A neve ferma – Stefania Bertola

Mi sono accorta che tendo a scegliere Stefania Bertola dopo una lettura impegnativa. A La donna giusta di Sándor Máraiavevo associato Aspirapolvere di stelle. Stavolta, a La cena di Herman Koch ho fatto seguire A neve ferma. E sì, perché dopo una lettura disturbante, un po’ di rilassamento ci vuole e la scrittrice torinese in questo è l’ideale.

Trama

Emma, aiutante pasticcera, perde l’amore della sua vita tre giorni dopo averlo trovato. Elena lo sta cercando da trent’anni. Camelia, invece, si innamora continuamente, di chiunque. Bianca è impegnata in una battaglia contro un giovane dottore, più volte ladro. Il tutto gravita, fra ricette paradisiache, intorno alla pasticceria Delacroix di Torino

Bakeoff in salsa torinese 

Stefania Bertola si muove nel solco cui ci ha abituato: un gruppo nutrito di personaggi, una storia surreale ma tutto sommato credibile, dinamiche scoppiettanti tra i protagonisti. Tanto che il tempo di lettura difficilmente supera i due giorni, perché una pagina tira l’altra, come le ciliegie. In questo romanzo, rispetto ai precedenti, ho trovato il panorama un po’ affollato, tanto che all’inizio ho fatto fatica a inquadrare le caratteristiche di ognuno. La storia prende garbatamente in giro i vari concorsi, reality, chef stellati e chi più ne ha più ne metta sulla cucina, che imperversano in televisione a tutte le ore e in tutti i palinsesti. Senza però scadere nell’eccesso di critica. In fondo, anche il patron della pasticceria Delacroix è un buono, nonostante sia presentato nelle prime pagine come un vero cerbero.

Nessuno sembra porsi domande

Forse, questo “buonismo” alla lunga finisce per rendere la storia più fantasiosa di quanto richiesto. Per esempio, Emma viene scelta tra tutti gli aiutanti per rappresentare la pasticceria in un concorso internazionale importantissimo, anche per la soppravvivenza della pasticceria stessa. Nessuno reagisce più di tanto. E mai possibile che in un posto di lavoro qualsiasi (pensate per un attimo al vostro) nessuno protesti o si ammali d’invidia per questa scelta? No, ve lo dico io. Eppure,  Zhang e Zlatan, gli altri due papabili, rimangono pacifici e amiconi. Oppure ancora, quando Camelia, una ragazza sempliciotta che neanche lavora lì, scavalca Emma e viene incaricata di rappresentare la pasticceria al concorso, nessuno si chiede perché. Che relazione ci sarà tra Corrado Delacroix e Camelia, a parte il fatto che lei sia la nipote della storica amante di lui, il capo degli aiutanti signora Elena? Nessuno sembra porsi la domanda.

Personaggi stereotipati 

Altro elemento sempre ricorrente nei suoi romanzi, il carattere volutamente stereotipato dei personaggi: c’è sempre la coppietta giovanissima e ignorante che fa tenerezza, qui Tinco e Valentina, la svampita molto creativa e destinata a grandi successi professionali, Bianca, la protagonista che sa il fatto suo e non deve dimostrare niente a nessuno, Emma. Gli uomini sono sempre di successo e anche carini, anche con le donne, il che non guasta. Solo che sembrano tutti a una sola dimensione, tratteggiati nella loro caratteristica principale e non di più.

Meringa e zucchero

La vera forza di Stefania Bertola, allora, a parte la bravura nello scrivere, sta tutta nella capacità di farti immergere per un attimo nel suo mondo di meringa e zucchero. Che puo goderti solo se sei capace di sbattere le chiare a neve ferma. Appunto.

Leggi anche:

Altri romanzi ambientati a Torino: Rossovermiglio, di Benedetta Cibrario

La cena fratricida di Herman Koch

Qualche tempo fa in televisione ho visto un film, “I nostri ragazzi”, con Alessandro Gassman, Lo cascio, Mezzogiorno e Bobulova. Il solito film sulla borghesia italiana, ho pensato. Invece, la storia era tutt’altra e alla fine mi ha lasciato insoddisfatta. Non so, film realizzato bene, ma mancava qualcosa. Quindi, ho preso in mano l’originale: La cena, il romanzo di Herman Koch da cui è tratto. La storia di genitori che per difendere i figli sarebbero disposti a tutto, anche a coprire degli assassini. E sì, nel film qualcosa mancava. E’ solo leggendo il romanzo che ho trovato risposta alle mie perplessità.

Trama 

Due coppie a cena in un ristorante di lusso. Si raccontano i film che hanno visto, i progetti per le vacanze. Ma il motivo per il quale si sono incontrati è grave. I loro figli quindicenni, Michel e Rick, hanno picchiato e ucciso una barbona. Videocamere di sicurezza hanno ripreso gli eventi e le immagini sono state trasmesse in televisione. Paul Lohman, il padre di Michel, si riconosce nel figlio per la stessa attrazione verso la violenza. Serge, il fratello di Paul, è il padre del complice. Secondo i sondaggi, è favorito come nuovo Primo ministro olandese. Uno scandalo sarebbe la fine della sua carriera politica. Babette, la moglie di Serge, sembra più interessata all’elezione che al futuro del figlio. Claire, la moglie di Paul, vuole proteggere Michel a ogni costo. Ma quanto sa di ciò che è realmente accaduto? I quattro cosa saranno capaci di fare per difendere i loro figli?

Bullismo o pura violenza?

Non è un caso che abbia deciso di leggere questo romanzo di Herman Koch proprio ora. Solo qualche giorno fa, l’ennesimo caso di “bullismo” in Italia mi ha lasciato davvero sconcertata. Prima di tutto, perché uccidere un uomo non è esattamente agire da bulli, come hanno riportato i tg, ma da delinquenti. Secondo, perché come spesso succede, tutti sapevano e nessuno li ha fermati. Quante volte è già capitato? E quante altre volte succederà? Sarei pronta a scommettere che saranno tante, troppe. Ma qual è il meccanismo che scatta? Il romanzo di Herman Kock apre una fessura su quello che tutti sanno e nessuno dice: i figli non sono sempre persone che ci metteremmo dentro casa. Eppure, cosa siamo disposti a fare per loro? O meglio, certi genitori quali patti con il diavolo firmerebbero purché i loro pargoli non venissero toccati?

Paul

Nel romanzo, Herman Koch sceglie il punto di vista di Paul. Parla in prima persona e racconta fatti che mi hanno aiutato a inquadrare meglio il contesto in cui è avvenuto il fatto. Il primo elemento è questo: c’è sempre un motivo e un contesto in cui i fatti avvengono. I delinquenti, gli assassini, lo sono per natura e per opportunità, quasi mai per caso. All’inizio, Paul sembra ragionevole, dissacrante quanto basta per avermi fatto apprezzare il suo giudizio sul mondo. Paul sembra un ingenuo, un fratello che soffre nell’ombra di un uomo di successo. Un uomo che, però, ha problemi coniugali. Mentre Paul sembra soddisfatto della sua famiglia felice.

La famiglia felice

Già, la sua famiglia felice. Una famiglia così felice che ha bisogno di prenotare un tavolo in un ristorante affollato per affrontare un tema grave.

“Tutte le famiglie felici si somigliano, ciascuna famiglia infelice è infelice a suo modo”: così recita l’incipit di Anna Karenina di Tolstoj. Si potrebbe aggiungere che le famiglie infelici, e soprattutto le coppie infelici, non riescono mai a stare da sole. Più testimoni ci sono, meglio è. L’infelicità è costantemente alla ricerca di compagnia. L’infelicità non tollera il silenzio, specialmente quei silenzi imbarazzati che calano quando si è soli.”

I figli, così innocenti, così puri, con tutta la vita davanti, hanno ucciso una barbona. Perché? Perché puzzava. Mi è sembrato quasi un déjà vu de Il profumo di Patrick Süskind: nonostante le nostre maniere civili, siamo animali e in base all’odore decidiamo se una persona ci piace o no, se può rimanere a questo mondo o esserne emarginata, se ha classe o meno. I figli ragionano così. E i genitori? Se possibile i genitori sono peggio: sotto la maschera di perbenismo nascondono violenza, rancore, odio, attenzione alle apparenze, ingordigia. Le persone che girano loro intorno sono ossequiose: in fondo, si tratta di ospiti di riguardo, a cui chiedere un selfie e magari un aiuto per il futuro.

Un abile burattinaio

Come finirà? Non bene, questo è certo. Herman Koch è un abile burattinaio. Ti porta fuoristrada, poi raddrizzi il volante, scarti a destra, riprendi la strada e, infine, finisci in un fosso. Come è giusto che sia: in una società che fa finta di non vedere, che non interviene, che si gira dall’altra parte, potrebbero dei bravi e affettuosi genitori non tutelare i loro studiosi e geniali figli solo perché hanno compiuto una bravata? Chi di noi, in fondo, non ne ha fatta una da ragazzo? Non vi svelo altro della lettura per non togliervi il gusto dei colpi di scena che si susseguono dove apparentemente non succede nulla. Vi dico solo che è da leggere: niente è come sembra, nessuno è quello che appare, tutti fingono con tutti. All’unico che in parte si salva, o che cerca di essere uno qualunque, uno di noi, affido l’unico sprazzo di umanità che mi tira fuori dal fosso di cinismo in cui sono precipitata.

Se l’avete letto, scrivetemi nei commenti cosa ne pensate di questo bel quadro di Herman Koch! 🙂

 Leggi anche: 

Che dolce ordinano a cena?

La Dame Blanche, dessert estivo da 5 minuti 5

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

 

Il mistero del London Eye – Siobhan Dowd

Mi piacerebbe poter dire “hei, ragazzi, questa è un’autrice da tenere d’occhio per il futuro!”. Purtroppo non è possibile, perché Siobhan Dowd se n’è andata troppo, troppo presto. Per fortuna, ha fatto in tempo a lasciarci un’eredità di libri per ragazzi strepitosi. Il mistero del London Eye è il primo che ho letto, non il migliore, dicono. Immagino gli altri, allora. Perché Ted, Kat e compagnia mi hanno tenuto incollata alle pagine fin dall’incipit.

Trama

Ted ha un cervello in cui gira un sistema operativo diverso da quello delle altre persone. Ha la fissa della meteorologia e dei numeri e vive a Londra con i genitori e  sua sorella Kat. Ted non sa dire bugie ed esaspera i genitori e la sorella. Un giorno arriva una lettera che annuncia l’arrivo della zia di Ted, “l’uragano Gloria”, e di suo figlio Salim, i quali resteranno da loro per qualche giorno prima di trasferirsi a New York. Decidono di fare un giro della città e i cugini lo portano sul London Eye. Salim sale prima di loro perché gli è stato regalato un biglietto da un uomo che dice di soffrire di claustrofobia. Ma quando Ted, che ha seguito il percorso della capsula per tutto il tempo, e Kat lo aspettano all’uscita, non lo vedono arrivare. Mentre la polizia lo cerca, i due fratelli decidono di condurre da soli le indagini…

Il mondo di Ted 

Io e mia sorella Kat abbiamo portato nostro cugino Salim al London Eye, la grande ruota panoramica di Londra, perché non c’era mai stato. Lunedì 24 maggio alle 11.32 lo abbiamo visto salire. Lunedì 24 maggio alle 12.02 la sua capsula ha finito il giro, le porte si sono aperte e tutte le persone sono uscite. Tranne Salim, che si è volatilizzato. 

Ted non è come gli altri. Ted ha un cervello che lavora a modo suo. Il ragazzino ha la sindrome di Asperger, che nel romanzo non viene mai nominata. Forse perché è lui stesso a raccontarci i fatti così come si sono svolti secondo lui e secondo gli altri. O forse perché non è così importante. L’unica cosa che conta è ritrovare Salim e capire che fine abbia fatto. E’ stato rapito? E’ scappato?

Diverso non è peggiore, né migliore

In duecento pagine, Siobhan Dowd è riuscita a farmi entrare nel mondo di Ted. A capire cosa c’è dietro alcuni suoi comportamenti inspiegabili, a osservare il mondo da un punto di vista differente. A seguire dei ragionamenti che stanno in piedi. Eccome, se funzionano! Avete presente gli attacchi che subisce Greta Thunberg a causa del suo aspetto? A Ted succede lo stesso.  Pensate che il mondo sia tollerante con chi non può nascondere la sua diversità? Ovviamente no. Ma Salim ha rispetto per il cugino, lo considera un ragazzino intelligente. E Ted lo è davvero, solo che nessuno lo ascolta. Nessuno tranne una poliziotta, che pur di risolvere il caso sarebbe disposta a raccogliere indizi da chiunque, soprattutto gli unici testimoni della sparizione. In questo caso, due fratelli che sono come cane e gatto, perché quando in famiglia ci sono problemi di questo tipo, a soffrirne sono soprattutto i fratelli. Ma i fratelli sono anche la nostra forza per affrontarlo, questo mondo. Ne sono un esempio la madre e la zia dei piccoli protagonisti, che si ritrovano proprio grazie a questa vicenda. 

Per capire, basta mettersi nell’angolo opposto

Alla fine proprio la poliziotta ci dà la chiave del romanzo: tutti possono dare il loro contributo nel mondo, basta saper ascoltare e aprirsi agli altri, anche a quelli che sono lontani anni luce da noi. In fondo, la radice del bullismo e della delinquenza non è la paura del diverso? Non si alimenta con la forza del gregge? Anche Salim è un diverso, è mezzo indiano. E ha dovuto imparare a difendersi e a farsi rispettare dal gregge. Forse per questo tra lui e Ted si crea subito una corrente sotterranea. Insomma, un romanzo “per ragazzi” che consiglio soprattutto a loro, ai ragazzi sopra i 12 anni, e anche agli adulti, perché non è mai troppo tardi per imparare a variare angolazione, nella vita. Perché, come dice giustamente Simonetta Agnello Hornby nella prefazione, “siamo tutti sullo spectrum autistico – chi piú, chi meno“. 

Altri libri sull’autismo

La mia voce arriva dalle stelle – Hugo Horiot

“A scuola dicono che sono lento di cervello. Non sanno come vanno veloci le immagini nella mia testa. Dentro di me, perché è vietato rispondere davvero ai professori, dico che io sono un aquilone, cosa aspettano a lasciarmi andare? Cerco di trascorrere il maggior tempo possibile dentro la mia testa, e questo agli altri non piace. Io sogno da addormentato e sogno da sveglio. Sono un sognatore, dicono. E il mondo non ama i sognatori.” 

Altri libri per ragazzi 

La Quiche Lorraine che scalda l’anima

In una ciotola, sbattete le uova e aggiungete la panna, sbattendo con una frusta per farle amalgamare. Aggiungete sale, pepe nero e una generosa dose  di noce moscata (se vi piace). Mescolate il tutto ancora una volta.

A questo punto siete pronti per assemblare il tutto. Imburrate e infarinate uno stampo da 24 cm. Stendete la pasta brisée con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia sottile e poi ricoprite lo stampo, eliminando la parte in eccesso. Bucherellate il fondo con una forchetta.

Sul fondo, spargete la pancetta ed emmenthal grattuggiato a pioggia. Ricoprite versando versando il composto di panna e uova.

Infornate la quiche e cuocetela per circa 40 minuti. Dopododiché controllate: la quiche è pronta quando la panna si è addensata e si presenta dorata in superficie, con la pasta brisée ben cotta.

Sfornate la vostra quiche lorraine e lasciatela intiepidire prima di servirla.

Note

  • la quiche lorraine dà il suo meglio tiepida. Se riuscite a resistere;
  • al contrario di altre torte salate, non diventa più buona col trascorrere delle ore;
  • potete conservarla in frigorifero al massimo per due giorni. Ma finirà prima, ve lo assicuro;
  • potete anche congelarla, dopo averla fatta raffreddare; 
  • invece della torta intera da tagliare a fette, potete optare per le monoporzioni.  

IMG_9274

Leggi anche: 

Sex and the City tour: An (American) Girl In Paris

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

Parigi val bene una messa. E una mousse al cioccolato

Contenuto non disponibile
Consenti i cookie cliccando su "Accetta" nel banner"

Amami ancora – Tracy Culleton

Tracy Culleton mi restituisce un po’ di fiducia nelle storie romance, dopo le ultime letture francamente insoddisfacenti. Il romanzo scorre veloce, mentre ci pone di fronte a un interrogativo: che succede quando un matrimonio affronta un momento di stanca? E se è lei a tradire lui e lui se ne accorge? Grace si infila in un bel pasticcio, non ci sono dubbi. E a noi non rimane che stare a guardare per vedere come riuscirà a uscirne. Anzi, se riuscirà a venirne fuori…

Trama 

L’inquieta trentaquattrenne Grace non è soddisfatta della propria vita. Abita in una bella casa vicino a Dublino ed è sposata da otto anni con Dev, un uomo affascinante. Col tempo però la passione si è affievolita e Grace non si sente più desiderata dal marito. Per questo quando il suo capo Darius comincia a guardarla con interesse, lei cede e finisce tra le sue braccia. Sembra un’avventura, ma Dev scopre tutto e improvvisamente Grace perde ogni cosa: il marito, il lavoro e pure la sua migliore amica…

Gente di Dublino

Tracy Culleton con me è partita subito bene. Nelle prime pagine di Grace under pressure (Grace sotto pressione, come sempre la traduzione italiana non c’entra niente e il titolo originale è invece azzeccato) mi ritrovo una citazione “Io e Grace siamo gente di Dublino e non avremmo mai potuto allontanarci dalla città“.  Cioè, quella che penso e spero fortemente sia una citazione, di James Joyce, Gente di Dublino, il cui tema centrale era proprio l’immobilismo. E anche, per inciso, uno dei miei classici preferiti. Quindi, abbiamo una coppia stanca anche se ancora giovane e con pochi anni di matrimonio. Vivono in una casa pagata tantissimo per colpa della bolla immobiliare della tigre celtica. Come qualuno di voi ricorderà, così veniva chiamata l’Irlanda qualche anno fa. Lui è un impiegato che non ama il suo lavoro, lei una donna di 34 anni che lavorativamente non ha trovato la sua strada. Fatto sta che viene spinta dal marito e dalla sua migliore amica Cara a trovarsi un lavoro. E lei lo fa: massaggiatrice olistica. Viene assunta da una palestra e qui conosce Darius.

Ahiahiahi

E qui cominciano i guai. Quella che sembrava un’avventura senza importanza diventa un boomerang per Grace quando Dev scopre tutto. Ovviamente, il marito è un uomo tutto d’un pezzo e Grace il suo matrimonio dovrà sudarselo. In tutti i sensi, tanto che finisce per ritrovarsi in una comune a spalare m…sì, avete capito. Come continua non ve lo racconto, altrimenti vi tolgo il gusto della lettura. Dico solo che Tracy Culleton è brava a mescolare ironia, rabbia, zucchero sufficiente a far rientrare il romanzo nel genere romance ma nulla di più, per servirci poi un caffè dolceamaro nel finale.

Una seconda possibilità non si nega a nessuno

Quindi lettura consigliata? Sì, senza dubbio. L’unico aspetto a cui fare attenzione è l’atteggiamento manicheista dei personaggi, parenti e amici della fedigrafa, probabilmente dovuto all’impostazione irlandese della società. Insomma, sembra che questa povera Grace abbia ucciso qualcuno e che il povero Darius abbia compiuto chissà quale delitto. Mi sarebbe piaciuto un riconoscimento un po’ più deciso del fatto che tutti sbagliamo e tutti abbiamo diritto a una seconda possibilità. In fondo, caro Dev, per annoiare tua moglie in quel modo, un po’ di responsabilità l’avrai avuta anche tu, sei d’accordo?

Voi che ne pensate? Il tradimento è perdonabile, oppure no?

Leggi anche: 

Sempre sul matrimonio, sempre a Dublino: La metà di niente, di Catherine Dunne

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi