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Ich bin Berliner/4: questo tè è very, very smoky!

“Dai, vieni anche tu”

“Mah, non lo so…”
“Non hai la tuta?”
“Sì, quella in valigia la metto sempre…”
“E allora? Su, vieni”.
E’ così che mi hanno convinto a partecipare alla Breakfast run, una non competitiva di 6 km che precede la maratona di Berlino del giorno dopo e che finisce con una colazione, da qui il nome evocativo.

Breakfast run

Avrei mai potuto resistere al dolce richiamo del mio pasto preferito? Giammai, e infatti mi presento puntuale alle 9 meno qualcosa sul luogo del delitto, lo Charlottemburg Schloss di cui vi ho già ampiamente narrato. Posto qualche foto per farvi capire che popolazione di matti anima l’evento. Per la serie, il giorno prima ti diverti, il giorno dopo muori. Per fortuna, io la 42 km del giorno dopo l’ho corsa dagli spalti! Puntuali come orologi tedeschi, alle 9 in punto hanno dato il via e questa folla impazzita di travestiti si è riversata sulle strade. Per fortuna a Berlino sono larghe, perché vi assicuro che eravamo veramente tanti. Direzione: Olympiastadion, meglio conosciuto come lo stadio delle Olimpiadi hitleriane del 1936, quelle di Jesse Owens, per intenderci. I berlinesi ci accompagnano dai balconi, salutando e suonando campanacci.
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E’ proprio un bel momento, una festa dello sport. Io con la scusa di dover fotografare a destra e sinistra m’impegno veramente poco, ma allo stadio voglio arrivarci, perché così mi danno questa benedetta colazione! A un certo punto vedo le bandiere, eccoci, ci siamo. La signora peruviana che corre accanto a me e che ogni tanto si ferma per riposarsi facendo finta di aspettare qualcuno, che secondo me 6517era rimasto a Lima, scatta in avanti e la perdo di vista. Ha approfittato della mia sosta per fotografare un passeggino legato a un palo con la catena. Pazienza, entrerò allo stadio da sola: percorro il tunnel, sempre con calma girando un video, e poi, finalmente, il campo da gioco! La pista! Ce l’ho fatta! Faccio il mio bel giro di campo, resistendo all’impulso che anima gli altri di fingersi centrometristi pronti allo scatto, salgo le scale e il sospirato momento è arrivato: piovono krapfen come se non ci fosse un domani. Buoni da morire, meno male che ho evitato di affaticare il fegat6535o!

Alexanderplatz

In pace con il mondo, evito di pensare che la bomba calorica della colazione ha superato di gran lunga il dispendio energetico della corsa, perché sempre di corsa mi traslo verso Alexanderplatz, la mitica piazza della canzone di Milva, considerata il centro della parte orientale della città. La piazza, non Milva. Lo ammetto: la delusione si è fatta sentire, forte e chiara. Mi ha fatto lo stesso effetto di Pest quando ho visitato Budapest la prima volta: il peggio dell’occidente, cioè le insegne commerciali, innestato su palazzi spartani, che poco o niente c’entrano. Sorry, dico no ad Alexanderplatz, che vale comunque una visita veloce perché qui trovate la fontana dell’amicizia e dei popoli, la Torre della televisione, uno dei simboli della città, e l’orologio universale, che mostra l’orario in tutti i fusi in cui è divisa la superficie terrestre. Ok, due foto e passo oltre, domandandomi come mai sia così amata dai turisti di tutto il mondo. Una viuzza là, due di qua e hoplà, mi ritrovo casualmente, guarda il destino, nel mio luogo di ritrovo preferito.

Hackescher Markt

Una piazza pedonale adiacente all’omonima stazione dei treni di fine ‘800, miracolosamente sopravvissuta alle bombe della seconda guerra mondiale. Un posto piacevole in cui fermarsi a mangiare qualcosa, o ad ascoltare il menestrello di strada seduti sul muretto, o a girare per il mercatino del giovedì o del sabato, come nel mio caso. Qualche bancarella e poi, sempre rigorosamente per caso, mi sono infilata nel tunnel paradisiaco degli Hackeschen Höfe. In pratica sono otto cortili interni comunicanti, che collegano abitazioni private, laboratori e negozi. Da perderci la testa: eleganti, tranquilli, dopo la caduta del Muro sono stati ristrutturati e ora ospitano un cinema, un teatro, caffetterie e negozi di design e boutique di moda. Se passate per Berlino, vi consiglio caldamente di visitarli, soprattutto se siete architetti, chissà che non vi venga qualche buona idea per riqualificare le periferie moderne. Io li ho visitati nell’ordine in cui vengono indicati all’ingresso, ma potete anche decidere di girare in ordine sparso.

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Sala da tè tagika

Alla fine di questo bel giro, se ci mettete anche la faticaccia della corsa mattutina, penso proprio di essermi meritata una sosta ristoratrice, no?. Rimanendo sempre all’interno del quartiere ebraico, poso le mie doloranti membra su un tappeto e ordino un tè russo. D’altra parte, mi trovo in un locale che si chiama Tadschikische Teestube, cioè una sala da tè tagika.
La signora che prende l’ordinazione mi osserva e mi avverte: “It’s smoky”.
“Okay”, faccio io.
“It’s very smoky”.
“Okkaaayyyy”, replico io.
Pensa che sia stordita, o cosa?
Era smokimg_4963y smoky, nel vero senso della parola. La povera signora ha tentato di avvisare questa stordita che si sarebbe ritrovata a fumare una sigaretta bevendo tè! Mai assaggiata una cosa del genere. Non mi sono pentita di averlo scelto, ma chissà come avrà ridotto i miei poveri polmoni, già belli allargati dalla corsa!
Vi aspetto domani con la quinta parte del mio Berlin trip: la famosissima maratona di Berlino. Seguita da una very, very lauta cena tipica.

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