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La passione del dottor Christian – Colleen McCullough

Un distopico che mi ha attratto fin dalle prime pagine. Colleen McCullough mi ha spiazzato con una trama elaborata, complicata, nella quale si sovrappongono temi etici e sociali fondamentali nel terzo millennio. Il credo del terzo millennio, questo il titolo originale, è un romanzo che fa riflettere, ponendo delle domande alle quali, forse, è meglio non trovare risposta.

La trama

Anno 2032. Il mondo è accerchiato dai ghiacci e immense zone sono diventate inabitabili. Gli Stati Uniti hanno aderito al Patto di Delhi, per cui in cambio di una speranza di sopravvivenza l’umanità deve rassegnarsi a una ferrea politica demografica: un figlio unico per almeno quattro generazioni. La famiglia Christian vive nel Connecticut, dove cura i disturbi depressivi dovuti alla durezza dei tempi. Nel Ministero dell’Ambiente una brillante dottoressa di nome Judith Carriol sta organizzando una campagna di risollevamento morale e psicologico del Paese e decide di utilizzare Joshua Christian perché dotato di grande carisma. L’uomo viene plagiato dalla dottoressa, che lo convince a scrivere un libro e a sottostare a un grande giro di conferenze. Ben presto, però, Joshua sfugge al controllo della donna, esaurendo così il suo flusso positivo. Comprendendo di aver compromesso l’operazione, Judith escogita la marcia del millennio, grande scenografia nella quale Christian percorrerà a piedi la strada da New York a Washington. Ma tutto va storto e Judith deve porre rimedio ai guai da lei stessa causati…

Era glaciale o desertificazione?

Da qualcuno questo romanzo è stato paragonato a “La fattoria degli animali” di George Orwell. Senza spingermi così in là con i parallelismi, dico però che quest’opera di fantapolitica pseudo religiosa mostra quanto la scrittrice sia eclettica. A me lei piace molto, sin dai tempi di Uccelli di Rovo e l’ammiro per il modo in cui riesce a passare dagli storici alle saghe, dalle storie d’amore alla fantascienza. Questo, in particolare, è romanzo ambizioso, che induce alla riflessione filosofica e, in fondo, se consideriamo che è stato scritto nel 1985, non si discosta molto dalla realtà in cui viviamo oggi. I trattati sul clima sono ormai diventati battaglia di scontri ideologici, il surriscaldamento e la progressiva desertificazione di una parte della Terra argomento su cui fare i conti, la guerra non si fa più sui campi di battaglia ma con le transazioni finanziarie. Nel 2032, anno in cui è ambientato, a quanti gradi saremo arrivati d’estate? Forse avrebbe fatto meglio ad ambientarlo, che so, nel 2100, ma cinquantanni devono esserle sembrati sufficienti per immaginare un cambiamento epocale.

Fare figli è un diritto?

Un cambiamento che non ci dà alcuna speranza di rinascita, se non una parziale accoglienza del diritto ad avere più figli. Ma è un diritto? Oppure la sovrappopolazione porterà inevitabilmente all’estinzione del pianeta in cui viviamo?

In cosa crediamo nel terzo millennio?

Accanto al tema ecologico, troviamo con altrettanta prepotenza il filone religioso. Il titolo originale è, non a caso, “Il credo del terzo millennio”. In italiano diventa La passione del dott. Christian per associarlo al cattolicesimo, di cui Joshua e gli altri personaggi ripercorrono il percorso che porta alla morte di Cristo. Sempre non a caso, tutti i personaggi hanno nomi biblici: Joshua, col quale è impossibile non entrare in empatia, è Gesù, Judith Carriol, Scarriot nell’originale, è Giuda, la traditrice, Moshe Chasen è Mosè, l’unico che prova pietà per il povero Joshua, Mary, Martha e Miriam sono convinte che risorgerà, come il suo omologo. Ma cosa voleva davvero mostrarci Colleen? Che la storia si ripete? Che le religioni sono fallibili? Che un uomo imperfetto non può imitare Dio senza andare incontro a distruzione? Oppure che, come esseri umani, siamo sempre alla ricerca di un credo da seguire, di una causa da sposare, di qualcosa di superiore in cui riporre fiducia, e invece tutto ciò che dovremmo fare è amarci e curare un giardino? Oppure che perdere punti di riferimento religiosi e sociali porta inevitabilmente la collettività sull’orlo dell’esaurimento nervoso? Forse, la scrittrice voleva farci riflettere su tutte queste questioni fondamentali. Nel mio caso, ci è riuscita: tenendomi un dubbio sul finale, che può essere interpretato in mille modi, è un romanzo che secondo me vale la pena di leggere per farci delle domande serie. Sperando di non trovare le risposte.

Chi è Giuda?

Ma un Giuda doveva esserci. Doveva esserci sempre! Senza Giuda, l’umanità non avrebbe bisogno di salvezza. Giuda era chi possedeva grandi ambizioni ma aveva bisogno del talento altrui per raggiungere il successo. Giuda era chi cavalcava il genio di altre persone. Giuda significava profitti e perdite, ricatto emozionale, manipolazione, disperazione, ipocrisia, le intenzioni più pure e i metodi più bassi, il bisogno di scagionarsi. Giuda non significava tradimento! Per molti Giuda non era mai stato necessario tradire. E Giuda non costituiva un’aberrazione. Era la norma.

Ho smesso di piangere – Veronica Pivetti

Ho letto contemporaneamente Ho smesso di piangere di Veronica Pivetti e Amiche di salvataggio di Alessandra Appiano. Certo, quest’ultimo è un romanzo e quella dell’attrice è una storia vera, però a volte i romanzi finiscono bene e le storie vere no. Stavolta, avevo bisogno di un lieto fine “vero” e l’ho trovato.

La trama

Il problema vero della depressione è che non la puoi raccontare, non la puoi descrivere. È invisibile. E non è uguale per tutti. Ma per tutti è un male profondo e assoluto. E va affrontata, perché tanto non si scappa. Anche per questo Veronica Pivetti ha deciso di condividere il suo momento buio. ”Lei è malata, la sua tiroide non funziona più”: questo si sente dire nel 2002. La sua tiroide ha cominciato a dare i numeri, traghettandola verso una forte depressione, complici alcuni farmaci sbagliati che le vengono prescritti. Così inizia la sua odissea. Alcuni dottori l’hanno salvata, altri massacrata, alcuni le hanno ridato la vita, altri gliel’hanno tolta. E finalmente, nel 2008, Veronica ha incominciato a rivedere la luce e a uscire da questo micidiale periodo nero.

Una malattia subdola e oscura

Sono stati sei anni infami, anni nei quali mi sono detta continuamente che era inutile vivere così. Il tempo triste sembra sempre tempo perso. Anni difficilissimi che, però, non sono passati senza lasciare un segno. Una volta ero perfettamente funzionante, ero nuova di trinca. E credevo che fosse quella la verità. Ora sono un po’ rattoppata, ho un’anima patchwork e una psiche in divenire. Ed è questa la verità. Ma va bene così, perché la vita si fa con quello che c’è, non con quello che vorremmo”.

Se davvero il libro è stato scritto da lei, Veronica Pivetti scrive davvero bene. Se ha utilizzato un ghostwriter, questo scrittore fantasma è riuscito nella titanica impresa di portare a casa un testo brillante, scorrevole, chiaro nelle sue premesse e nello svolgimento dei fatti. Perché l’attrice racconta con semplicità cosa le è accaduto in uno dei momenti più duri, forse il più duro, della sua vita. Il che per una che di mestiere fa ridere gli spettatori, non dev’essere stato granché divertente. Intendiamoci, scivolare nella depressione non è divertente per nessuno, né per chi la vive, né per chi vorrebbe stare accanto a un malato e non sa cosa fare. Lei è riuscita a far capire anche a me, che non ho mai conosciuto nessuno che ne soffrisse, cos’è la depressione. Cosa succede nella testa di una donna che apparentemente ha tutto: successo, carriera, soldi, pure un matrimonio anche se fallito, famiglia unita, cari amici e animali che ama pazzamente. E allora? Cosa scatta? Un click e tutto è finito, perduto, annientato. Scivolare nell’abisso è facile, cercare di risalire è tutta un’altra storia.

Particolari improbabili…

Peccato che però il racconto si perda su alcuni dettagli che francamente suonano inverosimili. Una cena di pesce il giorno prima di un intervento, forse è possibile ma ho dei dubbi, il professore che continua a chiamare sul cellulare e lei che non risponde, anche qui possibile, il cliente famoso va coccolato, però solitamente se il paziente non si fa più sentire il medico ben presto se ne fa una ragione. In più, il racconto di un ritorno in autostrada che appare inventato per quanto assurdo (non facevi prima a farla nei campi?), un rientro a casa con il piede di porco che neanche se lo vedessi coi miei occhi penserei che sia vero, per chiudere con un finale semplicistico a dir poco. Tutto questo casino, e poi? Risolve magicamente l’amica? Mah.

…e un’unica, grande verità

A parte questi dettagli sopra le righe, il libro è utile non per approfondire il tema della depressione in sé, chi cerca un aiuto psicologico ne rimarrebbe deluso, ma per avere conferma che la medicina non è una scienza esatta, come spesso speriamo e crediamo, e che tutti siamo umani, troppo umani, anche i medici. E che persino le stelle hanno come noi problemi, sogni, speranze, illusioni. A volte, cadono e si rialzano, proprio come noi. A volte non ce la fanno, come non ce la facciamo noi. La verità, come diceva Adenauer, è che “viviamo tutti sotto lo stesso cielo, ma non tutti abbiamo il medesimo orizzonte”.

Listen without prejudice. Da George Michael a Goring-on-Thames

Daphne Du Maurier, il lato oscuro di una scrittrice di successo

La metà di niente – Catherine Dunne

Amiche di salvataggio – Alessandra Appiano

Amiche di salvataggio – Alessandra Appiano

Alessandra Appiano, l’amica della donna. In uno degli articoli sulla sua scomparsa, mi ha colpito il ricordo di una giornalista, che evidentemente la conosceva bene: il modo migliore per mantenere in vita uno scrittore è leggerlo. Allora sono andata a riprendere il suo primo romanzo, Premio Bancarella 2003, per rileggerlo oggi dopo tanti anni.

La trama

Finalmente è successo! Dopo anni di deserto sentimentale, Daria si è innamorata. Certo, lui è sposato… ma nessuno è perfetto. Lo sa bene la sua amica Ilaria, una giornalista in carriera vicina ai quarantanni, anche lei alla perenne ricerca di un (introvabile) equilibrio tra sentimenti e carriera, sogni e famiglia, libertà e bisogno d’amore. Lo sa anche Roberta, la giovane collaboratrice di Ilaria, che da capa antipatica quasi quasi si trasforma in una donna con cui sente di avere feeling. Come le succede con Danila, un’amica della madre che voleva fare l’attrice e sfoga sulla figlia le sue delusioni. Danila è totalmente diversa, lei sì che ha istinto materno anche se non è madre. Simpatiche, coraggiose, sempre pronte a rischiare, a mettersi in gioco, a rialzare la testa dopo l’ennesima delusione. Questo romanzo parla di donne con allegria e anche con un pizzico di amarezza, ma soprattutto con indulgenza e con quella robusta dose di autoironia che ci consente sempre di guardare avanti e non mollare.

Quant’è difficile essere donna, soprattutto se ambiziosa

E’ un po’ difficile commentare questo romanzo ora che Alessandra Appiano non c’è più. L’avevo letto qualche anno fa e poi tenuto in libreria, lì, da qualche parte. Sicuramente, per la storia personale dell’autrice, e per la sua incrollabile fiducia nella forza delle donne e delle amiche, è un libro che parla di donne senza giudicarle mai, senza prendere posizione rispetto alle loro libere scelte di carriera, famiglia e, in qualche caso zoppicante, di entrambe. Eppure, in sottofondo, più che la storia in sé, un po’ superficiale e figlia forse degli albori dei chick lit brevi, più simili a racconti che a romanzi veri e propri, quello che rimane in testa è una sorta di pessimismo di fondo, che invade le pagine fino almeno a tre quarti.

Che malinconia i Santi Natali all’inseguimento delle Befane e delle Pasque, i pacchetti luccicanti dei negozi del centro, i battesimi vestiti di pizzi e fiocchi, i funerali avvolti di nero e di velluto, le torte con le candeline, gli anniversari di matrimonio, le bollette di rate residue. Riti per sentirsi tutti più vicini. No, per sentirsi tutti inutilmente più vecchi. Più uguali. Passi inutili, passi vecchi: ma almeno, diversi. Soli con stile. E infatti lei adesso era sola come un cane, con stile”.

Una luce in fondo al tunnel

Alla fine, però, finalmente l’autrice vira su un finale che, se non riscatta le protagoniste, almeno fa intravedere un po’ di luce in fondo al tunnel.

L’infelicità è un appalto poco redditizio del passato, un passato che abbiamo sepolto con badilate di buona volontà”.

Quella luce in fondo al tunnel che purtroppo lei non ha visto, o che a un certo punto non ha visto più. “Era una donna buona”, dice di lei il marito. Io non la conoscevo, ma so che aveva un sorriso meraviglioso. Il sorriso di una persona buona.

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Il docufilm

Edit: il 17 giugno 2021 andrà in onda su Rai2 alle 23:00 un docufilm su Alessandra Appiano, Amica di Salvataggio, diretto dal marito Nanni Delbecchi. In questo docufilm è lei stessa a ricevere gli spettatori a casa sua, a raccontare le tappe decisive sua vita, ad ascoltare il ricordo degli amici, a confessare la sua battaglia contro la sindrome bipolare, cominciata quando era ancora una ragazzina piena di sogni che, nonostante le difficoltà, si sarebbero realizzati. Una produzione indipendente realizzata in nome dell’amicizia, e grazie al potere dell’amicizia, con due scopi dichiarati: catturare la memoria di Alessandra, la sua energia luminosa, e contribuire alla salvezza di chi ha sperimentato lo stesso male di vivere. Fino all’enigma finale: il raptus suicida di chi è in preda a un grave disturbo dell’umore è davvero un gesto volontario?

 

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Bel Ami – Guy de Maupassant

Qualche tempo fa ho letto e commentato Una vita, il primo romanzo di Guy de Maupassant. Tuttavia, lo scrittore è conosciuto soprattutto per Bel Ami, un ritratto feroce e disincantato sullla borghesia francese, di cui proprio Guy de Maupassant costituiva un esponente di spicco e di successo. Il che rende ancora più credibile questo suo romanzo realista.

Trama

Georges Duroy, un giovane bello e ambizioso, arriva a Parigi dalla provincia in cerca di fortuna. Dopo aver ottenuto solo un modesto impiego nelle ferrovie del nord, incontra casualmente l’amico Charles Forestier, che riesce a farlo entrare nella redazione del giornale in cui lavora. Il successo con le donne lo aiuta a far carriera e, diventato Bel-Ami, il giovane Georges capisce come sfruttare al meglio questo suo fascino. Morto Charles, ne sposa la vedova, dalla quale ottiene la metà di una ricca eredità. Poi cerca di conquistare una donna ancora più potente.

La mediocrità al potere

Inutile tentare di farsi piacere Bel Ami. Il personaggio è decisamente antipatico, vanitoso, assetato di soldi e di potere. Un po’ come il suo alter ego Guy de Maupassant, che non a caso ha scritto il romanzo al culmine del suo successo letterario, pubblicandolo a puntate sulla rivista Gil Blas, come già aveva fatto per il suo primo romanzo, Una vita. In tutto il percorso di vita che gli vediamo compiere, non c’è redenzione, Georges tira dritto per la sua strada, alla ricerca prima del denaro e poi del successo. Da un altro personaggio viene definito intelligente: in realtà, è solo un gran furbo e i due aggettivi non sono sinonimi. Gioca e vince sulla mediocrità che lo circonda, sull’inganno e il ricatto, sui favori dati e ricevuti. Fa carriera nel giornale senza saper scrivere, fa carriera nella società senza amare altri che se stesso, piace alle donne senza essere né romantico né appassionato. In fondo, leggere questo romanzo è scuola di vita: se pensiamo che dopo più di un secolo i metodi per fare carriera sono sostanzialmente gli stessi, uno sarebbe portato a chiedersi a cosa serva studiare e impegnarsi per raggiungere i propri obiettivi. In cosa bisognerebbe specializzarsi? Nell’arte della manipolazione?

La risposta è nel poeta e nella bambina

Ed ecco che in soccorso dei lettori Guy de Maupassant manda lui, il “vecchio fallito”, il “poeta” Norbert de Varenne, che toglie il velo e ci mostra il re nudo: “nel regno dei ciechi, il guercio è re. Tutte quelle persone, vedete, sono mediocri, con il pensiero limitato da due muri: i soldi e la politica. Sono pedanti, amico mio, con loro è impossibile parlare di qualcosa che ci interessi. Il loro cervello è pieno di melma, o meglio è una discarica come la Senna a Asnières. Oh! È difficile trovare una persona che pensi in grande, che dia la sensazione di quelle vaste folate che giungono dal largo e si respirano sulle coste del mare”. Il vecchio sarà un fallito, ma ha ragione: cosa conta alla fine? La gloria? I soldi? L’amore? No, la morte. Solo lei arriva per tutti e spazza via il corpo, i desideri, i pensieri. Pensiero un po’ lugubre, ma in fondo non è questa la pura e semplice verità? Come verità è l’unica cosa che sanno dire i bambini. La povera Laurine, la figlia di una delle amanti di Bel Ami, a un certo punto si rifiuta di baciare il bel Georges e di salutarlo quando lo incontra. Eppure, il nomignolo Bel Ami gliel’ha affibbiato lei. Perché fa così? Semplice: i bimbi si fidano degli adulti e non sopportano il tradimento. A fare buon viso a cattivo gioco imparano solo da adulti. Laurine è l’unica, insieme al poeta visionario, che riconosce il re nudo e ha il coraggio di gridarlo. Tutti gli altri, partecipano per interesse o convenienza al gioco delle parti.

Una vita o Bel Ami?

Pur riconoscendo la maggiore profondità di analisi sociale di Bel Ami, io continuo a preferire Una vita. Primo, perché è parzialmente ambientato in Corsica. Mi rendo conto, non è un gran motivo. Secondo, perché in Bel Ami non c’è alcuna redenzione. Anche in Una vita i personaggi rimangono piatti, ma alla fine arriva una donna del popolo a salvare la situazione. Qui, le donne sono intriganti, lagnose o frivole. Un encefalogramma piatto interrotto solo, in parte, dalla moglie di Bel Ami Madeleine, figlia di una popolana che si è fatta avanti nel bel mondo con le sottili arti dell’intrigo e sfruttando i potenti amanti. Lei, al contrario degli altri, agisce per il proprio interesse, certo, ma anche per il piacere di lanciare giovani dotati nell’olimpo dei potenti. Potremmo definirla una talent scout di aspiranti giornalisti aspiranti politici. In questo mare di leggerezza e superficialità, non ci resta che alzare il calice e brindare come farebbe Norbert de Varenne:

Bevo alla rivincita dello spirito sui soldi”.

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Leggi anche, dello stesso autore:

Una vita – Guy de Maupassant

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Quando ti chiama il vento – Barbara Freethy

Quando viaggio in treno, mi piace scegliere dalla piattaforma della compagnia di trasporti un romanzo che mi tenga compagnia, sfidandomi a tentare di finirlo tra andata e ritorno per non lasciare in sospeso la storia. Stavolta è andata benissimo: Quando ti chiama il vento di Barbara Freethy mi ha coinvolto subito e non ho visto l’ora di arrivare all’happy end. Che è arrivato giusto un attimo prima di scendere dal treno per tornare a casa.

La trama

Nella vita di Kate McKenna il vento ha sempre portato cattive notizie. Ogni volta che percuote le cime degli alberi della selvaggia isola di Castleton, o spazza i suoi vicoli acciottolati e le spiagge disseminate di tronchi portati dal mare, un sottile senso di inquietudine si fa strada in lei. Otto anni prima, ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità: spinta dall’ambizione paterna, insieme alle due sorelle ha vinto una gara di vela intorno al mondo. Ma quanto è costata quella vittoria? Qualcosa è successo, qualcosa che ha cambiato in modo irrevocabile le vite di ognuna di loro. Da allora, Caroline scivola lentamente nell’autodistruzione, Ashley non riesce a dominare le sue paure. E Kate, in apparenza la più forte, sembra aver semplicemente deciso di rinunciare alla vita e all’amore, chiusa nella piccola libreria che è diventata il suo rifugio e la sua unica soddisfazione. Ma quando un brillante giornalista, Tyler Jamison, arriva a Castleton a fare strane domande, il passato minaccia di travolgerle. Per Jamison scoprire il loro segreto è l’unico modo che ha per proteggere la sua famiglia e le persone che più ama al mondo.

Nel mondo dei velisti

L’ambientazione mi è piaciuta subito, così come la copertina e il titolo. Barbara Freethy ha scelto un’ambientazione particolare, quella delle gare nautiche e di un’isola soggetta a basse e alte maree, facendo salire su una barca tre ragazze poco più adolescenti alle prese con un padre padrone esperto marinaio, ma altrettanto esperto manipolatore delle figlie. Le quali da adulte si troveranno a dover fare i conti con la propria coscienza e con i guai che l’incosciente genitore ha creato loro. Il libro è avvincente, veloce, parte subito con la sensazione che ci sia qualcosa di grave nell’aria, anche se piano piano tutto si dipana e non è stato difficile intuire abbastanza presto come sarebbe andata finire.

Kate e Tyler, due adorabili…cipollotti  

I due protagonisti sono il mio ideale: lei, Kate, bella e forte. Lui, Tyler, macho al punto giusto e furbo come il mestiere di giornalista impone. I dialoghi sono divertenti e soprattutto Tyler è sempre convincente, è un uomo che sa quello che vuole e come prenderselo. Meno convincenti sono dei particolari da romanzo rosa che la scrittrice usa senza cautele: per esempio, dopo aver spolpato pollo fritto ed essersi buttata sull’insalata di patate, si presume piena di cipolla visto che si trova in america, una protagonista può sapere di VANIGLIA, quando lui la bacia??? 🙂 Anche il finale è coerente con quello che Barbara Freethy costruisce prima. Direi che è il romanzo giusto se volete passare una o due serate in compagnia di una storia romantica, ma non sdolcinata. Unico appunto da lettrice, il personaggio della seconda sorella, Ashley, forse avrebbe meritato un maggiore approfondimento, così come la reazione dei comprimari quando arriva il momento della rivelazione del grande segreto che le sorelle hanno così gelosamente custodito: una confessione così eclatante non può rimanere sotto traccia, anche se sono passati tanti anni. L’aspetto, al contrario, che ho preferito è l’assenza di una vera e propria rottura tra Kate e Tyler, che di solito nei romance non manca mai. Qui i due giovani sanno di aver sbagliato entrambi e tutto sommato accettano le menzogne dell’altro perché, per motivi diversi, in fondo sono due bugiardi. Insomma, il paragone è calzante dato che ci troviamo in ambiente acquatico, sono sulla stessa lunghezza d’onda dall’inizio alla fine.

Leggi anche: 

http://www.pennaecalamaro.com/2016/11/29/349/