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In her shoes – Jennifer Weiner

In her shoes, A letto con Maggie nella sciagurata traduzione italiana, di Jennifer Weiner, è uno dei rari casi in cui il romanzo e il film si equivalgono. Avendo visto il film non so quante volte, ero curiosa di conoscere il libro da cui è tratto. E anche se l’operazione è pericolosa, quest’ultimo non mi ha deluso. Anzi…

Trama

Rose ha trent’anni e lavora come avvocato in un prestigioso studio legale di Filadelfia. Maggie, sua sorella, di anni ne ha ventotto. Non ha un impiego fisso e scarta gli amanti come caramelle. Le due sorelle non hanno nulla in comune, a parte il DNA e lo stesso numero di scarpe. Eppure, la sera in cui Maggie, dopo aver perso appartamento e lavoro, si presenta ubriaca a casa della sorella, Rose è costretta ad accoglierla. Tutto fila liscio o quasi, finché Rose non sorprende il suo fidanzato a letto con Maggie, completamente nuda, fatta eccezione per gli stivali. Quelli di Rose, ovviamente. E le conseguenze sono così sorprendenti da sconvolgere tutto ciò che le sorelle sanno – o credono di sapere – sulla vita, la famiglia, l’amore.

Una mossa pericolosa

In teoria ho fatto una mossa pericolosa: leggere il romanzo da cui è tratto un film che mi piace parecchio e che riguardo volentieri ogni volta che passa in televisione. Per fortuna, stavolta è andata bene. Il romanzo di Jennifer Weiner è scritto bene, divertente e tenero allo stesso tempo. Per i primi tre quarti ero un po’ preoccupata, perché assolutamente identico al film. Nell’ultima parte, invece, si discosta un po’, approfondendo di più la storia di Maggie e quella di nonna Ella. Ecco, forse il personaggio di Ella è meno riuscito che nel film, ma d’altra parte Shirley McLaine è un’attrice straordinaria, donerebbe spessore anche a un sasso.

Due metà fanno un intero

In her shoes, mettiti nei suoi panni. Rose e Maggie hanno un rapporto complicato e profondissimo, come è quello di sorellanza e quello che devono imparare a fare è scambiarsi scarpe non solo nell’armadio. Hanno sofferto molto in passato: una famiglia distrutta dalla morte della madre, un padre chiuso nel suo dolore e una matrigna che le ha fatte sempre sentire inadeguate. L’unico modo per salvarsi è imparare che due metà fanno un intero. Attraversando una crisi profonda, capiranno che la vita senza l’altra è impossibile. Soprattutto, diventeranno entrambe più fiduciose nelle loro capacità e  troveranno la loro strada da donne adulte. E, magari, anche l’amore. 

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Sirene – Patty Dann

Vi ricordate Sirene, il fim del 1990 con Cher? E’ tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Patty Dann, pubblicato quattro anni prima. Mentre nel film l’estro di Cher fagocita il resto, nel romanzo la vera protagonista è Charlotte, con le sue ansie adolescenziali.

Trama 

Protagonista è una madre americana degli anni ’60, single atipica, che ha la spiccata propensione a trasferirsi altrove non appena le cose con l’uomo di turno iniziano ad andare male. E soprattutto appena le figlie si stanno ambientando: una quindicenne, Charlotte, che vorrebbe farsi suora ma inizia a sentirsi attratta dagli uomini e la piccola Kate, che vuole suolo nuotare. Quando la famiglia si trasferisce per l’ennesima volta, Charlotte è molto soddisfatta perché la nuova abitazione si trova vicino a un monastero cattolico. L’unico problema è che s’invaghisce di Joe, trentenne che lavora come tuttofare.

I turbamenti di Charlotte

Questo romanzo  di Patty Dann è particolare. Quando l’ho aperto avevo in testa il film con Cher, anche perché è in copertina, e nelle prime pagine mi è sembrato molto simile. A un certo punto, invece, ha preso una strada tutta sua. Mentre nel film è chiaramente la madre, Mrs. Flax, la protagonista, qui la storia ruota intorno ai pensieri contorti della figlia maggiore, Charlotte.

L’ossessione per la religione

Per un verso uguale a tutte le adolescenti in cerca di se stesse; per l’altro, una ex bambina in cerca di un equilibrio psichico che una famiglia disfunzionale come la sua non può certo assicurarle. Mentre sua sorella più piccola ha trovato il centro del suo mondo nel nuoto, quindi in un’attività fisica che l’assorbe, Charlotte cerca nella religione un punto fermo. Anche qui, però, senza vera convinzione, ma solo per inseguire un’ideale mistico irrealizzabile. La metafora perfetta di questa incomunicabilità è il suo colloquio con la madre superiora del convento, che una sera le offre cioccolata calda e biscotti. Charlotte (che è ebrea) vorrebbe parlare di religione e confessarsi, la madre superiora non ha nessuna intenzione di ascoltarla, ma solo di parlare, più che altro a se stessa, del fratello morto.

L’ossessione per Joe 

La religione non è l’unico mantra di Charlotte. C’è anche il sesso, incarnato da Joe. Un uomo di trent’anni, che potrebbe essere molto immaturo o leggermente disabile, questo non lo sappiamo. Le due fragilità però si combinano bene e, forse, trovano aiuto uno nell’altra. Anche di Charlotte non saprei dire se avrebbe bisogno di aiuto psichiatrico, come un’insegnante dice alla madre, o se è solo troppo impegnata a superare il grande egoismo che caratterizza la sua età, per scoprire dentro di sé la donna che si avvia a diventare. L’ultima pagina non scioglie il dubbio e, forse, è meglio così.

Daphne Du Maurier, il lato oscuro di una scrittrice di successo

Inventa personaggi inquietanti, ambientazioni misteriose e condisce le sue storie con un mix di romanticismo e violenza unico nel suo genere, senza mai chiudere con un finale degno di questo nome, come se ogni suo lavoro non dovesse mai avere fine. Come il suo rapporto d’amore con le scogliere della Cornovaglia. Daphne du Maurier ha legato la vita reale e la finzione in modo che, forse, neanche lei sapesse più dove finiva una e iniziava l’altra. La sua biografia, infatti, non è certo da romance come quella di Rosamunde Pilcher, ma è degna di uno dei suoi romanzi. E di un alter ego, Rebecca, di cui mai è riuscita a liberarsi.

What a pity I’m not a vagrant on the face of the earth,” du Maurier wrote in her diary at 21. “Wandering in strange cities, foreign lands, open spaces, fighting, drinking, loving physically. And here I am, only a silly sheltered girl in a dress, knowing nothing at all — but Nothing.”

Peccato che non sia una vagabonda sulla faccia della terra”, scrisse a 21 anni nel suo diario.”Vagando in strane città, terre straniere, spazi aperti, combattendo, bevendo, amando fisicamente. Ed eccomi qui, solo una sciocca ragazza nascosta in un vestito, che non sa niente di niente”.

Dame Daphne du Maurier, Lady Browning

Dame Daphne du Maurier, Lady Browning, nacque a Londra il 13 maggio 1907, ultima di tre sorelle. I genitori, Gerald du Maurier e Moriel Beaumont, avevano entrambi un passato di attori teatrali. Gerald era stato anche impresario ed era figlio di George, scrittore e fumettista, nonché fratello di Sylvia, i cui figli ispirarono il Peter Pan di Sir James Matthew Barrie. Nel 1916 la famiglia Du Maurier si trasferì a Cannon Hall, una villa di stile georgiano ad Hampstead, Londra, quartiere considerato il sobborgo di intellettuali, artisti, musicisti e scrittori e dove ancora oggi sono ubicate alcune delle ville più costose del mondo. Daphne e le sorelle frequentarono la St. Margaret’s School, una scuola per ragazze di Oak Hill Park.

Una famiglia scomoda

Insomma, la vita di Daphne sembra iniziare nel migliore dei modi. Famiglia benestante, genitori artisti e un ambiente vivace in cui crescere. Ma la personalità complessa del padre ha un’enorme influenza sulla crescita delle figlie e sul loro futuro. Dicono di lui che fosse un uomo alla mano, divertente e un bravo imitatore. Daphne era la sua preferita, ma il suo amore eccessivo poteva diventare opprimente. Si comportava come un amico a cui poter confidare anche i più intimi segreti, ma guai se una delle figlie manifestava una qualsiasi volontà di rendersi indipendente. Diventava un padre “vittoriano”, rigido e intransigente. Daphne raccontava spesso di quanto fosse difficile vivere con lui ed essere figlia e nipote di personaggi famosi. Il suo successo come scrittrice arrivò quando Gerald, “D” come lo chiamava la figlia, era già morto; per lui, sarebbe stato probabilmente un colpo ferale essere messo in ombra dalla figlia. Non solo, negli ultimi anni alcune biografie non autorizzate suggeriscono che dietro i rapporti difficili tra padre e figlia ci fosse ben altro, come vedremo più avanti e come avevamo già visto per Virginia Woolf

A Parigi l’incontro con il sesso

La scrittura diventa per Daphne una via di fuga dall’atmosfera familiare. Incoraggiata a scrivere da una governante, la ragazza usciva tutti i giorni per lunghe passeggiate vicino casa e camminando ideava trame e personaggi. Nel 1925 lascia Londra per frequentare una scuola di perfezionamento a Parigi e qui incontra una donna che cambierà la sua vita. Daphne s’innamora, infatti, della preside della scuola, di dodici anni più grande. Non è solo il suo primo amore, ma è anche una persona che la incoraggia a scrivere, a coltivare un’arte e a vivere una vita segreta, che sarà poi fonte continua d’ispirazione per i suoi libri.

The boy in the box

Naturalmente, a casa e non solo Daphne continua a nascondere quel rapporto proibito, così come nasconde altre storie d’amore, per esempio quella con Gertrude Lawrence nel 1948. Anche perché sembra che la Lawrence abbia avuto un flirt anche con il padre dell’autrice. Il rapporto con la sua sessualità è complesso: la scrittrice odia la parola lesbica e non si considera bisessuale. Chiama quella parte della sua personalità “The boy in the box”, il ragazzo in scatola, intendendo dire che sentiva di possedere un cuore di ragazzo dentro un corpo di donna. Questa duplicità è chiaramente percepibile nell’ambiguità di fondo che sotterraneamente pervade i suoi romanzi. D’altra parte, anche il padre, che era conosciuto per essere fortemente omofobo, in realtà secondo Daphne nascondeva una natura sessuale fortemente ambigua.

A Fowey, in Cornovaglia

Dopo aver completato gli studi, torna in Inghilterra per seguire la famiglia che nel frattempo si è spostata a Fowey, in Cornovaglia, in una casa chiamata Ferryside. Proprio a Fowey c’è una casa elisabettiana, Menabilly, da sempre di proprietà della nobile famiglia Rashleigh e che è stata l’ispirazione, insieme a Milton Hall, Cambridgeshire, per “Manderley”, la casa dei coniugi de Winter nel romanzo Rebecca (1938). Come Menabilly, l’immaginario Manderley era nascosto nei boschi e non poteva essere visto dalla riva.

Il padre Gerald

Il rapporto con il padre continua a essere complesso e burrascoso. I vicini di casa non possono fare a meno di notare che lui sia estremamente “tattile” con la sua figlia preferita, tanto da risultare spesso “imbarazzante”. Daphne incoraggia queste intimità inappropriate. “Abbiamo superato il limite“, ammette nel 1965, “e l’ho permesso, mi ha trattato come un’attrice che interpretasse un ruolo romantico in una delle sue commedie“. Durante l’adolescenza, l’atteggiamento di Daphne verso suo padre cambia bruscamente. Comincia a rendersi conto delle sue frequenti scappatelle con giovani attrici e reagisce con un misto di gelosia e profondo risentimento per l’umiliazione causata a sua madre. Una delle sue molte amanti era Gertrude Lawrence, che Daphne odia profondamente “quella maledetta cagna” ma con cui più tardi lei stessa avrà una relazione. Forse, sussurra qualcuno, come vendetta postuma per rovinarle la reputazione nell’ambiente teatrale.

Daphne e Francis Scott Fitzgerald

tender isA 19 anni, il fotografo Cecil Beaton la ritrae in primo piano, con i capelli acconciati e le spalle scoperte, in una posa fresca e giovane e allo stesso tempo sensuale. La foto viene scelta da Penguin per la copertina del romanzo di Francis Scott Fitzgerald “Tender is the Night”, senza però citare il nome di Daphne du Maurier nei credits.

Il debutto

ferrysideNel 1931, a soli 23 anni, grazie anche all’aiuto di uno zio editore Daphne pubblica il suo primo libro The Loving Spirit, Spirito d’amore, la storia di una famiglia di piccoli armatori della Cornovaglia. “The loving spirit fu ispirato dal senso di libertà che la mia nuova esistenza a Ferryside riuscì a portare“. Ferryside era un edificio in granito costituito in origine da un’officina, un cortile e una banchina di un vecchio cantiere navale. Nei suoi 200 anni di vita, è ancora oggi funzionante e visitabile, la banchina originale è stata trasformata in un giardino domestico, il soppalco ospita camere da letto e un bagno, e l’ex negozio di barche è divenuto il salotto della famiglia. Le famiglie che negli anni ’20 davano nuova vita a vecchi ruderi, trasformandoli in case per le vacanze, diedero un impulso notevole all’economia cornica del periodo. Solo che per Daphne, quella che doveva essere una casa per le vacanze, si trasforma nel luogo del cuore e le fornisce ispirazione per la sua prima prova di autrice.

Il matrimonio

famigliaSuccessivamente, mentre gli altri parenti tornano a Londra, decide di rimanere a Fowey. L’anno successivo, nel 1932, Daphne sposa sir Frederick Arthur Montagne Browning, maggiore dell’esercito ed ex atleta olimpico di bob, con un’intima cerimonia in Cornovaglia. L’unione causa al padre di Daphne una crisi nervosa. Dall’unione nascono tre figli: Tessa (1933), Flavia (1937) e Christian (1940), tutti ancora viventi. Per l’attività del marito, la coppia nel 1939 si trasferisce ad Alessandria d’Egitto, dove Daphne scrive Rebecca, la prima moglie, il suo romanzo più conosciuto, lasciando le prime due figlie in Inghilterra, con le tate e i nonni, “Io non sono una di quelle madri che vivono per avere i loro marmocchi con loro tutto il tempo“.

Nel 1934 Gerald muore a 61 anni. Daphne non partecipa al funerale, ma scrive una sua biografia, rivelando quanto fosse vanitoso, amante dell’alcol e di umore instabile.

Jamaica Inn (Taverna della Giamaica, 1936)

IMG_6464Cinque anni dopo il suo esordio, Daphne ottiene il suo primo grande successo. Jamaica Inn è stato anche il primo suo romanzo a essere portato sul grande schermo. L’attore Charles Laughton acquistò i diritti del film e nominò Alfred Hitchcock come regista. Hitchcock conosceva bene i Du Maurier, avendo già lavorato con il padre attore-manager, ma aveva dei dubbi sul progetto, soprattutto per la tendenza di Laughton a voler comandare su tutto, lasciando poco spazio al contributo creativo della regia. Come previsto da Hitch, Laughton dominò il film, mentre Daphne Du Maurier arrivò a odiarlo e Hitchcock a ignorarne l’esistenza.

Rebecca (1938)

rebeccaRebecca viene pubblicato nel 1938, quando la scrittrice ha 31 anni, ed è subito un successo clamoroso, l’opera e il personaggio con i quali verrà poi identificata e riconosciuta per tutta la vita. Rebecca finisce per diventare la sua ossessione, un’ombra dalla quale non riuscirà mai a liberarsi. Tanto che nel 1943 la scrittrice andò a vivere in affitto proprio a Menabilly, rimanendoci fino al 1964, quasi come se volesse identificarsi con l’eroina della sua storia più famosa. E’ incredibile come a volte la vita reale e quella romanzesca si intreccino: Rebecca, infatti, nasce dopo che Daphne scopre casualmente un fascio di lettere d’amore scritte al marito dalla sua ex fidanzata, Jeannette Louisa Ricardo, detta Jan, una donna dai capelli neri di straordinaria bellezza. Parente dell’economista David Ricardo, Jan potrebbe essere definita una Kim Kardashian dell’epoca. Al centro della movimentata vita sociale londinese, Jan si riconobbe nel personaggio di Rebecca. Anche se lei e Daphne non si incontrarono mai, infatti, Daphne scrisse questo romanzo per esorcizzare l’ombra della prima promessa sposa del marito. Lei e Browning avevano annunciato per ben due volte il matrimonio, disdicendo entrambe le volte. Due anni dopo, Browning aveva sposato Daphne. Quest’ultima, tuttavia, era convinta che l’uomo fosse ancora innamorato di Jan, fino a diventarne ossessivamente gelosa. In quelle lettere, a colpirla in modo particolare fu la “R” Ricardo nella firma di Jan. Ricordate Rebecca? La seconda moglie trova una dedica di Rebecca per Max dentro un libro che appartiene all’uomo e odia la calligrafia di Rebecca, soprattutto la firma, con quella “R” che sovrasta le altre lettere, quella “R” tentacolare che la seconda signora de Winter vede ovunque a Manderley. D’altra parte, la stessa gelosia aveva caratterizzato i rapporti con il padre Gerald, con lei che soffriva quando si rendeva conto che il padre non era solo suo.

In Italia il romanzo è uscito nel 1940 col titolo La prima moglie. Anche i diritti cinematografici sono stati venduti immediatamente per diecimila sterline e poco dopo sempre Alfred Hitchcock dirige Laurence Olivier e Joan Fontaine in un film di grande successo. Daphne du Maurier è un’autrice acclamata. Ciò significa che da lei ci si aspettano altri bestseller.

Le accuse di plagio

Quando Rebecca viene pubblicato in Brasile, il critico Álvaro Lins sottolinea le molte somiglianze con A Sucessora, un libro scritto nel 1934 da Carolina Nabuco. Secondo la stessa scrittrice e il suo editore, la Du Maurier avrebbe copiato non solo la trama principale, ma anche situazioni e interi dialoghi. Quando la polemica esce sui giornali, Daphne Du Maurier scrive al New York Times di non aver mai sentito parlare né del romanzo né della scrittrice fino all’anno precedente e che le somiglianze erano dovute semplicemente a una trama piuttosto comune (?). Nel 2002 il New York Times. Ha ripreso la questione. Secondo il quotidiano, Carolina Nabuco avrebbe dichiarato di aver ricevuto pressioni dalla United Artists, che produceva il film di Hitchcock, perché firmasse un documento in cui affermava che le somiglianze erano solo una coincidenza, dietro lauto compenso, ma l’autrice si rifiutò.

Super criticata nonostante milioni di copie vendute

Plagio o no, il destino di Daphne è segnato. Celebrata dal pubblico, sforna un best seller dietro l’altro, ma mai nella sua lunga carriera riuscirà a vincere un premio letterario? Perché? Secondo una recente, e più unica che rara, intervista rilasciata da suo figlio Kits, i critici la bollano come “autrice romance di bassa lega”. Cosa la stessa scrittrice attribuisce alla sua popolarità e alle massicce vendite. Anche Stephen King, a sua volta enormemente criticato per la sua prolificità, la difende: Nel 1993, descrive Rebecca come “un libro che ogni aspirante scrittore popolare dovrebbe leggere, se non altro per il suo coraggio e il suo controllo narrativo. I critici possono sghignazzare, ma è impossibile fare questo genere di cose a meno che tu non abbia un ritmo quasi perfetto nella tua testa“.

I critici, tuttavia, sembrano ignorare quello che il pubblico e il mondo del cinema amano: romanticismo, psicodramma gotico, crimine e intrighi sessuali. Le pessime recensioni la gettano nello sconforto, nonostante la ricchezza accumulata. You don’t know how hurtful it is to have rotten, sneering reviews, time and time again throughout my life. The fact that I sold well never really made up for them”. “”Non sai quanto sia doloroso aver ricevuto recensioni disgustose, beffarde, più e più volte nella mia vita. Il fatto di aver venduto bene non le ha mai compensate“. Per fortuna, però, l’amore per la scrittura è più forte di qualsiasi recensione negativa. E Daphne continua a scrivere.

Donna a bordo (1941)

relittoAnche in quest’altro romanzo storico, sempre ambientato in Cornovaglia alla fine del XVII secolo, Daphne rivela una parte di se stessa. La protagonista, Lady Dona Saint Columb, fugge con i figli dalle convenzioni londinesi e dal marito per rifugiarsi nel maniero di Navron, vicino a Helford. Qui scopre che la casa è stata occupata dal “francese”, un pirata bretone con il quale lei si trova subito in sintonia. Dona vuole quella libertà che sa di non poter avere, se non a prezzo di enormi sacrifici, e arriva a vestirsi da marinaio pur di partecipare a una spedizione da pirata. Non è difficile rintracciare nella trama il “boy in the box”, il lato maschile, che nella scrittrice è così forte e lotta per uscire. Anche stavolta prende ispirazione dalla vita reale. Il marito si allontanava così spesso che Daphne, i suoi figli e la loro tata furono invitati a stare con Paddy e Henry Puxley (Christopher) che vivevano a Langley End, vicino a Hitchin nell’Hertfordshire. Daphne e Christopher hanno una relazione, che viene scoperta dal marito, rientrato improvvisamente dall’estero. Non ci sono scenate, ma Daphne è costretta a lasciare Langley End e a fare ritorno anticipatamente a Fowey, abbandonando definitivamente il suo sogno romantico. Donna a bordo, forse non a caso, è l’unico romanzo vicino al romance che Daphne abbia mai scritto.

Il ritorno nell’amata Cornovaglia e il rapporto con i figli

daphne_1830524cNel 1943 la famiglia Browning torna definitivamente in Inghilterra e Daphne realizza il suo sogno: prendere in affitto Menabilly e andarci a vivere con i figli. Il marito continua a spostarsi per lavoro, ma lei decide di volta in volta se seguirlo o meno. In una lettera all’amica Ellen Doubleday, l’autrice individua il problema nel suo successo professionale: “Le persone come me, che hanno una carriera, mettono davvero in discussione il vecchio rapporto tra uomini e donne. Le donne dovrebbero essere morbide, gentili e dipendenti. Spiriti disincarnati come me hanno torto a prescindere. “Il rapporto con il marito è quasi inesistente, tanto che secondo lei anche lui ha un’amante, una ventitreenne militare, quello con i tre figli è complicato: Daphne viene giudicata spesso una madre distante, fredda quasi, a causa di una evidente fragilità psicologica e dei frequenti alti e bassi cui è soggetta. In realtà, ama tantissimo i suoi figli e loro la ricambiano, tanto che ancora oggi ne difendono strenuamente la memoria. Anche recentemente, hanno ricordato come la mamma volesse essere riconosciuta per quello che era: una dannatamente brava narratrice di storie. A Menabilly, Daphne aveva fatto appendere un ritratto a grandezza naturale di Gerald sulla scala principale. Daphne a volte si fermava di fronte a lui, guardandolo e mormorando gentilmente: “Oh D! Oh D!” Il rapporto complesso con il padre continua anche dopo la morte.

La collina della fame (Hungry Hill, 1943)

Quando esce questo romanzo, addirittura Daphe viene accusata di scrivere solo per soldi e per farne un adattamento cinematografico. Cosa che puntualmente avviene nel 1947, con Margaret Lockwood, una delle attrici britanniche più famose dell’epoca, con la scrittrice che lavora attivamente come co-sceneggiatrice all’adattamento.

Mia cugina Rachele (1951)

E’ leggermente meno conosciuto di Rebecca, ma altrettanto fortunato sia nel mondo letterario sia in quello cinematografico. Dal libro, infatti, sono stati tratti due film: uno nel 1952, diretto da Henry Koster, con Olivia De Havilland nella parte della seducente vedova Rachel. Uno l’anno scorso, intitolato semplicemente Rachel e interpretato da Rachel Weisz. Nel romanzo, di nuovo storico e di nuovo ambientato in Cornovaglia, Philip Ashley, orfano dei genitori, viene allevato dal cugino Ambrose Ashley. Per ragioni di salute Ambrose parte per il continente, lasciando Philip, poco più che ventenne, a casa. Dopo qualche mese arriva a Firenze dove conosce una cugina, Rachel, vedova di un conte italiano. Ben presto i due si sposano. Insospettito dal silenzio di Ambrose, Philip si reca a Firenze, dove apprende che il cugino è morto e Rachele se n’è andata. Ritornato a casa, Philip comincia a odiare Rachele, finché non la conosce. Se ne innamora e il giorno del suo venticinquesimo compleanno, in cui diviene legalmente un adulto, le regala tutta la proprietà e i gioielli di famiglia, proponendole di sposarlo. A quel punto però Rachele rifiuta…. Philip comincia ad avere dei sospetti: Ambrose è veramente deceduto per cause naturali? Daphne rimane delusa dall’adattamento del film di Koster, perché tutti i temi i temi più impegnativi del romanzo, la colpevolezza maschile, la dipendenza economica delle donne sugli uomini, la paura dell’autonomia femminile, vengono diluiti per favorire la storia di base.

Gli uccelli (1953)

Gli-uccelli-Hitchcock“Se la storia avesse coinvolto avvoltoi o rapaci, non mi sarebbe piaciuta”, disse Hitchcock intervistato sull’omonimo film in uscita. “L’attrazione di base per me è che parliamo di uccelli normali e che vediamo tutti i giorni. Capisci cosa intendo?” L’ha capito senz’altro Tippi Hedren, che per colpa sua ha avuto un esaurimento nervoso. Il regista Alfred Hitchcock, infatti, per rendere più credibili le scene dell’attacco dei volatili, fece davvero arrivare sul set stormi di uccelli impazziti che assalirono la giovane attrice. In realtà, l’aggressione degli uccelli potrebbe rappresentare, ma non è sicuro, una metafora degli attacchi per via aerea subito da Londra durante la seconda guerra mondiale. Anche stavolta, arriva puntuale un’accusa di plagio. L’autore Frank Baker è convinto che la trama sia troppo simile a quella del suo romanzo Uccelli, pubblicato nel 1936 con l’editore Davies. Il quale era il cugino di Daphne. Coincidenze? Anche stavolta la Du Maurier nega e Baker, pur considerando di fare causa agli Universal Studios, decide di rinunciare perché sconsigliato dalla costosità dell’operazione.

Il capro espiatorio (1957)

Altro romanzo e altra trasposizione John è un mite professore inglese che tutti gli anni va in vacanza in Francia, dove si limita a osservare le vite altrui. Alla fine di una vacanza uguale a tutte le altre, in attesa di partire, seduto al bar di una stazione di provincia tra viaggiatori, uomini soli, famiglie e bambini urlanti, incontra se stesso. Il suo sosia perfetto, il conte Jean de Gué. Un legame profondo, stretto in una notte d’alcol e confessioni, li incatena. Al mattino John si sveglia stordito, nudo, derubato di tutto, al suo fianco solo gli effetti personali del sosia. Obbligato a prenderne il posto, l’anonimo insegnante si trova intrappolato nella personalità arrogante e seduttiva del nobile, ne diventa l’ombra. Il gioco di identità lo porterà molto vicino a perdere la coscienza di sé, fino a confondere la sua realtà con quella del sosia.

La morte del marito e l’addio a Menabilly

Negli ultimi anni di vita, sempre di più il marito aveva finito per assomigliare al padre: entrambi bevevano troppo. Entrambi avevano problemi e soffrivano di attacchi debilitanti di cupa depressione, nonostante la facciata brillante che mostravano all’esterno. Nel 1957 Frederick Browning inizia a soffrire di un forte esaurimento nervoso e due anni più tardi viene costretto al ritiro. Sembra che il “reale” motivo della malattia fosse la sua passione per la principessa Elisabetta, di cui nel 1948 era divenuto Tesoriere. Di sicuro, c’erano altre due amanti a Londra. Nel 1963 viene coinvolto in uno scandalo: sotto l’influenza di droghe e alcolici, causa un incidente automobilistico in cui due persone rimangono ferite. Muore a Menabilly, il 14 marzo 1965, per un attacco di cuore. In seguito alla sua morte, Daphne prende in affitto Kilmarth, la casa dei giardinieri della tenuta di Menabilly, continuando a scrivere finché la salute e la vecchiaia non glielo impediranno, come una reclusa, in completa solitudine.

Gli altri lavori e gli ultimi giorni

oldNominata Dame Commander dell’Impero britannico nel 1969, Daphne pubblica senza sosta i suoi lavori fino al 1981. Nel 1977 riceve il premio Grand Master Award by the Mystery Writers of America. Il suo ultimo lavoro esce postumo nel 1989, subito dopo la sua morte. Cornovaglia magica è l’autobiografia di una scrittrice solitaria, innamorata della terra che l’ha adottata. L’autrice racconta e rilegge la sua vita attraverso i suoi viaggi e i suoi romanzi ispirati tutti dall’amore per questa terra. Magica, misteriosa, inesplorata, la Cornovaglia è vista e “rivisitata” attraverso gli occhi della scrittrice, assumendo quasi la forma di un testamento spirituale. Subito dopo averla terminata, infatti, Daphne du Maurier muore, il 19 aprile 1989. Il 16 aprile, tre giorni prima di cedere alla broncopolmonite a 81 anni, Daphne sfida il vento e la pioggia per un’ultima nostalgica visita alla suo adorato Menabilly. Dopo la sua morte, i figli assecondano le sue ultime volontà e spargono le ceneri nei campi che circondano la sua ultima abitazione.

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Daphne Du Maurier al Jamaica Inn

Bridget Jones, buon compleanno Helen Fielding!

Anche le ragazze crescono. Helen Fielding, la creatrice di Bridget Jones, compie 60 anni e mi sembrava giusto festeggiarla leggendo finalmente uno dei libri della saga. Ho scelto l’ultimo, Bridget Jones, mad about a boy, semplicemente perché la piattaforma del treno che mi stava portando a sciare lo aveva in lista. Confesso di non essere una sua fan, però vi dirò onestamente cosa ne penso, come sempre.

La trama

Bridget Jones è diventata grande. È ancora ossessionata dai chili, frequenta gli amici di sempre, ma ora deve occuparsi da sola dei suoi figli, dopo che la scomparsa di Mark Darcy l’ha lasciata precocemente vedova. Bridget è come sempre alla ricerca di equilibrio e sbarca su twitter, dove conosce Roxter. Un ragazzo parecchio più giovane di lei. Con in testa questi e altri problemi, inciampa tra un ostacolo e l’altro della sua nuova vita da mamma single. Intanto twitta, dimagrisce e butta giù elenchi di cose da fare. Soprattutto, vuole riprendere la vita amorosa, a dispetto di quella che alcuni, con espressione odiosa e sorpassata, si ostinano a chiamare mezza età. Solo che non è facile stare dietro a un ragazzo famoso, al gruppo delle madri dei compagni di scuola dei figli e all’insegnante di educazione fisica Mr. Wallaker, che la fa sentire come se di anni ne avesse sette.

Lei non è tanta, è troppa

Come ho dichiarato in premessa, è il primo romanzo della serie che leggo. Per le altre puntate mi sono limitata a vedere i film, che mi sono piaciuti ma non mi hanno mai fatto impazzire e non solo perché Renée Zellweger non è tra le mie attrici preferite. E’ che ho sempre trovato il personaggio di Bridget sopra le righe. Con lei e accanto a lei è sempre tutto troppo. Lei non è tanta, è troppa. Attenzione, non sto parlando di peso, che è il problema su cui si fissa e che invece nasconde naturalmente altro. Comunque non divaghiamo. Dicevo, è troppa. Solo che, come sempre, quando i film nascono da un romanzo, soprattutto se il film in questione ha successo, bisognerebbe sempre tornare all’origine, cioè alla penna che l’ha creato. In realtà ho iniziato a leggerlo per un motivo banale e casuale: mi trovo su un treno e la piattaforma offriva poca scelta. Tra andata e ritorno, Bridget dovrei riuscire a finirla, ho pensato. E così è stato.

Un disastro su tutta la linea

Vi dirò, l’ho trovato spassoso e non così banale come la ragione per cui l’ho aperto. Dai commenti dei fan storici della serie, ho capito che questa conclusione non è proprio piaciuta. Secondo me più che altro perché Helen Fielding decide di togliere di mezzo Mark Darcy e questa cosa alle lettrici storiche non è andata giù. Nel mio caso poco male, io ho sempre preferito Daniel! E anche lui qui non è messo benissimo. D’altra parte, tra un protettivo e un lazzarone, la scrittrice preferisce una via di mezzo più adatta a una…età di mezzo. Già, la cosa più interessante del romanzo è proprio che la protagonista ha passato da un pezzo l’età per combinare pasticci eppure lei continua a essere un disastro su tutta la linea. Solo che ai tormenti sulla singletudine ha aggiunto quelli sulla vecchiaia, la paura di non essere una buona madre, i tormenti di una madre sola costretta a fare da padre. Allora, saggiamente, decide di buttarsi sui…social network e i toy boy. Con pessimi risultati, sia nell’uno sia nell’altro caso. Anche lei si ritrova come Murakami in A sud del confine, a ovest del sole nella fase delle riflessioni pesanti sulla propria vita e le proprie scelte. Come ho scritto in quel caso, “Noi, invece, rincorriamo la giovinezza, i divertimenti, seguiamo un modello di vita che ci impone la società, o la famiglia, a volte senza mai davvero prendere le redini della nostra esistenza”. Riuscirà Bridget a invertire la rotta e a ritrovare un equilibrio? Questo ve lo lascio scoprire nel caso decidiate di leggerlo.

Un’anima bambina governerà il mondo

Mi limito però a osservare che applicare i canoni del chick lit a una Bridget Jones ultracinquantenne e riuscire a far funzionare la trama non è da tutti ed Helen Fielding in questo è una maestra. Se la facesse bere di meno e se non avesse scelto il gufo come metafora del suo amore passato, c’erano altri mille animali tra cui scegliere, l’avrei promossa a pieni voti.

Ma ora è tempo Helen Fielding at a book signing for Bridget Jones: Mad About the Boy at Foyles bookshop in Londondi festeggiare. Quindi, in alto i calici e brindiamo: buon compleanno Helen. Ad altre dieci, cento, mille Bridget che non nascondono un’anima bambina. L’ironia delle donne che si ribellano alla “chat delle madri“ prima o poi governerà il mondo!

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Seven Sisters, esperienza mistica su scogliere da cinema

Se qualcuno può mi smentisca, tuttavia sono convinta che le scogliere creino dipendenza fisica e mentale. Almeno, a me è successo. Dovendo decidere una delle ultime tappe del viaggio letterario Sulle tracce delle grandi scrittrici, la scelta non poteva che cadere sulle Seven Sisters. Pur essendo partiti presto da Salisbury, arriviamo abbastanza tardi rispetto alla tabella di marcia, perché anche se distanti non più di due ore non sono così ben segnalate come pensavamo. Sbagliamo un paio di volte strada e alla fine arriviamo in un minuscolo parcheggio. Capiamo di essere nel posto giusto solo perché c’è un cartello che indica il nome. Insomma, tutto meno turistico e grandioso di come ce lo aspettassimo.

Sembra un parco

Dopo aver lasciato la macchina, e aver ringraziato un inglese che con estrema gentilezza ci ha lasciato il suo tagliando, cosa per niente scontata da queste parti, ci incamminiamo per il sentiero indicato dalle frecce. Nella prima mezz’ora sono ancora perplessa. Le Seven Sisters mi sembrano nient’altro che un parco pubblico, con i bambini che girano in bicicletta e i sir con la coppola che portano a spasso i cani.

bianche dunePoi, improvvisamente il sentiero si apre e ci ritroviamo su una spiaggia, con le altissime scogliere che si stagliano su di noi, bianchissime e imponenti. I sette promontori a picco sul Canale della Manica sono separati da valli. Sia le sorelle maggiori sia le valli hanno ognuna un nome proprio o un aggettivo che le identifica. Avete presente il film del 1944 “Le bianche scogliere di Dover” con Irene Dunne e Alan Marshal? Ecco, quando un film è ambientato a Dover, in realtà viene girato alle Seven Sisters, perché sono più bianche, più alte e scenograficamente migliori. Eppure, siamo in piena estate e ci sono solo gruppetti sparuti a godersi la vista e la passeggiata! Nessuna costruzione, nessun punto di ristoro, niente di niente. Solo un centro di assistenti bagnanti per il salvataggio in acqua.

IMG_6528Ci arrampichiamo sulle scogliere, con un po’ di difficoltà perché la salita è ripida e di nuovo torna l’ormai nota sensazione di essere in pace con il mondo, con il vento che ti attraversa dappertutto alla ricerca dei tuoi segreti e la testa che si svuota dei pensieri e diventa leggera. Lo sguardo abbraccia l’orizzonte e la natura, di nuovo, emerge in tutta la sua grandiosità. E’ una sensazione straordinaria, mi sento in pace con il mondo e con me stessa, eppure così piccola di fronte all’universo. Se vi è mai capitato, sapete di cosa sto parlando. Ci perdiamo a zonzo per le scogliere, facendo attenzione a non cadere giù. I richiami alla sicurezza sono dappertutto, perché le rocce sono di origine calcarea, fragili e soggette a cedimenti improvvisi del tutto naturali. Un cartello ammonisce chiaramente: “siete responsabili della vostra sicurezza. Nessuno può sorvegliarvi meglio”. O qualcosa del genere.

IMG_6536Guardando il panorama dall’alto, ci rendiamo ben presto conto di aver commesso un errore strategico. Volendo ammirare leSeven Sisters dall’alto, avremmo dovuto scegliere l’altro versante del parco. Invece, siamo esattamente nel punto che chi si trova nel punto di osservazione migliore sta guardando! Decidiamo di scendere di nuovo in spiaggia e aspettare che la bassa marea apra un passaggio per passare dall’altra parte. I due versanti del parco, infatti, sono divisi da un canale che inizia praticamente nel cancello di entrata al parco. Ciò significa che se la bassa marea non aprirà un varco, saremo costretti a rifare tutta la strada dell’andata, attraversare un ponte e poi tornare indietro!

Cosa pensate che sia successo? Dopo ore di attesa, la bassa marea non ha aperto varchi. La voglia di ammirare le Seven Sisters, però, era troppo forte e allora abbiamo sacrificato i piedi per rifare due volte il tragitto. Che dirvi, ne valeva assolutamente la pena. A pomeriggio inoltrato, c’eravamo solo noi e tre ragazze coreane che facevano le prove di salto mentre le altre fotografavano. Il punto di osservazione è allestito con due panchine di legno, un cartello che indica il punto di osservazione e null’altro. Un’altra esperienza mistica, con le Sette Sorelle di fronte a noi, schierate, a fronteggiare la furia delle correnti e del vento con il loro bianco splendente.

Cenni di storia

Nel 1900 la compagnia britannica dei telefoni realizzò una linea sottomarina che collegava la Gran Bretagna alla Francia. Questa linea, requisita dall’esercito durante la guerra, venne fortificata per paura di attacchi via mare e utilizzata con un sistema di luci che avevano lo scopo di disorientare i piloti nemici. L’intera area è stata successivamente acquistata da un privato. Nel 2014, la zona è stata gravemente danneggiata dal maltempo, ma in questi tre anni è stata riportata totalmente allo stato originario, grazie anche ai donatori che hanno effettuato versamenti volontari per la ricostruzione.

Il rientro a Salisbury

Rientrando a Salisbury, ci accorgiamo di non aver mangiato, presi com’eravamo dallo stupore. Allora, ci fermiamo in uno dei pochi ristoranti che fa le ore piccole, perché sono le nove di sera e nella città di campagna è già tutto praticamente chiuso. All’interno del King’s Head Inn ho trovato un’altra sorpresa, degna di un viaggio letterario che si rispetti: una sala allestita come una biblioteca, stupenda! Nella sala, dominano i ritratti del poeta William Wordsworth, autore dei poemi “The Salisbury Plain” e dello scrittore Wilkie Collins, che apparteneva a una famiglia in vista di Salisbury.
Quante cose ho imparato in un solo viaggio! E non è ancora finita. Domani sarò a Winchester, dove è sepolta indovinate chi? Continuate a seguire le mie avventure inglesi per scoprirlo.

(continua)