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Tim – Colleen McCullough

Tim è il primo romanzo di Colleen McCullough, anche se in Italia è arrivato dopo il suo più grande successo, Uccelli di rovo. E’ stato, infatti, pubblicato nel 1974 e siccome dopo aver letto La passione del dottor Christian ho deciso di leggere tutti i libri di questa scrittrice, che mi piace molto per il suo eclettismo, sono partita proprio da Tim.

La trama

Mary è una donna di 43 anni che non conosce l’amore. Cresciuta in un istituto per orfani, si è dedicata al lavoro, raggiungendo la solidità economica e il rispetto degli altri. Un giorno incontra Tim, un ragazzo di venticinque anni, bello come il sole, forse di più. Tim è un ragazzo fisicamente molto attraente con la mente di un bambino, essendo nato con una disabilità neurologica. Incredibilmente, tra i due scoppia un’attrazione istintiva. Tim e Mary sono fatti per stare insieme. Ma cosa dirà la gente? I familiari di Tim sapranno accettare la situazione?

Una relazione tra una donna più grande e un ragazzo mentalmente disabile è socialmente accettabile?

E’ questo il tema su cui Colleen McCullough coinvolge il lettore. Come in Uccelli di rovo era l’amore tra un prete cattolico e una ragazza e come in La passione del dottor Christian era il diritto o meno di procreare.

Temi scomodi, che la scrittrice australiana inserisce nel contesto bucolico di romanzi d’amore. Mary e Tim sono tratteggiati con pennellate iniziali che ci fanno subito capire di fronte a cosa ci troviamo. La donna si definisce da sé “ zitella di mezza età”: una persona metodica, rigorosa, benestante, che non mostra neanche un centimetro di pelle e non ha mai aperto il suo cuore non solo all’amore, ma anche semplicemente ai rapporti interpersonali.

Tim è un’anima semplice, un bambino. Un ragazzo protetto dai genitori e dalla sorella e che ha imparato, anche grazie alla loro guida, a sopportare gli scherzi pesanti dei cosiddetti “adulti normodotati”. Con una particolarità: stupendo fisicamente, il che se possibile peggiora la situazione.

Mary lo prende sotto la sua ala e lo assume per lavorare nel suo giardino. Il giardino è il simbolo di quanto la donna abbia costruito negli anni. E’ il suo rifugio, il suo orgoglio, e non è un caso che faccia entrare Tim in questo regno. Tim si affida a lei completamente, nei concetti semplici che riesce a esprimere la paragona a mà e pà, i suoi genitori, per lui il massimo dell’autorevolezza e del conforto.

La vita è strana e l’amore anche

Mary e Tim s’innamorano e nessuno può farci niente, neanche lei, che fino all’ultimo nega anche a se stessa quello che prova. Ovviamente non sono tutte rose e fiori, ma quello che la scrittrice vuole esprimere è la stranezza della vita. Due persone indirizzate su binari paralleli ormai statici e lontani anni luce uno dall’altro, improvvisamente convergono in un binario unico, che li arricchisce e li rende migliori, più forti.

E’ il potere dell’amore? Non solo, anche di un’alchimia impensabile, che crea un antidoto potente alla cattiveria del mondo.

Mary, Tim e gli stereotipi di una società rigida

Se non fosse per un passaggio a vuoto dopo la parte centrale, al romanzo avrei dato cinque stelle, perché mi piace molto il modo in cui Colleen McCullough scardina gli stereotipi su cui basiamo le nostre vite, rendendo credibile una storia d’amore che poteva al contrario risultare surreale. Peccato che in alcune parti abbia trovato Tim un po’ lagnoso e lei troppo vittima della sua parte di zitella di mezza età. O forse è solo che l’aspettativa di vita è cambiata e ho fatto gran fatica a vedere una donna quarantenne come una avviata sul viale del tramonto! D’altra parte, anche i genitori di lui a 70 anni vengono descritti come a fine vita, quindi ne deduco che negli anni ’80 in Australia l’età media di vita fosse sensibilmente più bassa rispetto a quella odierna. Altra cosa che non mi ha convinto fino in fondo, il personaggio della sorella di Tim, Dawnie. Descritta come una ragazza super intelligente, non mostra alcuna profondità d’animo, né prima dei fatti, né dopo. Forse è proprio l’effetto che la McCullough voleva ottenere, distinguere l’intelligenza come comunemente la intendiamo dall’intelligenza emotiva.

Chi siamo noi per giudicare?

In ogni caso, a parte queste piccole lacune, credo che l’esperienza di medico e di insegnante di neurologia di Colleen McCullough di abbia contribuito non poco a disegnare l’impalcatura di una storia che non nasconde la cruda verità di una società rigida e conformista, che non accetta il diverso, in qualsiasi forma si presenti. Quello che dovremmo sempre chiederci è: chi siamo noi per giudicare? E darci anche una risposta, possibilmente: nessuno.

A questo punto, sono pronta per iniziare il suo prossimo romanzo, L’altro nome dell’amore.

Fratello Oceano – Folco Quilici

Folco Quilici è stato forse l’ultimo, grande, documentarista italiano e proprio quest’anno ci ha lasciato, a quasi 88 anni. Ho ritrovato per caso uno dei suoi libri mentre rovistavo in uno scatolone e per curiosità ho iniziato a sfogliare qualche pagina. Che ve lo dico a fare, la storia di Atemi mi ha preso subito e in due giorni l’ho ingoiato come uno dei suoi pescecani.

La trama

Tre personaggi e tre racconti formano le tre parti di questo libro. Nel primo racconto è protagonista Atemi, un ragazzino che aveva paura dell’oceano, ma che l’oceano stesso a poco a poco è riuscito a guarire da quel terrore. Nel secondo c’è Ti-Koyo, un bambino che giocava con i pescecani, come in un antica favola delle sue isole. Nel terzo, Tanai, un ragazzo che attraversò un tratto d’Oceano così vasto che, se questi non gli fosse stato fratello, l’avventura non gli sarebbe mai stata possibile.

Perfetto per i ragazzi, ma non solo

Leggere questi racconti è divertente, sembra quasi di sentire la voce narrante di un documentario. Il linguaggio è talmente semplice e diretto che sembra fatto apposta per la televisione. Il che lo rende adatto come testo scolastico, perfetto per esempio come lettura per la pausa estiva. E’ però riduttivo considerarlo solo un libro di lettura per la scuola. E’ secondo me valido a qualsiasi età per volare con la fantasia verso viaggi favolosi a contatto con la natura incontaminata e con quel paradiso terrestre che tutti immaginiamo essere la Polinesia. Salvo poi scoprire proprio leggendo che i paradisi in terra vanno scomparendo e che l’uomo non solo crea disastri ovunque allunghi le sue mani sudicie di arrivismo e guerra, ma anche che nessun popolo è immune dal fascino del consumismo e del guadagno facile.

L’amore è la speranza

Tuttavia, al contrario de La passione del dott. Christian, romanzo fantaecopolitico di Colleen McCullough che ho letto in contemporanea, qui una speranza c’è. E’ tutta in quella parola nel titolo: fratello. Folco Quilici è uno che sa vedere e raccontare il bello del mondo. E il bello in questo caso è l’oceano. Sterminato, potente, selvaggio, eppure accogliente, salvifico per le genti che si nutrono dei suoi frutti, ospitale per le specie animali che lo popolano. Fratello, per chi lo sa ascoltare e rispettare. Ecco che la storia di Atemi è la storia di un ragazzo che diventa uomo superando la paura dell’acqua e imparando ad amarla. L’amore e il rispetto, per la natura, gli altri, noi stessi, sono in fondo la nostra unica speranza di sopravvivenza.

La passione del dottor Christian – Colleen McCullough

Un distopico che mi ha attratto fin dalle prime pagine. Colleen McCullough mi ha spiazzato con una trama elaborata, complicata, nella quale si sovrappongono temi etici e sociali fondamentali nel terzo millennio. Il credo del terzo millennio, questo il titolo originale, è un romanzo che fa riflettere, ponendo delle domande alle quali, forse, è meglio non trovare risposta.

La trama

Anno 2032. Il mondo è accerchiato dai ghiacci e immense zone sono diventate inabitabili. Gli Stati Uniti hanno aderito al Patto di Delhi, per cui in cambio di una speranza di sopravvivenza l’umanità deve rassegnarsi a una ferrea politica demografica: un figlio unico per almeno quattro generazioni. La famiglia Christian vive nel Connecticut, dove cura i disturbi depressivi dovuti alla durezza dei tempi. Nel Ministero dell’Ambiente una brillante dottoressa di nome Judith Carriol sta organizzando una campagna di risollevamento morale e psicologico del Paese e decide di utilizzare Joshua Christian perché dotato di grande carisma. L’uomo viene plagiato dalla dottoressa, che lo convince a scrivere un libro e a sottostare a un grande giro di conferenze. Ben presto, però, Joshua sfugge al controllo della donna, esaurendo così il suo flusso positivo. Comprendendo di aver compromesso l’operazione, Judith escogita la marcia del millennio, grande scenografia nella quale Christian percorrerà a piedi la strada da New York a Washington. Ma tutto va storto e Judith deve porre rimedio ai guai da lei stessa causati…

Era glaciale o desertificazione?

Da qualcuno questo romanzo è stato paragonato a “La fattoria degli animali” di George Orwell. Senza spingermi così in là con i parallelismi, dico però che quest’opera di fantapolitica pseudo religiosa mostra quanto la scrittrice sia eclettica. A me lei piace molto, sin dai tempi di Uccelli di Rovo e l’ammiro per il modo in cui riesce a passare dagli storici alle saghe, dalle storie d’amore alla fantascienza. Questo, in particolare, è romanzo ambizioso, che induce alla riflessione filosofica e, in fondo, se consideriamo che è stato scritto nel 1985, non si discosta molto dalla realtà in cui viviamo oggi. I trattati sul clima sono ormai diventati battaglia di scontri ideologici, il surriscaldamento e la progressiva desertificazione di una parte della Terra argomento su cui fare i conti, la guerra non si fa più sui campi di battaglia ma con le transazioni finanziarie. Nel 2032, anno in cui è ambientato, a quanti gradi saremo arrivati d’estate? Forse avrebbe fatto meglio ad ambientarlo, che so, nel 2100, ma cinquantanni devono esserle sembrati sufficienti per immaginare un cambiamento epocale.

Fare figli è un diritto?

Un cambiamento che non ci dà alcuna speranza di rinascita, se non una parziale accoglienza del diritto ad avere più figli. Ma è un diritto? Oppure la sovrappopolazione porterà inevitabilmente all’estinzione del pianeta in cui viviamo?

In cosa crediamo nel terzo millennio?

Accanto al tema ecologico, troviamo con altrettanta prepotenza il filone religioso. Il titolo originale è, non a caso, “Il credo del terzo millennio”. In italiano diventa La passione del dott. Christian per associarlo al cattolicesimo, di cui Joshua e gli altri personaggi ripercorrono il percorso che porta alla morte di Cristo. Sempre non a caso, tutti i personaggi hanno nomi biblici: Joshua, col quale è impossibile non entrare in empatia, è Gesù, Judith Carriol, Scarriot nell’originale, è Giuda, la traditrice, Moshe Chasen è Mosè, l’unico che prova pietà per il povero Joshua, Mary, Martha e Miriam sono convinte che risorgerà, come il suo omologo. Ma cosa voleva davvero mostrarci Colleen? Che la storia si ripete? Che le religioni sono fallibili? Che un uomo imperfetto non può imitare Dio senza andare incontro a distruzione? Oppure che, come esseri umani, siamo sempre alla ricerca di un credo da seguire, di una causa da sposare, di qualcosa di superiore in cui riporre fiducia, e invece tutto ciò che dovremmo fare è amarci e curare un giardino? Oppure che perdere punti di riferimento religiosi e sociali porta inevitabilmente la collettività sull’orlo dell’esaurimento nervoso? Forse, la scrittrice voleva farci riflettere su tutte queste questioni fondamentali. Nel mio caso, ci è riuscita: tenendomi un dubbio sul finale, che può essere interpretato in mille modi, è un romanzo che secondo me vale la pena di leggere per farci delle domande serie. Sperando di non trovare le risposte.

Chi è Giuda?

Ma un Giuda doveva esserci. Doveva esserci sempre! Senza Giuda, l’umanità non avrebbe bisogno di salvezza. Giuda era chi possedeva grandi ambizioni ma aveva bisogno del talento altrui per raggiungere il successo. Giuda era chi cavalcava il genio di altre persone. Giuda significava profitti e perdite, ricatto emozionale, manipolazione, disperazione, ipocrisia, le intenzioni più pure e i metodi più bassi, il bisogno di scagionarsi. Giuda non significava tradimento! Per molti Giuda non era mai stato necessario tradire. E Giuda non costituiva un’aberrazione. Era la norma.

Ho smesso di piangere – Veronica Pivetti

Ho letto contemporaneamente Ho smesso di piangere di Veronica Pivetti e Amiche di salvataggio di Alessandra Appiano. Certo, quest’ultimo è un romanzo e quella dell’attrice è una storia vera, però a volte i romanzi finiscono bene e le storie vere no. Stavolta, avevo bisogno di un lieto fine “vero” e l’ho trovato.

La trama

Il problema vero della depressione è che non la puoi raccontare, non la puoi descrivere. È invisibile. E non è uguale per tutti. Ma per tutti è un male profondo e assoluto. E va affrontata, perché tanto non si scappa. Anche per questo Veronica Pivetti ha deciso di condividere il suo momento buio. ”Lei è malata, la sua tiroide non funziona più”: questo si sente dire nel 2002. La sua tiroide ha cominciato a dare i numeri, traghettandola verso una forte depressione, complici alcuni farmaci sbagliati che le vengono prescritti. Così inizia la sua odissea. Alcuni dottori l’hanno salvata, altri massacrata, alcuni le hanno ridato la vita, altri gliel’hanno tolta. E finalmente, nel 2008, Veronica ha incominciato a rivedere la luce e a uscire da questo micidiale periodo nero.

Una malattia subdola e oscura

Sono stati sei anni infami, anni nei quali mi sono detta continuamente che era inutile vivere così. Il tempo triste sembra sempre tempo perso. Anni difficilissimi che, però, non sono passati senza lasciare un segno. Una volta ero perfettamente funzionante, ero nuova di trinca. E credevo che fosse quella la verità. Ora sono un po’ rattoppata, ho un’anima patchwork e una psiche in divenire. Ed è questa la verità. Ma va bene così, perché la vita si fa con quello che c’è, non con quello che vorremmo”.

Se davvero il libro è stato scritto da lei, Veronica Pivetti scrive davvero bene. Se ha utilizzato un ghostwriter, questo scrittore fantasma è riuscito nella titanica impresa di portare a casa un testo brillante, scorrevole, chiaro nelle sue premesse e nello svolgimento dei fatti. Perché l’attrice racconta con semplicità cosa le è accaduto in uno dei momenti più duri, forse il più duro, della sua vita. Il che per una che di mestiere fa ridere gli spettatori, non dev’essere stato granché divertente. Intendiamoci, scivolare nella depressione non è divertente per nessuno, né per chi la vive, né per chi vorrebbe stare accanto a un malato e non sa cosa fare. Lei è riuscita a far capire anche a me, che non ho mai conosciuto nessuno che ne soffrisse, cos’è la depressione. Cosa succede nella testa di una donna che apparentemente ha tutto: successo, carriera, soldi, pure un matrimonio anche se fallito, famiglia unita, cari amici e animali che ama pazzamente. E allora? Cosa scatta? Un click e tutto è finito, perduto, annientato. Scivolare nell’abisso è facile, cercare di risalire è tutta un’altra storia.

Particolari improbabili…

Peccato che però il racconto si perda su alcuni dettagli che francamente suonano inverosimili. Una cena di pesce il giorno prima di un intervento, forse è possibile ma ho dei dubbi, il professore che continua a chiamare sul cellulare e lei che non risponde, anche qui possibile, il cliente famoso va coccolato, però solitamente se il paziente non si fa più sentire il medico ben presto se ne fa una ragione. In più, il racconto di un ritorno in autostrada che appare inventato per quanto assurdo (non facevi prima a farla nei campi?), un rientro a casa con il piede di porco che neanche se lo vedessi coi miei occhi penserei che sia vero, per chiudere con un finale semplicistico a dir poco. Tutto questo casino, e poi? Risolve magicamente l’amica? Mah.

…e un’unica, grande verità

A parte questi dettagli sopra le righe, il libro è utile non per approfondire il tema della depressione in sé, chi cerca un aiuto psicologico ne rimarrebbe deluso, ma per avere conferma che la medicina non è una scienza esatta, come spesso speriamo e crediamo, e che tutti siamo umani, troppo umani, anche i medici. E che persino le stelle hanno come noi problemi, sogni, speranze, illusioni. A volte, cadono e si rialzano, proprio come noi. A volte non ce la fanno, come non ce la facciamo noi. La verità, come diceva Adenauer, è che “viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma non tutti abbiamo il medesimo orizzonte”.

Listen without prejudice. Da George Michael a Goring-on-Thames

Daphne Du Maurier, il lato oscuro di una scrittrice di successo

La metà di niente – Catherine Dunne

Amiche di salvataggio – Alessandra Appiano

Amiche di salvataggio – Alessandra Appiano

Alessandra Appiano, l’amica della donna. In uno degli articoli sulla sua scomparsa, mi ha colpito il ricordo di una giornalista, che evidentemente la conosceva bene: il modo migliore per mantenere in vita uno scrittore è leggerlo. Allora sono andata a riprendere il suo primo romanzo, Premio Bancarella 2003, per rileggerlo oggi dopo tanti anni.

La trama

Finalmente è successo! Dopo anni di deserto sentimentale, Daria si è innamorata. Certo, lui è sposato… ma nessuno è perfetto. Lo sa bene la sua amica Ilaria, una giornalista in carriera vicina ai quarantanni, anche lei alla perenne ricerca di un (introvabile) equilibrio tra sentimenti e carriera, sogni e famiglia, libertà e bisogno d’amore. Lo sa anche Roberta, la giovane collaboratrice di Ilaria, che da capa antipatica quasi quasi si trasforma in una donna con cui sente di avere feeling. Come le succede con Danila, un’amica della madre che voleva fare l’attrice e sfoga sulla figlia le sue delusioni. Danila è totalmente diversa, lei sì che ha istinto materno anche se non è madre. Simpatiche, coraggiose, sempre pronte a rischiare, a mettersi in gioco, a rialzare la testa dopo l’ennesima delusione. Questo romanzo parla di donne con allegria e anche con un pizzico di amarezza, ma soprattutto con indulgenza e con quella robusta dose di autoironia che ci consente sempre di guardare avanti e non mollare.

Quant’è difficile essere donna, soprattutto se ambiziosa

E’ un po’ difficile commentare questo romanzo ora che Alessandra Appiano non c’è più. L’avevo letto qualche anno fa e poi tenuto in libreria, lì, da qualche parte. Sicuramente, per la storia personale dell’autrice, e per la sua incrollabile fiducia nella forza delle donne e delle amiche, è un libro che parla di donne senza giudicarle mai, senza prendere posizione rispetto alle loro libere scelte di carriera, famiglia e, in qualche caso zoppicante, di entrambe. Eppure, in sottofondo, più che la storia in sé, un po’ superficiale e figlia forse degli albori dei chick lit brevi, più simili a racconti che a romanzi veri e propri, quello che rimane in testa è una sorta di pessimismo di fondo, che invade le pagine fino almeno a tre quarti.

Che malinconia i Santi Natali all’inseguimento delle Befane e delle Pasque, i pacchetti luccicanti dei negozi del centro, i battesimi vestiti di pizzi e fiocchi, i funerali avvolti di nero e di velluto, le torte con le candeline, gli anniversari di matrimonio, le bollette di rate residue. Riti per sentirsi tutti più vicini. No, per sentirsi tutti inutilmente più vecchi. Più uguali. Passi inutili, passi vecchi: ma almeno, diversi. Soli con stile. E infatti lei adesso era sola come un cane, con stile”.

Una luce in fondo al tunnel

Alla fine, però, finalmente l’autrice vira su un finale che, se non riscatta le protagoniste, almeno fa intravedere un po’ di luce in fondo al tunnel.

L’infelicità è un appalto poco redditizio del passato, un passato che abbiamo sepolto con badilate di buona volontà”.

Quella luce in fondo al tunnel che purtroppo lei non ha visto, o che a un certo punto non ha visto più. “Era una donna buona”, dice di lei il marito. Io non la conoscevo, ma so che aveva un sorriso meraviglioso. Il sorriso di una persona buona.

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Il docufilm

Edit: il 17 giugno 2021 andrà in onda su Rai2 alle 23:00 un docufilm su Alessandra Appiano, Amica di Salvataggio, diretto dal marito Nanni Delbecchi. In questo docufilm è lei stessa a ricevere gli spettatori a casa sua, a raccontare le tappe decisive sua vita, ad ascoltare il ricordo degli amici, a confessare la sua battaglia contro la sindrome bipolare, cominciata quando era ancora una ragazzina piena di sogni che, nonostante le difficoltà, si sarebbero realizzati. Una produzione indipendente realizzata in nome dell’amicizia, e grazie al potere dell’amicizia, con due scopi dichiarati: catturare la memoria di Alessandra, la sua energia luminosa, e contribuire alla salvezza di chi ha sperimentato lo stesso male di vivere. Fino all’enigma finale: il raptus suicida di chi è in preda a un grave disturbo dell’umore è davvero un gesto volontario?

 

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