Certe ragazze…la domenica preparano l’arrosto

“C’è l’arrosto! Fantastico!”, applaudì Elle mentre si sedeva sinuosa sulla sedia. “Fa così casa!” Rimase seduta mentre io portavo a tavola la carne, le patate e l’insalata. E’ vero, l’arrosto fa casa. E allora prendiamo esempio da Jennifer Weiner e il romanzo Certe ragazze per preparare un piatto unico semplice, super adatto al pranzo della domenica, e che mette sempre d’accordo (quasi tutti).

Ingredienti per 4 persone

  • arista o di lonza di maiale, 1 kg;
  • patate, 1 kg;
  • aglio, 1 spicchio
  • vino bianco secco, mezzo bicchiere;
  • rosmarino, 1 rametto;
  • mirto o ginepro, 4 bacche;
  • alloro, 2 foglie;
  • salvia, 4 foglie;
  • olio extravergine di oliva, q.b.
  • sale e pepe, q.b.

Procedimento

Tritate finemente aglio, rosmarino, salvia, alloro e le bacche di ginepro, o di mirto. Aggiungete il sale e macinate il pepe. Se non avete le erbe fresche, andrà benissimo anche un mix pronto. Insaporite la carne con gli aromi, aggiungendo sale e pepe, e massaggiatela, legandola ben stretta con uno spago da cucina. Potreste semplificare questo passaggio facendo comprando un pezzo di arrosto già legato, procedendo al solo massaggio. 

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Scaldate l’olio in una padella, mettete la carne e fatela rosolare su tutti i lati a fiamma vivace (anche in verticale, per i capi del “salamino”!). Se volete, potete sfumare con il vino, altrimenti andrà bene senza.

Nel frattempo, accendete il forno a 180°, modalità statica, sbucciate le patate e tagliatele a spicchi. Trasferitele nella pirofila insieme all’arrosto, insaporendole con sale e pepe. Passate la pirofila in forno e lasciate cuocere per circa un’ora, aprendo a metà cottura per girare sia la carne sia le patate.
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Dopo un’ora, controllate la cottura. La carne sarà pronta quando, bucandola con uno stecchino, uscirà del liquido chiaro. Se non è chiaro, proseguite per qualche minuto e rifate la prova. A cottura ultimata sfornate, togliete lo spago, tagliate a fette e servite l’arrosto su un piatto da portata insieme alle patate e a una bella insalata.
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Che ne pensate di questa ricetta? Vi piace l’arrosto di maiale o preferite altri tagli? Raccontatemi come lo preparate perché faccia “casa” anche per voi! 
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Jun Oppa e il dopo di noi di Keum Suk Gendry-Kim

Dopo Le malerbe, vi dico subito che anche Jun di Keum Suk Gendry-Kim è da cinque stelle nella mia personale classifica. Non so decidermi su quale dei due preferisca, l’unica cosa certa è che ora dovrò recuperare tutti i lavori precedenti di quest’autrice e aspettare che escano quelli nuovi! Ma chi è Jun? Ora vi racconto tutto.

Trama 

Jun nasce nel 1990. A due anni e mezzo ancora non parla e i medici dicono ai genitori che è autistico. Dopo aver tentato di aiutarlo in ogni modo, decidono di lasciargli frequentare la scuola, ma lo sguardo degli altri non è benevolo, su di lui. Da sempre sensibile ai suoni e ai rumori, Jun scopre la musica e, quando ormai tutti in famiglia erano rassegnati, avviene qualcosa di prodigioso: Jun finalmente parla, canta, suona il piano, la chitarra, la batteria, impara il canto tradizionale Pansori. Registra album, compone centinaia di brani. Fiorisce. La storia è raccontata dal punto di vista della sorella minore Yunsun, e il suo sguardo semplice e senza pregiudizi fa sorridere, e a tratti commuovere spontaneamente il lettore, come solo i bambini sanno fare. E Jun.

L’autismo, una storia vera (e ricorrente)

Fino a pochi anni fa, viveva nel mio palazzo una famiglia con un figlio autistico non autosufficiente. Chiaramente anche questa famiglia viveva le problematiche di una disabilità grave in casa, ma a volte mi fermavo a pensare alla sorella, che la mamma mi aveva detto essere tornata in casa perché loro, i genitori, non riuscivano più da soli a gestire la situazione. Liti e urla erano pane quotidiano, si percepiva la sofferenza di questa ragazza. Leggere la storia di Jun e della sorella Yunsun mi ha riportato alla mente quella famiglia. Chissà se saranno riusciti a trovare una parvenza di equilibrio. La storia di Keum Suk Gendry-Kim è molto realistica e parla al cuore. Racconta la scoperta del problema, i tentativi anche goffi di risolverlo con guaritori miracolosi, l’accettazione della condizione e una strada, un piccolo spiraglio, che si apre in modo imprevedibile. Ma in famiglia i punti di vista sono diversi: se per i genitori l’attenzione verso Yun è totalizzante, la sorella avrebbe diritto a vivere spensierata e non può, perché è nata immersa in questa bolla creata dai suoi per proteggere il figlio e loro stessi dalla maldicenza, dagli sguardi curiosi o spaventati. Da un mondo ostile senza appello. 

Il dopo di noi

Keum Suk Gendry-Kim racconta le vicende di questa famiglia con piglio diretto, senza girarci intorno. Se succede una disgrazia come questa, la vita prende una piega inaspettata e non ci sarà nessuno disposto ad aiutare. Ecco, forse questo è l’aspetto che mi ha colpito di più. La famiglia è sola, completamente sola, ad affrontare un problema più grande di lei. Anche due frasi dette da Yunsun e la sua mamma mi hanno fatto riflettere parecchio e mi tornano in mente ancora adesso, a libro chiuso. Yunsun a un certo punto afferma che non si farà mai una famiglia, perché chi guarderebbe Jun? I genitori hanno proposto una soluzione, ma lei non vuole pensarci: “farò come Jun, che vive solo il momento presente“. L’altra, è una frase terribile della mamma: “spero solo di poter vivere un solo giorno più di Jun“. Sopravvivere al proprio figlio è qualcosa che nella mente di un genitore non dovrebbe neanche esistere. Eppure, la mamma di Yun ha un pensiero fisso in testa: il dopo di noi. Chi lo gestirà? In base a quali criteri? Il dopo di noi, argomento dibattuto anche da noi: dopo la morte dei genitori, come assicurare una vita dignitosa alle persone non autosufficienti? 

Triste? Assolutamente no

Da questa mia descrizione, penserete di trovarvi di fronte a un graphic novel tristissimo. Invece no, la matita di Keum Suk Gendry-Kim non scade mai nel pietismo e nella commiserazione, né nella celebrazione di doti eccezionali. Jun ha trovato un suo posto nel mondo, anche se microscopico, e la famiglia un certo equilibrio. Possono, forse, fare delle prove di felicità, finalmente. Anche questa storia, come Le Malerbe, si chiude per me con un sentimento di speranza. Yun e Yunsun ce la faranno, perché è l’amore il loro fattore X e la loro forza. Mi dispiace che nella versione italiana sia saltato Oppa, credo che sia fondamentale per capire il legame tra i due.

Anche stavolta, mi sento di consigliarvi questo racconto e di lasciarvi come chicca questa intervista all’autrice, dove spiega perché ha deciso di non disegnare al computer ma a mano libera e come ha trovato una sua voce per distinguersi come artista. Io credo che ci sia riuscita, unendo esperienze di vita, capacità tecniche e di ascolto non indifferenti, nonché una buona dose di curiosità giornalistica. Un mix potente, vedrete.

Il problema, ora, sarà trovare graphic novel all’altezza. Mi date qualche dritta? Aspetto i vostri suggerimenti e riflessioni! 

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Rosamunde Pilcher riempie d’amore una casa vuota

Trovarsi in una casa vuota è esattamente quello che Rosamunde Pilcher non fa sentire ai suoi lettori. Sono di parte perché sapete che è una delle mie scrittrici preferite, ma il senso di calore che emanano i suoi romanzi è veramente merce rara. La casa vuota non fa eccezione. Oravi racconto perché.

Trama

Dopo dieci anni di lontananza, Virginia Keile torna in Cornovaglia. È alla ricerca di una casetta di fronte al mare dove trascorrere l’estate in pace con i suoi due figli. Ma nell’angolo più riposto del suo cuore, la donna nutre la segreta speranza di ritrovare l’uomo che aveva amato e perduto in una magica, indimenticabile estate della sua giovinezza. Virginia sa che solo quell’uomo, solo quell’amore così lontano ma ancora così vivo potrà finalmente colmare il grande vuoto che riempie la sua casa. E la sua vita.

Lasciare una casa vuota per trovare un posto nel mondo 

Aprire un libro di Rosamunde Pilcher significa immergersi in un’atmosfera serena e rilassante. Ed è per questo che la amo tanto. Le sue storie sono sempre piene di significato, personaggi semplici e di buon cuore, paesaggi splendidi, descritti magnificamente. La casa vuota è un titolo del 1973, uscito inizialmente a puntate su una rivista. Parla di una donna ancora giovane, Virginia, che nonostante un matrimonio e due figli deve ancora trovare una sua voce, un posto nel mondo. Tutto quello che possiede sono soldi e una casa vuota, dove non sa se vuole tornare. Ma d’altra parte, ha sempre fatto scegliere altri per lei. Ed è in questo spartiacque della sua vita che incontra di nuovo Eustace, il suo primo amore di adolescente. Eustace possiede una fattoria in Cornovaglia, è un uomo tutto d’un pezzo, ma stranamente non si è costruito una famiglia. Forse aspettava l’impossibile? E Virginia, è pronta a liberarsi delle sue insicurezze per diventare la donna e la madre che ha sempre sognato?

Una casa che si riempie di amore, gioia e risate

Rosamunde di nuovo ci fa sognare con una storia breve, dove ogni pezzo s’incastra nel puzzle, finché una casa vuota si riempie di amore, gioia e risate, tanto che finisci quasi per sentirla, mentre sulla parola Fine spunta la solita, familiare, lacrimuccia. Bello, da leggere per qualche serata in rilassante compagnia.

E così, posso spuntare La casa vuota dalla mia lista, perché ho intenzione di leggerli tutti. E voi? Quanti ne avete letti? Quanti ne leggerete? Fatemi sapere nei commenti, magari prendo spunto!

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Le malerbe di Keum Suk Gendry-Kim

“Le malerbe di Keum Suk Gendry-Kim mi è arrivato per Natale e ragazzi, che regalo! In realtà ne ho ricevuti due, questo è il primo che finisco, ma spero di parlarvi molto presto anche del secondo. Intanto, posso dirvi che Le malerbe è da cinque stelle, nella mia personale classifica. Ora vi racconto tutto di quest’autrice che scopro oggi e che dopo un solo libro è già candidata a diventare una delle mie letture ricorrenti.

Trama 

Il graphic novel racconta la storia delle “comfort women”, bambine e donne prelevate a forza durante la guerra per farne delle prostitute, e si basa sulla testimonianza diretta di una sopravvissuta. Molto più di una biografia, Le malerbe è un racconto intimo e sentito, in cui anche la voce della narratrice è riconoscibile e importante, e si intreccia ai racconti, a volte comprensibilmente frammentari, di una donna che sente di non aver avuto un solo istante felice da quando è uscita dal ventre della madre. 

Di questo graphic novel mi è piaciuto tutto

Di questo graphic novel mi è piaciuto tutto: la qualità dei disegni, la storia, il personaggio di 할머니 halmoni (nonnaOkseon, la protagonista, e della narratrice. Ma quello che mi è piaciuto più di tutti, è lo stile giornalistico-investigativo con cui Keum Suk Gendry-Kim ha scelto di trattare una materia così sensibile. Farsi raccontare la storia da nonna Okseon non deve essere stato facile, infatti in alcune pagine Keum Suk Gendry-Kim ha lasciato che il silenzio e il colore nero ci lasciassero immaginare i particolari più crudi, mentre in altre, alcune mezze parole lasciate in sospeso dall’intervistatrice, ci fanno capire che per la sua stabilità mentale, probabilmente nonna Okseon ha colorato di rosa alcuni fatti della sua giovinezza così dura. Non dovete pensare, però, che il racconto sia funereo. Anzi, al contrario, già dal titolo Keum Suk Gendry-Kim chiarisce di cosa stiamo parlando: di fili d’erba, che anche se vengono calpestati, si rialzano e crescono, più forti che mai. Come fanno le donne di questo racconto su una pagina di storia ancora mistificata dalla maggioranza degli appassionati di storia. 

Le “comfort women” non si arrenderanno mai

Questo è il sentimento di speranza con cui chiudo questa graphic novel così speciale. Le donne non si arrendono mai e mai si fermeranno finché non avranno giustizia. Finché non verrà loro riconosciuto e risarcito il danno di un’intera vita spezzata. E’ un sentimento forte, che i libri precedenti letti sull’argomento non avevano fatto emergere in me in maniera così prepotente. Per questo, sono contenta che la casa editrice Bao abbia scelto di tradurre questa storia, lasciando anche sulle tavole un’impronta di hangul graditissima a chi, come noi, ama il coreano.

Ora non mi resta che iniziare l’altro graphic novel, Jun, di cui vi parlerò appena possibile, e sperare che la casa editrice decida di tradurre anche gli altri titoli di Keum Suk Gendry-Kim. Altrimenti farò uno sforzo e li leggerò in coreano! Invece voi ditemi, conoscevate già quest’autrice? Cosa avete letto di suo? E la storia delle “comfort women”? Aspetto suggerimenti e riflessioni! 

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Figlie del mare – le “comfort women” di Mary Lynn Bracht

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Jun Oppa e il dopo di noi di Keum Suk Gendry-Kim

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Autumn in Korea: Corea del Sud, il Paese del Calmo Mattino

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Il giardino d’inverno di Bomarzo

Il giardino di Bomarzo è sacro o mostruoso? Questo è il dilemma che affligge da anni i visitatori di questo museo così particolare. E’ proprio il caso di ribadire che tutto dipende da come guardi il mondo. Il perché ve lo spiego subito, venite con me a scoprire Bomarzo e i suoi misteri, ideali per una breve scappatella invernale.

Voi che per il mondo andate errando…

Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orsi, orche et draghi” è la frase che accoglie chi visita il Parco dei Mostri di Bomarzo. A leggerla oggi, la frase suona ironica. Caro Vicino Orsini, è proprio perché non posso errare per il mondo che sono giunta fino a te! La strada per arrivare al parco era immersa nella nebbia e un tantino lugubre. All’ingresso, hanno anche controllato il greenpass, pur essendo un luogo completamente all’aperto e che favorisce il distanziamento naturale. “E’ perché siamo considerati museo”, mi spiegano alla cassa. E anche un tantino esoso come museo: 13 euro che dovrebbero, e sottolineo dovrebbero, servire a manutenere il giardino in ottimo stato. 

Sacro o dei mostri?

Finite le critiche, ora vi racconto la passeggiata, che è stata molto piacevole. Vi dicevo all’inizio che la “critica” si spacca in due. Chi lo considera mostruoso, chi lo considera sacro. Da che dipende? Dipende dalla prospettiva con cui osserviamo la costruzione. Se il visitatore è religioso, troverà ispirazione religiosa, se si fa prendere dall’atmosfera esoterica, lo troverà “mostruoso”. In realtà, la tesi più accreditata oggi è che gli elementi del parco siano null’altro che dipendenti dalla volontà del suo possessore e che rappresentino, visti nel complesso, una sorta di “autobiografia” per immagini. Il che, se ci pensate, è un’idea affascinante: secoli dopo, noi giriamo per il bosco, cercando di farci un’idea del suo ideatore.

Chi era Vicino Orsini?

Pier Francesco Orsini, detto Vicino come vezzeggiativo familiare, era il figlio di Giancorrado e della seconda moglie, Clarice Orsini, che però si allontanò da casa quando i figli erano ancora piccoli. Vicino sposa Giulia Farnese e subito dopo il matrimonio si dedica alla carriera militare fino al 1557, quando si ritira a vita privata nel suo palazzo di Bomarzo, dopo aver girato in lungo e largo per l’Europa. E’ in questo momento della sua vita che decide di progettare il Sacro bosco, progetto che riceve nuova spinta dalla morte della moglie e dalla delusione per le vicende politiche in cui si era ritrovato come militare. E’ un po’ come se il bosco fosse per Vicino un suo buen retiro dalla società e dalla vita pubblica. Complice anche la contemporanea costruzione del cugino ricco, Alessandro Farnese con la sua sfarzosa dimora di Caprarola, Vicino probabilmente volle un luogo seminascosto da cui osservare dal basso gli opulenti possedimenti di quel ramo della famiglia. 

Arte o inganno? 

Tratteggiare, anche velocemente, la personalità di Vicino è fondamentale per cercare di capire quello cui ci troviamo di fronte. Forse ci sta prendendo in giro? All’ingresso, una sfinge reca questa scritta: “Tu ch’entri qua pon mente / parte a parte /e dimmi se tante /maraviglie / sien fatte per inganno / o pur per arte”. Dove finisce l’inganno e inizia l’arte? Pensateci, di solito è un tema che emerge quando si discute di arte moderna. In questo caso, il tempo ha dato risposta? Me lo direte voi. Per quanto mi riguarda, direi di aver trovato la mia risposta. Il bosco è un’allegoria della vita e delle esperienze di Vicino, niente di più e niente di meno. La compagnia e il nascondiglio che il nobile ha riservato ai suoi ultimi anni di vita. Un po’ come fa uno scrittore quando scrive un libro, trasfigura le sue esperienze e dà loro forma. Vicino l’ha fatto con la natura e creazioni dell’uomo, dando vita a un unicum nel suo genere. Se osservate statue, animali e costruzioni in quest’ottica, potrete idealmente vedere Vicino passeggiare accanto a voi. E forse ridere di qualche espressione sconcertata.

L’itinerario

Il percorso all’interno del Bosco sacro di Bomarzo non è obbligato, ma abbastanza indirizzato dalla mappa che consegnano alla cassa. Ci sono 40 elementi e ora vi darò una rapida panoramica di quelli che mi hanno colpito di più. Poi sarete voi nei commenti a dirmi quali vi sono rimasti impressi e perché.

Il fier gigante

Un gigante anche nelle dimensioni, ritratto mentre sbatacchia a terra un avversario. Vicino in una sua lettera lo chiama Orlando, facendo presupporre con ragionevole certezza che abbia tratto ispirazione proprio dai versi dell’Ariosto: “Ma quel (Orlando) nei piedi, ché non vuol che viva, / lo piglia… / e quanto più sbarrar puote le braccia, /le sbarra sì, ch’in duo pezzi lo straccia”.

La casa pendente 

Potrebbe sembrare il frutto di una stravaganza architettonica di Orsini. Invece, un po’ come è successo alla Torre di Pisa, la pendenza è semplicemente frutto di un cedimento del terreno, nessuna ipotesi fantasiosa è concessa. Quale avrebbe dovuto essere la funzione di una casetta così ridotta, è invece ancora oggi un mistero. Forse, un luogo di riposo o di svago per gli ospiti del giardino, o per il padrone stesso. Comunque, è possibile entrarci, ma attenzione perché se soffrite di vertigini si faranno sentire.

L’orco

L’orco è abbastanza impressionante, tanto più che con quella bocca spalancata e gli occhi vuoti, ti invita a salire le scalette per entrare all’interno. E tu lo farai, certo che lo farai. Gli studiosi hanno pensato per anni che fosse un riferimento all’Inferno di Dante. Invece no, oggi sembra più rifarsi alle maschere tragiche della classicità, o a quelle etrusche della zona di Cerveteri, poco distante dal viterbese (anch’io ho una collana da qualche parte). Una volta dentro, vi troverete in una stanza con una tavola al centro e i sedili scolpiti nella pietra. “Ogni pensier vola“, la scritta incisa sul labbro superiore, mi ha fatto pensare a un posto dove perdersi, senza pensare a niente. Magari con una bottiglia di vino, da qui la necessità di un tavolo. Ma sono solo mie fantasticherie, nulla più.

Cerere, Nettuno e la ninfa dormiente 

Su questo trittico, altro che il pensiero vola. Ho proprio creato un romance. Allora, in una piazza quadrata si trovano Nettuno a capotavola, Cerere all’altro capo, spostata su un angolo, e la ninfa dormiente fuori dalla piazza, nei pressi di Nettuno ma seminascosta, con un cane a farle compagnia e da guardia. Ovviamente, con la fantasia galoppante che mi ritrovo, per quanto mi riguarda rappresentano Vicino, la moglie Giulia e la giovane amante di Vicino, che esisteva veramente e gli fu accanto dopo la morte della moglie. Oppure, potrebbe essere Adriana dalla Roza, una giovane romana conosciuta a Venezia in gioventù e di cui si era innamorato. Chissà. Che ne pensate di questa libera interpretazione delle tre statue?

Vi piace l’idea di visitare il Bosco di Bomarzo? Conoscete altri giardini o boschi interessanti da visitare? Datemi suggerimenti nei commenti!

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