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Il principe corvo di Elizabeth Hoyt strega Anna

Elizabeth Hoyt al suo esordio nei romance con Il principe corvo. Che poi, chissà perché, nella traduzione italiana diventa Il principe e la preda. Semmai, avrebbe dovuto essere Il principe preda. O il conte preda. Adesso vi spiego perché, continuate a leggere.

Trama

Anna Wren, giovane e sensuale vedova, per risollevare le proprie finanze decide di accettare un lavoro come segretaria di Edward de Raaf, conte di Swartingham. Uomo duro e scontroso, Edward ha già fatto scappare diversi dipendenti, ma con Anna è diverso: l’attrazione fra loro è forte fin dal primo incontro e cresce a ogni diverbio. Quando Anna scopre che Edward si reca a Londra per soddisfare i propri desideri, prende una decisione temeraria: introdursi nel bordello e passare con lui una notte di passione…

Due anime solitarie

La storia inizia a marzo del 1760 a Little Battleford, Inghilterra. Qui si incontrano casualmente due anime solitarie, per ragioni diverse. Entrambi hanno perso il coniuge ed entrambi hanno dei motivi per essersi ritirati dalla società, benché ancora giovani. Lei perché povera, lui per gli strascichi del vaiolo, che hanno lasciato sul volto e sulla pelle segni indelebili. Entrambi, hanno segni profondi nell’anima. Ma queste due anime non hanno molta intenzione di rimanere solitarie a lungo, perché comunque vogliono vivere. Ed è proprio in questo momento che si incontrano e la scrittrice decide di farli incontrare omaggiando Jane Eyre e il suo incontro con Edward Rochester (non casualmente lo stesso nome del protagonista). Qui non ci sono protagonisti perfetti, di una bellezza sfolgorante, che litigano per delle sciocchezze. Come in Jane Eyre, del resto. Anche se per Anna lui Aveva l’aspetto di un dio pagano.

Il principe corvo

Elizabeth Joy, al contrario, dipinge due protagonisti che risultano immediatamente simpatici. Ironici, intelligenti, di buon cuore. Cosa pensava che fosse? Un pene in affitto? Tutto quello che si chiede a due personaggi di un romance. Circondati, per di più, da persone a loro somiglianza. Addirittura, qui c’è una suocera che è quasi una mamma. Tuttavia il conte le parve come sempre:arruffato e scontroso, con i capelli e il cravattino fuori posto. Edward somiglia al Principe corvo, la favola che apre ogni capitolo e che finisce subito prima dell’epilogo. Un espediente che aggiunge interesse alle pagine, perché alla fine, oltre a sapere come andrà a finire tra Anna ed Edward, volevo anche sapere come sarebbe finita tra il Principe corvo e Aura! E Aura, ovviamente, non può che essere Anna. 

Passione sottaciuta 

Il romance di Elizabeth Hoyt scorre bene ed è una lettura piacevole, quindi lo consiglio per chi cerca una lettura d’amore non impegnativa e con scene di eros che aggiungono un tocco di piccantezza senza scivolare nel porno. I difetti? Essenzialmente due. Il primo è la velocità con cui Anna, fin lì donna mansueta che procaccia il sostentamento per la famiglia accettando un lavoro di solito riservato agli uomini, si trasforma improvvisamente in una donna audace che si infila in un bordello. Mi è sembrato tutto un po’ pretestuoso, avrei preferito che la passione sottaciuta tra i due salisse fino a non poter più fare a meno di presentarsi in questo bordello, non so se rendo l’idea. Quando leggerete mi saprete dire. 

Il principe corvo, perché cambiarlo?

Il secondo difetto riguarda, come al solito oserei dire, la traduzione italiana del titolo. Ma perché tradurre con Il principe e la preda il bel titolo scelto da Elizabeth Hoyt Il principe corvo? Andando anche a inficiare gli altri due titoli della serie Princes Trilogy (La trilogia dei principi)? Molto più bello. Qui non ci sono principi, perché lui è un conte, e non ci sono prede. Anzi, forse sì, ma è proprio il conte, non certamente Anna!  

p.s. rivolto a chi lo ha letto, io avrei preferito che il nome non fosse Elizabeth Rose, ma Aura Rose! Voi che ne dite? Perdoniamo all’autrice un peccatuccio veniale? Ma sì!

Adesso ditemi. Vi piace Elizabeth Hoyt? Quali altri suoi titoli consigliereste? 

***

«C’è chi dice che io abbia un carattere…» Si fermò come se stesse cercando la parola giusta.
Anna lo aiutò. «Selvaggio?»
Le lanciò un’occhiata.
«Feroce?»
Lui corrugò la fronte e aprì la bocca.
Lei fu più rapida. «Barbarico?»
Edward la interruppe prima che potesse allungare la sua lista. «Sì, insomma, diciamo
che mette in soggezione la gente.» Esitò. «Non desidero intimorirvi, signora Wren.»
«Non lo fate.»

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Ekaterina Gordeeva: My Sergei, che destino crudele

A love story, quella tra Ekaterina Gordeeva e Sergei Grinkov. Oggi è il giorno della finale del pattinaggio di coppia alle olimpiadi invernali di Pechino e dalla mia libreria non potevo non tirare fuori uno di quei libri che si incolla alle mani e che magicamente dallo scaffale finisce nella tua borsa. L’ho trovato a Budapest ed è finito nei miei, di scaffali. Ora vi racconto la storia di Ekaterina e Sergei. La storia meravigliosa di due grandi atleti che si sono innamorati. La storia crudele di un grande amore finito troppo presto.

Trama

La medaglia d’oro olimpica Ekaterina Gordeeva racconta la sua vita con il suo partner di lunga data e amato marito, Sergei Grinkov, dal loro primo incontro ai campionati mondiali di pattinaggio di coppia, dalla loro storia d’amore, culminata in un matrimonio da favola, al fatale attacco di cuore che ha portato via Sergei.

Un incontro combinato

Si sono incontrati per la prima volta quando lei aveva 11 anni e lui 15. Non esattamente un incontro del destino. Piuttosto, un incontro combinato. Secondo i rispettivi tecnici, quei due erano fatti per pattinare insieme sul ghiaccio e fare grandi cose. I tecnici dell’Urss raramente sbagliavano e anche con loro ci avevano visto giusto. A Calgary, nel 1988, è subito oro, anche se sono entrambi giovanissimi. La nascita della figlia Daria, nel 1991, non consente loro di partecipare ad Albertville 1992, ma a Lillehammer 1994 ci sono e vincono di nuovo. Sergei punta a Nagano nel 1998 e al terzo oro. Ekaterina pensa di non reggere la pressione di un’altra olimpiade, ma vede la speranza nei suoi occhi e non riesce a dirgli no. Stavolta è proprio il destino a decidere. Un attacco di cuore porta via Sergei, Seriozha con il nomignolo affettuoso con cui Ekaterina lo chiama, in un attimo, mentre sta facendo quello che amano di più, pattinare. Questa coppia magnifica non c’è più. Ed Ekaterina deve imparare a sorridere di nuovo: per Daria, che le sorride sempre. Daria, che ha 4 anni anni ed è la fotocopia del padre. Come lo è oggi, da adulta.

Guardate quanto sono emozionanti in questa finale olimpica. E quanto è emozionante il tributo a Sergei, dove Ekaterina danza da sola, con una presenza al suo fianco che tutti possiamo vedere.

Una fiaba dove l’amore regna

Prima siamo stati partner di pattinaggio. Poi amici. Poi amici stretti. Poi innamorati. Poi marito e moglie. Poi genitori. La loro è una favola, una favola in cui l’amore regna incontrastato. Fino a quel maledetto giorno, il 20 novembre 1995, quando Sergei si sente male sulla pista da pattinaggio durante un allenamento. Trasportato in ospedale, muore poco dopo, senza riprendere conoscenza. “Sembrava dormisse, era ancora caldo. Aveva ancora i pattini ai piedi. Glieli ho tolti io, E poi ho iniziato a parlargli, così, perché la nostra allenatrice mi ha detto che poteva ancora sentirmi”.

Il secondo tempo di Ekaterina Gordeeva

Dopo il funerale di Sergei, inizia la seconda vita di Ekaterina Gordeeva. E la sua vita ricomincia proprio durante un’esibizione per Sergei, dove lei danza sulle note della quinta sinfonia di Mahler, cercando con le braccia qualcuno che non c’è. O forse sì, sicuramente è lì con lei. Gli anni sono passati. C’è stato un altro matrimonio, un’altra figlia, che si chiama come me, Liza. Un divorzio e un terzo marito. Chissà se Ekaterina Gordeeva ha più ritrovato quella felicità assoluta. Nel libro dice di essere sicura di no, che quella felicità non sarebbe tornata mai più. E’ impossibile, sarebbe come cercare di trovare la cometa che è passata nel cielo la scorsa primavera e che passa sulla Terra solo una volta ogni diciassettemila anni. 

E mentre guardiamo la finale delle olimpiadi, sbirciamo il cielo. Magari potrebbe passare una cometa sopra Pechino. E quella cometa potrebbe essere Sergei, che continua a danzare per noi in mezzo alle stelle.

p.s. in foto, la coppia cinese in odore di medaglia d’oro. Buona visione! 😃

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Tutte le volte che ho scritto ti amo…è stato un disastro!

Ti amo, chi lo scrive più ormai? Per lettera, poi. Per San Valentino è un’accoppiata vincente: romanzo più serie Netflix e tanta, tanta dolcezza. Quella che Jenny Han dispensa a piene mani e che proviene da una famiglia mezza coreana e mezza americana. Evidentemente le ragazze Song/Covey hanno preso il meglio da entrambe le culture…

Trama

“Io adoro conservare le cose. Non cose importanti, come i documenti, i risparmi o la biodiversità. Sciocchezze e oggetti inutili. Nastri per capelli. Lettere d’amore. Le tengo in una cappelliera verde acqua. Non sono lettere d’amore che mi hanno scritto, perché non ne ho. Sono lettere che ho scritto io. Ce n’è una per ogni ragazzo che ho amato: cinque in tutto.” Lara Jean non ha mai apertamente dichiarato di essere cotta di qualcuno. Quello che fa è scrivere a ciascuno dei ragazzi di cui si è innamorata una lettera, che poi imbusta e custodisce gelosamente in una vecchia cappelliera. Un giorno, però scopre che tutte le lettere sono state spedite… e all’improvviso la sua vita diventa molto complicata, ma anche molto, molto più interessante.

Per tornare adolescenti

Questa serie su Netflix è arrivata al terzo film. I primi due molto carini, il terzo così così. Ve lo consiglio per una serata romanticosa, nella quale avete voglia di tornare un po’ adolescenti. Avete presente? I primi batticuori, i primi regalini, il primo bacio…quell’atmosfera di attesa che trasformava il San Valentino in una speranza che succedesse qualcosa di imprevisto. Magari che venisse recapitata una leggera inaspettata, oppure un cioccolatino lasciato sul banco, la scritta Ti amo col pennarello sotto casa. Cose così, semplici e buone come un bacio Perugina.

Leggerezza, ma non superficialità

Nel romanzo c’è la stessa leggerezza, però vengono affrontati argomenti importanti, come nella serie. La perdita prematura di un genitore, le difficoltà dell’altro nel crescere figli da soli, la necessità che la figlia più grande faccia da mamma alle altre, la cultura orientale che tutti tentano di preservare in famiglia, i turbamenti della crescita: le prime cotte, la scuola, il volontariato, il college e la libertà all’orizzonte. La difficoltà ad accettare che tutto e tutti cambino, prima o poi. Peccato che l’autrice, Jenny Han, perda troppo tempo nelle pagine iniziali a inquadrare la famiglia Song. Direi che il romanzo avrebbe potuto tranquillamente partire a pag 80 e nessuno si sarebbe offeso. Invece la serie parte a bomba con le lettere ed è giusto così.

Le lettere sullo sfondo

Altro punto di debolezza, proprio le lettere. Avrebbero dovuto essere più presenti, invece innescano tutte le vicende, ma rimangono sullo sfondo. E di alcune non sappiamo neanche che fine abbiano fatto. Invece, sarebbe stato più divertente calcare la mano sull’imbarazzo e sulle frasi più assurde. Perché. questo tipo di lettere, o di messaggi, le abbiamo scritte tutti vero? Confessate e nessuno si farà male! M’imbarazza solo pensarci, dopo tutti questi anni! A proposito, qual è la frase più imbarazzante che riuscite a ricordare? La  mia è improponibile, ma se qualcuno trova il coraggio di scrivere la sua, vi scrivo la mia nei commenti.

p.s. ti amo! 

Ah, a proposito: buon San Valentino! Anche se il romanzo finisce a Capodanno. Ma sarà davvero finita? O per Lara Jean ci sarà un’altra puntata?

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Charlotte Brontë e il luddismo di Shirley

Charlotte Brontë ha scritto in tutto quattro romanzi completi e uno completato da altri. Shirley è il secondo, pubblicato due anni dopo Jane Eyre. Sapete che Jane Eyre è il suo grande successo e anche il mio romanzo preferito. Shirley, invece? Con questa seconda prova, Charlotte Brontë si avventura nel romanzo sociale, abbandonando le atmosfere gotiche del primo libro. Anche qui, dimostrando tutta la sua maturità come donna e come scrittrice. Venite con me, vi racconto tutto. 

Trama

Yorkshire, inizio Ottocento. Shirley, giovane donna ricca e caparbia, si trasferisce nel villaggio in cui ha ereditato un vasto terreno, una casa e la comproprietà di una fabbrica. Presto fa amicizia con Caroline, orfana e nullatenente, praticamente il suo opposto. Caroline è innamorata di Robert Moore, imprenditore sommerso dai debiti, spietato con i dipendenti e determinato a ristabilire l’onore e la ricchezza della sua famiglia, minati da anni di cattiva gestione. Mentre da una parte Caroline cerca di reprimere i suoi sentimenti per Robert – convinta che non sarà mai ricambiata -, dall’altra Shirley e il suo terreno allettano tutti gli scapoli della zona…

Romanzo sociale 

Così possiamo definire questo secondo romanzo di  Charlotte Brontë. Mentre Jane Eyre era prevalentemente incentrato sulle vicende di Jane e sulla sua ricerca di un posto nel mondo, qui le nostre eroine sono immerse nella dura realtà della vita. Non che Jane non lo fosse, anzi, ma poco sappiamo del contesto sociale in cui si muovono i personaggi. Invece, in Shirley il momento storico fa da motore delle vicende e dei sentimenti umani che Charlotte Brontë ci narra. Il progresso industriale sta portando con sé un’instabilità sociale fortissima. Le macchine si stanno sostituendo agli uomini, famiglie intere rischiano di morire di fame e di non riuscire a ricollocarsi. D’altra parte, gli industriali vogliono produrre di più e a costi inferiori, non sono disposti ad ascoltare le istanze di chi chiede di rallentare. Ancora una volta, la sensibilità e la bravura di questa scrittrice emergono prepotenti. Seguiamo, certo, le vicende di Caroline, Shirley e Robert, ma fraternizziamo anche con gli operai disperati e, un po’ meno ma sì, anche con loro, i proprietari di fabbrica, che si sono accollati un debito enorme per comprare macchinari distrutti dalla furia dei rivoltosi, fenomeno che nei libri di storia è conosciuto come luddismo. 

Shirley e Caroline 

In Shirley, Charlotte Brontë abbandona le atmosfere gotiche di Jane Eyre e abbraccia nuovamente l’idea di donna forte, indipendente e originale che è il suo marchio di fabbrica. Shirley è una giovane donna ricca, che sa il fatto suo. Si interessa delle vicende sociali ed economiche che la circondano, prende parola e dà direttive, è padrona dei suoi averi e del suo tempo. E nei confronti di Caroline si pone come una sorella maggiore. Caroline è un’orfana, accolta in casa da uno zio che non le fa mancare nulla, ma che non le dà amore. Lei sta cercando il suo posto nel mondo e vorrebbe inziare a lavorare come istitutrice, per rendersi indipendente da quello zio così freddo. Solo, non è facile convincere gli altri che una donna può lavorare e mantenersi invece di aspirare al matrimonio. Matrimonio che non prende neanche in considerazione perché disperatamente innamorata di Robert. Non, però, così innamorata da non rendersi conto che la società impone a Robert una scelta basata sulla convenienza economica, che la esclude automaticamente. Shirley, invece, sì che sarebbe un’ottima compagna per lui e lei è disposta a farsi da parte. Ma cosa ne pensano gli interessati?

Forse, con un titolo diverso…

Charlotte Brontë è bravissima a coinvolgere i suoi lettori e anche stavolta il romanzo scorre via in pochissimo tempo. Cosa ne sarà di questo trio? Non posso dirvi troppo per non rovinarvi la lettura, dico solo che se Jane Eyre è il suo romanzo più famoso, e anche il mio preferito, Shirley non è meno interessante. Forse, con un titolo diverso, ma ahimè i nomi femminili all’epoca andavano di moda, avrebbe avuto più successo. In ogni caso, è sicuramente una lettura che vi consiglio.

Magari, se siete anche voi delle accanite (ri)lettrici di Jane Eyre, scrivetemi nei commenti quale dei due preferite e perché! 

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Jane Eyre – Charlotte Brontë

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Il caso Jane Eyre – Jason Fforde

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Jun Oppa e il dopo di noi di Keum Suk Gendry-Kim

Dopo Le malerbe, vi dico subito che anche Jun di Keum Suk Gendry-Kim è da cinque stelle nella mia personale classifica. Non so decidermi su quale dei due preferisca, l’unica cosa certa è che ora dovrò recuperare tutti i lavori precedenti di quest’autrice e aspettare che escano quelli nuovi! Ma chi è Jun? Ora vi racconto tutto.

Trama 

Jun nasce nel 1990. A due anni e mezzo ancora non parla e i medici dicono ai genitori che è autistico. Dopo aver tentato di aiutarlo in ogni modo, decidono di lasciargli frequentare la scuola, ma lo sguardo degli altri non è benevolo, su di lui. Da sempre sensibile ai suoni e ai rumori, Jun scopre la musica e, quando ormai tutti in famiglia erano rassegnati, avviene qualcosa di prodigioso: Jun finalmente parla, canta, suona il piano, la chitarra, la batteria, impara il canto tradizionale Pansori. Registra album, compone centinaia di brani. Fiorisce. La storia è raccontata dal punto di vista della sorella minore Yunsun, e il suo sguardo semplice e senza pregiudizi fa sorridere, e a tratti commuovere spontaneamente il lettore, come solo i bambini sanno fare. E Jun.

L’autismo, una storia vera (e ricorrente)

Fino a pochi anni fa, viveva nel mio palazzo una famiglia con un figlio autistico non autosufficiente. Chiaramente anche questa famiglia viveva le problematiche di una disabilità grave in casa, ma a volte mi fermavo a pensare alla sorella, che la mamma mi aveva detto essere tornata in casa perché loro, i genitori, non riuscivano più da soli a gestire la situazione. Liti e urla erano pane quotidiano, si percepiva la sofferenza di questa ragazza. Leggere la storia di Jun e della sorella Yunsun mi ha riportato alla mente quella famiglia. Chissà se saranno riusciti a trovare una parvenza di equilibrio. La storia di Keum Suk Gendry-Kim è molto realistica e parla al cuore. Racconta la scoperta del problema, i tentativi anche goffi di risolverlo con guaritori miracolosi, l’accettazione della condizione e una strada, un piccolo spiraglio, che si apre in modo imprevedibile. Ma in famiglia i punti di vista sono diversi: se per i genitori l’attenzione verso Yun è totalizzante, la sorella avrebbe diritto a vivere spensierata e non può, perché è nata immersa in questa bolla creata dai suoi per proteggere il figlio e loro stessi dalla maldicenza, dagli sguardi curiosi o spaventati. Da un mondo ostile senza appello. 

Il dopo di noi

Keum Suk Gendry-Kim racconta le vicende di questa famiglia con piglio diretto, senza girarci intorno. Se succede una disgrazia come questa, la vita prende una piega inaspettata e non ci sarà nessuno disposto ad aiutare. Ecco, forse questo è l’aspetto che mi ha colpito di più. La famiglia è sola, completamente sola, ad affrontare un problema più grande di lei. Anche due frasi dette da Yunsun e la sua mamma mi hanno fatto riflettere parecchio e mi tornano in mente ancora adesso, a libro chiuso. Yunsun a un certo punto afferma che non si farà mai una famiglia, perché chi guarderebbe Jun? I genitori hanno proposto una soluzione, ma lei non vuole pensarci: “farò come Jun, che vive solo il momento presente“. L’altra, è una frase terribile della mamma: “spero solo di poter vivere un solo giorno più di Jun“. Sopravvivere al proprio figlio è qualcosa che nella mente di un genitore non dovrebbe neanche esistere. Eppure, la mamma di Yun ha un pensiero fisso in testa: il dopo di noi. Chi lo gestirà? In base a quali criteri? Il dopo di noi, argomento dibattuto anche da noi: dopo la morte dei genitori, come assicurare una vita dignitosa alle persone non autosufficienti? 

Triste? Assolutamente no

Da questa mia descrizione, penserete di trovarvi di fronte a un graphic novel tristissimo. Invece no, la matita di Keum Suk Gendry-Kim non scade mai nel pietismo e nella commiserazione, né nella celebrazione di doti eccezionali. Jun ha trovato un suo posto nel mondo, anche se microscopico, e la famiglia un certo equilibrio. Possono, forse, fare delle prove di felicità, finalmente. Anche questa storia, come Le Malerbe, si chiude per me con un sentimento di speranza. Yun e Yunsun ce la faranno, perché è l’amore il loro fattore X e la loro forza. Mi dispiace che nella versione italiana sia saltato Oppa, credo che sia fondamentale per capire il legame tra i due.

Anche stavolta, mi sento di consigliarvi questo racconto e di lasciarvi come chicca questa intervista all’autrice, dove spiega perché ha deciso di non disegnare al computer ma a mano libera e come ha trovato una sua voce per distinguersi come artista. Io credo che ci sia riuscita, unendo esperienze di vita, capacità tecniche e di ascolto non indifferenti, nonché una buona dose di curiosità giornalistica. Un mix potente, vedrete.

Il problema, ora, sarà trovare graphic novel all’altezza. Mi date qualche dritta? Aspetto i vostri suggerimenti e riflessioni! 

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