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Wuthering Heights è la storia di un amore malato?

Wuthering Heights. Siamo al penultimo scalino della nostra lettura di Cime tempestose di Emily Brontë. Abbiamo dapprima parlato dell’ambientazione e ci siamo soffermati sulle case, che nel nostro immaginario erano diverse negli esterni, ma identiche all’interno. Abbiamo poi proseguito concentrandoci sui personaggi, che abbiamo definito anime inquiete, legate dalla solitudine, che subiscono gli eventi. Adesso, è il momento di focalizzarci sulla storia. E sulle critiche feroci che l’accompagnano da quando è uscito. Cioè da ben 147 anni. 

Le critiche

Per inquadrare la storia, dobbiamo partire dai sentimenti, perlopiù negativi, che Cime Tempestose ha suscitato praticamente da quando è stato aperto per la prima volta da un lettore. E’ così, se ci pensiamo razionalmente, stiamo leggendo da quasi centocinquanta anni una storia che ha subito due critiche, una tradizionale e una più moderna, adatta ai nuovi temi che si sono affacciati nella società odierna.

Quella tradizionale…

Quando fu pubblicato, Wuthering Heights suscitò addirittura uno scandalo, per la violenza e la brutalità cui i lettori dell’epoca non erano abituati.  Un critico lo definì, infatti, violento, confuso, incoerente e improbabile. Dieci anni dopo fu parzialmente riabilitato e cominciò a essere apprezzato anche dalla critica, soprattutto per la struttura, originale per l’epoca. Non c’è, infatti, un punto di vista oggettivo, sappiamo solo quello che racconta Nelly, ma non le vere motivazioni dei personaggi.

…E quella dei nostri giorni

Oggi, siamo ricaduti in una critica feroce. Il romanzo viene definito la “storia di un amore malato”, di un uomo possessivo, rancororoso, vendicativo. Il collegamento con il tema della violenza sulle donne e del femminicidio è richiamato da più parti. Addirittura, viene messo sotto la lente d’ingrandimento il rapporto tra Emily e suo fratello Branwell, descritti come particolarmente vicini. Forse troppo vicini, gettando un’ombra sull’intera famiglia e le sue relazioni interne.

Ma è davvero tutto qui? 

Per la lettura di questa settimana, parto proprio da questa domanda. Per voi, Wuthering Heights è la storia di un amore malato? Trovate che la narrazione sia violenta, confusa e improbabile?  Ricordatevi che potete lasciare il vostro parere con la massima tranquillità, non c’è un punto di vista giusto o sbagliato e non c’è una sola angolazione da cui osservare e analizzare.

Commentate liberamente sotto questo post tutte le vostre impressioni. Buona lettura e alla prossima settimana con il gran finale!

Leggi anche: 

Emily Brontë e i suoi personaggi tempestosi

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5 pensieri su “Wuthering Heights è la storia di un amore malato?”

  1. Letto a 17 anni e l’ho trovato ORRIBILE, una storia d’odio e vendetta più che una storia d’amore. Riletto la seconda volta in età più matura e l’ho ADORATO…l’odio e l’amore sono le due facce di una stessa medaglia ed a volte ci si ama così tanto ed in maniera così furiosa ed appassionata da odiarsi. Jane Eyre l’ho apprezzato fin dalla prima lettura.❤

  2. Le riletture moderne di storie scritte in altre epoche per me non hanno senso e ultimamente mi sembra di leggerne di continuo. Più che un amore malato, io ci vedo amore che si è trasformato in un odio così forte da distruggere soprattutto chi lo sente. Mi mancano gli ultimi capitoli, non so che fine farà Heathcliff ma non si prospetta niente di buono. Se avete già finito non fate spoiler, grazie

    1. @Paola, a me sta accadendo il contrario. Mi aveva appassionato moltissimo da studentessa, ora non so…alla fine ti saprò dire

  3. E perché dovremmo ridere? Hai toccato un altro tema fondamentale: perché Emily Brontë decide di far raccontare la storia a una spettatrice e non ai protagonisti? O non riserva questo privilegio a se stessa?

  4. Commento di Anna, che riporto qui per comodità: “Non ridete di me, ma io mi aspetto qualche “trappola” da questo libro. Sono sincera nel dire che l’ho letto, finora, con lo stesso atteggiamento di chi ascolta un bugiardo mentre racconta la sua verità. Mi immagino, cioè, che ci sia sempre, ancora, qualcosa che possa emergere, qualcosa di “non ancora raccontato”.
    Il tema della violenza sulle donne no, non lo riconosco proprio; violento sì, in alcuni gesti, ma ancor più nei sentimenti.
    Mi prendo ancora qualche giorno…

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