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L’isola delle farfalle – Corina Bomann

Sapete che da un po’ di tempo mi sento orfana e sto cercando tra le autrici contemporanee una degna sostituta di Rosamunde Pilcher. Ho letto troppo poco per affermare con certezza che Corina Bomann possa in qualche modo assolvere questa fondamentale funzione nella mia vita. Posso però dire con sicurezza che L’isola delle farfalle mi ha tenuto incollata fino all’ultima pagina…

Trama

È un triste risveglio per l’avvocatessa berlinese Diana Wagenbach. Solo la sera precedente, infatti, ha scoperto che suo marito l’ha tradita. Come se non bastasse, una telefonata dall’Inghilterra la informa che la cara zia Emmely ha le ore contate e vorrebbe vederla un’ultima volta. Non le resta che fare i bagagli e prendere il primo volo verso l’antica dimora di Tremayne House, dove i suoi avi hanno vissuto per generazioni. Diana non può sapere che cosa l’attende. Non sa che in punto di morte zia Emmely le sta per consegnare un terribile segreto di famiglia, custodito gelosamente per anni. Come in un rebus, con pochi, enigmatici indizi a disposizione, a Diana è affidato il difficile compito di portare alla luce che cosa accadde tanti anni prima, nel lontano Oriente, a Ceylon, l’incantevole isola del tè e delle farfalle. Qualcosa che inciderà profondamente anche sul suo destino…

Quattro indizi per un mistero

Nel suo romanzo d’esordio, Corina Bomann mescola sapientemente gli ingredienti del mistero per confezionare una saga familiare che si muove tra passato e presente, svelando piano piano tutte le sue carte. Una foto ingiallita che ritrae una bellissima donna di fronte a una casa tra le palme, una foglia incisa in caratteri misteriosi, una bustina di tè, una vecchia guida turistica: questi sono gli unici elementi di partenza che la zia Emmely affida alla nipote Diana. Da qui, la donna dovrà fare un salto indietro nel tempo, per riconciliare i suoi avi e guardare serenamente al suo futuro. Non sa bene cosa cercare, sa solo che la sua vita ha bisogno di una scossa, di togliersi di mezzo un matrimonio infelice. Scoprirà il segreto della famiglia, l’amore e anche che in lei scorre sangue tamil.

Un altro mondo e un’epoca lontana per sognare

Se ancora non conoscete Corina Bomann, ve la consiglio. Trovo la sua scrittura un tantino superiore a quella di Lucinda Riley, che insieme a lei viene citata come una delle migliori del genere, insieme a Kate Morton. La storia è piacevole, perfetta per i consigli da ombrellone che vi sto dando. Il finale, con quel colpo di scena imprevisto, mi ha commosso. L’isola delle farfalle promossa a pieni voti, senza dubbio. Se proprio devo trovargli un difetto, direi che avrei bilanciato meglio passato e presente, dando più spazio al secondo. Anche il significato della foglia non è propriamente centrato e, chissà perché, Diana dimentica il suo amico tedesco che sta indagando sul contenuto delle foglie. Chissà cosa c’era scritto alla fine? Sono comunque dettagli, il romanzo merita il vostro tempo e vi trasporterà in un altro mondo e in un’epoca lontana. Cosa c’è di meglio per sognare un po’?

I vacanzieri – Emma Straub

Se l’estate tarda a farsi sentire, è bene esercitarsi sull’approccio vacanziero, quello che ti fa pensare di stare sdraiato su un’isola a bere margaritas pure se indossi ancora il cappotto e una macchina ti ha schizzato di fango mentre corri per prendere l’autobus respirando smog a polmoni pieni. Non credo di dovervi spiegare perché la mia ultima lettura s’intitola I vacanzieri. L’ha scritto Emma Straub, figlia del più famoso Peter Straub, che tutti gli amanti di letture horror conoscono molto bene. Una famiglia arriva su un’isola con la speranza di passare una vacanza tranquilla, senza immaginare che per stare tranquilli non bisognerebbe uscire di casa…

Trama

Sole, spiaggia, tapas e campi da tennis: quali ingredienti migliori per una vacanza da sogno? Eppure i Post, quando atterrano a Maiorca e si ritrovano tutti insieme sotto lo stesso tetto, dubitano di aver fatto la scelta giusta. Dopo trentacinque anni di matrimonio Jim e Franny sono ai ferri corti: lui l’ha tradita con una ragazza poco più grande di Sylvia, la loro figlia minore. Sylvia, invece, vorrebbe già essere al college per lasciarsi alle spalle un ragazzo troppo stupido e amici di poca sostanza. Suo fratello maggiore, Bobby, e la sua fidanzata Carmen hanno un rapporto che vacilla, troppe cose non dette. Solo Charles, il migliore amico di Franny, e il marito Lawrence sembrano felici, ma è davvero così? L’obiettivo per tutti è sopravvivere alla loro vacanza in famiglia. Ci riusciranno?

Sull’isola con i Post 

Per una volta parto dall’elemento che più di tutti mi ha convinto. Emma Straub riesce a ricreare perfettamente l’atmosfera di Maiorca. Andando avanti con le pagine, sembra davvero di esserci, sull’isola. E’ una sensazione strana, mi hanno assalito il vento e il caldo, mi sono buttata anch’io in piscina e ho scarpinato per arrivare alla spiaggetta riparata e solitaria. Sogno ancora adesso che ho chiuso il libro i pranzi e le cene gustosissime che la matriarca Franny ha preparato per tutti nelle due settimane che hanno trascorso in vacanza!

Vacanze di gruppo? No grazie

Passiamo ora ai rapporti familiari: queste vacanze di gruppo sono il mio peggior incubo ed Emma Straub non fa che confermarmi un’assioma per me ormai certo come la dipartita di tutti. Le vacanze non fanno altro che aumentare all’ennesima potenza conflitti e rancori. Soprattutto nei partecipanti che non hanno potuto scegliere liberamente di esserci. I Post stanno vivendo un momento difficile, i loro ospiti un momento di cambiamento e i loro figli un momento di crescita e distacco dai genitori. Potenzialmente, Emma Straub mette in scena una bomba a orologeria. Una matriarca tradita e bulimica, un patriarca licenziato in tronco per molestie sul lavoro, una coppia di amici gay non più giovani che cercano di avere un bambino, un figlio maggiore inguaiato economicamente e accompagnato da una donna che a loro non piace, una figlia che sta per andare al college e che ha relazioni complicate con i coetanei.

Bomba inceppata 

Qui arriva il bello, o il brutto del romanzo. Dopo aver apparecchiato una tavola piena di leccornie, Emma Straub si scorda di condirle. Sì, in questo romanzo manca il pathos, nessuno dei personaggi mostra un’evoluzione coerente, tutto è affidato alle descrizioni ma senza fatti concreti che provino il punto di vista del personaggio. Faccio un esempio: Bobby pensa che Carmen lo controlli. Carmen pensa che lui non sia cresciuto abbastanza. Ha ragione lui? Ha ragione lei? Non si sa, dobbiamo prendere per buono quello che ci viene detto. In saliscendi e tornanti naturali incuneati tra le montagne delle Baleari, la scrittrice americana rinuncia a esplorare i sentimenti umani, privilegiando un politicamente corretto che nulla ha a che fare con la natura caliente in cui i suoi attori si muovono. Sembra quasi che abbia timore di maneggiare materia umana pronta a esplodere. Perché?

Stereotipi

Come se non bastasse, il tutto è infarcito di stereotipi e bigottismo infinito, nei confronti della nuora, della padrona di casa, del comportamento di Bobby, del lavoro di Bobby e di Carmen. L’unica colpa della fidanzata del figlio è di essere più grande di lui e diversa da loro! Ma stiamo parlando di una scrittrice e di un giornalista di New York, possiamo crederci? No. Come non possiamo credere a tutte le non reazioni a cui il romanzo ci sottopone. Vi giuro che alla fine avrei avuto voglia di prendere i quattro e sbatacchiarli un po’ per tirare fuori un alito di vita! Gli unici che hanno una minima rotondità sono gli estranei visti con sospetto, cioè Carmen e Lawrence. Infatti entrambi vanno via in anticipo…

p.s. se passate dalle parti di Brooklyn, date un’occhiata alla libreria di Emma Straub Books are magic, che sembra molto carina e attiva!

Leggi anche, sempre sul tradimento e la protezione eccessiva dei figli:

La cena fratricida di Herman Koch

Qualche tempo fa in televisione ho visto un film, “I nostri ragazzi”, con Alessandro Gassman, Lo cascio, Mezzogiorno e Bobulova. Il solito film sulla borghesia italiana, ho pensato. Invece, la storia era tutt’altra e alla fine mi ha lasciato insoddisfatta. Non so, film realizzato bene, ma mancava qualcosa. Quindi, ho preso in mano l’originale: La cena, il romanzo di Herman Koch da cui è tratto. La storia di genitori che per difendere i figli sarebbero disposti a tutto, anche a coprire degli assassini. E sì, nel film qualcosa mancava. E’ solo leggendo il romanzo che ho trovato risposta alle mie perplessità.

Trama 

Due coppie a cena in un ristorante di lusso. Si raccontano i film che hanno visto, i progetti per le vacanze. Ma il motivo per il quale si sono incontrati è grave. I loro figli quindicenni, Michel e Rick, hanno picchiato e ucciso una barbona. Videocamere di sicurezza hanno ripreso gli eventi e le immagini sono state trasmesse in televisione. Paul Lohman, il padre di Michel, si riconosce nel figlio per la stessa attrazione verso la violenza. Serge, il fratello di Paul, è il padre del complice. Secondo i sondaggi, è favorito come nuovo Primo ministro olandese. Uno scandalo sarebbe la fine della sua carriera politica. Babette, la moglie di Serge, sembra più interessata all’elezione che al futuro del figlio. Claire, la moglie di Paul, vuole proteggere Michel a ogni costo. Ma quanto sa di ciò che è realmente accaduto? I quattro cosa saranno capaci di fare per difendere i loro figli?

Bullismo o pura violenza?

Non è un caso che abbia deciso di leggere questo romanzo di Herman Koch proprio ora. Solo qualche giorno fa, l’ennesimo caso di “bullismo” in Italia mi ha lasciato davvero sconcertata. Prima di tutto, perché uccidere un uomo non è esattamente agire da bulli, come hanno riportato i tg, ma da delinquenti. Secondo, perché come spesso succede, tutti sapevano e nessuno li ha fermati. Quante volte è già capitato? E quante altre volte succederà? Sarei pronta a scommettere che saranno tante, troppe. Ma qual è il meccanismo che scatta? Il romanzo di Herman Kock apre una fessura su quello che tutti sanno e nessuno dice: i figli non sono sempre persone che ci metteremmo dentro casa. Eppure, cosa siamo disposti a fare per loro? O meglio, certi genitori quali patti con il diavolo firmerebbero purché i loro pargoli non venissero toccati?

Paul

Nel romanzo, Herman Koch sceglie il punto di vista di Paul. Parla in prima persona e racconta fatti che mi hanno aiutato a inquadrare meglio il contesto in cui è avvenuto il fatto. Il primo elemento è questo: c’è sempre un motivo e un contesto in cui i fatti avvengono. I delinquenti, gli assassini, lo sono per natura e per opportunità, quasi mai per caso. All’inizio, Paul sembra ragionevole, dissacrante quanto basta per avermi fatto apprezzare il suo giudizio sul mondo. Paul sembra un ingenuo, un fratello che soffre nell’ombra di un uomo di successo. Un uomo che, però, ha problemi coniugali. Mentre Paul sembra soddisfatto della sua famiglia felice.

La famiglia felice

Già, la sua famiglia felice. Una famiglia così felice che ha bisogno di prenotare un tavolo in un ristorante affollato per affrontare un tema grave.

“Tutte le famiglie felici si somigliano, ciascuna famiglia infelice è infelice a suo modo”: così recita l’incipit di Anna Karenina di Tolstoj. Si potrebbe aggiungere che le famiglie infelici, e soprattutto le coppie infelici, non riescono mai a stare da sole. Più testimoni ci sono, meglio è. L’infelicità è costantemente alla ricerca di compagnia. L’infelicità non tollera il silenzio, specialmente quei silenzi imbarazzati che calano quando si è soli.”

I figli, così innocenti, così puri, con tutta la vita davanti, hanno ucciso una barbona. Perché? Perché puzzava. Mi è sembrato quasi un déjà vu de Il profumo di Patrick Süskind: nonostante le nostre maniere civili, siamo animali e in base all’odore decidiamo se una persona ci piace o no, se può rimanere a questo mondo o esserne emarginata, se ha classe o meno. I figli ragionano così. E i genitori? Se possibile i genitori sono peggio: sotto la maschera di perbenismo nascondono violenza, rancore, odio, attenzione alle apparenze, ingordigia. Le persone che girano loro intorno sono ossequiose: in fondo, si tratta di ospiti di riguardo, a cui chiedere un selfie e magari un aiuto per il futuro.

Un abile burattinaio

Come finirà? Non bene, questo è certo. Herman Koch è un abile burattinaio. Ti porta fuoristrada, poi raddrizzi il volante, scarti a destra, riprendi la strada e, infine, finisci in un fosso. Come è giusto che sia: in una società che fa finta di non vedere, che non interviene, che si gira dall’altra parte, potrebbero dei bravi e affettuosi genitori non tutelare i loro studiosi e geniali figli solo perché hanno compiuto una bravata? Chi di noi, in fondo, non ne ha fatta una da ragazzo? Non vi svelo altro della lettura per non togliervi il gusto dei colpi di scena che si susseguono dove apparentemente non succede nulla. Vi dico solo che è da leggere: niente è come sembra, nessuno è quello che appare, tutti fingono con tutti. All’unico che in parte si salva, o che cerca di essere uno qualunque, uno di noi, affido l’unico sprazzo di umanità che mi tira fuori dal fosso di cinismo in cui sono precipitata.

Se l’avete letto, scrivetemi nei commenti cosa ne pensate di questo bel quadro di Herman Koch! 🙂

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Tua – Claudia Piñeiro

Tua, il romanzo con cui ho scoperto quest’autrice argentina, Claudia Piñeiro. Vi ho già parlato di Betibù, il giallo che ho letto subito dopo aver terminato Tua. Perché Claudia è una scrittrice che ti prende e ti porta con sé, tanto che quando hai finito un libro l’unica cosa che pensi è: “ok, qual è il prossimo?”

Trama 

Buenos Aires. Inés, moglie di Ernesto – dirigente di successo -, trova per caso nella ventiquattrore del marito un biglietto d’amore scritto con il rossetto e firmato “Tua”. Una sera decide di seguirlo fino al parco Bosques de Palermo dove lui e la sua amante si sono dati appuntamento. Vede che i due iniziano a discutere, lui la spinge violentemente, la donna cade, sbatte la testa contro un sasso e muore. Inés torna a casa ben decisa a fare il possibile per coprire il marito, salvare le apparenze e il matrimonio.

Scopri che ti tradisce. Come reagisci?

Un marito fedifrago è un accidente che nessuna donna si augura sposandosi. Ma quando le prove dell’infedeltà sono sotto i tuoi occhi, nello specifico sotto forma di un biglietto scritto con il rossetto, cosa fare? Divorziare, la prima idea non tanto originale e faticosa, per scoprire magari di essere la metà di niente. Fargliela pagare, la seconda idea privilegiata, ma tanto faticosa, soprattutto se non hai amiche ad aiutarti. Diventare sua complice. Fargli capire che sai della sua colpevolezza, che sai di vivere con un assassino e che non lo tradirai, perché sei una moglie perfetta. O almeno quello che una moglie completamente assorbita dal suo ruolo stereotipato pensa che debba essere una moglie che ama il marito.

Una gabbia prima o poi crolla

In realtà, pagina dopo pagina Claudia Piñeiro, con intelligente ironia, ci svela che questo matrimonio è una farsa fin dall’inizio e che i due protagonisti sono imprigionati in una gabbia che non hanno scelto e che piano piano sta crollando su se stessa, dentro l’apparente tranquillità di una scenografia di cartapesta. Tua e il suo rossetto sono solo il sintomo, e non la causa, di un’impalcatura che non regge. Sono andata avanti spedita con la lettura, curiosa di sapere come sarebbe andata a finire, soprattutto dopo un paio di colpi di scena inaspettati, che hanno evitato alla trama l’effetto già visto di una normale famiglia borghese che nasconde l’orrore. Mi hanno fatto prima pena e poi, appunto, orrore marito e moglie, chiusi nel loro egoismo senza speranza e senza rimedio. Tua, invece, riserva più di una sorpresa e quando leggerete capirete perché, ora non posso dire altro. L’unico sottile filo di speranza è appeso alla figlia di questi due degenerati, che incredibilmente da un errore che avrebbe potuto rivelarsi drammatico, trova non solo la forza di diventare adulta, ma anche probabilmente una nuova famiglia.

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Betibú – Claudia Piñeiro

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Quando ti chiama il vento – Barbara Freethy

Quando viaggio in treno, mi piace scegliere dalla piattaforma della compagnia di trasporti un romanzo che mi tenga compagnia, sfidandomi a tentare di finirlo tra andata e ritorno per non lasciare in sospeso la storia. Stavolta è andata benissimo: Quando ti chiama il vento di Barbara Freethy mi ha coinvolto subito e non ho visto l’ora di arrivare all’happy end. Che è arrivato giusto un attimo prima di scendere dal treno per tornare a casa.

La trama

Nella vita di Kate McKenna il vento ha sempre portato cattive notizie. Ogni volta che percuote le cime degli alberi della selvaggia isola di Castleton, o spazza i suoi vicoli acciottolati e le spiagge disseminate di tronchi portati dal mare, un sottile senso di inquietudine si fa strada in lei. Otto anni prima, ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità: spinta dall’ambizione paterna, insieme alle due sorelle ha vinto una gara di vela intorno al mondo. Ma quanto è costata quella vittoria? Qualcosa è successo, qualcosa che ha cambiato in modo irrevocabile le vite di ognuna di loro. Da allora, Caroline scivola lentamente nell’autodistruzione, Ashley non riesce a dominare le sue paure. E Kate, in apparenza la più forte, sembra aver semplicemente deciso di rinunciare alla vita e all’amore, chiusa nella piccola libreria che è diventata il suo rifugio e la sua unica soddisfazione. Ma quando un brillante giornalista, Tyler Jamison, arriva a Castleton a fare strane domande, il passato minaccia di travolgerle. Per Jamison scoprire il loro segreto è l’unico modo che ha per proteggere la sua famiglia e le persone che più ama al mondo.

Nel mondo dei velisti

L’ambientazione mi è piaciuta subito, così come la copertina e il titolo. Barbara Freethy ha scelto un’ambientazione particolare, quella delle gare nautiche e di un’isola soggetta a basse e alte maree, facendo salire su una barca tre ragazze poco più adolescenti alle prese con un padre padrone esperto marinaio, ma altrettanto esperto manipolatore delle figlie. Le quali da adulte si troveranno a dover fare i conti con la propria coscienza e con i guai che l’incosciente genitore ha creato loro. Il libro è avvincente, veloce, parte subito con la sensazione che ci sia qualcosa di grave nell’aria, anche se piano piano tutto si dipana e non è stato difficile intuire abbastanza presto come sarebbe andata finire.

Kate e Tyler, due adorabili…cipollotti  

I due protagonisti sono il mio ideale: lei, Kate, bella e forte. Lui, Tyler, macho al punto giusto e furbo come il mestiere di giornalista impone. I dialoghi sono divertenti e soprattutto Tyler è sempre convincente, è un uomo che sa quello che vuole e come prenderselo. Meno convincenti sono dei particolari da romanzo rosa che la scrittrice usa senza cautele: per esempio, dopo aver spolpato pollo fritto ed essersi buttata sull’insalata di patate, si presume piena di cipolla visto che si trova in america, una protagonista può sapere di VANIGLIA, quando lui la bacia??? 🙂 Anche il finale è coerente con quello che Barbara Freethy costruisce prima. Direi che è il romanzo giusto se volete passare una o due serate in compagnia di una storia romantica, ma non sdolcinata. Unico appunto da lettrice, il personaggio della seconda sorella, Ashley, forse avrebbe meritato un maggiore approfondimento, così come la reazione dei comprimari quando arriva il momento della rivelazione del grande segreto che le sorelle hanno così gelosamente custodito: una confessione così eclatante non può rimanere sotto traccia, anche se sono passati tanti anni. L’aspetto, al contrario, che ho preferito è l’assenza di una vera e propria rottura tra Kate e Tyler, che di solito nei romance non manca mai. Qui i due giovani sanno di aver sbagliato entrambi e tutto sommato accettano le menzogne dell’altro perché, per motivi diversi, in fondo sono due bugiardi. Insomma, il paragone è calzante dato che ci troviamo in ambiente acquatico, sono sulla stessa lunghezza d’onda dall’inizio alla fine.

Leggi anche: 

http://www.pennaecalamaro.com/2016/11/29/349/