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Voci d’estate – Rosamunde Pilcher

Quando ho voglia di una lettura riposante e rassicurante, so sempre cosa scegliere. Rosamunde e la sua Cornovaglia sono degli amici fedeli. Fin dalle prime pagine, so già che mi condurranno in verdi vallate e amori grandi e limpidi. E cosa c’è di meglio che tuffarsi in allegre Voci d’estate mentre fuori piove?

Trama

A causa di un piccolo intervento, Laura Haverstock non può accompagnare il marito Alec in Scozia. Accetta così la proposta di trascorrere il periodo di convalescenza in Cornovaglia, a casa dello zio di lui Gerald e di sua moglie Eve. Contagiata dagli slanci di affetto di Eve, dalla serenità di Gerald e dall’entusiasmo di Ivan, il figlio di Eve, Laura ritrova pian piano fiducia in se stessa. Quando improvvisamente Gabriel, la figlia che Alec ha avuto dalla prima moglie, fa ritorno in Inghilterra, lo sconvolgente imprevisto rischia di rimescolare nuovamente le carte dell’amore.

Un cottage prende vita

La cara, rassicurante, emozionante penna di Rosamunde Pilcher anche stavolta non tradisce. Rispetto ad altri romanzi più famosi, manca la saga familiare, i mille personaggi che costituiscono un universo fatto di piccoli e grandi drammi, storie d’amore che sopravvivono al tempo e allo spazio, i panorami grandiosi che fanno desiderare di mettere due vestiti in valigia e partire. In Voci d’estate, Rosamunde si concentra sulle vicende di una piccola famiglia e su un cottage in Cornovaglia. Una casa che poco a poco prende vita, vede aumentare i suoi abitanti e osserva i mutamenti profondi che avverranno nelle loro esistenze nello spazio di un’estate.

Sentimenti veri e profondi

Alla scrittrice inglese a volte rimproverano di essere prevedibile e, in fondo, sempre uguale a se stessa. Invece, personalmente è proprio l’aspetto che preferisco. Quando ho voglia di una lettura riposante, so che potrò bearmi di paesaggi verdi e incontaminati e di sentimenti veri e profondi. Aver passeggiato su e giù per la Cornovaglia ha aggiunto ancora più colore alla lettura. Mi sembrava di essere davvero lì con Laura, Gabriel e tutti gli altri. Solo, se potessi, chiederei alla Pilcher come fanno i personaggi ad “arrostirsi al sole”, oppure a “morire dal caldo”. Sarò stata sfortunata io, ma in piena estate la temperatura cornica non ha mai superato i 22 gradi!

Terapia di coppia per amanti – Diego De Silva

Mentre cucino ‘O scarpariello per cena, penso a cosa scrivere su Terapia di coppia per amanti, per me il primo di Diego De Silva che non appartenga alla serie dell’avvocato Malinconico. Purtroppo, anche stavolta non posso promuoverlo pienamente. Ma andiamo con ordine.

La trama

Viviana e Modesto sono amanti, entrambi sposati con figli. Il loro rapporto è talmente tormentato che la donna costringe lui a sottoporsi a una terapia di coppia. Vanno allora dal professor Malavolta, star di una trasmissione televisiva, senza immaginare che il terapista abbia a sua volta problemi di cuore. Come finirà? I due amanti metteranno il The end alla loro storia, oppure rinunceranno alle loro famiglie per viverla pienamente e alla luce del sole?

‘O Scarpariello e niente più

Credo che proprio lo scarpariello, una ricetta che non conoscevo, sia l’elemento positivo che ho tratto dalla lettura del romanzo. Eppure quest’ultimo mi incuriosiva, un po’ per il tema trattato, cioè una coppia di amanti che si ritrova a vivere gli stessi problemi di una coppia ufficiale, un po’ perché volevo scoprire un De Silva diverso da quello “Malinconico” finora frequentato. Confesso che però, nonostante le ottime premesse, con Terapia di coppia per amanti mi sarei fermata dopo meno di 100 pagine se non avessi voluto scoprire come sarebbe andata a finire. Perché lo svolgimento è lento, a tratti noioso, pieno di stereotipi, inverosimile fino a sfiorare l’assurdo. Soprattutto, la famigerata terapia di coppia per amanti arriva dopo più di cento pagine dall’inizio del libro, quando invece sarebbe dovuta iniziare subito o quasi. Non sono troppe cento pagine per inquadrare contesto e situazione?

Mogli e mariti traditi, dove siete?

Secondo me sì ed è in questo aspetto che ho rintracciato il peggiore difetto del romanzo, che personalmente avrei centrato quasi esclusivamente sulle sedute di terapia e sulla vita coniugale dei due. Difetto seguito da una storia a più voci dove le differenze tra uomo, donna e analista non si percepiscono abbastanza. Sembrano scritti e pensati dalla stessa mano e mente, quando così non dovrebbe essere. Marito e moglie traditi, per giunta, risultano non pervenuti. Passi per il marito, perlopiù rassegnato, ma una moglie che non si accorge di niente o, peggio, fa finta di niente, non esiste in natura!

Scrittura piacevole

Salvo la scrittura sempre piacevole dello scrittore, che risulterebbe più efficace senza i continui intermezzi di pensieri vari che non sono riconducibili ai protagonisti, stesso commento che mi aveva suscitato il terzo Malinconico, e alcuni passaggi divertenti che mi hanno fatto ridere di cuore. A questo punto, se non l’avete ancora letto e avete intenzione prima o poi di farlo, passate direttamente alla ricetta dello scarpariello che Modesto e Viviana vanno a mangiare nella loro trattoria preferita dopo aver fatto l’amore, che è proprio buono.

Altrimenti, accedete allo spoiler.

Spoiler, spoiler, spoiler (fermatevi prima se non l’avete letto)

E poi scusatemi, ma quando mai una madre che riconosce la suoneria dell’iphone e pensa che il figlio l’abbia comprato alle spalle dei genitori, non si chiederebbe dove abbia preso i soldi per acquistarlo, prima di cominciare a indagare silenziosamente e ferocemente sui presunti traffici del pargolo? E quale moglie, il cui marito le comunichi l’intenzione di traslocare e di prendersi una pausa, non gli farebbe immediatamente l’interrogatorio di terzo grado (vedi storia dell’iphone) seguito da violenta scenata di gelosia?

Voi che dite, vi è piaciuto?

***

Non è una bella scoperta, dal momento che la verità incontestabile che la sorregge è che ti sei innamorato come una braciola. Che hai bisogno di lei, che ti piace da morire il modo in cui si muove e gesticola, parla e pensa, mangia e beve, starnutisce e sbadiglia, si veste e si spoglia;

Leggi anche:  

‘O Scarpariello degli amanti in terapia

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Sono contrario alle emozioni – Diego De Silva

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Jamaica Inn, un fantasy di Daphne Du Maurier

Durante il viaggio letterario Sulle tracce delle grandi scrittrici, mi sono fermata alla Taverna della Giamaica, la locanda che ha ispirato a Daphne Du Maurier l’omonimo romanzo, Jamaica Inn. Atmosfera cupa, vento impetuoso e una giovane che bussa alla porta cigolante di un edificio sinistro…

La trama

Mary Yellan è una ragazza che vive in una fattoria del Devon. In punto di morte, ha promesso alla madre che non sarebbe rimasta sola, ma che avrebbe cercato la zia Prudence per andare a vivere con lei e il marito Joss Merlyn al Jamaica Inn, una locanda sperduta tra le brughiere della Cornovaglia. Qui spera di ritrovare la zia Patience che ricorda, affettuosa e gentile. Arrivata al Jamaica Inn scopre una realtà ben diversa. Joss Merlyn è un  uomo imponente, rozzo e violento e Patience è triste e impaurita, completamente soggiogata dal marito. Sconvolta, decide di rimanere per proteggere la zia e convincerla ad andare via insieme. Vivendo nella taverna, Mary scopre ben presto i loschi traffici dello zio, che usa la locanda come copertura ma in realtà  pratica il contrabbando dalla costa all’interno della Cornovaglia. Jem, il fratello dello zio, le offre il suo aiuto per andarsene, ma la ragazza non si fida di lui. Così cerca l’aiuto di Francis Davey, parroco di Altarnum, che la ospita a casa sua. Nel frattempo, anche il giudice Bassat cerca le prove per arrestare Merlyn e la sua banda…

L’ispirazione

Daphne Du Maurier stessa ha raccontato di avere avuto l’ispirazione dopo che lei e un amico nel 1930 si persero nella nebbia mentre cavalcavano e si fermarono nella notte nella locanda perché troppo pericoloso proseguire. Durante il tempo trascorso nella taverna, si dice che il parroco locale l’abbia divertita con storie di fantasmi e racconti di contrabbando. Più tardi, Daphne du Maurier continuò a trascorrere lunghi periodi presso l’Inn, parlando apertamente a più riprese del suo amore per la località.

Dopo aver visto la locanda, non fatico a credere che si sia persa nella nebbia, né che si fosse innamorata del posto. Perché ancora oggi è esattamente come lo descrive nel libro. E’ incredibile quanto mi sembrasse di essere là con Mary e Jem, in mezzo alla brughiera, al vento selvaggio e alle scogliere maestose della Cornovaglia. La locanda in cui è ambientato il libro ha subito modifiche all’interno, ma non all’esterno, quindi anche l’architettura è esattamente come la descrive lei. Che è bravissima sia a costruire un’ambientazione noir che cattura immediatamente, sia a creare la giusta suspense sulla sorte di Mary. Cosa succederà  a questa ragazza finita in mano a parenti poco raccomandabili? Può davvero fidarsi delle persone con cui si confida? Jem è come il fratello o potrebbe nascere una storia?

Il diavolo e l’acqua santa

Jamaica Inn è in definitiva un bel fantasy che si segue con piacere, anche se certamente non all’altezza dei suoi romanzi più famosi, come Rebecca la prima moglie, per esempio. Questo perché se proprio devo trovargli un difetto, direi che il finale è un po’ tirato via, troppo frettoloso. Mi ha dato quasi l’impressione che l’autrice volesse chiudere il prima possibile, facendo virare un mistery svelato fino a quel momento tassello dopo tassello in un finale quasi consolatorio che poco ha a che vedere con il resto della trama. Rimane comunque una lettura godibile, soprattutto per il bel personaggio femminile che la Du Maurier ha creato. Considerando che scriveva negli anni ’30, una ragazza che anela all’indipendenza e che si muove da sola in un mondo di uomini spesso violenti è indice della visione progressista del mondo di un’autrice e di una donna che rivendica un ruolo femminile che vada oltre il tradizionale angelo del focolare.  Fa da contraltare il personaggio altrettanto riuscito dell’albino vicario di Altarnun. Ovvero quando diavolo e acqua santa s’incontrano, trovandosi reciprocamente attraenti.

Nel 1939 la storia è stata portata sullo schermo da Alfred Hitchcock, con l’omonimo film Jamaica Inn. Su youtube il film integrale gratis.

Leggi anche: 

Carol, di Patricia Highsmith

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Quante ne sai? 15 curiosità su Jane Austen che forse non conosci

La biografia di Jane Austen più o meno la conosciamo tutti. Ma sai proprio tutto, tutto, su zia Jane? Leggi 15 curiosità∗ sulla vita e le opere della celebre scrittrice inglese e spunta quelle che già conoscevi. Mettiti alla prova con il quiz e poi scrivi nei commenti quante ne sapevi. Solo chi totalizza 15/15 potrà fregiarsi del titolo di Jane Austen addicted! Pronti? Via!

1) Pseudonimo

I suoi romanzi furono pubblicati anonimamente, semplicemente con indicazioni quali “by a Lady” o “by the autor of Sense and Sensibility”. Solo nella pubblicazione postuma della prima edizione de L’Abbazia di Northanger e Persuasione il fratello Henry rivelò il nome dell’autrice al pubblico, scrivendo di suo pugno una nota biografica. Jane, quindi, non vide mai il suo nome pubblicato.

2) Gli anni della scuola

Nel 1783, mentre erano a scuola a Southampton, Jane e sua sorella Cassandra presero una febbre virale, probabilmente tifo, e furono sul punto di morire.

3) Emma

Jane una volta dichiarò di voler creare un’eroina che non piacesse a nessuno tranne che alla scrittrice. E così nacque Emma.

4) I titoli dei suoi romanzi

I titoli definitivi di Persuasione e L’Abbazia di Northanger furono scelti dai fratelli Henry e Cassandra dopo la morte di Jane. La scrittrice aveva intitolato il primo Susan (e poi Catherine) e il secondo Gli Elliott.

5) Talenti

Jane non era solo un’eccellente scrittrice. Faceva da sé anche la birra e il vino orange.

6) L’amore

Nel dicembre del 1795 Austen conobbe il suo primo amore, Thomas Langlois Lefroy, ma la famiglia del ragazzo riteneva la figlia del reverendo inadeguata socialmente per il figlio, rendendo impossibile il matrimonio tra i due. Si fidanzò ufficialmente una sola volta, con l’amico di famiglia Harry Bigg-Wither, ma dodici ore dopo ritirò la sua parola, perché durante la notte si era accorta di non essere innamorata di lui.

7) Baci

Nei romanzi di Jane Austen i personaggi si scambiano 14 baci. Nessuno di questi tra eroina e protagonista maschile.

8) Discendenti

I fratelli Francis ed Edward ebbero ben undici figli per uno, per un totale di 78 nipoti. Tutti i figli maschi dei genitori di Jane si sposarono due volte, tranne George. Charles si sposò con due sorelle ed ebbe quattro figli da ognuna.

9) Jane e basta

Jane è l’unica tra tutti i fratelli a non avere un secondo nome.

10) Sport

Jane amava fare lunghe passeggiate. La sua preferita era da Bath al villaggio di Weston, lunga 8 km tra andata e ritorno.

11) Balia

La signora Austen allattava i suoi figli per i primi mesi, prima che fossero portati in una famiglia vicina (i Littleworths). Ogni bambino veniva assistito da questa famiglia per i primi due anni, finché acquisiva autonomia nel parlare e camminare. Durante questo periodo, i genitori facevano loro visita regolarmente e alla fine li riportavano in famiglia. Questa non era una pratica rara al tempo, né veniva considerata come insensibilità. Questa abitudine della famiglia Austen potrebbe spiegare per quale motivo Jane era più affezionata a sua sorella che alla madre.

12) Una passione invincibile

Verso la fine dei suoi giorni Jane, ormai troppo debole e affaticata, volle continuare a scrivere, usando la matita invece di penna e calamaio.

13) Dediche

Su richiesta di questi, Emma fu dedicato al Principe Reggente. Tuttavia, Jane non amava il principe, a suo dire troppo stravagante nei comportamenti e nel trattamento riservato alla moglie.

14) Hugh Grant è troppo bello

Quando nel 1995 girarono il film Ragione e Sentimento, l’Associazione Jane Austen del Nord America (JASNA) contattò il produttore per protestare contro la scelta di inserire Hugh Grant nel cast. Secondo loro, l’attore britannico era troppo attraente per recitare la parte di Edward Ferrars.

15) Haters

Sembra che lo scrittore Mark Twain abbia dichiarato: “Tutte le volte che leggo Orgoglio e Pregiudizio mi viene voglia di disseppellirla e colpirla sul cranio con la sua stessa tibia”.  La domanda sorge spontanea: caro Mark, ma quante volte hai letto il libro? E se l’hai preso in mano più volte, non è che sotto sotto zia Jane ti piacesse assai?

Allora? Segnate le curiosità che già conoscevi? Quale punteggio hai realizzato? Scrivilo nei commenti!

∗ fonte: The Jane Austen Centre di Bath

Leggi anche:

Orgoglio e pregiudizio? Prova l’audiolibro

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L’abbazia di Northanger 

Persuasione

Sulle tracce delle grandi scrittrici: Bath e il gossip degli antichi romani alle terme

Jamaica Inn: leggende, fantasmi, navi pirata e l’incontro con la quinta scrittrice

Dopo un sonno ristoratore, cullati dal vento forte che a tratti ci è sembrato potesse far crollare la fattoria, ci siamo alzati la mattina di buonumore e in preda a una fame pazzesca. Dopo il cornish cream tea che la padrona di casa ci aveva gentilmente offerto la sera prima, infatti, non ce la siamo sentita di cenare. Scelte che ovviamente si pagano il giorno dopo. La colazione ci è stata servita nella sala da pranzo della fattoria, dove ci siamo ritrovati a banchettare con una full english breakfast vista oceano. Una meraviglia per gli occhi e per lo stomaco: caffè, tè, uova strapazzate, bacon, yogurt e panini fatti in casa, fragole, frutta secca, burro, miele, cereali e biscotti, con la signora che faceva avanti e indietro continuamente per assicurarsi che non fosse poco. Poco??? Sembrava un pranzo nuziale! Siamo grati per aver incontrato sulla nostra strada gente autenticamente ospitale, che ha voluto condividere con noi anche i segreti della cucina. Appena ho chiesto alla mia ospite come avesse fatto i panini, ha tirato fuori il libro di cucina e mi ha invitato a fotografare la ricetta, ha preso dalla cucina una ciotola con l’impasto in lievitazione per farmi vedere come deve venire, mi ha regalato una bustina del lievito secco che usa lei per provarci e mi ha anche chiesto di spedirle la foto dei panini per farle vedere come sono venuti. Con una certa rassegnazione, e tanti saluti festosi da entrambe le parti, ci siamo salutati e abbiamo ripreso il nostro viaggio, a pancia piena e mente leggera.

Direzione

Jamaica Inn stands today, hospitable and kindly, a temperance house on the twenty-mile road between Bodmin and Launceston.

Oggi il Jamaica Inn è una locanda che non vende alcolici e sorge, ospitale e accogliente, lungo la strada dche va da Bodmin a Launceston.

Così Daphne Du Maurier nel 1935 descriveva il pub verso cui siamo diretti nell’introduzione all’omonimo romanzo. Ed è proprio per lei che sto venendo qui, perché è un posto in cui la scrittrice, che visse a lungo in Cornovaglia, amava soggiornare e che le ha dato l’ispirazione per realizzare uno dei suoi romanzi di maggior successo, successivamente trasposto al cinema da Alfred Hitchcock in un film di grande successo.

Non è un posto di passaggio, per arrivare fin qui bisogna essere intenzionati a vederlo e, dopo averci passato qualche ora, leggere il romanzo assumerà tutto un altro sapore. Ora vi racconto perbene (spero). Siamo arrivati più o meno all’ora di pranzo in questa landa desolata, dove praticamente c’è solo questa locanda. E’ subito chiaro come e perché questa costruzione avesse assunto un ruolo centrale come snodo del contrabbando subito dopo la sua costruzione, nel 1750. Formalmente locanda per viaggiatori di passaggio, in realtà veniva utilizzata per nascondere i prodotti di contrabbando che arrivavano via mare. Pare che circa la metà del brandy e un quarto 20170819_122748_LLSdi tutto il tè che veniva contrabbandato nel Regno Unito sbarcasse lungo le coste della Cornovaglia e del Devon. Il Jamaica Inn, in particolare, si trovava in un luogo remoto e isolato, quindi ideale per fermarsi sulla strada prima di continuare verso il Devon e oltre. Nel 1778 fu anche allargato, per includere una stazione per le carrozze, scuderie e una selleria, facendo assumere all’edificio l’aspetto a L che vediamo ancora oggi. Adesso è più banalmente una tappa folcloristica, dove si può dormire, mangiare, bere birra e visitare il museo dei contrabbandieri. La taverna si chiama così non perché nascondesse il rum di contrabbando importato dalla Giamaica, ma prende il nome dalla più importante famiglia di proprietari terrieri locali, i Trelawney, in omaggio al fatto che due suoi membri furono governatori della Giamaica nel XVIII secolo. Secondo gli storici, all’epoca sulla costa della Cornovaglia abbondavano delle gang che attiravano le navi sugli scogli proiettando luci che gli armatori scambiavano per quella dei fari, per poi razziare barche e navi appena queste andavano a infrangersi sugli scogli e loro stessi venivano incaricati di disincagliarle.

Daphne Du Maurier al Jamaica Inn

La storia dei contrabbandieri è molto interessante e avevo già fatto la loro conoscenza a Polperro, Mullion, Lizard Point, Tintagel e Boscastle, ma non è questo il motivo per cui mi sono avventurata fin qui. Sono qui per la quinta delle scrittrici che sono venuta a trovare in questo viaggio letterario. Dopo Agatha Christie, Jane Austen, Virginia Woolf e Rosamunde Pilcher, stavolta voglio incontrare Daphne Du Maurier.

Il Jamaica Inn, infatti, è così famoso perché la scrittrice nel 1936 pubblicò un romanzo di grande successo incentrato proprio sulla storia IMG_6460di una giovane che, alla morte della madre, va a stabilirsi dagli zii, locandieri del Jamaica Inn, senza sapere in quali traffici loschi si troverà invischiata. La stessa autrice ha raccontato di avere avuto l’ispirazione dopo che lei e un amico nel 1930 si persero nella nebbia mentre cavalcavano e si fermarono nella notte nella locanda perché troppo pericoloso proseguire. Durante il tempo trascorso nella taverna, si dice che il parroco locale l’abbia divertita con storie di fantasmi e racconti di contrabbando. Più tardi, Daphne du Maurier continuò a trascorrere lunghi periodi presso l’Inn, parlando apertamente a più riprese del suo amore per la località. Il romanzo è poi diventato un film diretto da Alfred Hitchcock nel 1939, che l’anno successivo diresse anche Rebecca la prima moglie, altro titolo della scrittrice, e qualche anno più tardi il più famoso Gli uccelli.

Il Museo

Abbiamo visitato il museo, soffermandoci in particolare sull’ala dedicata proprio a Daphne. In sua 30memoria, i proprietari del Jamaica Inn hanno ricreato il suo studio, con la scrivania e la macchina da scrivere, insieme a un pacchetto di sigarette “Du Maurier”, chiamate così in onore del padre, famoso attore britannico, e un piatto di  mentine, le sue caramelle preferite. Ci sono poi una serie di oggetti appartenenti all’era del contrabbando e un video che ricostruisce la storia della locanda, che si dice sia infestata dai fantasmi. Secondo la credenza popolare, infatti, nelle notti più fredde, al chiaro di luna si ode il rumore dei cavalli al galoppo e delle ruote, voci che parlano in una lingua sconosciuta, cornico antico?, si scorgono delle IMG_6464ombre che sfrecciano e un uomo che appare e scompare tra le porte in abiti ottocenteschi. E cosa dire della storia più terribile? Molti anni fa uno sconosciuto sedeva al bar bevendo birra. Dopo essere stato chiamato fuori, lasciò la birra e uscì nella notte. Quella fu l’ultima volta che venne visto vivo. La mattina seguente, il suo cadavere fu trovato nella brughiera, ma le cause della morte e l’identità del suo aggressore rimangono ancora un mistero. la cosa strana, fu che in molti l’avevano visto seduto su un muretto. I padroni di casa, sentendo dei passi di notte lungo il passaggio che conduce al bar, credevano fosse lo spirito dell’uomo morto che tornava per finire la sua birra. Nel 1911, suscitò sconcerto nella stampa la notizia di uno strano uomo che era stato visto da molte persone seduto sul muro fuori dall’Inn. Non parlava, né si muoveva, né rispondeva a un saluto, ma il suo aspetto era simile a quello dello straniero assassinato. Potrebbe essere il fantasma del morto? E quale strano obbligo lo porta a ritornare così spesso al Jamaica Inn?

Ci sono davvero i fantasmi?

Vi ho spaventato? No, vero? Infatti anch’io mi sono fatta due risate. Ora però dovete avere pazienza e leggere cosa mi è successo appena uscita dal museo. Ho chiesto al ragazzo del bar di darmi una birra “leggera”. Mi sono alzata da tavola ondeggiando, in qualche modo sono arrivata al bagno e il cellulare mi è caduto nella tazza. Mentre asciugavo il cellulare sotto l’aria calda, mi è sembrato di sentire l’eco di una risata. Un contrabbandiere si è forse divertito con me?

Arrivederci Cornovaglia

Apatica e muta, tipo lo straniero assassinato, vi devo dire che la mia esperienza favolosa in Cornovaglia finisce qui. Il mio è un arrivederci, ne sono sicura, e il viaggio letterario va avanti. Lasciatemelo però affermare con il cuore in mano: la Cornovaglia è un luogo dell’anima, e se ci ho convinto a fare un viaggio come il mio che comprende delle tappe in altre regioni del Regno Unito, datemi ascolto, lasciatela per ultima. Perché dopo essere stati rapiti e ammaliati da questa terra magica, il resto vi sembrerà niente. O quasi. Domani vi racconterò di Salisbury, della Magna Charta e dell’orologio più antico del mondo.

(continua)

Leggi anche: 

Daphne Du Maurier, il lato oscuro di una scrittrice di successo