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Patate “campagnarde” della Valle D’Aosta

Se siete alla ricerca di un contorno facile, veloce e sfizioso, le patate campagnarde valdostane sono quello che fa per voi. Le ho provate a La Thuile e le ho rifatte a casa. Di derivazione francese, campagnarde=di campagna, sono saporite grazie alla presenza dell’alloro e della cipolla e buonissime, nonostante siano praticamente prive di grassi e, soprattutto, senza bisogno di usare il forno. Il che le rende perfette anche d’estate. Provare per credere.

Ingredienti per 4 persone:

  • patate, 600 gr.
  • olio evo, 3 cucchiai
  • cipolla, 1
  • foglie di alloro, 6 grandi
  • sale q.b.

Procedimento

Lavate e sbucciate le patate, quindi tagliatele a fette sottili ma non troppo. Scaldate l’olio in una padella e quando è caldo versate le fette di patate. Coprite quindi le patate con uno strato di cipolla tagliata a fette sottili. Coprite a sua volta la cipolla con le foglie di alloro e salate leggermente.

Coprite la padella e fate cuocere a fuoco lento per circa trenta minuti, mescolando di tanto in tanto fino a doratura delle patate. Servite immediatamente.

Note:

  • la preparazione è semplicissima. Solo, non distraetevi nel momento in cui le patate inizieranno a dorare, perché bruciarle sarebbe un peccato;
  • l’alloro fresco è l’ideale, ma se non riuscite a trovarlo andranno bene alloro secco o rosmarino, a vostro gusto;
  • le patate campagnarde possono trasformarsi in una preparazione di base se volete un gusto più ricco e meno dietetico. Potete aggiungere lardo, pancetta, funghi, o quello che più vi piace;
  • in Valle D’Aosta consigliano di abbinarle al formaggio Fontina DOP per un pasto veloce ma appetitoso. Personalmente non amo l’abbinamento patate-formaggio, lo trovo troppo pesante per chi non abita in montagna, quindi le ho abbinate al pesce, come potete vedere dalla foto;
  • provatele e fatemi sapere se vi sono piaciute!

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Una vacanza da sogno? A La Thuile, in Valle D’Aosta

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Una vacanza da sogno? A La Thuile, in Valle D’Aosta

Scommetto che siete appena tornati dalle vacanze e vi sentite ancora come qualche giorno fa: sotto il sole, su una sdraio, ascoltando pigramente le onde del mare che s’infrangono a riva. Poetico, eh? Oppure siete ridotti come me, avete sofferto il caldo di un’estate in città? Sia come sia, oggi per vendicarmi voglio parlarvi di freddo, neve e un luogo incantato. Vi racconto di un viaggio meraviglioso a La Thuile, in Valle d’Aosta. Anche perché La Thuile ha un unico, piccolo ma non trascurabile difetto: per trovare posto a prezzi umani bisogna muoversi per tempo.

Perché La Thuile

IMG_6756Bramavo La Thuile fin dall’anno scorso, per un semplice motivo. Ho chiesto a un gruppo di montanari (veri) di indicarmi una località con le seguenti caratteristiche: bella ed elegante, ospitale, facilmente raggiungibile anche solo con il trasporto pubblico perché sono una sostenitrice della mobilità sostenibile, dotata di piste di buon livello e di divertimenti anche per i non puristi dello sci. Obiettivo: 3-4 giorni di vacanza in un posto dove si respiri aria vera di montagna.

La risposta dei montanari consultati è stata univoca: La Thuile, Valle d’Aosta. E La Thuile sia. Di seguito vi darò qualche dritta su dove dormire, cosa fare, dove mangiare e come arrivare a La Thuile e dintorni. Come sempre, se avete altri suggerimenti o domande, scrivetemi nei commenti e cercherò di aiutarvi.

Dove dormire a La Thuile?

Cosa faccio nella vita? Scrivo. E cosa faccio quando non scrivo? Leggo. Dove avrei potuto alloggiare se non in una locanda letteraria? Il primo impatto con La Thuile è stato fiabesco. Sono entrata nella Locanda Collomb e mi è sembrato di essere finita in quella di Lorelai Gilmore, delle Gilmore Girls. Ve la ricordate? La locanda, che si trova in una delle strade laterali del paese, a pochissima distanza dalla stazione dei pullman, è in realtà un piccolo albergo a conduzione familiare, gestito con la libertà tipica del bed & breakfast. Il motivo per cui l’ho scelta, però, non è né la colazione pantagruelica, seppur apprezzabile, né la piccola sauna esterna in cui rilassarsi la sera. No, quello che mi ha convinto è la quantità smisurata di libri che ho trovato. Purtroppo, rimanendo pochi giorni non ho potuto sfruttare a dovere la stanza della lettura, ma ho fatto comunque in tempo a finire il romanzo che ho trovato lì dentro, A sud del confine, a ovest del sole di Murakami Haruki, di cui vi ho parlato qualche tempo fa. Spuntava da una pila e sembrava proprio che mi stesse aspettando.

In generale, la maggior parte delle sistemazioni di La Thuile sono in case vacanze, ma se preferite ci sono alberghi di diversa taglia e prezzo tra cui scegliere.

Cosa fare a La Thuile?

Sciare

Innanzitutto sciare, sulle piste o sull’anello di sci di fondo. Anche se gli autoctoni preferiscono fare sci di fondo direttamente in montagna, secondo me non è prudente avventurarsi se non si conoscono bene i percorsi. Motivo per cui me ne sono rimasta buona buona negli anelli, anche perché ho avuto bisogno di una lezione per assimilare i fondamentali e ho preso un’insegnante. In paese, nella zona della Piana di Arly, partono 3 anelli di fondo di varie lunghezze, ai quali si accede gratuitamente. I tre percorsi sono da 1, 3 e 7 kilometri. La tecnica di sci di fondo è più semplice rispetto a quella di discesa, però non ditelo al mio fondoschiena e al mio braccio destro, che sono rimasti doloranti per un bel po’ di giorni. Che volete farci, la forza di gravità mi ha attratto irresistibilmente verso terra piuttosto spesso!

Le piste 

IMG_6757Se amate le piste da sci, invece, avete solo l’imbarazzo della scelta. L’Espace San Bernardo è un vasto comprensorio internazionale che, da oltre 30 anni, unisce La Thuile e La Rosière. Italia e Francia. Cioè oltre 150 chilometri di piste e per godervele appieno (attenzione: non per farle tutte, per godervele) ci vogliono almeno tre giorni. Gli impianti sono efficienti e moderni, inoltre i panorami che offrono il ghiacciaio del Ruitor e il Monte Bianco da una parte e la vallata di Albertville dall’altra vi costringeranno a inevitabili soste per scattare foto. A Chaz Dura, punto più alto dalla parte di La Thuile, ho tolto gli sci per arrampicarmi su una piccola cima proprio vicino all’arrivo della seggiovia. Non faticherete a individuarla: vi chiama e vi dice: “Vieni qui su, che il panorama è ancora meglio”. E’ vero. Sono pochi passi, anche se un po’ faticosi. Se non siete così temerari c’è sempre il Belvedere, a 2641 metri, proprio all’altezza (in tutti i sensi…) del confine, con apposito balconcino per scattare le fotografie. Per quanto riguarda le piste, c’è di tutto e per tutti. Meglio la parte francese per chi è alle prime armi (non mancano gli snow park per bambini), ma attenzione: anche i più esperti possono trovare pane per i loro denti nello stadio da slalom. A tutti consiglio di spingervi fino alla partenza della seggiovia “Ecudets”, basta seguire i cartelli. Non tutti ci arrivano perché è il punto più basso (si scende fino a 1100 metri) e più lontano da La Thuile, ma è una pista fantastica, che si può fare da due lati, uno più facile e uno più impegnativo, in mezzo ad abeti innevati che, soprattutto quando risalirete, vi faranno sentire a Natale anche se non lo è. Tante “rosse” non molto ripide ma lunghe e strette sul versante italiano, in totale 13 piste nere tra cui la mitica Franco Berthod, la numero 3, usata per la Coppa del Mondo. Per esperti, direi. Ma l’esperto si diverte tantissimo. Curve strette e obbligate nella prima parte, sempre più ripida fino al primo muro, dove si raggiunge la pendenza del 73%. Poi il pendio diventa più dolce, ma la pista più stretta, per arrivare al secondo muro, non meno impegnativo del primo: siamo al 65% di pendenza e prima di affrontarlo è meglio fermarsi per riprendere fiato, perché la parte finale, dove si è un po’ più stanchi, merita il massimo dell’attenzione. Se ce la mettete, però, vi divertite tantissimo tra curve obbligate, dossi e, per i più coraggiosi, anche qualche saltino per arrivare fino alla base della cabinovia. E poi, naturalmente, ricominciare. Perché il bello di questa pista è che la finisci esausto ma vuoi subito farne un’altra. Sì, rischia di diventare una droga.

Salire sullo Skyway

Il terzo giorno, stanca di sciare, mi sono alzata e ho visto un sole splendente già di prima mattina. Il tempo di vestirmi ed ero sull’autobus per Courmayer. Direzione: Skyway. Ve lo dico subito: costa, ma vale tutti gli euro che spenderete. L’unica accortezza è quella di salire quando c’è una giornata di sole pieno, altrimenti in cima la nebbia non vi permetterà di vedere nulla. Mentre va su, la cabina gira di 360°, quindi non c’è neanche bisogno di muoversi per gustare in tutta la sua magnificenza il panorama verso valle e quello della parete rocciosa del Monte Bianco. In più, gli ooohhh degli altri passeggeri vi avviseranno in caso di avvistamento di uno stambecco o di altri animali che si affacciano a guardare quella cosa curiosa che sale e gira continuamente.

La cabina fa una prima sosta intermedia a Pavillon du Mont Fréty (2.200 m), comoda per chi ha bisogno o voglia di acclimatarsi, mentre una seconda stazione porta invece a Punta Helbronner (3.466 m). Io ho optato per la salita diretta in cima, senza soste intermedie: la curiosità era davvero troppa.

IMG_6778“Sbarcata” dalla funivia, siamo saliti tutti utilizzando una rampa di scale, ci siamo scambiati un in bocca al lupo tra coraggiosi e poi via! Un’altra rampa di scale e finalmente sul tetto del mondo. Beh, forse proprio sul tetto del mondo non ero, però vi assicuro che la vista da lassù è davvero spettacolare. Soprattutto se andate preparati, cioè coperti fino alla fronte, limiterete i danni da congelamento alla sola mano sguainata in favore di macchina fotografica o cellulare. Finite le avvertenze, dicevo, il panorama è qualcosa di unico. Innanzitutto, dalla terrazza panoramica a 360° ho potuto vedere il Monte Bianco, il Cervino, il Monte Rosa e il Gran Paradiso, senza contare che l’aria rarefatta e il gelano creano un mix quasi estatico…per un quarto d’ora, dopodiché l’estasi inizia pericolosamente a somigliare al torpore. Magari, a quel punto, è meglio rientrare per poi riaffacciarsi dopo qualche minuto di scongelamento, anche perché li ignorano quasi tutti ma nella sala interna è possibile osservare i minerali esposti e fare qualche foto scenografica sfruttando la pavimentazione trasparente.

La tappa intermedia 

La tappa intermedia, che io ho fatto al ritorno, è forse migliore. Infatti, se in alto l’unica possibilità di movimento consiste nel girare a 360° su una terrazza, al “1° piano” ci si può anche avventurare sulla neve. A questo punto, ci sono diverse opzioni: scendere a valle con gli sci sui fuoripista della Vallée Blanche, del Ghiacciaio del Toula, dei Marbrées. O dei boschi del Pavillon, ovviamente consigliati solo ai più esperti, passeggiare lentamente scattando foto (eccomi!), oppure spingersi fino al Rifugio Torino (http://www.rifugiotorino.com/ ), dove tra l’altro mi hanno detto che si mangia molto bene.

Io ho optato per la soluzione soft, una passeggiata tranquilla, anche perché, e stentavo io stessa a crederlo, la giornata vola via in un lampo, anche se apparentemente le cose da fare non sono molte. Lo spettacolo della natura, però, richiede tempo, quindi mi raccomando, concedetevi il tempo per gustarvi l’esperienza con calma.

Tornata alla base, ho scoperto per caso che il bar all’entrata del complesso partecipa al bookcrossing internazionale. Dopo un rapido esame dei libri a disposizione, ho scelto e portato via Olive Kitteridge, che ora dovrebbe trovarsi in un’osteria di Treviso, se v’interessa (altro viaggio che devo raccontarvi), da cui ho portato via Il ricco e il giusto di Helen Van Slyke.

Rilassarsi alle Terme di Pre Saint Didier

Sulla via del ritorno, mi sarebbe tanto piaciuto fermarmi alle famose terme di Pre Saint Didier, che si trovano proprio a metà strada tra Courmayeur e La Thuile, e che sono rinomate per le piscine di lusso e all’aperto, con la montagna che si staglia davanti. Uno scenario suggestivo. Almeno credo, perché purtroppo ahimè sono sempre prenotate. Mi hanno dato appuntamento alle 19, a tramonto finito ma sarei comunque entrata. Peccato che l’ultima navetta per La Thuile passasse alle 20:40. Troppo poco, per una che è tornata a Budapest quasi esclusivamente per le terme. Beh, non proprio, però avete capito il concetto.

Dove mangiare a La Thuile?

Qui il capitolo si fa interessante. Ve lo dico, ,c’è solo l’imbarazzo della scelta. Prima di tutto, è mio dovere informarvi che La Thuile è stata dichiarata Città del Cioccolato nel 2009. Dopo una giornata sulle piste, non c’è niente di meglio di una cioccolata con panna per riscaldarsi e confortarsi. Se volete andare oltre e farvi davvero male con un dolce ultra calorico, come ho fatto io non c’è neanche da dirlo, vi suggerisco una vera e propria bomba, in tutti sensi.

La Tometta

IMG_6752La Tometta è stata inventata da Stefano Collomb, un pasticcere di La Thuile che ha deciso di far ingrassare felicemente tutte le donne che varcano la soglia della sua pasticceria, la Pasticceria Cioccolateria Chocolat (ricordate il film Chocolat? Forse un nome ormai inflazionato, ma rende perfettamente l’idea). Prende il nome dalla forma, che ricorda quella dell’omonimo formaggio d’alpe, ed è un enorme cioccolatino di 350 grammi, a base di cioccolato al latte, gianduja e nocciole del Piemonte IGP, che provoca la pace dei sensi al primo morso. Giuro che non sto esagerando e se non ci credere assaggiatela pure voi.

Se, invece, preferite una cena tradizionale, ho il posto giusto per una serata indimenticabile.

Il rifugio Lo Riondet

In inverno, il rifugio Lo Riondet è raggiungibile solo con i gatti della neve messi a disposizione dai gestori, che scendono a prendere i clienti a un orario concordato nei pressi della chiesetta del paese fantasma di Pont Serrand. Dico paese fantasma, anche se non lo è, perché è abitato quasi solo d’estate, mentre d’inverno rimane fuori anche dalle rotte della navetta, che effettua l’ultima fermata a La Thuile, più in basso. Peccato, perché raggiungerlo senza macchina diventa estremamente difficile, visto che anche i taxi sono un miraggio. Noi, indomiti camminatori, non abbiamo voluto rinunciare nonostante gli impedimenti, e ci siamo avviati…a piedi! sui tornanti sprovvisti di marciapiede, con un vento gelido che tirava giù la neve dal ciglio della strada. Non vi consiglio di seguire il nostro esempio, ma di cercare per tempo un passaggio. Da queste parti, l’autostop è pratica ancora comune e usata regolarmente (sempre con le dovute cautele).

IMG_6764Comunque, in qualche modo siamo arrivati al luogo dell’appuntamento, e finalmente in salvo, siamo saliti sul gatto. L’esperienza è divertente: il gatto è chiuso e munito di telecamere, così abbiamo potuto sempre vedere dove stavamo andando, sempre ovviamente tenendo in considerazione il buio e la neve. All’arrivo, siamo stati accolti da un piccolo aperitivo e un gradito vin brulé e poi subito dentro, perché oggettivamente faceva un freddo cane. Dentro, abbiamo trovato sale accoglienti e un’atmosfera calda (in fase di prenotazione, vi raccomando di chiedere un tavolo lontano dalle finestre, soprattutto se la temperatura è rigida). Complice anche il vino, la sensazione di trovarsi fuori dal mondo per una sera favorisce la convivialità e gli scoppi di risa iniziano subito e mettono allegria.

Il menù è abbondante, con 65 euro a persona, escluse bevande, avrete una panoramica eccellente dei piatti valdostani. Impossibile elencarvi tutto quello che ho assaggiato. Cito solo la Raclette Savoyarde, vi arriva in tavola una mezza forma che viene scaldata e che con una spatola il cliente stesso mette nel piatto, Il costato di maialetto arrosto alla senape, davvero notevole, e il caffè alla valdostana, che viene servito nella tipica Grolla valdostana, o coppa dell’amicizia. Ho mangiato da scoppiare e quindi purtroppo per me ho dovuto saltarlo, però il rito del caffè è divertente: i commensali bevono dalla coppa a giro utilizzando le bocchette di cui è dotata e passandola al vicino di posto, girandola leggermente in modo che il convitato accanto abbia davanti la bocchetta da cui bere. Se nessuno appoggia la Grolla sul tavolo prima di bere, e prima che il caffè sia finito, significa che tra loro va tutto bene. Meglio, dunque, non metterla in tavola con i parenti serpenti!

Come arrivare a La Thuile?

In automobile: entrando in Valle d’Aosta a Pont-Saint-Martin, si percorre l’autostrada A5, che attraversa la regione da est a ovest e si esce dall’autostrada a Morgex, imboccando la S.S. 26, seguendo le indicazioni per La Thuile.

In treno: la stazione ferroviaria più vicina è Aosta e il collegamento con La Thuile è garantito da un servizio di pullman di linea. Oppure potete optare per la stazione di Torino, più lontana ma servita da diverse compagnie ferroviarie e da pullman.

Souvenir di La Thuile 

Prima di andare via, ho scelto proprio la coppa dell’amicizia come souvenir. Campeggia trionfale nel mio salotto, a futura memoria di una vacanza splendida e dell’importanza dell’amicizia nella vita.

Vi aspetto al prossimo viaggio. A proposito di terme, chi non vorrebbe trovarsi a Budapest per un weekend autunnale? Nei prossimi giorni su Penna e Calamaro, il racconto di Un caffè letterario a Budapest.

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A sud del confine, a ovest del sole – Haruki Murakami

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Confinati per due giorni a Ponza, l’isola “lunata”

Ponza. Vi scrivo appena sbarcata dal traghetto. Felice di sentirmi ancora viva. Il mare era piuttosto turbolento e io e due neonati abbiamo rischiato di rimanerci. Non fate commenti sui due miei compagni di avventura, vi scongiuro…Quest’anno passo il weekend di Pasqua su un’isola pontina, la più grande e la più conosciuta, Ponza. L’anno scorso l’avevo trascorsa a Sperlonga e mi è sembrata una buona idea fare il bis, andando a vedere cosa c’è di fronte al continente. Per fortuna, l’acquazzone che ha fatto alzare le onde e ballare la tarantella alla nave, al momento dell’attracco era quasi finito.

Dal porto, sono andata direttamente al piccolo albergo che ho prenotato, che si trova a circa 500 mt di distanza dallo sbarco e ottimo punto di partenza per escursioni sull’isola.

Quando sono entrata nella hall, la ragazza che mi ha accolto deve aver notato i capelli alla Mafalda e lo sguardo stralunato: “non le chiedo neanche com’è andato il viaggio”. Ecco brava, è meglio.

Mi raccomando, non spaventatevi: Ponza val bene un po’ di su e giù in mare, come vi racconterò ora.

Il giorno di Pasqua, su e giù per le calette

Domenica ci siamo alzati di buon’ora e dopo una ricca colazione siamo partiti per fare il giro di Ponza. Se non avete problemi fisici, vi consiglio di farlo a piedi, perché l’isola non è grande e siamo riusciti a vedere quasi tutti i punti d’interesse in una giornata e qualche…ehm…km di scarpinata. L’unico piccolo problema sono i piedi, che mentre vi scrivo stanno gridando pietà.

Il Frontone

Prima tappa, la spiaggia del Frontone, una delle più famose dell’Isola. Più frequentemente viene raggiunta via mare, ma il servizio è attivo solo d’estate, quindi noi siamo scesi per un sentiero piuttosto ripido. Troverete online descrizioni paurose del sentiero, ma vorrei tranquillizzarvi: niente che una persona in buona salute fisica non riesca a fare. Certo, quando inizierà la risalita l’unico pensiero fino alla cima sarà “ma chi me l’ha fatto fare”, però a quel punto potrete solo continuare ed entrare in modalità mantra yoga per spingervi al punto di partenza.

Il museo etnografico

Lungo il sentiero, prima di arrivare alla spiaggia, abbiamo incontrato per caso un cartello azzurro che indicava il museo etnografico. Incuriositi, ci siamo affacciati e abbiamo incontrato uno dei gestori della famiglia Mazzella, che con pazienza e affetto ha raccolto diverse testimonianze della vita sull’isola. Due su tutte mi hanno affascinato: la storia del soldato tedesco di origine russa che nel 1914 portò sull’isola la balalaica, uno strumento a corde della tradizione russa che lasciò come pegno d’amore a una ragazza ponzese non tornando però mai più a prenderlo e quella di zio…, che la mattina ascoltava la radio e voleva commentare, poi stizzito perché dall’altra nessuno gli rispondeva finiva per infuriarsi e spegnerla. Fuori dal “museo” c’è una piccola biblioteca, e mi sono tanto pentita di non aver portato con me libri per il bookcrossing, un calcio balilla e le sdraio per prendere il sole. Oppure, tavoli per assaggiare le specialità locali cucinate in una minuscola cucina. Noi abbiamo proseguito a destra fino agli scogli di tufo, che in epoca romana erano vasche di acqua sulfurea. Optando per il sentiero di sinistra, invece, saremmo arrivati al Fortino di Frontone, che a proposito si chiama così per la forma della roccia bianca che si affaccia sulla baia, che sembra appunto il frontone di un tempio greco. Non abbiamo camminato fino alla spiaggia del Frontone, che mi dicono in periodo estivo sia uno dei posti preferiti dai giovani per l’aperitivo al tramonto, perché il programma di escursione era bello intenso, ma l’ampia distesa avrebbe meritato almeno una passeggiata.

E poi abbiamo incontrato Fred

Ti rendi conto di quanto siano utili le lezioni di yoga quando la salita irta ti fa scoppiare i polmoni. A quel punto, o chiami qualcuno in soccorso, in effetti lì vicino hanno piazzato il poliambulatorio e non credo sia un caso, oppure come ho detto prima applichi il mantra dello yoga: muscoli antagonisti (glutei) al lavoro, sguardo fisso davanti a te e respirazione controllata. In qualche modo siamo arrivati su e siamo ripartiti per raggiungere i nostri obiettivi principali: la baia delle piscine naturali e Cala dell’acqua. Solo che all’altezza di Cala Feola abbiamo perso l’orientamento. Non aspettatevi di trovare cartelli e indicazioni, perché in tutta l’isola predomina il fai da te, ovvero giri e rigiri per viuzze e scalette finché se sei fortunato arrivi da qualche parte. Per fortuna ci ha affiancato Fred, che al collo portava la targhetta Sauron ma non si è ribellato al suo nuovo nome. Abbiamo capito che ci chiedeva di seguirlo e d’istinto ci siamo “accodati”, è proprio il caso di dire, a lui. Incredibilmente, si è mosso con abilità tra le suddette viuzze e scalette fino a portarci proprio dove volevamo!

Le piscine naturali

La baia delle piscine naturali si trova in un tratto di costa libero, non in concessione. Il mare e il vento con il tempo hanno scavato due conche naturali, le piscine, di acqua bassa e calda. La prima è chiusa tra le rocce e unita alla seconda tramite due archi naturali. Scendendo le scale, s’incontra la prima, chiusa interamente tra le rocce, unite al mare aperto e alla seconda piscina tramite due archi. La seconda piscina è meno chiusa dell’altra e con l’acqua più bassa. D’estate devono essere uno spasso per grandi e piccini.

Lo scoglio della tartaruga

Sempre seguendo Fred, siamo tornati sulla strada principale e da lì abbiamo visto lo Scoglio della tartaruga. Il perché del nome è intuibile dalla forma. Mi ha ricordato lo Scoglio dell’elefante che avevo visto in Cornovaglia. Ed è subito amore

Le Forna

Finalmente, dopo un altro tratto di strada tutto in salita, siamo giunti in località Le Forna e prima di scendere alla Cala dell’acqua, ci siamo riposati su una panchina di fronte alla chiesa mangiando panini. Per fortuna, avevamo più fame che sete, perché Fred si è rivelato una buona forchetta e da solo si è spazzolato metà del nostro pranzo.

Dopo la breve sosta, siamo scesi alla Cala.

La Cala dell’acqua

In epoca romana, la Cala dell’acqua era importante, perché qui i romani avevano trovato l’unica fonte sorgiva dell’isola, ora purtroppo chiusa. Da qui, ovviamente, il nome che porta ancora oggi. In parte ora è anche deturpata dai resti di una miniera di bentonite che nel 1935 hanno pensato bene di estrarre dalla parete sovrastante e che poi è stata chiusa nel 1975.

Forte di Papa

Dall’alto abbiamo anche scorto il Forte di Papa, realizzato alla fine del 1700 su richiesta di Papa Paolo III, dei Farnese. Costruito in posizione strategica, doveva sorvegliare i mari che dividono l’isola dal continente. Noi non ci siamo arrivati, ma se volete vederlo da vicino, basta proseguire lungo la strada principale asfaltata.

Ciao, amico Fred

Per noi è tempo di fare marcia indietro e di salutare il nostro amico Fred, che forse perché restio agli addii, o più probabilmente perché trascinato da un suo amico a quattro zampe che l’ha raggiunto al galoppo, è sparito così com’era apparso, senza salutarci. Ciao amico Fred, sei stato un’ottima guida.

Chiaia di Luna

Scendendo a ritroso lungo la panoramica che abbiamo già affrontato in salita, arrivati quasi al porto abbiamo incontrato un altro punto molto conosciuto dell’isola, la Baia di Chiaia di Luna, chiamata così per la curvatura a mezzaluna della spiaggia, chiusa alle estremità dalla roccia bianca all’estremità. La spiaggia è la più grande di Ponza e fino a qualche anno fa si poteva raggiungere attraverso un tunnel di 170 metri circa costruito dagli antichi romani. Oggi purtroppo la spiaggia è raggiungibile solo via mare e a rischio e pericolo dei natanti, perché anche la roccia che la sovrasta è friabile e a rischio crolli. Purtroppo, spiace dirlo, è uno degli esempi italici di incuria delle numerose testimonianze che il passato ci ha lasciato, non solo perché il tunnel avrebbe bisogno di essere seriamente ristrutturato per permettere ai cittadini di tutto il mondo di godere di tanta bellezza, ma anche perché, pensate, sulla cima della scogliera, che da 100 metri di altezza cade a picco sulla cala, c’era una necropoli romana che oggi è ormai in gran parte distrutta. Che dire, provo tanta malinconia quando penso a quello che ho visto l’estate scorsa in Inghilterra e a come so che tratterebbero i resti romani se ne avessero così tanti.

Il porto

Ormai il sole sta tramontando, è ora di tornare alla base, portando con me i pensieri malinconici. C’è ancora spazio per un giro del porto, meraviglioso a quest’ora, dove la sagra del casatiello ponzese, che è in pieno svolgimento, rovina un po’ ma non troppo l’atmosfera romantica che in estate deve aver fatto capitolare chissà quanti innamorati. Purtroppo, oltre a passeggiare oziosamente per la banchina, rimirando la vista del mare aperto e quella del villaggio con le sue casette colorate, deliziose, possiamo fare ben poco. I ristoranti sono quasi tutti chiusi, quindi non posso raccontarvi come si mangia in zona. Posso dirvi con certezza, però, che i prezzi non sono teneri e i due tre posti in apparenza più invitanti lì abbiamo visti in alto, a Le Forna.

In stanza faccio un conteggio spannometrico dei km percorsi con l’aiuto di google maps: 15! Direi che una bella doccia calda e dieci ore di sonno sono gli unici desideri da esprimere alla luna ponzese.

Pasquetta

I ponzesi passano il giorno di pasquetta sul Monte Guardia, a divertirsi con scampagnate e picnic. Fa caldo, la primavera si è finalmente affacciata, dopo un mese di marzo che ci raccontano è stato molto duro, Noi, invece, rimaniamo in zona porto, deserto e completamente sguarnito, perché rimangono tre cose importanti da fare: scegliere la calamita giusta, visitare il cimitero e le cisterne romane.

La calamita

La calamita giusta per fortuna ci appare al secondo o terzo negozio di souvenir in cui ci affacciamo. Non avete idea di quanto tempo sono capace di perdere su questa parte dei viaggi. Perché la calamita ha lo scopo fondamentale di farmi rivivere le sensazioni provate ogni volta che apro il frigorifero. Il che succede abbastanza spesso, eh eh. Non divaghiamo: la calamita raffigura una scarpa da ginnastica dentro cui è racchiusa Ponza. Così ricorderò per sempre la giornata ridenominata “la sfacchinata di Pasqua”.

Il cimitero

Il cimitero è situato su una collina sopra il porto e costituisce un ottimo punto di osservazione. Se avete tempo, andateci. Oltre a portare un saluto ai defunti, cosa sempre buona e giusta, potrete godere di una vista stupenda sul mare e sugli scogli. Il custode è stato così gentile da indicarci una piccola sagrestia, con una finestrella da cui osservare dall’alto un panorama spettacolare. Sulla strada per il cimitero abbiamo potuto anche “intuire” i resti di una villa costruita, sembra, dall’imperatore Augusto, con annesso tempio, per farne una residenza di villeggiatura. Un po’ come la villa di Tiberio che ho visitato a Sperlonga. In quel caso, però, i resti permettono di immaginare la pianta della villa così com’era. A Ponza, invece, ci sono oggi degli orti digradanti verso il mare e null’altro.

Le grotte di Pilato

A livello del mare, è ancora possibile ammirare le grotte di Pilato, un complesso di caverne collegate con il mare e tra di esse da cunicoli, scavate nel banco roccioso sottostante la villa. Non essendo stagione di navigazione con la barca, noi siamo riusciti a scorgerle sul traghetto di ritorno. Appena parte, guardate verso destra e riuscirete a vederle bene. Sono costituite da quattro vasche coperte e una scoperta, per questo si è sempre pensato che servissero come allevamento di pesci, che è ancora oggi l’ipotesi più accreditata. Accanto alla quale, però, si sta facendo spazio un’altra ipotesi, ossia che potesse trattarsi di uno stabilimento balneare, perché al loro interno sono stati trovati resti di colonne e statue collegato alla villa sovrastante da una scaletta scavata nella roccia. Non è stupefacente la modernità degli antichi? Il nome, invece, è ricollegabile al famoso Ponzio Pilato, in origine solo Pilato, che deve l’aggiunta di Ponzio proprio al periodo in cui fu mandato a Ponza per governarla.

Il confino

Ponza, infatti, era considerata luogo in cui confinare gli esiliati, o le persone non gradite, fin dall’antichità, non solo in epoca fascista. Qui furono confinati, tra gli altri, Giulia, la figlia di Augusto, Ponzio Pilato, Sandro Pertini, Pietro Nenni, lo stesso Mussolini alla fine della guerra, prigionieri slavi, albanesi e greci e innumerevoli altri. Tutto sommato, da quello che ho visto, direi che non dev’essere stato troppo difficile per loro adattarsi nella terra d’esilio.

Le cisterne della Dragonara e del Corridoio

Sempre a proposito di romani, vi consiglio caldamente di passare alla pro loco, gli uffici si trovano al porto, e di prenotare una visita alle due cisterne romane più vicine. Da aprile e per tutto il periodo estivo, le visite sono cinque al giorno. Noi non sapevamo che per pasquetta non erano previste visite al mattino, ma ci tenevamo tantissimo a vederle prima di ripartire e il presidente della pro loco Emilio Aprea ci ha gentilmente accompagnato all’interno per consentirci di ammirarle.

Perché vi garantisco che di pura e semplice ammirazione si tratta. La prima cisterna, quella della Dragonara, è perfettamente conservata. Scavata nel tufo dell’isola, presenta più corridoi a volta, posti su file parallele che si incrociano con navate perpendicolari. Questo metodo di scavo, ci ha spiegato la guida, serviva a formare una scacchiera di pieni e di vuoti che anche con il massimo riempimento d’acqua non avrebbe creato problemi ai pilastri di sostegno. I pavimenti e le pareti sono rivestiti di coccio pesto, un materiale naturale (di riciclo, diremmo oggi) che rendeva impermeabile la vasca, mentre una serie di condotte in entrata e in uscita garantiva il corretto funzionamento idraulico.

Se pensate che stiamo parlando di popoli antichi, e che fino a quarant’anni fa l’acqua potabile proveniva da lì sotto, non possiamo non stupirci di quanto genio possedessero. Peccato solo che gli antichi romani siano considerati più all’estero che in Italia. Anche questo non smette di stupirmi. So che l’ho detto anche qualche paragrafo sopra, ma repetita iuvant.

La seconda cisterna, del Corridoio, è altrettanto interessante e si trova a poca distanza dalla prima. Qui la guida ci fa notare le differenze stilistiche e concettuali con la precedente, dovute essenzialmente alle modifiche di era borbonica compiute sulle pareti. Inoltre, mentre l’altra ha sempre conservato la sua funzione originaria, rimanendo attiva fino ai giorni nostri, questa nel tempo è diventata deposito di rifiuti e solo recentemente è stata “liberata dal confino” e restituita ai cittadini.

Ripartire

Risaliamo all’esterno e la luce del sole ci colpisce in faccia. E’ davvero ora di andare, il traghetto ha già acceso i motori. Saluto Ponza con un arrivederci, almeno spero. Conservo negli occhi e nella mente i colori pastello delle case che contrastano con il blu profondo del mare, le scogliere che la proteggono tutt’intorno, la luna, che sull’isola lunata viene tutte le notte a specchiarsi a metà, e quel mix di trasandatezza e bellezza che caratterizza la giovine Italia, che fiera della sua bellezza se ne fa un vanto e non lavora per conservarla.

A lei, Ponza, do appuntamento per una sortita estiva e a voi al prossimo Diario di bordo.

Informazioni pratiche

Come arrivare

Ponza può essere raggiunta con diversi mezzi di trasporto: – in aereo, gli aeroporti più vicini sono quelli di Roma e Napoli. Da qui, il trasferimento ai porti d’imbarco può avvenire con i treni regionali, fino a Formia e Anzio e da qui ai porti d’imbarco con taxi o a piedi percorrendo circa un chilometro; con il taxi, auto a noleggio o elicottero. In auto fino agli imbarchi di Formia (tutto l’anno), Terracina e Anzio nella stagione estiva. Sull’isola è vietata la circolazione alle automobili dei non residenti nei mesi estivi.

Dove dormire

Ho dormito al Piccolo Hotel Luisa, che vi consiglio se cercate una soluzione di base e comoda. Vi suggerisco comunque di prenotare per tempo, soprattutto nel periodo estivo, perché l’offerta di alloggi su un’isola microscopica è inevitabilmente limitata.

Ulteriori informazioni

Per ulteriori informazioni, visitate i siti della pro loco di Ponza  o www.visitponza.it. Oppure chiedete a me, sarò felice di aiutarvi per quanto possibile.

London’s calling. Il viaggio letterario sta finendo. Ma prima, i Pink Floyd!

Il viaggio letterario sta finendo. L’ultima mattina, al John Bartleycorn di Goring, ci aspetta una colazione pantagruelica e una conversazione vivace con i nostri vicini di tavolo, che incuriositi dalla presenza di stranieri sono meno reticenti dei padroni di casa 20170823_091650a chiederci cosa ci facciamo da queste parti. Noi ci limitiamo a rispondere che siamo di passaggio prima di tornare a casa. Loro vengono dal nord dell’Inghilterra e fanno trekking, infatti all’inizio ci avevano scambiato per camminatori. Noi ridiamo e ribattiamo che no, in teoria non facciamo trekking, ma che le scogliere della Cornovaglia ci hanno obbligato a macinare chilometri. Alla parola Cornovaglia la signora si fa sognante, mi dice che c’è stata una volta sola ma che vorrebbe tanto tornarci. Io sono appena andata via e la penso esattamente come lei. Subito dopo, però, la sorridente signora inglese raffredda i miei entusiasmi per la tavola rotonda e Camelot, liquidando Winchester in una battuta: “ah, sì, in tutta l’Inghilterra ci sono posti dove dicono di possedere quella vera, ma non è mai così”. Addio, Camelot, è stato bello illudersi per un giorno.
Prima di andare via, ci fermiamo a ringraziare il proprietario. Di buon mattino è loquace e ha voglia di fermarsi a fare due chiacchiere. Approfitto per chiedergli notizie da insider su George Michael. Sembriamo vecchi amici, io con gli avambracci poggiati sul bancone del bar mentre lui mi racconta che lo conosceva e che era una persona amabile, educata e gentile. Salutava tutti, soprattutto quando usciva a passeggiare lungo il fiume, ma in realtà nessuno nel villaggio può dire di averlo conosciuto davvero. Mi sembra sinceramente triste per quanto gli è accaduto e le sue parole rafforzano in me la convinzione che avesse scelto questo luogo remoto per essere lasciato in pace. E che quanto accaduto il giorno di Natale possa anche non essere casuale. Purtroppo, è tristemente vero che ai vivi rimangono solo le domande…

via Londra

Ora però è davvero tempo di andare via. Direzione, Londra. Complice una bella giornata e traffico scorrevole, arriviamo in aeroporto prestissimo. Dall’autostrada, i segnali che indicano Heathrow ci guidano senza sforzo e addirittura a un certo punto appare la corsia riservata a chi deve lasciare la macchina a noleggio. Perfetto. La macchina è un po’ infangata, ma non c’è neanche un graffio. Un pulmino ci porta al terminal giusto per il nostro volo, fanno tutto loro. Fantastico, staccare il cervello qui si può. Entrati nel terminal, ci guardiamo ed è un attimo. Il volo è tra qualche ora, la fermata della metropolitana è nel terminal, la macchinetta automatica per i biglietti pure…Pink Floyd, arriviamo!

Pink Floyd Exhibition

Al Victoria & Albert Museum è in corso la mostra Pink Floyd: Their Mortal Remains, la loro anima rimane. Arrivare è semplicissimo, la fermata della 05metropolitana e l’entrata del museo sono separate da un tunnel. La fila c’è ma e quasi ora di pranzo di un giorno feriale, quindi fattibile. Esauriti i convenevoli, ci fanno entrare dotando ognuno di una cuffia. Il percorso, infatti, è sensoriale, visivo, acustico e tattile. Ci tuffiamo in un mondo ovattato, dove centinaia d persone si aggirano per le sale in silenzio, mentre si attivano al passaggio video e canzoni, che insieme a testi originali, fotografie e strumenti musicali ripercorrono le tappe principali del percorso artistico e musicale della band, dagli esordi negli anni ’60 fino allo scioglimento. Anche se li seguo da una vita, è stato interessante cogliere alcuni dettagli che non conoscevo o conoscevo poco, soprattutto per quanto riguarda il loro incontro nella facoltà di architettura, l’influenza dei loro studi sulle scenografie dei concerti, che curavano personalmente, o la sperimentazione tecnica sui suoni, oppure quanto fossero diversi dagli altri artisti emergenti perché provenivano da una classe sociale elevata e puntavano sulla raffinatezza dei testi e dei suoni fin dall’esordio. Mi sono anche divertita a giocare con il mixer sulle note di “Money“, ma ho capito solo ripassando lì davanti che l’impianto è collegato alle cuffie e quindi chi si diverte con il mixer fa sentire la sua versione a chi passa lì vicino! Spero tanto di non aver massacrato orecchie sensibili! La fine della mostra, poi, è grandiosa. In una sala circolare, puoi sdraiarti, metterti seduto o rimanere semplicemente in piedi a gustarti loro, che dai video a tutta parete suonano dal vivo, immerso chiaramente in luci psichedeliche.

This is the end

20170817_105428Riuscite a immaginare finale diverso e migliore per questo straordinario viaggio letterario? Se potessi, lo rifarei mille e mille volte e chissà che non sia possibile tornare davvero sulle scogliere ventose, in compagnia di un orizzonte sterminato e delle profondità dell’anima. Perché mentre andavo Sulle tracce delle grandi scrittrici, l’ho afferrata e le ho raccontato qualcosa di me. Lei già sapeva, ma mi ha ascoltato paziente, pronta a mettere in valigia percezioni e turbamenti prima di riprendere il viaggio.
p.s.
Spero che questa lunga narrazione vi sia piaciuta e vi abbia tenuto compagnia. Se vi ho incuriosito e state pensando di organizzare un viaggio in queste terre meravigliose, scrivetemi nei commenti e sarò felice di rispondere a tutte le curiosità.
Intanto, finisco in dolcezza anticipando il titolo del prossimo Diario di bordo:
A presto!

Listen without prejudice. Da George Michael a Goring-on-Thames

Winchester è molto piccola, la visita non richiede più di mezza giornata e noi abbiamo un appuntamento importante prima di tornare a casa. Domani ci aspetta il volo da Heathrow e il villaggio in cui sento di dover andare si trova a circa un’ora da Londra, quindi perfetto come tappa di avvicinamento. Anche se non è il motivo per cui ho deciso di andarci.

Goring-on-Thames

Goring-on-Thames, Goring sul Tamigi, è un piccolo villaggio che sembra sospeso nel tempo. Se non fosse per le macchine che raramente attraversano le strade, potremmo tranquillamente trovarci nel 1600. Non è una cittadina di passaggio, chi si ferma qui ci viene intenzionalmente, IMG_20160101_014413oppure ci abita. In gran parte, è abitato da persone facoltose che cercano pace, tranquillità e anonimato. Proprio quello che desiderava la persona che cerco. Lascio i bagagli nel pub del paese, che mi ospiterà per la notte, ed esco a cercarlo. Non voglio chiedere indicazioni: se sarà destino, lo troverò. Per fortuna, non c’è alcun circo dell’orrore, nessuno sfruttamento di eventi infausti, nessun cartello che metta il viandante sulla strada giusta. Parto dal fiume: so che aveva scelto Goring perché voleva vivere vicino al fiume, quindi immagino di essere in grado di riconoscere la casa giusta dall’esterno. Sulla banchina, sono ormeggiate diverse barche, ma le persone a bordo si contano su una mano. L’atmosfera è ferma, siamo in estate ma potrebbe essere autunno, se non fosse per il colore verde brillante della vegetazione.

Piove

Piove, e penso che sia giusto. Credo che il cielo stia piangendo e mandi acqua incessantemente dal 25 dicembre 2016. Passeggio per il molo senza una meta. Non so, forse spero di non trovare il cottage giusto. Forse, spero di vederlo uscire da una porticina di legno e dire: “hello”!, ma ovviamente non è possibile. Piove più intensamente, ora. Forse, è il caso di allontanarsi dal fiume. Si sta facendo buio. Forse, è il caso di riprovare con le prime luci del mattino. M’incammino sulla via principale del paese e scorgo delle lettere. Una sola parola, di legno verniciato, appoggiata su un muretto: LOVE. So che sono arrivata. So che potrò salutarlo.

George Michael

Quando vedo ondate di ragazzine isteriche urlare il nome del cantante del momento, anche a me viene da ridere come credo a tutti. Penso che quando saranno grandi ricorderanno quei momenti con affetto e anche un pizzico di nostalgia. Voi quali follie avete fatto per amore del vostro idolo? Io IMG_20160101_011018poche, non sono scappata a Sanremo per sposare Simon Le Bon, non ho fatto i calchi in gesso ai genitali (sì, è successo anche questo), non mi vesto di viola come chiedeva Prince, non ho tirato reggiseni come le fans di Vasco Rossi. Niente di pazzo, se non qualche striscione ai concerti. In compenso, ho offerto fedeltà. Le mie passioni musicali mi accompagnano dall’infanzia, hanno resistito agli ormoni impazziti dell’adolescenza, mi hanno consolato quando sono entrata nell’età adulta, mi aiutano a vivere oggi, che gli anni passano e i problemi aumentano.
George Michael era ed è per me tutto questo: è la mia giovinezza spazzata via in un momento, una mattina di Natale quando mi sono alzata felice, pensando ai regali che avrei scartato quel giorno e invece mi sono trovata davanti alla brutalità di una notizia lunga un minuto.
“Careless whispers of a good friend. To the heart and mind, ignorance is kind. There’s no comfort in the truth, pain is all you find” 
Sussurri avventati di un buon amico. Per il cuore e la mente, l’ignoranza è gentile. Non c’è conforto nella verità, il dolore è tutto quel che trovi.

Careless whisper

IMG_20160101_011536Queste sue strofe sono profetiche. Le domande e i perché sono l’unica cosa che rimane.
George Michael non c’è più. Nessuno di noi potrà più sentire la sua voce unica, straordinaria, immensa. Come immensa è la sua generosità, nei confronti della sua famiglia, del pubblico, delle persone bisognose di aiuto.
Aiuto, come quello di cui forse avrebbe avuto bisogno lui e che nessuno gli ha saputo dare. Oppure, più semplicemente, una stella troppo incandescente per non andare incontro al sole e all’auto distruzione. Di questo sono fermamente convinta: ci sono persone che nascono con un talento straordinario e una sensibilità fuori dal comune. Persone che non sono di questo mondo e che, per quanto si sforzino di essere accettate e di convivere con il grigiore della quotidianità, sono destinate a un disegno superiore. A illuminare le nostre vite per un breve tratto e a spegnersi improvvisamente quando il percorso terreno è compiuto.

Mill Cottage

IMG_20160101_010659La dimora e il villaggio che George Michael aveva scelto parlano di lui. Isolate, recondite, discrete all’esterno quanto lussuose all’interno. Un posto che sceglierebbe chi vuole essere lasciato in pace, questa è la mia prima sensazione. Un sentimento che i suoi fan rispettano, perché anche nell’artista che seguiamo ci possiamo riconoscere. Gli omaggi a George Michael sono ordinati, sistemati in maniera decorosa, senza slogan urlati. Siamo arrivati da tutto il mondo per salutarlo: c’è una bandiera della Cornovaglia, da cui sono appena andata via, una greca, una dell’Italia, lasciata qui da un gruppo friulano. C’è la Corea, l’Australia, la Svezia, il Giappone. Ci sono gli Stati Uniti e la Russia. La musica unisce, la musica non divide.
E poi ci siamo noi, io e un uomo che furtivamente si asciuga gli occhi. Si gira e mi saluta sottovoce, prima di andare via. Prendo il suo posto davanti al portoncino di entrata, quello su cui tutti gli anni IMG_20160101_013808a dicembre George Michael metteva una corona natalizia. Al posto della corona, ora c’è un messaggio della famiglia per i suoi fans: pregano di rispettare George, che amava tantissimo questa casa, non scrivendo sul muro. Chiedono anche di fare attenzione e di non lasciare gli omaggi a George fuori dalla pensilina se deteriorabili, perché la pioggia li rovinerà irrimediabilmente. Invitano chi ha messaggi o materiale per la famiglia a utilizzare la cassetta della posta che si trova in basso sul portone, perché qualcuno li raccoglierà.

Un tuffo al cuore 

E’ raro trovare questo rispetto nei confronti dei fans. E sono orgogliosa del IMG_20160101_013043fatto che nessuno abbia disatteso i voleri della famiglia, che il muro sia libero da scritte. Anch’io voglio lasciargli un messaggio. Voglio fargli sapere che lui è con me da tutta la vita, che le sue canzoni mi accompagnano da sempre e continueranno a farlo. E che quando ho finalmente deciso di pubblicare il mio primo libro, Un tuffo al cuore, lui c’era. Gli ho indicato anche la pagina in cui la protagonista balla sulle note di una delle sue canzoni che preferisco, casomai avesse voglia di leggerlo, da lassù. Mentre parlo con lui altre persone si avvicinano al memoriale. Credo siano persone del posto che vengono a salutarlo velocemente prima di proseguire la loro passeggiata.
Nel frattempo, la pioggia continua a venire giù e tira vento.
Ho compiuto la mia missione, posso tornare a casa finalmente.

The John Barleycorn

In queste due settimane abbiamo alloggiato in case private e fattorie, come nella migliore tradizione britannica. Mancava ancora il pub, ma per fortuna abbiamo scritto al John Bartleycorn la sera 20170823_091650precedente e ci hanno risposto sì abbiamo posto vi aspettiamo, sempre per email. Informali, veloci, amichevoli. Senza chiedere anticipi, numeri di carta o di telefono. Di persona sono come per lettera: informali, veloci, amichevoli. E sorpresi di vederci qui, lo capisco dall’atteggiamento, ma anche troppo discreti per fare domande. Non devono vedere spesso stranieri da queste parti. Anche stasera infatti siamo gli unici, mentre gli altri avventori ridono e scherzano davanti a un boccale di birra. Vivono bene qui, penso. Pochi e semplici divertimenti, serate in compagnia e una bionda o scura per amica. Mangiamo un fish&chips veloce e andiamo a dormire. Domani, la giornata sarà lunga. E la musica inglese d’eccellenza di nuovo protagonista imprevista
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