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Betibú – Claudia Piñeiro

Ho scoperto da poco quest’autrice argentina, Claudia Piñeiro, e ho letto in un lampo due romanzi di seguito, Tua Betibú. Parto dal secondo, perché ha meno implicazioni psicologiche e mi ha preso subito per trama e protagonisti. Un buon giallo con una spruzzata di ironia tutta sudamericana. 

Trama 

La Maravillosa è un Country Club, quartiere chiuso e controllato da guardiani e severe misure di sicurezza, con campo da golf e lussuose abitazioni: un microcosmo dove sembra sia obbligatoria la serenità. Ma la vita del prestigioso club viene sconvolta quando Pedro Chazarreta viene trovato con la gola tagliata e un coltello in mano. Il presunto suicidio, però, suscita dubbi. El Tribuno incarica di indagare Nurit, detta Betibú, scrittrice, e un giovane cronista inesperto. I due sono affiancati da Jaime Brena, un giornalista di nera navigato, ma messo da parte perché considerato anziano e intrattabile; insieme formano un’improbabile ma riuscitissima squadra d’investigazione. Pian piano il mistero si infittisce, i tre scoprono che la morte di Chazarreta è legata ad altre morti, apparentemente accidentali, di persone unite da un oscuro passato. Chi si nasconde dietro quelli che apparentemente sembrano incidenti?

Un trio di protagonisti che funziona

Nurit Iscar, Betibú, perché i riccioli neri la fanno somigliare al celebre cartone Betty Boop. Un’abile scrittrice di gialli che incredibilmente quando pubblica il suo primo romanzo d’amore fa flop. Jaime Brena, un osso duro della cronaca nera, che non si arrende al narcisismo del suo direttore, deciso a farlo fuori per fare posto al nuovo che avanza. Il nuovo che avanza, un ragazzo che ancora deve scoprire il fuoco della passione e che però ha dalla sua l’acqua dell’onesta e degli ideali. Un trio che scopre, oltre ogni pronostico, di avere molto in comune. Innanzitutto, sono bravi nel loro mestiere e questo li porta a un passo dallo scoprire una verità cruda e violenta. 

Spazio alle riflessioni etiche

Non vado oltre per non svelare ai futuri lettori particolari che in un giallo hanno la loro importanza. Dico solo che è sbagliato paragonare Claudia Piñeiro a Hitchcock, come è scritto sulla quarta di copertina. In realtà, secondo me se Hitchcock fosse ancora vivo avrebbe già realizzato un film da uno dei suoi libri. Perché quest’autrice è brava, molto brava. Scrive bene, tiene incollati alle pagine e, soprattutto, infila delle riflessioni etiche, morali e professionali che arricchiscono l’insieme. Cosa significa fare giornalismo nel mondo di oggi? Ha ancora senso pubblicare articoli su carta? Come distinguere il vero dal falso nella miriade di informazioni che viaggiano sulla rete? Questi temi collaterali segnano l’intero percorso dei protagonisti, che alla fine verranno chiamati a interrogarsi su una questione etica fondamentale: è lecito farsi giustizia da sé? La risposta di Nurit è netta, dura, ma umana, nient’affatto simile a un’eroina dei fumetti. Quella degli uomini è più sfumata, ma non troppo.

Ironia e romance per chiudere 

In mezzo, Claudia Piñeiro infila una dose generosa di ironia, che alleggerisce l’indagine e rende i personaggi ancora più simpatici. Soprattutto le amiche di Betibú, una più matta dell’altra. A completare il tutto, anche una spruzzata di rosa, che male non fa. Insomma, un romanzo che consiglio a chi ha voglia di un buon giallo condito di riflessioni. Per quanto mi riguarda, sono contenta di aver scoperto un’autrice che mi piace e che continuerò senz’altro a seguire. 

p.s. piccolo appunto su un particolare. Se al Country Club si entra solo con macchina assicurata contro terzi, dove “anche il coniuge avrebbe difficoltà a passare”, come ha fatto il figlio di Nurit a entrare con l’automobile intestata al padre e senza che Nurit sia stata avvisata dai guardiani? Curiosità da lettrice cresciuta a pane e Agatha Christie. 

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Tua – Claudia Piñeiro

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La verità sul caso Harry Quebert – Joël Dicker

Harry Quebert. Uno scrittore giovane, un best seller tradotto in 33 lingue, vincitore del Goncourt des lycéens e del Grand Prix du Roman de l’Académie française. La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker mi tentava da un po’ e quando l’ho trovato in ebook sulla piattaforma del treno che mi portava a La Thuile, in Valle D’Aosta, ho iniziato la lettura. Che fine ha fatto Nola? Peccato: se non fosse stato per i passaggi chiave, tutti mancati, l’avrei promosso.

La trama

Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di 15 anni, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sperimenta per la prima volta il blocco dello scrittore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo ex professore, amico e affermato scrittore Harry Ouebert viene accusato di avere ucciso la giovane Nola Kellergan. Il cadavere della ragazza viene infatti ritrovato nel giardino della villa dello scrittore. Marcus Goldman lascia tutto e si precipita nel New Hampshire per scoprire la verità. Chi ha ucciso Nola Kellergan? E perché? Per suffragare le sue ipotesi, Markus decide di scrivere un romanzo sulla vicenda. Ma la verità va oltre le apparenze e Markus rischia di rimanere intrappolato nelle sue convinzioni.

In questo romanzo è tutto “troppo”

Il primo commento che mi è venuto spontaneo dopo aver chiuso il libro è stato “troppo”. , Troppo ambizioso, troppo lungo, 770 pagine, troppo ricco di elementi descrittivi che poco hanno a che fare con il mistero da risolvere, troppo romanzesco nei dialoghi.

Innanzitutto troppo ambizioso per uno scrittore giovane, neanche 30 anni, che mi ha dato la sensazione di voler mettere troppa carne al fuoco. I consigli di scrittura con cui apre ogni capitolo, per esempio, sono scarsamente riconducibili alle lezioni di scrittura tra il professore e l’allievo del romanzo. Piuttosto, sembrano quasi dei consigli che uno scrittore ormai arrivato vuole lasciare al lettore con ambizioni di scrittura. Anche il protagonista, autore di successo dopo appena un libro pubblicato, sembra quasi un elemento autobiografico.

Il romanzo, poi, è troppo lungo. La metà della lunghezza avrebbe reso la soluzione del mistero molto più avvincente. Nonostante i colpi di scena piazzati ad arte, infatti, arrivata a metà strada la storia ha perduto mordente.

La verità sul caso Harry Quebert è inverosimile

Sarà anche colpa del linguaggio antidiluviano usato dai personaggi principali e dagli stereotipi che hanno affossato quelli secondari. Ma si può far parlare una quindicenne per punti esclamativi? E uno scrittore ultratrentenne come un adolescente (femmina) alla prima cotta che non fa altro che ripetere NOLA, N.O.L.A., NO-LA? Guarda, caro Dicker, che citare Nabokov e la sua Lolita non è facile, può facilmente trasformarsi in un boomerang! Ci si può scordare che un personaggio ha problemi di pronuncia facendolo a un certo punto parlare perfettamente? Per non parlare della madre di Marcus: sciocca, petulante e priva di qualsiasi spessore. Cosa l’avrà inserita fare? Mah, è questo il vero mistero, che purtroppo rimarrà insoluto.

Il vero punto debole di Harry Quebert, però, sono i passaggi chiave del giallo, ed è grave, perché a una lettrice cresciuta a pane e Agatha Christie francamente risultano ingenui e poco credibili. Mi dispiace, ma quando si tratta di indizi, prove e moventi, un autore di gialli deve essere preciso e maniacale, altrimenti i lettori, che sono precisi e maniacali, troveranno tanti e tanti di quei difetti che finiranno per non avere più interesse nella soluzione. Che in questo caso, per giunta, si basa su un colpo di scena finale che è inverosimile fino a sfiorare l’incredibile.

Tutto da buttare?

Quindi, è tutto da buttare? Certamente no. Intanto, ha riscosso un grande successo e questo significa che ai lettori in genere piace. Seconda cosa, è uno dei primi lavori che Joël Dicker ha pubblicato e si vede che nella sua penna c’è talento. Inoltre, i rimandi temporali al passato sono piacevoli, s’inseriscono perfettamente nella trama e aiutano a capire. Diciamo che è solo rimandato e che sicuramente nel nuovo romanzo appena uscito la scrittura sembrerà più matura. Se lo leggete, fatemi sapere se vale la pena o meno di cimentarsi di nuovo.

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Una famiglia quasi perfetta – Jane Shemilt

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Urla nel silenzio – Angela Marsons

Venticinque anni di tentativi e porte in faccia dalle case editrici e poi, all’improvviso, Angela Marsons con il suo “Urla nel silenzio” trova un editore, scala le classifiche e diventa una scrittrice ai primi posti in classifica in Gran Bretagna e altri dieci Paesi nel mondo. Sembra fantascienza, eppure a volte i miracoli accadono. Se non altro per questo, valeva la pena di dare una sbirciatina al suo primo thriller per capire il motivo di un successo planetario.

La trama

Cinque persone circondano una fossa vuota. A turno, ognuno di loro è costretto a scavare per dare sepoltura a un cadavere. Ma non è il corpo di un adulto, è troppo piccolo. Una vita innocente è stata sacrificata e un oscuro patto di sangue è stato siglato. E il segreto delle cinque persone sarà sepolto sotto quella terra. Anni dopo, la direttrice di una scuola viene uccisa brutalmente: è il primo di una serie di agghiaccianti delitti che stanno insanguinando la Black Country inglese. Nel corso delle indagini, ritorneranno alla luce anche i resti del corpicino sepolto tempo prima da quel misterioso gruppo di persone. La detective Kim Stone viene chiamata a indagare per fermare il killer prima che colpisca ancora. Per farlo, dovrà confrontarsi con i demoni del proprio passato…

Luci e ombre di un romanzo d’esordio

Inizio con il dire che questo è un romanzo d’esordio. Particolare importante per soprassedere su alcuni particolari che in altro contesto mi avrebbero fatto chiudere immediatamente il libro. Tralasciando, quindi, delle vere e proprie ingenuità, la storia si segue. Purtroppo, come ripeto spesso quando mi cimento con generi diversi dal giallo classico, l’imprinting che scrittrici come Agatha Christie danno ai propri lettori ti segnano per sempre.

Dico purtroppo perché l’attenzione ai particolari diventa un mantra da seguire e se a metà libro hai già capito tutto, divertirsi con i colpi di scena finali diventa difficile. In più, la protagonista per ¾ del libro sembra un Clint Eastwood in gonnella senza un grammo di fascino alla Callaghan. Per fortuna, sua e di chi legge, il vero colpo di scena non riguarda l’indagine, ma un’azione di Kim che, tutto sommato, le rende onore. Anche se ci sarebbe da discutere sulla credibilità di quello che decide di fare. Non posso dire di più per non fare spoiler, ma se l’avete letto e ne volete parlare scrivetemi.

La Black Country

A parte la prevedibilità delle situazioni e il tratteggio piuttosto stereotipato dei personaggi principali e dei comprimari, la vera nota interessante è l’ambientazione nella Black Country, un’ex area industriale vagamente localizzabile tra Birmingham e Wolverhampton, da cui l’autrice stessa proviene. L’orfanotrofio intorno a cui gira tutta la storia esiste davvero. E’ ispirato alla Brickhouse children’s home, davanti alla quale Angela passava spesso davanti da ragazza. “Mi sono sempre chiesta cosa succedesse là dentro”, spiega ora. Speriamo non quello che immagini nel libro, rabbrividisco io.

Consigli per aspiranti autori

Voglio dare un’altra occasione ad Angela, anche se per ora è un ni. Se non altro, per la grande determinazione che la contraddistingue e per i consigli che da scrittrice ormai affermata vuole dare ad altri aspiranti autori: “So che è un cliché, ma non arrendetevi mai. C’è sempre la possibilità che la fortuna giri dalla vostra parte. Io ne sono la prova vivente”.

Forza Angela, sei tutti noi!

Altri libri scritti da esordienti 

Mensajeros de la oscuridad – Alicia Giménez Bartlett

Terzo appuntamento con la coppia di investigatori creata dall’autrice spagnola Alicia Giménez Bartlett. Stavolta, Petra Delicado e Garzòn si trovano ad affrontare un caso macabro, che fin da subito appare molto, molto complicato.

Trama

Dopo un’apparizione televisiva, l’ispettrice Petra Delicado inizia a ricevere per posta dei pacchetti, contenenti giovani peni tagliati con precisione chirurgica. Apparentemente, sembra l’impresa di un maniaco turbato dalla poliziotta vista in tv, ma le indagini condurranno i due investigatori molto lontano, addirittura fino a Mosca, alla ricerca di tracce che affondano le proprie radici nella storia.

Più spazio all’indagine

In questo terzo romanzo della serie, l’autrice corregge il tiro e dà maggiore spazio e corpo alla trama poliziesca, lasciando un po’ in ombra le derive filosofiche dei due protagonisti. E fa bene, perché il mistero si segue con piacere e la soluzione finale arriva, appunto, alla fine, senza essere scontata. Anzi, condita con un colpo di scena imprevisto che la rende ancora più godibile per il lettore. Forse, dopo aver dato tanta voce alle vicende private di Petra nel primo, Ritos de Muerte, e di Garzòn nel secondo, Día de Perros, era giusto lasciare i due a concentrarsi sulle indagini. Senza farci però mancare le battute al fulmicotone e i commenti ironici che donano leggerezza al tutto. Interessante anche il riferimento alle vicende descritte nel libro, che l’autrice con una postilla ci dice siano “realmente accadute. Come sempre, la realtà supera la fantasia”. Dopo aver terminato la lettura, sono andata anch’io ad indagare.

Attenzione, spoiler!

Ho scoperto così che la setta cristiana ortodossa degli skopcy (скопцы), cioè “castrati”, è davvero esistita. Era stata diffusa in Russia nel XVIII secolo da un contadino, Kondratij Selivanov. Nella seconda metà del XVII secolo il patriarca della Chiesa ortodossa russa Nikon riformò i riti religiosi, osteggiato dall’arciprete Avvakum, che finì sul rogo per la sua opposizione. Si originò così un folto gruppo di dissidenti religiosi chiamati “vecchi credenti” che nel ‘700 si frantumarono in sette, tra le quali quella, appunto, degli Skopcy. Questi ultimi, predicavano la mortificazione del corpo fino a giungere all’automutilazione del pene per gli uomini e del seno per le donne in modo da divenire angeli ed entrare così di diritto nel regno dei Cieli. Gli skopcy affermavano che Dio avesse creato i primi esseri umani senza attributi sessuali e che il loro corpo fosse stato trasformato da Satana dotandolo del pene, cioè del serpente tentatore che andava estirpato. Non mi sembra un caso che la Bartlett chiami il nuovo capo della setta Ivanov (Selivanov). E che, soprattutto, abbia sentito l’esigenza di aggiungere alla fine quella postilla. E’ proprio vero che la realtà supera di gran lunga la fantasia…

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Il primo libro della serie Petra Delicado: Ritos de muerte – Alicia Giménez Bartlett

Il secondo libro della serie Petra Delicado: Día de Perros – Alicia Giménez Bartlett

 

 

Día de Perros – Alicia Giménez Bartlett

Alicia Giménez Bartlett e il secondo appuntamento con le vicende poliziesche di Petra e Fermín, che dopo essere tornati ognuno al proprio lavoro, vengono chiamati di nuovo a investigare insieme. Il caso sembra nuovamente di nessuna importanza…

Trama

Un uomo, che apparentemente vive ai margini, è stato bastonato per strada e finisce in coma in ospedale. Unico testimone del fatto il suo cane, malconcio quasi quanto il padrone, che Petra finisce per portare a casa sua. Improvvisamente, l’uomo muore senza riprendere conoscenza. Per la coppia di poliziotti inizia un’indagine alla cieca in un mondo sordido e crudele.

Convincente, ma…

In questo secondo romanzo della serie Petra Delicado, la scrittrice conferma gli elementi che mi avevano convinto nella prima uscita, Ritos de muerte, a continuare la lettura, a parte l’esigenza di rinfrescare il mio spagnolo un po’ dormiente. Mi piace soprattutto l’ironia e l’atteggiamento filosofico di Petra, che uniti alla schiettezza e alla praticità del suo aiutante fanno sì che le pagine scorrano divertendo il lettore a più riprese. Mi piace molto anche la tecnica narrativa scelta dalla Bartlett, che inocula goccia a goccia gli elementi chiave dell’indagine come se fossero tasselli di un puzzle, invitando chi legge a comporli fino a incastrare all’ultima tessera.

…come, Petra?

Purtroppo, stavolta l’operazione è inficiata da una mancanza secondo me grave: Petra capisce in ritardo, con troppo ritardo, la chiave del mistero. Per di più la comprende solo con l’aiuto di uno dei comprimari, ben oltre il momento in cui per ogni lettore di gialli che si rispetti diventa tutto lampante. Com’è possibile? Petra è la studiosa, Petra è razionale, Petra deve avere un’intuizione fenomenale da sola. Chi gira le pagine deve esclamare: come ho fatto a non arrivarci prima? Non: finalmente ci sei arrivata!

p.s. 

Chiudo con una postilla per Alicia Giménez Bartlett: rispetto la tua scelta di far morire uno dei miei personaggi preferiti. Peccato, avrebbe potuto accompagnare l’ispettrice ancora a lungo.

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Betibú – Claudia Piñeiro

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