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Bambini nel tempo – di Ian McEwan

Il 1° settembre 2004 Denise Pipitone scomparve mentre giocava con i cuginetti sul marciapiede di casa, a Mazara del Vallo, in Sicilia. La piccola non aveva ancora compiuto quattro anni. I colpevoli della sua scomparsa non sono mai stati trovati. Come non è mai stata trovata lei, che tra poco più di un mese compirà 19 anni. Che fine ha fatto Denise? Può una bimba scomparire così nel nulla? E’ l’incipit di un romanzo che ho appena finito: Bambini nel tempo, di Ian McEwan. Che mi ha fatto pensare a Denise e ai tanti bambini come lei che lasciano un vuoto enorme nelle loro case. 

Trama 

Stephen Lewis, autore di fortunati libri per bambini, padre e marito felice, un giorno si reca al supermercato con sua figlia Kate, e mentre è intento a svuotare il carrello alla cassa si accorge di aver perso la bambina. Rapita? Uccisa? Fuggita? Ogni cosa intorno a lui da quel momento sembra precipitare. Il vuoto doloroso che lascia la sparizione di Kate dà il via a una serie di azioni e reazioni che porteranno Stephen a rivedere tutta la sua vita. Le sue tante certezze incrollabili si mostreranno deboli; abitudini e atteggiamenti mai messi in discussione riveleranno il loro lato più fastidioso. Senza mai perdere di vista il suo protagonista, McEwan racconta il viaggio di un uomo messo di fronte all’inaccettabile, facendoci percepire la precarietà e la fragilità in cui viviamo, e nello stesso tempo restituendoci la nostra umana e indistruttibile speranza.

Un incipit che inganna

Quando ho iniziato questo libro pensavo di trovarmi di fronte a una storia diversa da quella che poi ho letto. Perché la scomparsa di Kate è solo l’incipit; soltanto la ruota che fa muovere l’ingranaggio dell’argomento di cui Ian McEwan vuole davvero parlare. Il titolo originale, non a caso, è Bambino nel tempo, al singolare. Ian McEwan esplora il mondo del fanciullo con gli occhi di chi quel mondo l’ha dovuto abbandonare e che, forse, non si ricorda più com’era. O di chi vorrebbe tornarci a tutti i costi, in quel mondo, soffrendo le pene dell’inferno perché non può. Oppure, il mondo di chi ha dato vita a un bimbo o una bimba e ha fatto del suo meglio? Lo voleva davvero, questo figlio? Forse sì, o forse no. Ecco che allora la scomparsa di Kate diventa la metafora del trascorrere del tempo, di una condizione effimera e passeggera. La condizione dell’uomo, che è destinato a rimanere solo e a morire, qualsiasi cosa abbia fatto nella vita.

Piera Maggio e tutti gli anni di battaglia

Tinte fosche e cupe per tutto il romanzo, anche se Ian McEwan decide di aprire la porta alla speranza nel finale. Un finale che mi ha convinto poco, come del resto tutta la costruzione precedente. I dubbi maggiori li ha provocati la moglie, con un comportamento per me incomprensibile. Come ho digerito poco la scomparsa di Kate, ma non quella del primo capitolo, quella di tutti gli altri. Dov’è Kate? Chi la cerca? Dove potrebbe essere? Ecco perché ho messo Denise nella foto, perché leggere questo romanzo mi ha fatto pensare a Piera Maggio e a tutti gli anni di battaglia per ritrovare la figlia. Lo so, non c’entra molto con il romanzo, né con il messaggio che l’autore probabilmente voleva dare. Solo che è questo che porto a casa, la consapevolezza che bambini scomparsi rimangono Bambini nel tempo. Per loro non c’è possibilità di crescere, di diventare adulti e di invecchiare. Loro, rimarranno bambini per sempre. Ed è una condizione orribile, che ognuno di noi dovrebbe combattere per far sì che non accada mai (più). 

Il sito di Chi l’ha visto

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