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Il club delle lettere segrete – Ángeles Doñate

Ángeles Doñate ci riporta un po’ indietro nel tempo, a quando nella buca delle lettere spuntava una busta, magari colorata. Qualcuno aveva pensato a noi e ce lo comunicava con carta e penna. Oggi, al massimo arriva un’emoticon per messaggio. Più pratica, certo. Meno romantica, sicuramente.

Trama

È arrivato l’inverno a Porvenir, e ha portato con sé cattive notizie: per mancanza di lettere, l’ufficio postale sta per essere chiuso e il personale trasferito altrove. Sara, l’unica postina della zona, è nata e cresciuta a Porvenir e la sua vicina Rosa, un’arzilla ottantenne, farebbe qualsiasi cosa per non separarsi da lei. Ma cosa può inventarsi Rosa per evitare che la vita di Sara venga stravolta? Forse potrebbe scrivere una lettera che rimanda da ben sessant’anni e invitare la persona che la riceverà a fare altrettanto, scrivendo a sua volta a qualcuno. Pian piano, quel piccolo gesto innescherà una catena epistolare che coinvolgerà una giovane poetessa decisa a fondare un book club nella biblioteca locale, una donna delle pulizie peruviana, una cuoca un po’ maldestra e tanti altri, rimettendo in moto il lavoro di Sara e creando non poco trambusto fra gli abitanti del piccolo borgo. 

 Lo “scrittore” può mettersi a nudo

In altri momenti, forse non avrei trovato il romanzo piacevole, ma la quarantena pretende e desidera tranquillità e buoni sentimenti. E questo lavoro di Ángeles Doñate ne assicura in abbondanza. L’idea di base è carina, una vecchietta che decide di salvare la postina del paese dal trasferimento per mancanza di posta da recapitare, assicurando che ci siano missive da consegnare. Nasce una catena di lettere, nelle quali il mittente rimane sempre anonimo. Proprio rimanendo anonimo, lo “scrittore” può mettersi a nudo, confessando a uno sconosciuto fatti intimi e privati di se stesso o della propria vita. La catena finisce per avere effetti non solo sull’attività lavorativa della postina, ma anche delle persone che  entrano nel circolo, volenti o nolenti.

Linguaggio quasi “antico”

Dicevo sopra che in altri periodi l’avrei apprezzato meno. Il romanzo, infatti, viene meno proprio sull’aspetto che dovrebbe prevalere, quello delle dimostrazioni d’amore o di amicizia. Il linguaggio utilizzato è quasi “antico”, forse per conformarsi a un paesino arroccato sulle montagne, ma l’effetto voluto non viene raggiunto. Anche i dialoghi tra i personaggi a volte mi hanno lasciato perplessa. Può una ventenne definire un coetaneo “il ragazzo” mentre pensa a lui? Come se fosse molto più grande. E’ forse la scrittrice che si nasconde dietro Alma? Ma soprattutto, può una postina salvare il lavoro recapitando meno di una decina di lettere? Abbastanza improbabile. Come improbabile è la festa che dovrebbe rappresentare l’evento clou, segnando la svolta del romanzo, e che invece viene liquidata in due parole.

In definitiva, un romanzo senza pretese, adatto a chi cerca buoni sentimenti e uno scorrimento tranquillo della storia, con lieto fine assicurato.

p.s. devo aprire una sezione “ma perché non lasciate i titoli originali?” Anche in questo caso El invierno que tomamos cartas en el asunto (l’inverno in cui prendiamo provvedimenti in merito) è più ironico e più intrigante del solito club di qualcosa.

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I vacanzieri – Emma Straub

Se l’estate tarda a farsi sentire, è bene esercitarsi sull’approccio vacanziero, quello che ti fa pensare di stare sdraiato su un’isola a bere margaritas pure se indossi ancora il cappotto e una macchina ti ha schizzato di fango mentre corri per prendere l’autobus respirando smog a polmoni pieni. Non credo di dovervi spiegare perché la mia ultima lettura s’intitola I vacanzieri. L’ha scritto Emma Straub, figlia del più famoso Peter Straub, che tutti gli amanti di letture horror conoscono molto bene. Una famiglia arriva su un’isola con la speranza di passare una vacanza tranquilla, senza immaginare che per stare tranquilli non bisognerebbe uscire di casa…

Trama

Sole, spiaggia, tapas e campi da tennis: quali ingredienti migliori per una vacanza da sogno? Eppure i Post, quando atterrano a Maiorca e si ritrovano tutti insieme sotto lo stesso tetto, dubitano di aver fatto la scelta giusta. Dopo trentacinque anni di matrimonio Jim e Franny sono ai ferri corti: lui l’ha tradita con una ragazza poco più grande di Sylvia, la loro figlia minore. Sylvia, invece, vorrebbe già essere al college per lasciarsi alle spalle un ragazzo troppo stupido e amici di poca sostanza. Suo fratello maggiore, Bobby, e la sua fidanzata Carmen hanno un rapporto che vacilla, troppe cose non dette. Solo Charles, il migliore amico di Franny, e il marito Lawrence sembrano felici, ma è davvero così? L’obiettivo per tutti è sopravvivere alla loro vacanza in famiglia. Ci riusciranno?

Sull’isola con i Post 

Per una volta parto dall’elemento che più di tutti mi ha convinto. Emma Straub riesce a ricreare perfettamente l’atmosfera di Maiorca. Andando avanti con le pagine, sembra davvero di esserci, sull’isola. E’ una sensazione strana, mi hanno assalito il vento e il caldo, mi sono buttata anch’io in piscina e ho scarpinato per arrivare alla spiaggetta riparata e solitaria. Sogno ancora adesso che ho chiuso il libro i pranzi e le cene gustosissime che la matriarca Franny ha preparato per tutti nelle due settimane che hanno trascorso in vacanza!

Vacanze di gruppo? No grazie

Passiamo ora ai rapporti familiari: queste vacanze di gruppo sono il mio peggior incubo ed Emma Straub non fa che confermarmi un’assioma per me ormai certo come la dipartita di tutti. Le vacanze non fanno altro che aumentare all’ennesima potenza conflitti e rancori. Soprattutto nei partecipanti che non hanno potuto scegliere liberamente di esserci. I Post stanno vivendo un momento difficile, i loro ospiti un momento di cambiamento e i loro figli un momento di crescita e distacco dai genitori. Potenzialmente, Emma Straub mette in scena una bomba a orologeria. Una matriarca tradita e bulimica, un patriarca licenziato in tronco per molestie sul lavoro, una coppia di amici gay non più giovani che cercano di avere un bambino, un figlio maggiore inguaiato economicamente e accompagnato da una donna che a loro non piace, una figlia che sta per andare al college e che ha relazioni complicate con i coetanei.

Bomba inceppata 

Qui arriva il bello, o il brutto del romanzo. Dopo aver apparecchiato una tavola piena di leccornie, Emma Straub si scorda di condirle. Sì, in questo romanzo manca il pathos, nessuno dei personaggi mostra un’evoluzione coerente, tutto è affidato alle descrizioni ma senza fatti concreti che provino il punto di vista del personaggio. Faccio un esempio: Bobby pensa che Carmen lo controlli. Carmen pensa che lui non sia cresciuto abbastanza. Ha ragione lui? Ha ragione lei? Non si sa, dobbiamo prendere per buono quello che ci viene detto. In saliscendi e tornanti naturali incuneati tra le montagne delle Baleari, la scrittrice americana rinuncia a esplorare i sentimenti umani, privilegiando un politicamente corretto che nulla ha a che fare con la natura caliente in cui i suoi attori si muovono. Sembra quasi che abbia timore di maneggiare materia umana pronta a esplodere. Perché?

Stereotipi

Come se non bastasse, il tutto è infarcito di stereotipi e bigottismo infinito, nei confronti della nuora, della padrona di casa, del comportamento di Bobby, del lavoro di Bobby e di Carmen. L’unica colpa della fidanzata del figlio è di essere più grande di lui e diversa da loro! Ma stiamo parlando di una scrittrice e di un giornalista di New York, possiamo crederci? No. Come non possiamo credere a tutte le non reazioni a cui il romanzo ci sottopone. Vi giuro che alla fine avrei avuto voglia di prendere i quattro e sbatacchiarli un po’ per tirare fuori un alito di vita! Gli unici che hanno una minima rotondità sono gli estranei visti con sospetto, cioè Carmen e Lawrence. Infatti entrambi vanno via in anticipo…

p.s. se passate dalle parti di Brooklyn, date un’occhiata alla libreria di Emma Straub Books are magic, che sembra molto carina e attiva!

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La “Pizza Picasso destrutturata” vince il contest

Non avevo mai partecipato a un contest finora, ma quello del Molino Gatti mi ha ispirato subito. L’azienda di Castiglione del Lago voleva festeggiare l’apertura nella sua cittadina della mostra di Picasso, castiglione 2allestita a Palazzo della Corgna dal 30 aprile al 27 agosto 2017, con un concorso a ricetta libera. Arte e cucina, binomio perfetto per me, sapete quanto ami entrambe. Dopo un weekend di riflessione mi sono messa all’opera e ho creato una pizza dell’amicizia Italia-Spagna, mezza tricolore e mezza giallorossa, come i colori delle due bandiere, perché la mostra celebra appunto i 100 anni dalla venuta in Italia dell’artista. Però Picasso non era tondo, non era quadrato, era…destrutturato! E allora ecco l’idea di spezzettare la pizza per deformarla e darle un aspetto picassiano. Com’è andato il contest? Prima la ricetta, leggete fino in fondo e vi racconterò com’è andata.

Poolish:

  • 120 gr pasta madre rinfrescata
  • 160 gr acqua
  • 120 gr farina manitoba

Impasto finale:

  • 40 gr farina manitoba
  • 200 gr farina tipo 2
  • 200 gr farina integrale
  • 180 gr acqua circa
  • 10 gr malto d’orzo
  • 22 gr olio evo
  • 10 gr sale

Condimento:

  • Polpa di pomodori
  • Burrata
  • Pesto (basilico, pinoli, parmigiano reggiano, olio evo)
  • Formaggio tipo Cheddar

Procedimento

Per l’impasto ho usato come base la ricetta della pizza tonda di Antonella Scialdone, modificandola nel tipo di farina utilizzata e nella quantità di sale, abbassata perché troppo sapida per le mie abitudini alimentari.

La sera prima preparate il poolish

Mettete in una scodella la pasta madre, aggiungete acqua tiepida e con una forchetta o un cucchiaio sciogliere bene il lievito. Aggiungete la farina e mescolate fino a ottenere un composto omogeneo e molle. Coprite la scodella con pellicola trasparente e lasciate lievitare per 12 ore a temperatura ambiente.

La mattina dopo

Aggiungete al poolish, nell’ordine, l’acqua tiepida meno un cucchiaio, il malto, le farine e mescolare. Aggiungete l’olio emulsionato con un cucchiaio d’acqua preso dal totale e il sale e mescolate bene. Rovesciate l’impasto sulla spianatoia infarinata e lavoratelo energicamente per circa 10 minuti, finché risulti liscio e omogeneo. Formate una palla, coprite con pellicola trasparente e lasciate lievitare per un’ora e mezza lontano da correnti d’aria.

Dopodiché, sgonfiate l’impasto e procedete con una serie di pieghe. Coprite e lasciate riposare ancora un’ora, al termine della quale prendete l’impasto e con la spatola spezzatelo in due, formate due pallette e mettetele in due contenitori. Lasciatele riposare in frigo fino al momento di utilizzarle, ricordandovi però di toglierle almeno due ore prima di infornare.

La farcitura

Mentre lei riposa, voi accendete il forno alla massima temperatura e preparate la farcitura. Per la pizza Picasso ho spezzettato la burrata, lasciandola in pezzi grandi perché così mi piace, il formaggio cheddar e ho preparato il pesto, anche se ovviamente potete utilizzare quello già pronto. Per le dosi del pesto sono andata a occhio, come tutte le salse inserisco gradualmente gli ingredienti finché il mix di profumi soddisfa il palato. Ho scelto il Cheddar per dare il colore alla bandiera spagnola, ma potete sostituirlo con il tipo che più vi piace, soprattutto perché non è sempre facile trovarlo.

La cottura

All’ora x, cioè quando manca mezz’ora al momento di andare in tavola, sulla spianatoia leggermente infarinata stendete ciascuna pallina facendo pressione con le mani partendo dal centro e andando verso l’esterno, facendo attenzione a non schiacciare le bolle che si saranno formate e a non strappare la pasta. Arrivati allo spessore e alla larghezza desiderata, trasferitele su una teglia e conditele. Stendete uno strato uniforme di polpa di pomodoro e poi aggiungete su metà la burrata e sull’altra metà il formaggio Cheddar. Dopo un quarto d’ora aprite il forno e controllate che cornicione e retro siano ben cotti, altrimenti prolungate di qualche minuto.

Destrutturatela come farebbe Picasso

pizza picassoDopo averla sfornata, la trasferite in un piatto grande e la tagliate a pezzi irregolari che poi dovrete ricomporre (per l’effetto destrutturato). E’ anche comoda da servire se avete gli ospiti, perché ognuno prenderà il pezzo che gli piace di più per forma. Unica accortezza, il lavoro di taglio dev’essere finito in tempi record, altrimenti servirete una pizza fredda! Ultimo tocco a completamento, il pesto, che da un cucchiaino farete colare su metà pizza come se fosse un quadro astratto, e un goccio di olio extravergine di oliva su tutta la superficie.

logo gattiComunque, il contest alla fine l’ho vinto! E sì, sono tanto soddisfatta, perché ora ho tantissima farina da utilizzare per i miei pasticci e una ricetta sicura quando ho voglia di una pizza speciale. Provatela e poi mi direte.

 

 

 

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Margherita dolcelunedì

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Mensajeros de la oscuridad – Alicia Giménez Bartlett

Terzo appuntamento con la coppia di investigatori creata dall’autrice spagnola Alicia Giménez Bartlett. Stavolta, Petra Delicado e Garzòn si trovano ad affrontare un caso macabro, che fin da subito appare molto, molto complicato.

Trama

Dopo un’apparizione televisiva, l’ispettrice Petra Delicado inizia a ricevere per posta dei pacchetti, contenenti giovani peni tagliati con precisione chirurgica. Apparentemente, sembra l’impresa di un maniaco turbato dalla poliziotta vista in tv, ma le indagini condurranno i due investigatori molto lontano, addirittura fino a Mosca, alla ricerca di tracce che affondano le proprie radici nella storia.

Più spazio all’indagine

In questo terzo romanzo della serie, l’autrice corregge il tiro e dà maggiore spazio e corpo alla trama poliziesca, lasciando un po’ in ombra le derive filosofiche dei due protagonisti. E fa bene, perché il mistero si segue con piacere e la soluzione finale arriva, appunto, alla fine, senza essere scontata. Anzi, condita con un colpo di scena imprevisto che la rende ancora più godibile per il lettore. Forse, dopo aver dato tanta voce alle vicende private di Petra nel primo, Ritos de Muerte, e di Garzòn nel secondo, Día de Perros, era giusto lasciare i due a concentrarsi sulle indagini. Senza farci però mancare le battute al fulmicotone e i commenti ironici che donano leggerezza al tutto. Interessante anche il riferimento alle vicende descritte nel libro, che l’autrice con una postilla ci dice siano “realmente accadute. Come sempre, la realtà supera la fantasia”. Dopo aver terminato la lettura, sono andata anch’io ad indagare.

Attenzione, spoiler!

Ho scoperto così che la setta cristiana ortodossa degli skopcy (скопцы), cioè “castrati”, è davvero esistita. Era stata diffusa in Russia nel XVIII secolo da un contadino, Kondratij Selivanov. Nella seconda metà del XVII secolo il patriarca della Chiesa ortodossa russa Nikon riformò i riti religiosi, osteggiato dall’arciprete Avvakum, che finì sul rogo per la sua opposizione. Si originò così un folto gruppo di dissidenti religiosi chiamati “vecchi credenti” che nel ‘700 si frantumarono in sette, tra le quali quella, appunto, degli Skopcy. Questi ultimi, predicavano la mortificazione del corpo fino a giungere all’automutilazione del pene per gli uomini e del seno per le donne in modo da divenire angeli ed entrare così di diritto nel regno dei Cieli. Gli skopcy affermavano che Dio avesse creato i primi esseri umani senza attributi sessuali e che il loro corpo fosse stato trasformato da Satana dotandolo del pene, cioè del serpente tentatore che andava estirpato. Non mi sembra un caso che la Bartlett chiami il nuovo capo della setta Ivanov (Selivanov). E che, soprattutto, abbia sentito l’esigenza di aggiungere alla fine quella postilla. E’ proprio vero che la realtà supera di gran lunga la fantasia…

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Il primo libro della serie Petra Delicado: Ritos de muerte – Alicia Giménez Bartlett

Il secondo libro della serie Petra Delicado: Día de Perros – Alicia Giménez Bartlett

 

 

Día de Perros – Alicia Giménez Bartlett

Alicia Giménez Bartlett e il secondo appuntamento con le vicende poliziesche di Petra e Fermín, che dopo essere tornati ognuno al proprio lavoro, vengono chiamati di nuovo a investigare insieme. Il caso sembra nuovamente di nessuna importanza…

Trama

Un uomo, che apparentemente vive ai margini, è stato bastonato per strada e finisce in coma in ospedale. Unico testimone del fatto il suo cane, malconcio quasi quanto il padrone, che Petra finisce per portare a casa sua. Improvvisamente, l’uomo muore senza riprendere conoscenza. Per la coppia di poliziotti inizia un’indagine alla cieca in un mondo sordido e crudele.

Convincente, ma…

In questo secondo romanzo della serie Petra Delicado, la scrittrice conferma gli elementi che mi avevano convinto nella prima uscita, Ritos de muerte, a continuare la lettura, a parte l’esigenza di rinfrescare il mio spagnolo un po’ dormiente. Mi piace soprattutto l’ironia e l’atteggiamento filosofico di Petra, che uniti alla schiettezza e alla praticità del suo aiutante fanno sì che le pagine scorrano divertendo il lettore a più riprese. Mi piace molto anche la tecnica narrativa scelta dalla Bartlett, che inocula goccia a goccia gli elementi chiave dell’indagine come se fossero tasselli di un puzzle, invitando chi legge a comporli fino a incastrare all’ultima tessera.

…come, Petra?

Purtroppo, stavolta l’operazione è inficiata da una mancanza secondo me grave: Petra capisce in ritardo, con troppo ritardo, la chiave del mistero. Per di più la comprende solo con l’aiuto di uno dei comprimari, ben oltre il momento in cui per ogni lettore di gialli che si rispetti diventa tutto lampante. Com’è possibile? Petra è la studiosa, Petra è razionale, Petra deve avere un’intuizione fenomenale da sola. Chi gira le pagine deve esclamare: come ho fatto a non arrivarci prima? Non: finalmente ci sei arrivata!

p.s. 

Chiudo con una postilla per Alicia Giménez Bartlett: rispetto la tua scelta di far morire uno dei miei personaggi preferiti. Peccato, avrebbe potuto accompagnare l’ispettrice ancora a lungo.

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Betibú – Claudia Piñeiro

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