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Antica Monterano, borgo fantasma alle porte di Roma

L’antica Monterano si trova a circa 50 km da Roma, praticamente nel mezzo del nulla. Eppure, è stata set di film molto famosi e indubbiamente ha il fascino di un passato che solo i borghi fantasma riescono a evocare in modo così suggestivo. Oggi è una riserva naturale e meta di turismo locale e voglio darvi qualche suggerimento per una gita in questo borgo laziale.

Un po’ di storia

Sembra che sia stata abitata sin dall’età del Bronzo (XI secolo a.C.), per passare poi agli etruschi a partire dal VII secolo a.C. e, ovviamente, ai romani dal 390 a.C. Infatti, tracce di un mausoleo romano e le sepolture scavate nella parete tufacea ci dicono che sopravvisse come piccolo borgo per tutta l’età romana. Divenne poi sede vescovile tra il VI e il VII secolo d.C. Insomma, una storia travagliata. Che non finisce qui. Ben presto, infatti, si trasformò in un feudo che passava di mano alle famiglie nobili che dominavano l’area: Anguillara, Colonna, Della Rovere, Cybo. Sempre loro. Finché, eccoli, l’acquistano gli Orsini nel 1492. Quasi 200 anni dopo passa di nuovo di mano e viene acquistata da Papa Clemente X, cioè dalla famiglia Altieri. E’ di questo periodo la costruzione dell’acquedotto e della chiesa e convento di San Bonaventura, uno dei motivi principali per visitare oggi l’antica Monterano. Il borgo diventa una zolfatara, ma la malaria causa lo spopolamento progressivo. Nel 1798 le truppe francesi entrano a Roma e proclamano la Repubblica romana, deponendo il papa. Per vendetta, bruciano questo borgo papale e gli abitanti sono costretti a rifugiarsi lì vicino, dove sorge l’attuale comune di Canale Monterano.

Storia interessante, vero?

Cosa vedere a Canale Monterano

Le rovine dell’acquedotto e la fontana

E’ la prima cosa che vedrete entrando nel sito e già da una prima occhiata complessiva, vi renderete conto del perché questo posto sia così amato dal cinema. Dell’acquedotto cinquecentesco rimangono oggi le arcate. Fu costruito per portare l’acqua dalla confinante Oriolo, utilizzando anche le opere degli etruschi. Pensate che ancora oggi l’acqua segue lo stesso percorso e viene trasportata fino a Civitavecchia.

Le rovine del Castello Orsini-Altieri

Il castello  nacque molto probabilmente come roccaforte nel secolo VIII, quando Monterano era sede vescovile. Teoricamente avrebbe dovuto essere usato come abitazione del principe Altieri, ma praticamente non lo sfruttò mai,  preferendo risiedere a Oriolo, più comodo per gli spostamenti. Anche gli Orsini non lo avevano mai abitato, quindi possiamo considerarlo una specie di cattedrale nel deserto ante litteram. Anche se non utilizzato, evidentemente il principe Altieri aveva soldi da spendere, visto che nel 1679 affidò al Bernini la ristrutturazione del castello, dopo avergli fatto costruire la chiesa di S. Bonaventura. Con la solita maestria, il Bernini riuscì ad accentuare la prospettiva sfalsando le le aperture ad arco del porticato rispetto alle aperture del fabbricato preesistente. In questo modo, l’osservatore che avesse guardato il castello dal dal basso della piazza avrebbe avuto l’impressione di uno spazio dilatato. 

La cattedrale di Santa Maria Assunta 

La chiesa di San Rocco

La chiesa e il convento di San Bonaventura e il fico “più antico del mondo”

I resti della chiesa e del convento di San Bonaventura sono quelli che danno più atmosfera a tutto il sito, a mio parere. Anche perché si è conservata abbastanza bene da poter essere girata anche all’interno. Entrambi, chiesa e convento, sono stati costruiti su progetto di Lorenzo Bernini. Di fronte al sagrato c’era una fontana ottagonale che oggi è sulla Piazza del Comune, mentre davanti al rudere c’è una copia. All’interno sorge un mastodontico e secolare albero di fico, che quest’anno ha rischiato di perire per cause naturali, ma per fortuna è stato recuperato. 

Le cascate della Diosilla

Set cinematografico

Tutti abbiamo visto l’antica Monterano in televisione o al cinema. Compare nel film Guardie e Ladri (1951) di Mario Monicelli e Steno,  Ben Hur (1959) con Charlton Heston, Brancaleone alle Crociate (1970) con Vittorio Gassman nel 1970 e ne Il Marchese del Grillo con Alberto Sordi nel 1981, entrambi sempre di Mario Monicelli.

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L’armata perduta di Valerio Massimo Manfredi

L’armata perduta è il primo libro che leggo di Valerio Massimo Manfredi e arriva subito dopo un’altra armata perduta, quella di Cambise di Paul Sussman. Con questo romanzo, Valerio Massimo Manfredi ha vinto il premio Bancarella 2008 e prende spunto dall’Anabasi di Senofonte, che proprio lui aveva studiato e tradotto negli anni ’80. 

Trama

Una delle più epiche avventure dell’età antica: la lunghissima marcia, attraverso incredibili pericoli e peripezie, che diecimila mercenari greci dopo la disfatta del principe persiano Ciro, sotto le cui insegne si erano battuti, contro il fratello Artaserse alle porte di Babilonia – compiono per tornare in patria. È l’impresa gloriosa e tragica documentata nel IV secolo a.C. da Senofonte nell'”Anabasi”, che proprio Valerio Massimo Manfredi ha studiato e tradotto negli anni ’80. Ma in questo romanzo le atrocità della guerra e l’eroismo di ogni soldato, il fasto e le crudeli bizzarrie della corte persiana, le insidie di una natura selvaggia e le amicizie più indissolubili sono narrate in una prospettiva completamente inedita: dalla voce di una donna, la bellissima siriana Abira, che per amore di Xenos lascia ogni cosa e condivide il destino dei Diecimila. Attraverso gli occhi di Abira, le donne diventano le protagoniste della grande st

La parte storica…

Valerio Massimo Manfredi ci descrive un fatto storico avvenuto oltre 2500 anni fa con dovizia di particolari, almeno per come sono arrivati a noi.
E la parte storica contiene tutti i personaggi che hanno partecipato a quest’impresa eccezionale. Su questa parte non c’è nulla da dire, anche se Senofonte non ci ha detto proprio tutto, qualcosa l’ha sicuramente tenuto per sé.

…e quella romanzata 

Sulla parte romanzata, ho qualche dubbio su quello che dice Valerio Massimo Manfredi, cioè che i fatti raccontati siano comunque vicini alla realtà.  Pensare che una giovane donna come Abirla, che fugge dal suo villaggio con un guerriero di cui si è innamorata a prima vista (Xenos), diventi in seguito il personaggio principale di questa impresa, con tutte le difficoltà che il ruolo di donna aveva a quei tempi, è un po’ difficile. E’ mai possibile che iniziative così audaci possano essere state compiute da una giovane donna inesperta della vita fuori dal suo villaggio? Se fosse vero, le sarebbe spettata una laurea ad honorem!

(Possibile spoiler)

Ma la parte commovente di questo racconto, a mio avviso, è quella in cui riportano il cavallo a Xenos. Cavallo che egli aveva venduto per necessità. Il ritorno di Halys, questo il nome dell’animale, è pieno di gioia, soprattutto da parte del cavallo. Gli animali hanno sentimenti più forti di noi umani; infatti, sono convinta che a parti invertite Halys non avrebbe mai abbandonato Xenos.

Voi che ne pensate? Siete d’accordo? Vi è piaciuto il romanzo?

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Paul Sussman, L’armata perduta di Cambise

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Altri premi Bancarella

Paul Sussman, L’armata perduta di Cambise

Paul Sussman confeziona un buon libro, e ben scritto. Partendo da una storia vera, avvenuta nel 523 a.C. e raccontata per la prima volta da Erodoto, l’autore forse esagera un po’ nel cercare forti sensazioni, ma nel complesso il tutto funziona bene. Ora vi racconto.

Trama

Nel 523 a.C. l’imperatore persiano Cambise spedì un esercito nel deserto egiziano per distruggere l’oracolo di Amon. Ma la spedizione fu sorpresa da una tempesta di sabbia che la seppellì completamente. 2500 anni dopo una serie di delitti sembra ricollegarsi a quei lontani avvenimenti, e a un misterioso reperto che permetterebbe di localizzare l’armata perduta. Sulle tracce dell’assassino si mettono l’ispettore Khalifà e Tara Mullray, figlia di un archeologo scomparso, che si ritrovano coinvolti in una feroce vicenda di complotti internazionali, terrorismo e spionaggio.

La parte storica… 

La storia riguarda un evento vero accaduto circa 2500 anni fa, di cui ce ne da testimonianza Erodoto. Bisogna tenere presente però, che egli stesso venne a conoscenza dell’evento 80 anni dopo il verificarsi di quell’evento, e quindi quello che ha saputo allora potrebbe essere un po’ esagerato. Anche se scavi recenti sembrano confermare la vericidità di quei fatti. E fin qui la parte storica.

…e quella romanzata 

Ora quella romanzata, piuttosto movimentata e che coinvolge servizi segreti, terroristi, polizia egiziana e altri loschi personaggi. Tutti alla ricerca dei reperti dell’armata perduta, che a quanto pare finalmente il deserto ha permesso di far riaffiorare, confermando così l’evento accaduto migliaia di anni fa.
Questa ricerca scatena la lotta senza esclusioni di colpi per impadronirsi del bottino di quei personaggi sopra citati. Gli unici a cercare con altri fini sono l’ispettore Yusuf Khalifa e Tara Mullray, figlia di un archeologo scomparso. Il finale di questa storia sorprenderà un po’, ma vale pena di arrivarci.

Nota a parte per l’ispettore

Una nota a parte la meritano l’ispettore Yusuf Khalifa e la sua tenacia alla ricerca della verità. È vero che non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma vedere un funzionario di polizia che disobbedisce agli ordini superiori di tenersi fuori da questa vicenda, mettendo a rischio la promozione proposta, la propria carriera e la tranquilla sicurezza della famiglia per seguire la strada della giustizia, è sorprendente. Tutto ciò, inevitabilmente ha richiamato alla mente la vicenda di Giulio Regeni, torturato e ucciso e che, probabilmente, non avrà mai giustizia. O anche quella di Patrick Zaki, adesso in stato di libertà vigilata dopo mesi di prigionia. Oppure,  vogliamo parlare dei villaggi turistici dove si consiglia di non oltrepassare i recinti? Insomma, una storia del passato vera, un po’ romanzata, che fa riflettere molto sulle vicende di oggi. Cosa chiedere di più a Paul Sussman?

Andrea Frediani e gli Orsini, i lupi di Roma

Andrea Frediani è un autore prolifico,  laureato in Storia medievale. E proprio nella Roma medievale ci porta con I lupi di Roma, storia romanzata presentata al premio Strega 2021. Lavoro con cui lancia una sfida al lettore: convincere la gente che la storia è appassionante, puntando a mediare tra la ricostruzione accurata e il ritmo incalzante. Come dice lui stesso: “spero di aver realizzato un’opera avvincente e, allo stesso tempo, istruttiva, un binomio che dovrebbe essere l’essenza della divulgazione storica“. Io come lettrice ho raccolto la sfida. Lui, come autore, sarà riuscito nel suo obiettivo? Ora vi racconto. 

Trama

Nel 1277, una feroce lotta per il po­tere si scatena in occasione del con­clave. Dopo sei mesi di sede vacante, la famiglia Orsini riesce a far eleg­gere un proprio esponente. Il nuovo pontefice, Niccolò III, si propone di arginare lo strapotere di Carlo D’An­giò, re francese di Napoli e senatore di Roma, ma mira anche a consoli­dare le fortune della famiglia. In bre­ve gli Orsini assumono il controllo di Roma, di Viterbo e del collegio cardinalizio. Tuttavia le ambizioni del papa e di suo cugino, il cardina­le Matteo Rubeo, obbligano alcuni membri della famiglia, come Orso, podestà di Viterbo, e Perna, spinta da un amore proibito, a sacrificare i loro stessi sentimenti. Ma l’ascesa della dinastia viene interrotta da un evento imprevedibile, che esporrà gli Orsini alla vendetta dei loro tanti nemici. In cerca di riscatto, gli Orsini scopriran­no che farsi campioni degli ideali di libertà può essere un obiettivo più gratificante del dominio. Da Bolo­gna a Palermo, passando per Firenze, Viterbo e Roma, si faranno quindi protagonisti delle lotte tra guelfi e ghibellini, per le autonomie comunali e dei Vespri siciliani, imprimendo la loro mano sul ricco affresco dell’Italia tardomedievale. Questa è una storia di potere, di fede, di amore e di san­gue. Questa è la storia della famiglia Orsini, i Lupi di Roma.

I lupi…

L’ autore di questo romanzo, Andrea Frediani, ci porta in una Roma che per lunghi periodi è stata soggetta a lotte intestine per la conquista del potere. Avvenimenti di cui il popolo avrebbe fatto volentieri a meno, visto le sofferenze che ha dovuto subire, ma questo è un altro discorso. La storia non si cambia, anche se qui viene un po’ romanzata, per ammissione dello stesso autore. In ogni caso, Andrea Frediani ben descrive le faide tra le famiglie patrizie romane, nonché le alleanze con il clero e le potenze straniere. Quando veniva acquisita una posizione dominante da una fazione, per le altre erano dolori! Questo aspetto, il romanzo lo spiega perfettamente. L’autore confeziona una buona storia, senza lasciare pause inutili.

…e le iene. 

Al contrario, lancia messaggi su cui riflettere. Soprattutto sui trascorsi della chiesa, che perdendo il potere temporale, è fortunatamente tornata ai dettami cristiani. Devo dire, però, che forse il titolo di questo libro non è quello giusto. Probabilmente, sarebbe stato meglio “Le iene di Roma“, perché in effetti i lupi uccidono la preda e la divorano.

Le iene, invece, la divorano quando è ancora viva.

Quindi, per rispondere alla domanda, Andrea Frediani è riuscito nel suo intento? Direi proprio di sì.

E a voi? Piacciono i libri romanzati sull’antica Roma? Quali mi consigliate di leggere?

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La fattoria degli animali di George Orwell è qui

La fattoria degli animali è uno di quei libri che ho letto durante l’adolescenza e che ho riscoperto grazie agli audiolibri, anche stavolta di radioplaysound. Come definire quest’opera di George Orwell? Una favola brutale, che in fondo incarna la condizione umana. Sono passati quasi ottant’anni dalla sua pubblicazione, eppure certi fatti e certi comportamenti sono rintracciabili pure nelle vicende che ci toccano da vicino. Ma venite che vi racconto.

Trama

Il fattore Jones possiede una fattoria, ma non è in grado di governarla: è alcolizzato, incompetente e crudele contro gli animali, che sfrutta senza pietà. Una sera tutti gli animali si riuniscono intorno a Vecchio Maggiore, un anziano e saggio maiale, che narra loro di un sogno che ha fatto, un mondo dove gli animali sono liberi dall’uomo e si autogestiscono, vivendo in armonia. Vecchio Maggiore muore da lì a poco. Un giorno Jones dimenticata di dare da mangiare agli animali e questi, esasperati, lo cacciano via. Il ruolo di guida viene assunto da due maiali: Napoleone e Palla di Neve.

Una favola brutale

L’audio parte e già sai che l’atmosfera generale stride con quella che apparentemente sembra una vicenda destinata a prendere una piega positiva. Che cattivoni gli umani, gli animali sì che sanno far andare avanti una fattoria con criteri di uguaglianza e solidarietà reciproca. Ma via via che la lettura procede, questi animali iniziano a incarnare i difetti e i pregi degli umani, in una sorta di favola brutale, dove sai che qualcosa succederà. Non sai cosa, però l’inquietudine cresce.

I livelli di lettura

La fattoria degli animali si presta a diversi livelli di lettura. Può essere letta come un’allegoria delle vicende storiche in cui George Orwell era immerso. Può essere letta come una denuncia sociale sulle condizioni abbrutite dei lavoratori, in nome di una produzione senza fine. Può essere letta, certamente, anche come una favola classica. Tutti i livelli sono accumunati dal motto: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. A cui aggiungerei che non solo, alla fine, non sono tutti uguali neanche nel regno animale, ma che la disuguaglianza è favorita dalla “distrazione” delle masse, che non ricordano, non si oppongono, non combattono per i loro diritti. Si fanno convincere, con le buone o le cattive. Ci vedo molto dei tempi moderni, cambiano forse gli strumenti, ma non i risultati. 

I personaggi

I personaggi sono il perno su cui si muove la storia e George Orwell riesce a renderli indimenticabili. Se fate attenzione alle loro caratteristiche, ritroverete molti personaggi della scena politica e sociale odierna. Il povero Palla di Neve, accusato di essere l’untore di qualsiasi cosa succeda, Napoleone il dittatore, con il suo portavoce Clarinetto, il Vecchio Maggiore, che muore prima di veder compiuta la rivoluzione, il saggio che si esprime con metafore semplici, che tutti possono capire. Godrano e Trifoglio, gli animali semplici, che si sfiancano di lavoro e aiutano gli altri, i cani e le pecore, mai nominati singolarmente ma che si muovono solo in gruppo, i primi per reprimere le sommosse, le seconde per farsi spaventare da qualsiasi slogan. Nella critica classica, a ogni nome troverete associato un personaggio storico. Il vecchio maggiore è Lenin, Napoleone Stalin, Gondrano e Trifoglio i lavoratori, i cani la polizia e le pecore le masse, Palla di Neve è Trotsky. E così via. Ma passati quasi ottant’anni dalla prima pubblicazione, avvenuta nel 1945, possiamo dire che gli animali incarnino dei fenotipi eterni. E’ così che va il mondo, direbbero gli anziani.

La fine è spettacolare

La fine de La fattoria degli animali è spettacolare e dà un senso profondo all’intera vicenda. Che fine faranno gli animali? La fattoria degli animali sopravvivrà o gli umani la riconquisteranno? Questo lo lascio scoprire a voi. Vi posso dire che alcuni degli animali rimangono nel cuore. Forse, perché inconsciamente ci vediamo noi stessi. Se avete voglia, ditemi nei commenti in quali animali vi rispecchiate. 

°°°

Ognuno aveva i suoi seguaci e scoppiavano spesso violente contese. Di solito, grazie ai suoi discorsi brillanti, al consiglio aveva la maggioranza Palla di Neve, ma Napoleone era più abile a ottenere il consenso tra una riunione e l’altra. Aveva successo soprattutto tra le pecore.

Deboli o forti, ingenui o scaltri, siamo tutti fratelli.
Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

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