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I sei giorni del Condor, un romanzo di fantasia?

I sei giorni del Condor, un romanzo anni settanta che segna l’esordio come scrittore di James Grady. Tutti più o meno conosciamo il film con Robert Redford che è stato tratto da questo romanzo. Il libro invece? E’ a pari livello? Ora vi racconto. 

Trama

Quando l’agente della CIA Malcolm rientra in ufficio dopo una pausa, trova i suoi colleghi morti, crivellati da colpi di arma da fuoco. Una strage terribile, e insensata: nella Sezione 9 del Dipartimento 17, infatti, Malcolm era stato assunto solo per leggere e schedare romanzi gialli. Un lavoro tranquillo, da semplice impiegato, che quel giorno cambia irreparabilmente. Malcolm, nome in codice Condor, diventa un bersaglio, al centro di una caccia senza esclusione di colpi che coinvolge CIA, FBI, polizia e killer espertissimi: Condor sa evidentemente qualcosa di troppo. Ed è entrato nel mirino di qualcuno che non lo lascerà andare facilmente.

Un romanzo di fantasia? 

I sei giorni del Condor è un romanzo interessante, che non lascia spazio a pause, in sostanza una lettura tutta d’un fiato. Un romanzo di fantasia? Non credo, credo invece che ci sia molto di reale. Servizi deviati che usano il potere a loro piacimento e che, se devono eliminare qualcuno che intralci i loro interessi, non esitano ad agire. E questo aspetto è ben evidenziato da questo romanzo, che ripeto, è mia opinione, seppur di fantasia nasconde in fondo una verità. D’altra parte, forse non per caso James Grady è stato giornalista di cronaca giudiziaria e ha lavorato come impiegato presso il Senato degli Stati Uniti. 

La vita non conta nulla 

Quello che colpisce in questa storia, è quanto la vita di gente normale non conti nulla. Tutti sono sacrificabili per i giochi di potere: un potere spietato, come dimostra chi si trova coinvolto suo malgrado, una volta usato va eliminato. Chiunque può diventare un essere umano di terza fascia, di bassa macellazione. In ogni caso, un romanzo che merita di essere letto, se non altro per ricordarci che come lasciamo il nostro rifugio, corriamo dei pericoli di natura imprecisata.

Curiosità

Per esigenze cinematografiche, al cinema I sei giorni del Condor è diventato I tre giorni del Condor, un film diretto da Sydney Pollack e interpretato da Robert Redford e Faye Dunaway, con la sceneggiatura dello stesso James Grady. Un gran film, che però non va comparato con il romanzo. La storia è sempre quella, ma con alcune variazioni importanti di luoghi e svolgimento dei fatti. 
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Danza con il diavolo – Kirk Douglas

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Nora Roberts e l’offerta del milionario

Nora Roberts qui nei suoi primi anni di attività, prima di diventare la famosissima e prolifica autrice che è ancor oggi. Megan e Katch: lei si nasconde dentro il parco giochi gestito dal nonno, lui ha soldi da spendere per un investimento che ritiene vincente. Chi vincerà il braccio di ferro?

Trama

Non è stato facile per Megan Miller rinunciare al sogno di diventare scultrice per restare accanto al nonno e gestire con lui il pardo di divertimento Joyland. Quando il milionario David Katcherton arriva a Myrtle Beach con la ferma intenzione di comprarlo, la reazione di Megan non è certo dolce come lo zucchero filato. Joyland è l’unica ragione di vita del nonno, e Megan non permetterà che gli venga portato via! Neppure se David le fa un’offerta che è difficile rifiutare, soprattutto per il suo cuore…

Un romanzo breve

Questo titolo è stato ripubblicato recentemente, ma fa parte dei primi anni di attività di Nora Roberts. Scrittrice americana molto prolifica, che ha poi trovato nei romance che virano verso il giallo la sua cifra stilistica. Stavolta, incredibilmente, mi piace più il titolo tradotto di quello originale, Less of a stranger. L’offerta del milionario lo trovo più calzante. E’ un romanzo breve, che si legge nello spazio di un paio di sere tranquille. Non direi che sia una storia memorabile, però due aspetti mi sono piaciuti: il personaggio di nonno Pop, che per Megan è anche e soprattutto padre e madre, dopo la morte dei suoi genitori quando lei era in tenera età, e le vicissitudini legate a Joyland e a quanto un’attività possa nel tempo rivelarsi una palla al piede per chi è costretto a gestirla anche se ha perso entusiasmo e motivazione.

Storia d’amore così così

Un po’ più oscuri, a fine lettura, rimangono francamente i motivi della passione tra i due protagonisti. Cosa hanno visto l’uno nell’altra? Troppe poche pagine per questa storia che avrebbe forse meritato più spazio e meno mugolii inutili e artefatti. Comunque, fa quello che è richiesto a letture leggerissime di questo tipo.

***

“Cosa vinco?”

“Quello che vuoi”.

“Prenderò Henry”, le comunicò Katch. E all’occhiata interrogativa della ragazza, indicò un pupazzo alle sue spalle. “L’elefante”. “E anche te”.

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Se fai la brava, ti porterò del dessert“. Era una loro vecchia abitudine. Da che Megan si ricordava, se Pop cenava fuori senza di lei le comprava sempre un dolce. Che cosa ti andrebbe?”

“Mmh…Del sorbetto alla fragola“, decise all’istante. 

Un solo ingrediente (con bonus), sorbetto facile facile!

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Gli Amabili resti di Alice Seibold

Da tanto volevo leggere questo romanzo di Alice Seibold e ora posso dire di non essermi sbagliata. E’ un romanzo che dà tanto, a chi è predisposto per cogliere il messaggio che lancia. Non aspettatevi un giallo classico. Non lo è. Anzi, non è per niente un “giallo”. Sappiamo tutto della vicenda, perché è Susie che ce lo racconta. Susie, una vita appena sbocciata che viene falciata dalla crudeltà umana, senza che nessuno degli adulti alzi un dito per difenderla. Ora vi racconto la mia personale lettura di Amabili resti e del perché gli amabili resti potrebbero non essere quello che vi aspettate siano.

Trama

Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Di nome: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre 1973. Ero prima che i bambini scomparsi iniziassero ad apparire sui cartoni del latte o fossero considerati come fatti di cronaca. Erano i tempi in cui la gente non pensava che certe cose non accadessero. La quattordicenne Susie è stata assassinata da un serial killer che abita a due passi da casa. È stata adescata da quest’uomo dall’aria perbene, che la stupra, fa a pezzi il cadavere e nasconde i resti in cantina. Il racconto è affidato alla voce di Susie, che dopo la morte narra dal suo cielo la vicenda. Susie racconta chi l’ha uccisa, cosa fa l’assassino, come avanzano le indagini, come reagisce la famiglia. Suo padre, opponendosi alla svolta che hanno preso le indagini della polizia, capisce chi è il vero assassino e, pur non avendo le prove, cerca d’incastrarlo. 

Un altro mondo in ” bolla”

Fin dall’inizio, Alice Seibold è abile a immergere il lettore in una “bolla”. Quella in cui si trova questa ragazzina, che quasi in maniera spassionata ci racconta di essere morta, come e per mano di chi. Quindi, fornisce al lettore fin dall’inizio tutti gli elementi per seguire la vicenda. Una vicenda che, anche per come è presentata sulle piattaforme e nella sinossi, sembra virare sul giallo. In realtà, questa è la storia di come una famiglia venga distrutta da un evento traumatico e da come, piano piano, riesca (forse) a riemergerne. Profondamente cambiata, profondamente traumatizzata, profondamente spezzata.

Vivere! Nonostante tutto

E’ questo che in realtà Alice Seibold vuole raccontare. La vita che prosegue, nonostante tutto, nonostante le perdite. Una vita che prosegue, in qualche modo, anche per chi non c’è più. Susie, però non può crescere, non sarà mai come i fratelli, sarà sempre la loro adorata Susie, la quattordicenne “fotografa naturalista”. Forse, questo è l’aspetto che mi ha commosso maggiormente: i sogni di questa quattordicenne spezzati dall’ingenuità, da un adulto malato che l’attira nella sua tana di morte. E per il quale, però, Susie non mostra mai astio, rancore. Perché l’orrore è troppo grande per essere compreso alla sua età. Lei rimane una bambina fiduciosa, più interessata alla sua famiglia che a condannare chi ha fatto del male. E la sua famiglia fa tenerezza: si spezza in due, chi persegue l’omicida come unica ragione di vita, chi si allontana per il troppo dolore. Tutti in cerca di un equilibrio ormai perduto. Sostenuti dai pochissimi amici che rimangono dopo un fatto del genere. Ruth e Ray sono capaci di affrontare il dolore e di continuare a far vivere Susie, anche se in vita avevano con lei un rapporto molto diverso. Ruth la conosceva appena, Ray l’amava. Eppure, entrambi la “sentono” e l’amano, a modo loro.

Da leggere perché 

Da leggere, per il messaggio di speranza che lascia, per la commozione che scaturisce, per la malinconia che lo attraversa. Non posso assegnare il tag cinque stelle per due motivi: il primo è il finale.  Alice Seibold costruisce, costruisce, costruisce e alla fine, quando dovremmo raggiungere l’acme per poi ridiscendere, sembra quasi che voglia trovare un pretesto per chiudere con un “e vissero tutti felici e contenti”, che stona con il racconto fin lì portato avanti e che mi ha lasciato insoddisfatta. Secondo: perché in un determinato frangente, che non posso rivelare perché sarebbe spoiler, Susie cambia registro e si comporta e parla come un’adulta? Secondo voi? 

Mi piaceva come una foto riuscisse a catturare l’istante prima che se ne andasse. 

Curiosità: 

Alice Seibold nei ringraziamenti nomina l’amica scrittrice Aimee Bender, autrice di Un segno invisibile e mio, altro consiglio di lettura per chi ama le storie fuori dai canoni.  

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Vivere! Yu Hua e un manifesto di Vita

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David Foster Wallace e Una cosa che si suppone divertente che non farò mai più

David Foster Wallace dice in apertura che per questo reportage la rivista Harper’s Magazine gli ha dato tremila dollari a scatola chiusa. Un sogno, come per tanti è un sogno la crociera. Come mai questo tipo di viaggio si trasforma in un’esperienza da fare una volta nella vita? David Foster Wallace cercherà di scoprirlo durante le sue “sette notti ai Caraibi” sulla Zenith che promettono faville. Ma sarà proprio tutto vero? Scopriamolo insieme. 

Trama

Un reportage su una settimana di crociera ai Caraibi, commissionato a David Foster Wallace dalla rivista Harper’s Magazine e pubblicato nel 1996 col titolo Shipping Out, che diventa un saggio. Il reportage è caratterizzato dalla sua estensione a tutto campo: Wallace spazia liberamente da un’analisi sociologica dei viaggiatori e dell’equipaggio, passando per una ricostruzione dell’industria delle crociere extra-lusso, fino a giungere a un’analisi introspettiva, con una disamina delle multiformi reazioni dello scrittore di fronte al fenomeno crociera.

Un quadro sociologico

Dopo quasi 25 anni, questo reportage ha quasi dell’incredibile. Solo una penna come quella di David Foster Wallace può trasformare un racconto di viaggio in un quadro sociologico così accurato. Toccando temi come emigrazione, disuguaglianza sociale, razzismo, diversità, partendo da commenti apparentemente banali sul cibo, l’architettura della nave, i comportamenti dell’equipaggio e dei turisti in crociera, le attività organizzate. In più occasioni scappa una risata, ma è la risata contrita di chi assiste a uno spettacolo comico intelligente, che ti mette di fronte a vizi e virtù della categoria umana.

Umano, troppo umano

Anche se la categoria osservata, e in qualche modo stigmatizzata, è quella di turisti americani benestanti o facoltosi, il quadro finale riguarda la categoria umana nel suo complesso e, a mio parere, è questo a rendere il reportage una lettura godibile ancora oggi. Vi segnalo a) che consiglio la lettura e b) che potete trovare l’audiolibro gratis sulla piattaforma Raiplaysound. Quindi, niente scuse. 😉 Fatemi sapere nei commenti che ne pensate!

Ognuno tiene ben stretta la sua tessera numerata neanche fossero i suoi documenti al Check point CharlieIn questa ansiosa attesa di massa, c’è un clima da Ellis Island pre Auschwitz, ma è con disagio che faccio questa analogia. Tante delle persone che aspettano, nonostante la tenuta caraibica, mi sembrano ebree e mi vergogno di sorprendermi a pensare di poter stabilire se uno è ebreo dall’aspetto. Secondo me i luoghi pubblici della East coast sono pieni di questi brevi momenti malvagi di osservazioni razziste e rinculi interiori politicamente corretti.

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I vacanzieri – Emma Straub

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La crociera imprevista – Marie-Anne Desmarest

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Il vero amore esiste? Serie Bridgerton

La serie Bridgerton si può dire conclusa con questo ottavo romanzo, che vede protagonista Gregory. Poi c’è un nono libro che riprende le fila di tutte le vicende della famiglia, ma sostanzialmente è Il vero amore esiste a chiudere la saga. Nel titolo ho messo il punto interrogativo, anche se non ci andrebbe. Perché? Venite a leggere.

Trama

Gregory Bridgerton crede nel vero amore. Quando troverà la donna giusta, se ne accorgerà subito, ne è convinto. In effetti così accade, solo che… Hermione Watson è innamorata di un altro. Ma la sua amica Lucy, per salvarla da un’infatuazione pericolosa, si offre di aiutare Gregory a conquistarla. E finisce per innamorarsi lei di Gregory. Peccato che Lucinda sia già fidanzata e, anche se Gregory ha capito di ricambiare il suo sentimento, lo zio e tutore della ragazza non intende farle rompere la promessa…

Il piccolino di casa

In questo romanzo della serie Bridgerton, il protagonista è il piccolino di casa Bridgerton, Gregory. Ultimo nato, quando il padre è già deceduto, e vicino per età alla sola Hyacint. E’ ancora giovane e, rispetto ai fratelli, non ha grandi possibilità di svettare, ma mamma Violet desidera anche per lui un matrimonio d’amore, invece di scelte di carriera che lo porterebbero lontano dalla famiglia. Ma lui, proprio perché così giovane, s’innamora a prima vista. E quando dico a prima vista, intendo proprio a prima vista. Insomma, si tratta più di una cotta adolescenziale che di amore. Cosicché, quando capisce di provare qualcosa per l’aiutante Lucinda, eccolo che si butta a capofitto in quest’altra storia…

O forse no

O forse no. Perché i piccoli di casa, si sa, sono abituati ad avere tutto senza faticare, in fondo i fratelli hanno già in qualche modo aperto la strada. Che si fa? Ancora una volta, sarà decisiva Violet. Ecco, a me questa cosa che sia la mamma a risolvere, ma soprattutto sia la mamma a spiegarci lati del carattere dei figli che non sono emersi con forza da soli durante la narrazione, non mi convince del tutto. Pur amando Violet, che resta per ora il mio personaggio preferito. Su Lucinda c’è poco da dire, è molto giovane, cresciuta senza genitori, una ragazza abituata a fare quello che le viene detto di fare e a sminuirsi in favore della bella amica. Ma anche l’amica mi ha suscitato qualche perplessità: quali sarebbero queste grandi qualità, a parte la bellezza? Non si sa. Anche perché la stessa bellezza viene decantata tanto, ma descritta poco. Non sarà stato rimaneggiato anche questo libro nella traduzione? Su Tutto in un bacio ho quasi la certezza e anche qui un sospetto più che fondato.

Julia Quinn non è Giotto

A parte queste considerazioni un po’ critiche, la serie Bridgerton è piacevole e affezionarsi a questa famiglia inevitabile. Quindi penso che recupererò anche i titoli che ancora mi mancano, giusto per completare. Mi dispiace solo che Julia Quinn abbia mancato il finale apocalittico, non ha chiuso il cerchio prima di lasciare la famiglia al suo destino. Ma perché? Forse aspetta che crescano i nipoti? 😁

L’elenco dei romanzi, in ordine cronologico: 

Il duca e io (Daphne)
Il visconte che mi amava (Anthony)
La proposta di un gentiluomo (Benedict)
Un uomo da conquistare (Colin)
A sir Philip, con amore (Eloise)
Amare un libertino (Francesca)
Tutto in un bacio (Hyacinth)
Il vero amore esiste (Gregory) 
9 Felici per sempre (8 “secondi epiloghi”) 

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