di scrivere una saga sulle sette sorelle della costellazione delle Pleiadi, non sapevo dove mi avrebbe portato. Mi attraeva il fatto che, secondo le leggende, ognuna delle mitologiche sorelle fosse una donna forte e unica. Ieri sera Lucinda Riley sui suoi canali social ha dato un annuncio importante. Quale? Ve lo dico alla fine. Prima, iniziamo a conoscere le sette sorelle. 

Trama del primo

Bellissima, timida e solitaria, Maia è l’unica delle Sette sorelle ad abitare ancora con il padre ad Atlantis, lo splendido castello sul lago di Ginevra. Ma proprio mentre si trova a Londra da un’amica, giunge improvvisa una telefonata: Pa’ Salt è morto. Quel padre generoso e carismatico, che le ha adottate da bambine raccogliendole da ogni angolo del mondo e dando a ciascuna il nome di una stella, era un uomo di cui nessuno, nemmeno il suo avvocato e amico di sempre, conosceva il passato. Rientrate precipitosamente nella villa, le sorelle scoprono il singolare testamento: una sfera armillare, i cui anelli recano incise alcune coordinate misteriose. Maia sarà la prima a volerle decifrare e a trovare il coraggio di partire alla ricerca delle sue origini. Un viaggio che la porterà nel cuore pulsante di Rio de Janeiro. Con l’aiuto dell’affascinante scrittore Floriano, Maia riporterà alla luce il segreto di un amore sbocciato nella Parigi bohémienne degli Anni ’20, inestricabilmente legato alla costruzione della statua del Cristo che torreggia maestosa su Rio. Una vicenda destinata a stravolgere la vita di Maia. 

Sette sorelle e un Pa’

Come ormai sapete, difficilmente inizio una serie di libri se non c’è il finale. La saga delle sette sorelle m’incuriosiva da un po’, anche se il primo approccio con Lucinda Riley non è stato dei migliori. L’idea di base, però, mi ha attirato fin da subito: Sette sorelle adottate dai quattro angoli del pianeta, ognuna con una storia complessa alle spalle, ognuna con un nome astrale. Cosa si cela dietro queste adozioni di un uomo, Pa’ Salt, così venerato dalle figlie e che morendo ha lasciato degli indizi? Mistero, avventura, amore. Gli ingredienti per piacermi ci sono tutti. Quindi, visto che mancherebbe solo un romanzo alla fine, mi sono decisa a iniziare. Sarà destino, ecco che Lucinda Riley annuncia una novità. Sarà la serie tv, penso? No, non è la serie tv (vi do un indizio).

Il primo libro 

Il primo libro mi ha convinto ad andare avanti. La storia di Maia mi è piaciuta, è stato coinvolgente seguire le ricerche sul suo passato, incontrare personaggi realmente vissuti, con un mix tra fantasia e verità che funziona. Il filo conduttore, poi, che lega i romanzi, le storie delle sorelle, gli indizi lasciati a ognuna e l’incipit dei romanzi, che iniziano tutti con la stessa frase, fa il resto. Peccato solo che dopo aver letto il primo romanzo, del filo conduttore sappiamo molto poco. E anche la storia d’amore che stravolge la vita di Maia, si svolge molto in fretta. Soprattutto per una rivelazione sulla vita passata di Maia che viene liquidata in un nanosecondo. Ma come? Avrebbero meritato entrambi, forse, un po’ più di spazio. Perché, in fondo, l’amore della vita e il mistero delle origini sono proprio quello che ci interessa sapere. Comunque, andiamo avanti col secondo libro. Vi farò sapere se Lucinda Riley scopre più carte o no.

L’annuncio di Lucinda (e di Harry)

 E ora, veniamo alla novità annunciata in diretta dalla scrittrice irlandese sui suoi canali social. La saga delle sette sorelle non finirà con il settimo libro, ma…chiuderà con Pa’ Salt! Sì, proprio quello che si chiedevano i fan della serie. Questo enigmatico padre splenderà di luce propria o porterà i suoi segreti definitivamente nella tomba? Appuntamento tra un anno, così ha detto Lucinda Riley, per chiudere il cerchio astrale.

Aggiornamento dell’8 luglio 2021: il figlio di Lucinda, Harry, ha confermato che il romanzo di Pa’ Salt ci sarà. Lucinda non ha fatto in tempo a scriverlo tutto, ma gli ha fatto promettere che l’avrebbe terminato. E lui così farà. Appuntamento l’11 maggio 2023 con l’ultimo libro delle Sette sorelle. Il titolo sarà Atlas: la storia di Pa’ Salt. Finalmente sapremo chi era Pa’ Salt e perché ha adottato le sue sette figlie.

Che ne pensate? Siete contenti di questa novità? A che punto siete della saga, all’inizio come me o quasi alla fine?

pA' SALT

La saga delle sette sorelle: tutti i titoli

  1. Le sette sorelle. La storia di Maia, 2015
  2. Ally nella tempesta, 2016
  3. La ragazza nell’ombra, 2017
  4. La ragazza delle perle, 2018
  5. La ragazza della Luna, 2019
  6. La ragazza del Sole, 2020
  7. La sorella perduta, 2021
  8. Atlas: la storia di Pa’ Salt, 2023

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Il segreto della bambina sulla scogliera

La luna e i falò, i rimpianti e il saluto di Cesare Pavese

E’ un periodo un po’ strano, questo. Sarà la primavera che non sboccia, o il momento che viviamo. Mi stanno capitando film e libri pesantissimi. Non nel senso che faccio fatica a finirli, piuttosto per le tematiche che portano dentro. Qualche giorno dopo aver finito An elephant sitting still, l’opera prima e ultima di Hu Bo, ho chiuso anche l’ascolto dell’audiolibro La luna e i falò, di Cesare Pavese. Anche per lui l’ultima opera, il suo saluto.

Trama 

Il protagonista, Anguilla, all’indomani della Liberazione torna al suo paese delle Langhe dopo molti anni trascorsi in America e, in compagnia dell’amico Nuto, ripercorre i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza in un viaggio nel tempo alla ricerca di antiche e sofferte radici. 

La solitudine del mondo

La luna e i falò è considerato il romanzo più bello di Cesare Pavese, quello in cui le tematiche a lui care vengono portate finalmente a compimento. E’ una lettura venata di nostalgia, quella che il lettore si trova a vivere. Nostalgia per il tempo passato, per le cose non dette, per gli amori non corrisposti. Per un uomo che sente la sua solitudine nel mondo, di non appartenere a nessun posto, di aver vissuto un’atrocità senza precedenti, la seconda guerra mondiale, senza riuscire a trovare in uno dei due schieramenti la caratura morale di cui sente il bisogno.

Nuto

Una caratura morale impersonata dall’amico Nuto. Un uomo retto, che si fa raccontare di mondi lontani anche se non si è mai allontanato dal paese. Mentre Anguilla non ha mai trovato pace, è andato via, in America, poi è tornato. Ma non si sente benvoluto né in America, né in Italia. Non erano cambiati. Io, invece, ero cambiato. “Hai avuto coraggio”, gli dice Nuto. “Non era coraggio, sono scappato”. Scappato e poi tornato, come l’autore, la metafora di un uomo che rinuncia all’impegno civile e storico per la rabbia di non essere nessuno. Fa fortuna e poi torna, solo per rendersi conto che molti non ci sono più. che tutto è cambiato, che lui non troverà la felicità da nessuna parte.  “Ero tornato,ero sbucato, avevo fatto fortuna…ma le facce, le voci e le mani che dovevano toccarmi e riconoscermi, non c’erano più”. 

Anguilla

Non sappiamo come finirà per Anguilla, di quest’uomo Cesare Pavese ci dice solo il soprannome. Sappiamo solo che andrà via di nuovo. Dove, non si sa. Forse da nessuna parte. Ma lascia a Nuto la custodia di un infelice come lui, sapendo che Nuto farà come sempre quello che deve fare: il brav’uomo.

Vite che sopravvivono nei ricordi

Triste, ma forse lo dico influenzata da quello che so. Cesare Pavese, infatti, mise fine alla sua vita pochi mesi dopo l’uscita di questo romanzo. Triste non solo per la fine dell’autore, ma anche per la vena di malinconia che avvolge le vite di questa piccola provincia di un piccolo Paese come l’Italia. Vite che sopravvivono solo nei ricordi di chi resta. Finché resta. Cesare Pavese, in fondo, non sta descrivendo la condizione umana?

Di tutto quanto, della Mora, di quella vita di noialtri, che cosa resta? Per tanti anni mi era bastata una ventata di tiglio la sera, e mi sentivo un altro, mi sentivo davvero io, non sapevo nemmeno bene perché. Una cosa che penso sempre è quanta gente deve viverci in questa valle e nel mondo che le succede proprio adesso quello che a noi toccava allora, e non lo sanno, non ci pensano. Magari c’è una casa, delle ragazze, dei vecchi, una bambina – e un Nuto, un Canelli, una stazione, c’è uno come me che vuole andarsene via e far fortuna – e nell’estate battono il grano, vendemmiano, nell’inverno vanno a caccia, c’è un terrazzo, tutto succede come a noi. Dev’essere per forza così. I ragazzi, le donne, il mondo, non sono mica cambiati…E non sanno che un giorno si guarderanno in giro e anche per loro sarà tutto passato. 

Ogni casa, ogni cortile, ogni terrazzo, è stato qualcosa per qualcuno e, più ancora che al danno materiale e ai morti, dispiace pensare a tanti anni vissuti, tante memorie, spariti così in una notte senza lasciar segno. O no? O magari è meglio così, meglio che tutto se ne vada in un falò di erbe secche, che la gente ricominci. 

Avete letto questo romanzo di Cesare Pavese? Anche voi pensate che tutto finisca in un falò? Scrivetemi nei commenti il vostro parere 🙂

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