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Mensajeros de la oscuridad – Alicia Giménez Bartlett

Terzo appuntamento con la coppia di investigatori creata dall’autrice spagnola Alicia Giménez Bartlett. Stavolta, Petra Delicado e Garzòn si trovano ad affrontare un caso macabro, che fin da subito appare molto, molto complicato.

Trama

Dopo un’apparizione televisiva, l’ispettrice Petra Delicado inizia a ricevere per posta dei pacchetti, contenenti giovani peni tagliati con precisione chirurgica. Apparentemente, sembra l’impresa di un maniaco turbato dalla poliziotta vista in tv, ma le indagini condurranno i due investigatori molto lontano, addirittura fino a Mosca, alla ricerca di tracce che affondano le proprie radici nella storia.

Più spazio all’indagine

In questo terzo romanzo della serie, l’autrice corregge il tiro e dà maggiore spazio e corpo alla trama poliziesca, lasciando un po’ in ombra le derive filosofiche dei due protagonisti. E fa bene, perché il mistero si segue con piacere e la soluzione finale arriva, appunto, alla fine, senza essere scontata. Anzi, condita con un colpo di scena imprevisto che la rende ancora più godibile per il lettore. Forse, dopo aver dato tanta voce alle vicende private di Petra nel primo, Ritos de Muerte, e di Garzòn nel secondo, Día de Perros, era giusto lasciare i due a concentrarsi sulle indagini. Senza farci però mancare le battute al fulmicotone e i commenti ironici che donano leggerezza al tutto. Interessante anche il riferimento alle vicende descritte nel libro, che l’autrice con una postilla ci dice siano “realmente accadute. Come sempre, la realtà supera la fantasia”. Dopo aver terminato la lettura, sono andata anch’io ad indagare.

Attenzione, spoiler!

Ho scoperto così che la setta cristiana ortodossa degli skopcy (скопцы), cioè “castrati”, è davvero esistita. Era stata diffusa in Russia nel XVIII secolo da un contadino, Kondratij Selivanov. Nella seconda metà del XVII secolo il patriarca della Chiesa ortodossa russa Nikon riformò i riti religiosi, osteggiato dall’arciprete Avvakum, che finì sul rogo per la sua opposizione. Si originò così un folto gruppo di dissidenti religiosi chiamati “vecchi credenti” che nel ‘700 si frantumarono in sette, tra le quali quella, appunto, degli Skopcy. Questi ultimi, predicavano la mortificazione del corpo fino a giungere all’automutilazione del pene per gli uomini e del seno per le donne in modo da divenire angeli ed entrare così di diritto nel regno dei Cieli. Gli skopcy affermavano che Dio avesse creato i primi esseri umani senza attributi sessuali e che il loro corpo fosse stato trasformato da Satana dotandolo del pene, cioè del serpente tentatore che andava estirpato. Non mi sembra un caso che la Bartlett chiami il nuovo capo della setta Ivanov (Selivanov). E che, soprattutto, abbia sentito l’esigenza di aggiungere alla fine quella postilla. E’ proprio vero che la realtà supera di gran lunga la fantasia…

Leggi anche

Il primo libro della serie Petra Delicado: Ritos de muerte – Alicia Giménez Bartlett

Il secondo libro della serie Petra Delicado: Día de Perros – Alicia Giménez Bartlett

 

 

Le francesi non ingrassano – Mireille Guiliano

La prima ricetta che ho postato, quella che Mireille Guiliano chiama “la minestra di porri magica” e contenuta nel suo libro Le francesi non ingrassano, mi è costata la perdita del gruppetto che avrebbe dovuto accompagnarmi in quest’avventura, la prova pratica dei trucchi contenuti nel manuale per rimanere in forma senza privazioni.

Pazienza, quando avrete voglia di provarla, scoprirete che la minestra di porri non solo è deliziosa, ma mantiene anche quello che promette: far partire il programma con una sensazione di leggerezza che migliora l’umore e dà sprint al tentativo.

L’idea di partenza 

L’idea di partenza era questa: provare o meno la bontà dei rimedi suggeriti nel manuale “Le francesi non ingrassano” da Mireille Guiliano, autrice che negli anni ha ricevuto diverse critiche, soprattutto per la sua convinzione che “french do it better”. Le francesi sono eleganti, si godono la vita, non fanno sport, fumano, condiscono con il burro e non metterebbero piede in palestra neanche morte. Eppure, non ingrassano. Perché? Come fanno? Mireille Guiliano lo spiega a noi comuni mortali.

E io ho voluto provare. Anche perché ho comprato questo libro in un momento di follia diversi anni fa e mi sono limitata a leggerlo. A che serve un manuale se non si mettono in pratica le ricette magiche che contiene? Perché ogni manuale che si rispetti è così, promette miracoli e cambiamenti epocali e anche solo averlo tra le mani e leggerlo tacita la coscienza e ci tranquillizza. Se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io. E’ così semplice, da domani cambierò. Tutto qui? Sono cose che già so, devo solo trovare il tempo di dedicarmi anche a questo, come se la mia vita non fosse già abbastanza complicata. Poi, sapete meglio di me come va a finire: il manuale finisce su uno scaffale e addio miracoli.

Il programma detox

Stavolta, ho deciso di cimentarmi. Un mese, un solo mese seguendo, più o meno, il programma detox di Mireille.

A pensarci bene, e a dedicarsi per bene, si tratta semplicemente di adottare criteri di buon senso nella ricerca del benessere e dei piaceri della vita.

Questo, a mio avviso, è il punto centrale del manuale e l’aspetto più importante da tenere presente ogni giorno nel nostro percorso di vita: stare bene, godersela, non stare lì a contare le calorie e a soffrire di privazioni, non uccidersi di esercizi in palestra per poi usare l’ascensore anche per salire un piano.

Come riuscire a fare questo? La Guiliano prende a esempio le francesi e le loro abitudini: niente palestra, lunghe camminate all’aria aperta. Niente ascensore, solo scale. Niente cibi confezionali, solo prodotti di stagione e possibilmente a km0. Niente ingordigia, alzarsi da tavola senza essere pienamente soddisfatti, pregustando il momento in cui potremo di nuovo assaggiare i cibi che ci hanno deliziato. E così via.

Niente di eccezionale, niente che non sappiamo già. Solo, bisogna aver voglia di prenderci cura di noi stessi ed è qui che, come si dice, “casca l’asino”.

Per la cronaca: provando per divertimento, ho perso quasi 3 kg, più o meno quelli che prendo a ogni romanzo che scrivo per l’ansia da pubblicazione di cui soffro. Ora sto scrivendo il terzo e credo proprio che alla fine Mireille dovrà venirmi di nuovo in soccorso.

Poi, ci sarebbe un’altra storia da raccontare, quella dei miei viaggi in Francia con vicine di posto alle prese con un piatto d’insalata senza pane come pasto completo. E’, appunto, un’altra storia e un altro discorso, ben più serio di questo, ma siamo proprio proprio sicuri che le francesi non ingrassino?

Il conte di Montecristo – Alexandre Dumas padre

Il conte di Montecristo. Un viaggio intrigante nell’animo umano e nell’umana miseria. Spiazzante. Soprattutto per quelli, come me, convinti erroneamente di averlo già letto solo perché conoscono la trama a grandi linee, o perché hanno visto uno dei film tratti dal romanzo. Per fortuna mi sono resa conto dell’errore quando ho cercato in lungo e in largo il libro a casa senza trovarlo. Dovevo assolutamente colmare questa lacuna inaudita e così ho fatto. Ti penti? Chiederebbe sicuramente Edmond, il Conte. No, no e poi no, risponderebbe una novella Haydée. Mi rendo conto di essere criptica e faccio un passo indietro.

La trama

Marsiglia, 1815, anno della Restaurazione Borbonica. Edmond Dantès è un giovane marinaio che sta per essere promosso a capitano e in procinto di sposarsi con l’amata Mercédès. Danglars, anch’egli aspirante alla nomina, organizza una trappola per incastrare Edmond e strappargli l’agognata promozione. Con la complicità di Fernand Mondego, cugino di Mercédès e dichiaratamente innamorato di lei, e Gaspard Caderousse, invidioso vicino di casa di Dantès, Danglars scrive una lettera anonima, dove denuncia Edmond di essere un agente bonapartista. La missiva finisce nelle mani del sostituto procuratore del re Gérard de Villefort. Quest’ultimo lo fa incarcerare a vita nella prigione nel Castello d’If. Qui fa la conoscenza dell’abate Faria, che da anni sta scavando un tunnel sotterraneo nella speranza che lo conduca fuori dalla fortezza. Dopo 14 anni di prigionia Dantès, sotto le mentite spoglie del Conte di Montecristo, ritorna a Marsiglia per vendicarsi di tutti quelli che lo hanno incastrato.

Splendido e terribile 

Un romanzo che trasporta chi avrà l’ardire di leggerlo, e la pazienza di dipanare tutte le matasse che Dumas costruisce per confonderlo, in un mondo meraviglioso. Ci sono, infatti, tutti gli elementi giusti per renderlo indimenticabile: avventura, mistero, vendetta, gelosia, amore, passione, rabbia, orgoglio, lussuria, vizio, brama di possesso. E un protagonista di cui innamorarsi perdutamente. Tutt’altro che perfetto, certo, ma splendido e terribile insieme nella sua convinzione di incarnare la mano di Dio tornata per infliggere il castigo ai colpevoli.

Non scoraggiatevi

Milleduecento pagine possono scoraggiare i lettori più incalliti, ma voi non fatelo, non scoraggiatevi. Cimentatevi e abbiate la forza di attendere che tutti i tasselli preparatori di Dumas si inseriscano nel posto giusto, perché dopo le “prime” 600 pagine il ritmo crescerà inesorabilmente e vi ritroverete come me, in subbuglio. Il conte di Montecristo avrei voluto divorarlo. Eppure, eppure l’ho centellinato perché non volevo che finisse!

Da leggere, leggere e rileggere ancora, per assaporare un capolavoro in tutte le sue sfumature. Perché il Conte, ah!, lui sì che ne ha di sfumature, altro che cinquanta.

Leggi anche:

Bel Ami – Guy de Maupassant

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Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/giorno 2

Il secondo giorno a Verona inizia dove era finito il primo. Dopo Romeo, non può che esserci Giulietta. Anzi, insieme a Romeo.

Giulietta 

Nonostante sia il richiamo più forte per chi visita Verona, il Club di Giulietta colleziona ogni anno migliaia d lettere d’amore indirizzate alla ragazza per chiedere che interceda presso l’amato o l’amata, è però un luogo a mio parere bistrattato. Scritte, scritte ovunque, sui muri, fuori e dentro il cortile su cui si affacciava Giulietta per incontrare il suo innamorato. Non bastano, evidentemente, due pannelli in cartongesso su cui postare bigliettini d’amore, firme e frasi di innamorati, installati forse dal Comune per arginare l’irruenza degli scrittori pazzi.
Nel cortile fa bella mostra di sé una statua in bronzo raffigurante Giulietta, con cui i turisti si fanno fotografare. Chissà perché, soprattutto le donne mettono le mani a coppa sul seno di Giulietta prima di sfoderare un gran sorriso. Ne ho visti pochi baciarsi…mah…forse non va più di moda? Comunque, sembra che William Shakespeare abbia inventato la location e non è certo che Giulietta sia davvero esistita, ma questo non toglie di certo nulla alla favola.

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Luogo dell’anima 

Dal balcone, foto veloce e via, proseguo la passeggiata attraversando via Roma per sbucare a corso Castelvecchio. In tutte le città del mondo c’è un luogo dell’anima: ecco, Castelvecchio è diventato il mio a Verona. Oggi ospita il museo civico, ma se non avete voglia di fermarvi all’interno potete percorrere, come ho fatto io, il ponte rosso sull’Adige, che un tempo serviva come via di fuga o di accesso o per organizzare sortite tattiche sulle opposte rive fluviali. Il castello era il fulcro dell’intero sistema difensivo, e dalla sua torre maestra era possibile controllare la città, a sinistra e a destra dell’Adige, e il paesaggio circostante. Oggi, offre una visuale privilegiata sulle due rive del fiume, soprattutto se non soffrite di vertigini. Gli scalini permettono, infatti, di arrampicarsi per salire in alto e fare foto, o gustare il tramonto, però non hanno protezioni. Il problema è che è più facile salire che scendere. Vi avviso, la discesa di sedere è altamente probabile 🙂

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Alla fine del ponte, sono scesa nella spiaggetta di ciottoli sottostante, in vera pace con il mondo, a guardare i rari canoisti che si allenavano sul fiume.

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Al rientro sull’altra sponda, mi sono fermata all’omonima pasticceria Castelvecchio, per una pausa relax. Tè caldo e aragostine allo zabaione sono la migliore medicina del camminatore che si possa immaginare, provare per credere.

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Porta Leoni

Dopo essermi rifocillata, è ora di dirigersi verso Porta Leoni, anticamente la porta che dava accesso al cardo massimo, uno dei due principali assi viari. Leggenda vuole che il nome derivi da un cunicolo dell’Arena che serviva al passaggio dei leoni per gli spettacoli con i gladiatori. Della porta originaria rimane solo la metà sinistra della facciata interna. Qui c’è un particolare curioso: alcuni anni fa, durante degli scavi gli operai trovarono casualmente le
fondamenta della parte mancante della Porta, assieme al basamento di una delle due torri circolari che ne proteggevano l’esterno. Il Comune ha deciso di lasciare tutto visibile e nella collocazione originale. Su via Cappello, praticamente ho girato in tondo per tornare vicino alla casa di Giulietta, m’imbatto in una libreria da mille e una notte.

Il Minotauro

Si chiama Il Minotauro, è un caffè, libreria, cartolibreria, mostra di fotografia e chi più ne ha più ne metta. Ho trovato delle chicche inaudite tra i libri in dismissione. Avete presente i bambini in un negozio di caramelle? Così io. Mi sono imposta di uscire di lì solo per raggiunti limiti di fame. A cena uno dei locali del centro andrà bene, dicono che più o meno sono tutti di qualità. Tra i piatti tipici, suggerisco (anche se non sono esperta) il risotto all’Amarone, appena tornata a casa l’ho dovuto rifare! Vi lascio alla fine dell’articolo la ricetta con tutti i passaggi.

E vi do appuntamento a domani, con la terza e ultima puntata

Leggi anche:

http://www.pennaecalamaro.com/2017/02/27/non-ce-mondo-fuori-dalle-mura-di-veronaterzo-e-ultimo-giorno/

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/primo giorno

La ricetta del risotto all’Amarone

 

Un giorno a Roma per innamorarsi – Mark Lamprell

Un treno che sta per partire, la città eterna che fa da sfondo alle vicende d’amore di tre persone…no, non è una nuova trama. Sono io che leggo in sala d’attesa Un giorno a Roma per innamorarsi del regista australiano Mark Lamprell. The Lovers’ Guide to Rome – Guida di Roma per innamorati è, come quasi sempre, titolo più azzeccato di quello tradotto. Perché in effetti lo scrittore è innamorato di Roma e alla città è dedicata questa storia. Che inizia come tante: tre persone, per motivi diversi, giungono a Roma in cerca dell’amore, quello perso, da trovare o da ritrovare. D’altronde, non è forse vero che tutte le strade portano a Roma? Complice una piastrella blu, per tutti e tre le “vacanze romane” saranno indimenticabili e li porteranno lì dove volevano o dovevano arrivare i loro cuori.

Trama

Alice, studentessa americana affamata di arte e bellezza, alla vigilia del fidanzamento con l’uomo perfetto, parte per la Città Eterna con la voglia di vivere e osare che le ribolle nel sangue. L’anziana Constance, intanto, è in città per disperdere le ceneri dell’amato marito dal Ponte Sant’Angelo, dove tutto – segreti compresi – ebbe inizio più di quarant’anni fa. Meg e Alec, infine, facoltosa coppia residente a Los Angeles, è a Roma per un capriccio di lei, disposta a tutto pur di rintracciare un artigiano dal talento inimitabile. Ma le torbide acque del Tevere riportano a galla antichi ricordi e verità troppo a lungo sepolte. Sei personaggi, tre storie solo apparentemente distanti, collidono e si intrecciano nella città più bella del mondo. Perché le vie dell’amore sono infinite. E portano tutte a Roma.

Il genius loci

Un romanzo carino, dolce, romantico al punto giusto, scritto da Mark Lamprell, un regista che ama Roma al punto da averlo ideato e realizzato “quasi tutto all’aperto, girando per le vie o seduto in un caffè in piazza“. Scorrendo le pagine, questo sentimento si percepisce, si odora quasi, e credo che sia l’aspetto più invitante. Il genius loci, lo spirito del luogo, accompagna il lettore per tutto il viaggio e gli fa vedere Roma coi suoi occhi innamorati.

Consigliato per due ore di leggerezza ed evasione. Anch’io sono innamorata di Roma ed è solo per questo che sono riuscita a perdonare due leggerezze: la prima riguarda l’acqua di una fontana che un gruppo di inglesi beve e responsabile, secondo l’autore, del malessere di tutti. Caro Mark Lamprell, sanno tutti che l’acqua di Roma è potabile e una delle migliori al mondo. Come espediente per far sentire in colpa la protagonista è poverissimo! E poi, il cappuccino per accompagnare il pranzo! Qui mi sei piaciuto molto, quando dici che immagini i baristi scuotere la testa dopo aver preso l’ordine. Dev’essere andata proprio così, mentre scrivevi qualche pagina seduto al tavolino di un bar di fronte a una fontana…;)