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Aspirapolvere di stelle – Stefania Bertola

Dopo un romanzo intenso come La donna giusta dell’ungherese Sándor Márai, mi serviva proprio un bel romanzo rilassante per staccare la spina. Di Stefania Bertola avevo già letto con puro divertimento “Romanzo rosa”, che prende un po’ in giro tutte noi aspiranti scribacchine. Stavolta, ho scelto le ragazze della rinomata Agenzia Fate Veloci e non mi sono affatto pentita. Anzi…

La trama

Ginevra, bella, bionda e vedova, si prepara ad andare a interrare bulbi sul terrazzo di un cliente. Arianna, moglie, madre e aspirante adultera, deve preparare un cous cous gigantesco per gli ospiti di una signora svaporata. E Penelope? La giovane Penelope arranca come ogni giorno sotto il peso dei detersivi, i suoi attrezzi del mestiere. Ma non è affatto una giornata come le altre, perché squilla il telefono: la voce suadente di uno sconosciuto propone alle tre titolari della rinomata Agenzia Fate Veloci un lavoro piuttosto insolito. Comincia così per Ginevra, Arianna e Penelope un periodo frenetico, ambiguo e innamorato, in cui due di loro tenteranno di conquistare un uomo affascinante e sfuggente, mentre la terza…

Penelope e il bell’Antonio i miei preferiti

Come al solito, Stefania Bertola non tradisce. Anche Aspirapolvere di stelle si è rivelato una lettura godibile e divertente, adatta soprattutto a noi donne che vogliamo trascorrere qualche serata con un romanzo scritto bene, leggero e romantico. Il finale è decisamente all’altezza di quello che la scrittrice ha costruito mentre i capitoli scorrevano. I protagonisti, poi, sono tratteggiati in maniera deliziosa, impossibile trovarne uno a cui non volere bene, con i suoi pregi e, soprattutto, i tanti difetti che abbiamo tutti. Nel mio caso, ho adorato Penelope e il bell’Antonio e ho avuto da subito il sospetto che…niente spoiler, mi fermo qui. Se avete voglia di una lettura rilassante e di arguzia tutta torinese, prendete seriamente in considerazione questa scrittrice.

Sempre di Stefania Bertola: A neve ferma

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La donna giusta – Sándor Márai

Dopo il mio primo viaggio a Budapest, diversi anni fa ormai, ho letto Le braci, che considero il suo capolavoro. Dopo il secondo, ho scelto La donna giusta, soprattutto perché inizia in una pasticceria di Budapest e il mio viaggio letterario s’intitola, appunto, “Un caffè letterario a Budapest”. Immergersi nelle parole evocative di Sándor Márai è poesia pura, vi assicuro. Se non avete mai letto nulla di questo Autore ungherese con la A maiuscola, spero che le mie parole siano abbastanza evocative da farvi avvicinare ai suoi magnifici romanzi.

La trama

Un pomeriggio, in un’elegante pasticceria di Budapest, una donna racconta a un’altra donna come un giorno, avendo trovato nel portafogli di suo marito un pezzetto di nastro viola, abbia capito che nella vita di lui c’era stata, e forse c’era ancora, una passione segreta e bruciante. E come da quel momento abbia cercato invano di riconquistarlo. Una notte, in un caffè della stessa città, bevendo vino e fumando una sigaretta dopo l’altra, l’uomo che è stato suo marito racconta a un amico come abbia aspettato per anni una donna. Una donna che era diventata per lui una ragione di vita e insieme “un veleno mortale”. E come, dopo aver lasciato per lei la prima moglie, l’abbia sposata e poi inesorabilmente perduta. Anni dopo a Roma questa donna, la seconda moglie, racconta al suo amante come e perché sia naufragato il suo matrimonio e perché sia giunta a Roma per inseguire un altro uomo. A New York, molti anni dopo, l’amante della donna racconta a un amico com’è finita la storia tra i personaggi coinvolti.

Più livelli di lettura

Sono al terzo romanzo di Sándor Márai, dopo Le braci e La recita di Bolzano, e trovo sempre stupefacente la sua capacità di tenere avvinto il lettore mentre uno dei suoi personaggi, così complessi e tondi, affronta un monologo infinito sulla sua esistenza e i fatti che l’hanno portato lì dove lo conosciamo noi lettori. Ne La donna giusta, quattro personaggi raccontano le stesse vicende, ognuno secondo il suo punto di vista, le sue sensazioni, i motivi che l’hanno spinto a comportarsi in un certo modo. Il tutto condito da un forte aggancio con le vicende storiche e politiche che si svolgono sotto i loro occhi.

Leggerlo non è semplice

O meglio, andrebbe forse riletto più volte per cogliere tutti i substrati che arricchiscono le storie di vita che formano il nodo principale. Ecco che allora, insieme alla curiosità per le vicende raccontate da Ilonka, la prima moglie, Peter, il marito, Judit, la seconda moglie e l’ex batterista-cameriere, amante di Judit, emerge con forza la straordinarietà di Lázár, l’autore stesso sotto mentite spoglie. Lázár è quello che soffre di più, perché ha votato tutta la sua vita alla cultura, ma non è uno che vive di sogni e parole. E’ un uomo che percepisce chiaramente la crudeltà di un essere umano che ha schiacciato la bellezza e la cultura sotto i piedi per votarsi alla tecnica. Tecnica che non è stata utilizzata per progredire, trovare cure alle malattie o per qualche altro nobile scopo. No, le competenze tecniche servono a far saltare ponti e persone, a sganciare bombe, a distruggere chi si oppone ai conquistatori.

Un autore moderno

Come vedete, non molto è cambiato da allora. Anche oggi siamo alle prese con gli stessi problemi e le stesse scellerate conclusioni. Cosa resta allo scrittore, al letterato? Trovare conforto nel vocabolario, in quelle parole che hanno un significato profondo. Parole che non possono essere pronunciate senza tenere conto delle loro implicazioni.

E gli altri? Quelli che non sono così fortunati da trovare un appiglio nei fondamenti della loro educazione? Quelli come Peter, fortemente intrisi di borghesia in ogni loro gesto? Quelli che dall’oggi al domani si ritrovano in un altro Paese, a fare la fame, a lavorare umilmente per pochi spiccioli? Loro, come possono affrontare il destino avverso? Rifugiandosi nell’amore, se riusciranno mai a trovarlo. O nella solitudine, come è più probabile.

Le Braci insuperabile, eppure…

Pur avendolo amato meno di quello che personalmente ritengo il suo capolavoro, Le Braci, questo romanzo è pura poesia. Non facile da seguire, alla lunga i monologhi possono stancare, ma un’immersione profonda ed estremamente elegante in un universo di poesia, filosofia, storia, sociologia, psicologia, che s’intrecciano e si dipanano continuamente. Come un’immensa tela di Penelope, che mi ha lasciato molte domande e una malinconia di fondo fino al finale: struggente, meraviglioso, sorprendente. Puro, come l’anima che ha saputo crearlo.

La donna giusta come le tessere di un puzzle. Avvertenza ai lettori

Ho iniziato questo romanzo senza averne approfondito la genesi prima e dapprima sono rimasta un po’ perplessa, perché essendo stato scritto nel 1941, almeno questo credevo, mi sembrava che descrivesse la seconda guerra mondiale non solo con parole palpitanti, come di chi abbia vissuto davvero le vicende narrate, ma che anche gli avvenimenti avessero una certa attinenza con quanto realmente accaduto. Com’è possibile? Mi sono detta. Quest’uomo doveva avere doti di preveggenza. Il quarto monologo, ambientato in tempi più recenti, mi sembrava possedere le stesse caratteristiche. E quindi?

E quindi la spiegazione è più semplice delle congetture che l’hanno preceduta: la versione del 1941 era composta solo dai primi due monologhi. Nel 1949, quando il romanzo fu tradotto in tedesco, Sándor Márai aggiunse il terzo monologo. Nel 1980, infine, lo perfezionò aggiungendo la parte ambientata a New York, la quarta.

Ora dico io, è ammirevole che la casa editrice decida di pubblicare l’intera opera, ma non sarebbe stato meglio avvisare l’incauto lettore di questa lieve differenza?

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Un caffè letterario a Budapest: le terme di Széchenyi

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La verità sul caso Harry Quebert – Joël Dicker

Harry Quebert. Uno scrittore giovane, un best seller tradotto in 33 lingue, vincitore del Goncourt des lycéens e del Grand Prix du Roman de l’Académie française. La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker mi tentava da un po’ e quando l’ho trovato in ebook sulla piattaforma del treno che mi portava a La Thuile, in Valle D’Aosta, ho iniziato la lettura. Che fine ha fatto Nola? Peccato: se non fosse stato per i passaggi chiave, tutti mancati, l’avrei promosso.

La trama

Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di 15 anni, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sperimenta per la prima volta il blocco dello scrittore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo ex professore, amico e affermato scrittore Harry Ouebert viene accusato di avere ucciso la giovane Nola Kellergan. Il cadavere della ragazza viene infatti ritrovato nel giardino della villa dello scrittore. Marcus Goldman lascia tutto e si precipita nel New Hampshire per scoprire la verità. Chi ha ucciso Nola Kellergan? E perché? Per suffragare le sue ipotesi, Markus decide di scrivere un romanzo sulla vicenda. Ma la verità va oltre le apparenze e Markus rischia di rimanere intrappolato nelle sue convinzioni.

In questo romanzo è tutto “troppo”

Il primo commento che mi è venuto spontaneo dopo aver chiuso il libro è stato “troppo”. , Troppo ambizioso, troppo lungo, 770 pagine, troppo ricco di elementi descrittivi che poco hanno a che fare con il mistero da risolvere, troppo romanzesco nei dialoghi.

Innanzitutto troppo ambizioso per uno scrittore giovane, neanche 30 anni, che mi ha dato la sensazione di voler mettere troppa carne al fuoco. I consigli di scrittura con cui apre ogni capitolo, per esempio, sono scarsamente riconducibili alle lezioni di scrittura tra il professore e l’allievo del romanzo. Piuttosto, sembrano quasi dei consigli che uno scrittore ormai arrivato vuole lasciare al lettore con ambizioni di scrittura. Anche il protagonista, autore di successo dopo appena un libro pubblicato, sembra quasi un elemento autobiografico.

Il romanzo, poi, è troppo lungo. La metà della lunghezza avrebbe reso la soluzione del mistero molto più avvincente. Nonostante i colpi di scena piazzati ad arte, infatti, arrivata a metà strada la storia ha perduto mordente.

La verità sul caso Harry Quebert è inverosimile

Sarà anche colpa del linguaggio antidiluviano usato dai personaggi principali e dagli stereotipi che hanno affossato quelli secondari. Ma si può far parlare una quindicenne per punti esclamativi? E uno scrittore ultratrentenne come un adolescente (femmina) alla prima cotta che non fa altro che ripetere NOLA, N.O.L.A., NO-LA? Guarda, caro Dicker, che citare Nabokov e la sua Lolita non è facile, può facilmente trasformarsi in un boomerang! Ci si può scordare che un personaggio ha problemi di pronuncia facendolo a un certo punto parlare perfettamente? Per non parlare della madre di Marcus: sciocca, petulante e priva di qualsiasi spessore. Cosa l’avrà inserita fare? Mah, è questo il vero mistero, che purtroppo rimarrà insoluto.

Il vero punto debole di Harry Quebert, però, sono i passaggi chiave del giallo, ed è grave, perché a una lettrice cresciuta a pane e Agatha Christie francamente risultano ingenui e poco credibili. Mi dispiace, ma quando si tratta di indizi, prove e moventi, un autore di gialli deve essere preciso e maniacale, altrimenti i lettori, che sono precisi e maniacali, troveranno tanti e tanti di quei difetti che finiranno per non avere più interesse nella soluzione. Che in questo caso, per giunta, si basa su un colpo di scena finale che è inverosimile fino a sfiorare l’incredibile.

Tutto da buttare?

Quindi, è tutto da buttare? Certamente no. Intanto, ha riscosso un grande successo e questo significa che ai lettori in genere piace. Seconda cosa, è uno dei primi lavori che Joël Dicker ha pubblicato e si vede che nella sua penna c’è talento. Inoltre, i rimandi temporali al passato sono piacevoli, s’inseriscono perfettamente nella trama e aiutano a capire. Diciamo che è solo rimandato e che sicuramente nel nuovo romanzo appena uscito la scrittura sembrerà più matura. Se lo leggete, fatemi sapere se vale la pena o meno di cimentarsi di nuovo.

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Una famiglia quasi perfetta – Jane Shemilt

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I love Capri – Flumeri&Giacometti

Ok, la primavera è incerta e l’estate sembra ancora lontana. Però iniziare a sognare faraglioni spettacolari e giornate assolate non è un delitto, giusto? Soprattutto se per piatto vi servono un antipasto di mare piccantino…I love Capri di Flumeri&Giacometti ci porta nell’atmosfera giusta.

La trama

Sul traghetto per Capri c’è Mel Ricci, giovane blogger di cucina, che ha appena ricevuto da una piccola casa editrice un’offerta favolosa: diventare la ghostwriter dell’autobiografia di Fabrizio Greco, famosissimo e affascinante chef, che ha raggiunto il successo grazie alle sue sensuali mise en place e ora gestisce il locale più trendy di Capri. All’inizio, l’idea l’aveva entusiasmata, perché sperava che facendo un buon lavoro la casa editrice avrebbe accettato la sua idea per un libri di cucina. Una volta approdata sull’isola e aver lavorato gomito a gomito con lui, però, i dubbi cominciano ad assalirla. Perché Fabrizio non solo è inaccessibile, ma è anche un diavolo tentatore…

Melania Ricci, in arte Mel

Una casa editrice che ti scrittura per realizzare un’autobiografia con cui finanziare il tuo blog e forse anche un futuro libro. Uno scenario da sogno, Capri. Uno chef pazzesco che cucina come fa l’amore, o almeno questo le vibrazioni che emana lascerebbero pensare. Ragazzi, praticamente il sogno di ogni blogger che si rispetti. Invece Mel che fa? Rigida come una matriarca uscita direttamente dall’’800, si mette a questionare sul passato “americano” di Fabrizio, pieno di belle donne e opportunità. Mel, sii tutte noi, ripensaci subito!

La piazzetta, le boutique, i turisti 

Sto scherzando, naturalmente. E’ che purtroppo Mel, sarà stato il diminutivo che proprio non mi piace, mi ha suscitato una sottile antipatia fin dall’inizio e voi sapete meglio di me quanto questo aspetto possa condizionare la lettura. Il romanzo, invece, mantiene quello che promette il titolo, una storia estiva da leggere in vacanza, o sognando di essere in vacanza, un protagonista bello e impossibile, uno scenario da sogno. Vi dirò, a tratti mi è sembrato di essere davvero a Capri, in piscina, mentre la zia Maria porta qualche leccornia come aperitivo. A proposito, sarebbe interessante sapere con quanti kg Mel è tornata a casa! Se è tornata. Questo potrete scoprirlo se deciderete di leggerlo. Insieme alle ricette di Fabrizio, che le due autrici ci hanno svelato a fine libro (grazie!) e alla chiassosa e festosa compagnia della famiglia d’Ascenzo, che di farsi i fatti propri proprio non ne vuole sapere.

Quel che resta del giorno – Kazuo Hishiguro

Mi hanno regalato Quel che resta del giorno dicendo: “tu che ami tanto la Cornovaglia, vedrai che ti piacerà”. Curioso, pur amando il famoso film con Anthony Hopkins, Emma Thompson e Hugh Grant, l’idea di leggere il libro non mi aveva mai sfiorato. Neanche dopo che lo scrittore, Kazuo Ishiguro ha ricevuto il premio Nobel per la Letteratura con “Non lasciarmi”. Per fortuna, è intervenuto il destino a correggere il tiro…

La trama

Oxfordshire, Inghilterra. Estate 1956. Figlio di maggiordomo, e maggiordomo egli stesso, l’anziano Stevens ha trascorso gran parte della sua vita in una antica dimora inglese di proprietà di Lord Darlington, gentiluomo che egli ha servito con devozione per trent’anni. Con altrettanta fedeltà, egli è ora al servizio del nuovo proprietario di quella dimora, l’americano Mr. Farraday, desideroso di acquisire, assieme e attraverso la casa, anche quanto di antico, per storie e tradizione, a essa si accompagni. Ed è su invito del nuovo padrone che Stevens intraprende, per la prima volta nella sua vita, un viaggio in automobile nella circostante campagna inglese, dopo aver ricevuto una lettera di Miss Kenton, ora Mrs Benn, che era stata anch’essa al servizio di Lord Darrington prima di sposarsi e trasferirsi in Cornovaglia. Il viaggio del maggiordomo si rivelerà un appassionante viaggio dentro se stessi e dentro la storia di un Paese.

Dignità e amore

Casualmente, o chissà, davvero per destino, ultimamente mi ritrovo a leggere libri che s’interrogano sulle scelte della vita, su passioni soffocate o tornate prepotentemente, sui punti di svolta che inducono, volenti o nolenti, a ripercorrere le tappe già bruciate e a chiedersi cosa ci sia davanti.

In questo romanzo, l’autore britannico di origine giapponese sceglie il viaggio come metafora del percorso interiore di un uomo che ha fatto della dignità e della perfezione il principio etico guida della propria esistenza. Sceglie un maggiordomo, una persona alla guida di una casa. Sceglie una casa importante, alla guida di un Paese. Sceglie di raccontare quali passioni e sacrifici si nascondano dietro la dignità, l’onorabilità, il decoro. Stevens è un uomo che al suo lavoro ha dato tutto se stesso sempre, senza chiedersi per quale fine. In fondo, il fine stesso era immedesimarsi nel ruolo di maggiordomo, per arrivare al più alto grado di efficienza possibile. La fedeltà, il rispetto, la fiducia riposta in lui nel suo padrone, sono l’essenza di un mondo dove i ruoli sociali sono codificati, chiari, accettati dalla classi di appartenenza. Prima la morte del padre e poi l’irruente presenza della governante Miss Kenton intaccano questa corazza, ma non tanto da scalfirla. La casa, il suo padrone e il maggiordomo stesso sono gli attori principali di un teatro di guerra che si svolge tra le mura domestiche e non c’è spazio per l’amore o una vita privata al di fuori.

Stevens

Stevens è la casa, la rappresenta e la valorizza. I riti sono fondamentali, l’apparenza anche. Lucidare le argenterie è un compito di primaria importanza, perché posate brillanti e perfettamente deterse raccontano una storia, parlano del suo possessore. Il padrone è il padrone, una divinità indiscussa, da compiacere e servire in maniera ineccepibile. Se funziona il maggiordomo, funziona la casa. Ecco che allora il maggiordomo fa propri gli errori di valutazione di Lord Darlington, riceve consigli rivolti al suo padrone dagli ospiti della casa ma non li trasferisce, rifiuta di rispondere a domande imbarazzanti sul suo pensiero. Perché lui non ha un suo pensiero: è un servitore e non si chiede se sia giusto o sbagliato quello che gli viene chiesto di fare. Lo fa e basta.

Miss Kenton 

Miss Kenton questo lo sa. Anche lei, chiusa nella propria dignità, aspetta un cenno da Stevens che non arriverà mai e, rassegnata, lascerà la casa. Lei è diversa: irrequieta, innamorata, possiede il senso della giustizia e porta il peso dei rimorsi per la vigliaccheria di cui suo malgrado sarà testimone. La governante non appartiene alla casa. Lei ha una speranza di felicità in Cornovaglia, tra le dune selvagge e il vento impetuoso. Non è fatta per i giardini curati e asettici dell’Oxfordshire.

Stevens e Miss Kenton 

Soprattutto, dignità e amore non vanno d’accordo. Anzi, sono proprio nemici. L’amore, quello vero, è esattamente il contrario. E’ perderla, la dignità, è lanciarsi verso l’altro abbandonando ogni pudore, è tradire ed essere traditi, è lacrime e risate. Mr Stevens e Miss Kenton sono il prodotto della dignità, non dell’amore. Del pudore, non della passione. Della perfezione, non della pazzia.

Il ritratto di un’epoca

Sarebbe riduttivo, però, definire il romanzo come una storia d’amore mancata e una riflessione sulle scelte di vita. Perché secondo me il romanzo è anche il ritratto di un’epoca finita per sempre. Si affacciano venti di guerra, gli aristocratici non sono all’altezza della situazione perché vissuti negli agi e nelle comodità. Gli errori di Lord Darlington vengono compiuti nell’assoluta inconsapevolezza delle conseguenze orrende che alleanze sbagliate porteranno. Il viaggio è il viaggio di un’intera Nazione che s’interroga sul futuro, che ha perso le proprie certezze, che deve ripartire dalla distruzione guerra su basi nuove e sconosciute. L’argenteria non interessa più a nessuno, la casa è stata acquistata da un americano, il maggiordomo in macchina viene scambiato per un aristocratico. Tutto è diverso, tutto è cambiato, niente tornerà come prima.

Tuttavia, il finale è consolatorio, struggente. Quel che resta del giorno è il tramonto e si dice che nei porti della Cornovaglia sia il momento più bello. Forse è vero, e non solo in Cornovaglia. Quando scendono le ombre della sera, possiamo sederci su una panchina, riposare e ripensare con soddisfazione alla giornata appena trascorsa, in compagnia di un estraneo. Solo per un attimo: poi c’è una nuova giornata da organizzare e un viaggio di ritorno ancora da assaporare. Perché finché il viaggio non avrà fine, la nostra vita non sarà perfetta, non sarà la migliore possibile, ma è certamente la nostra, e va bene così.

Avvertenze per il lettore

Lo scrittore è stupefacente, riesce a rendere vivo il maggiordomo utilizzando uno stile asettico e meticoloso che a tratti farebbe venir voglia di scuotere Stevens per tirargli fuori un po’ di vita. Il mio suggerimento è di arrivare almeno alla seconda parte del romanzo, più o meno al punto in cui Miss Kenton chiede a Mr Stevens che cosa stia leggendo. Arrivate lì e poi decidete se abbandonare la lettura o proseguire. Sappiate solo che se la scelta sarà di abbandonare, perderete un gran finale.

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