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Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/primo giorno

Verona. Se dici città eterna leggi Roma, e hai detto tutto.

Se dici città dell’amore leggi Verona, e hai detto solo una piccola parte di questa piccola, bellissima città veneta, seconda per grandezza solo a Venezia.

Vi diranno che è possibile girarla in poche ore, che un giorno è sufficiente per girarla e farsi un’idea. E’ quello che ho fatto io qualche anno fa e i miei ricordi si limitavano all’Arena e alle piazze più famose. Sentivo, però, tutta l’insoddisfazione di questa toccata e fuga e allora ho deciso di tornare. Stavolta prendendola con più calma, proprio quello che mi sento di consigliare ai viaggiatori. Vi dirò, tre giorni intensi sono stati appena sufficienti per assaporarla con gusto, in tutti i sensi.

Primo giorno

Dalla stazione dei treni mi sono diretta immediatamente verso il centro. Da Porta Nuova ci vogliono circa 20 minuti per arrivare in piazza Bra, con una passeggiata non impegnativa che mi ha fatto incontrare per prima cosa l’Adige. Il fiume taglia in due la città proprio come il Tevere fa con Roma. Le similitudini tra le due non si fermano qui. Appena arrivata in piazza Bra, ma anche prima, al momento di attraversare le porte, mi sono resa conto che la presenza degli antichi romani è palpabile ovunque. Piazza Bra è una delle piazze più grandi della città ed è qui che si staglia l’Arena, certamente uno dei simboli di Verona. Terzo anfiteatro romano per grandezza in Italia, è oggi in pieno centro. All’epoca della costruzione (sembra I secolo d.C.)  si trovava al di fuori dalla cinta muraria. Cioè ai confini della città. Come il Colosseo, fu utilizzata per spettacoli come lo scontro tra gladiatori. Nell”800 iniziò a ospitare opere liriche, fino a diventare dai primi del ‘900 il più grande teatro lirico all’aperto al mondo. E’ qui che ho visto la Tosca durante la mia prima visita e vi assicuro che le migliaia di piccole luci che si accendono all’interno sono uno spettacolo nello spettacolo.

Piazza Erbe 

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Stavolta, foto veloce all’esterno e al grande cuore che preannuncia Verona in Love, la manifestazione che il Comune organizza per la festa di San Valentino. Dicevamo, città dell’amore. Cuori, i cuori sono ovunque mentre mi addentro verso l’interno, in direzione piazza delle Erbe, passando per via Mazzini. Questa è la strada dei negozi eleganti e mi sarei tanto voluta fermare! Piazza Erbe è la più antica di Verona e sorge sopra l’area del foro romano. In età romana era al centro della vita politica ed economica e con il tempo gli edifici romani hanno lasciato il posto a quelli medievali. E’ circondata da palazzi di pregio e da edifici antichi, ma se devo essere sincera le bancarelle di souvenir che occupano il centro della piazza disturbano non poco il colpo d’occhio complessivo. Così tanto che credo di non aver colto in pieno la magnificenza dell’insieme.

L’arco della Costa 

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Piazza dei Signori, o Piazza Dante, è adiacente e ci si arriva semplicemente proseguendo nella passeggiata, attraversando l’arco della Costa, a meno che non siate puri di cuore. Alzando lo sguardo, infatti, si nota una specie di osso appeso all’arco. Sembra si tratti di una costola di balena, ma non c’è certezza, come non è chiara la provenienza. Le ipotesi sono le più fantasiose e spaziano da una vecchia insegna della farmacia ancora ubicata lì sotto a un reperto portato dai crociati al ritorno da una battaglia. Sia come sia, si narra che se un puro di cuore passa sotto la costa di balena, l’osso si stacchi e cada.

Con un certo timore ho fatto la prova, ma non è successo niente. Per fortuna evidentemente non sono pura di cuore, altrimenti quell’affare pesante sulla testa mi avrebbe comunque tolto di mezzo. Forse è proprio questo il significato più profondo: i puri di cuore non sopravvivono in un mondo malato.

Piazza dei Signori 

In Piazza dei Signori, invece, ho trovato il sommo poeta ad attendermi. Un po’ perplesso, un po’, forse, intristito dalle vicende umane contemporanee, per un periodo era stato ospitato proprio in un palazzo che affaccia sulla piazza. Quest’ultima è nata nel medioevo dallo sviluppo dei palazzi scaligeri ed è circondata da numerosi palazzi di indubbia importanza storica e artistica: il Palazzo della Ragione, il Palazzo di Cansignorio, la chiesa di Santa Maria Antica, Palazzo del Podestà, Loggia del Consiglio. Se avete tempo vi consiglio di salire sopra la Torre dei Lamberti, dalla cui sommità potrete godere di una vista privilegiata sui tetti della città.

Arche degli Scaligeri 

Oltre la piazza, accanto a Santa Maria Antica, che ospita al suo interno iscrizioni curiose, mi sono imbattuta nelle Arche degli Scaligeri. Si tratta di un monumentale complesso funerario in stile gotico appartenente alla famiglia degli Scaligeri destinato a contenere le tombe (arche) di alcuni illustri rappresentanti della casata, tra cui quella di Cangrande, il Signore di Verona cui Dante ha dedicato il Paradiso della Divina Commedia.

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Casa di Romeo

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Proseguendo per via Arche Scaligere sono arrivata alla casa di Romeo, annunciata da una targa sulla facciata che cita i versi tratti da Shakespeare. Certo che rispetto all’attenzione riservata all’amata, il povero Romeo deve accontentarsi delle briciole. D’altra parte, avreste mai detto che in realtà si chiamasse Cagnolo Nogarola? Io proprio no. E se il poeta inglese avesse usato il vero nome, il personaggio avrebbe avuto così tanto successo? Dubbi da scrittrice. William mi avrebbe risposto così: Nulla è buono o malvagio in sé, è il pensiero che lo rende tale. Mi sembra quasi di sentirlo, mentre fotografo la targa, per poi avviarmi verso un bagno ristoratore del faticoso affanno. Aiuto, inizio a  parlare come il Bardo!

(domani  vi farò assaggiare tè e aragostine e faremo un giro in libreria)

Prosegui il giro:

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/secondo giorno

Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona/terzo giorno

Il Capodanno cinese è come il nostro, inizia a tavola

Sapevate che la cena di capodanno cinese è fortemente intrisa di simboli? L’ho scoperto curiosando qui e là sul capodanno 2017. Per me, appassionata di simbologia, è stato come un invito a nozze. La tovaglia rossa c’è, il tavolo non quadrato pure…perfetto, si può fare.

Quest’anno entriamo nell’anno del Drago di fuoco e i festeggiamenti iniziano il 28 gennaio per concludersi il 2 febbraio. Il Drago simboleggia la vita e la crescita e porta armonia, virtù, ricchezza, soddisfazione e longevità. Come non rendergli omaggio?

Chiaramente il mio capodanno cinese si è tradotto in una libera interpretazione del menù tradizionale. Sono convinta che comprendere una cultura straniera non significhi replicare esattamente i suoi usi e costumi. Piuttosto, è vitale coglierne il senso.

Preparare la tavola 

Innanzitutto il tavolo, che deve essere tondo, e il colore, il rosso deve dominare su tutto. Il tavolo è ovale, ma credo che vada bene lo stesso, e ho una tovaglia rossa a ricami d’oro acquistata sicuramente in un momento d’emergenza e mai utilizzata. Ho trovato delle bacchette deliziose per posate e ho riutilizzato i tovaglioli avanzati dal Natale per gli auguri di buon anno (basta piegare in tre e il gioco è fatto). Il centrotavola è composto di mandarini e arance, perché esporre e mangiare questi frutti si dice porti ricchezza e fortuna. Questa credenza deriva dall’assonanza delle parole “oro” e “arancia” e “mandarino” e “fortuna”. Le foglie dei frutti simboleggiano la longevità. Ne ho raggruppati 8, simbolo di fortuna, 5 mandarini e tre arance. E’ importante evitare il 4, associato alla morte.

Quali portate servire

Come il nostro capodanno, anche il capodanno cinese prevede numerose portate, perché il nuovo anno inizi nel segno dell’abbondanza. Ognuna si tramuta in un augurio di prosperità, salute e successo.

Il menù che ho scelto è semplice: nuvole di gamberi, involtini primavera, riso alla cantonese, pollo al limone, pesce, innaffiati da birra cinese. Piatti che conosco e che si avvicinano ai gusti miei e degli altri commensali. Gli involtini hanno la forma di un lingotto e rappresentano il denaro. Il riso è segno di abbondanza in ogni cultura. Il pollo richiama il gallo simbolo del 2017. Il pesce non può mancare: “yu” accompagnato dal detto “Nian Nian si yu”, che significa “ci sia ogni anno sempre più abbondanza”. In cinese la parola sovrabbondanza e pesce hanno lo stesso suono. Il pesce deve essere presentato intero, perché rappresenta il “salto” nel nuovo anno, che deve avvenire completamente, senza che nulla rimanga nell’anno passato. Per questo ho scelto lo sgombro con topinambour. Sgombriamo il campo dall’anno vecchio…eheh. E’ anche fondamentale lasciare gli avanzi per il giorno successivo, perché questo significa che l’abbondanza traboccherà.

Altrettanto immancabile è un bel piatto di frutta a fine pasto. Per questo, come dolce ho scelto una versione light della frutta caramellata, spiedini di frutta spolverati di caramello. Ovviamente ogni spiedino è composto di 8 pezzi di frutta e il piatto è completato da 8 datteri, 3 da una parte e 5 dall’altra, sempre per evitare il raggruppamento a 4. Abbondanza sì, ma con un occhio alla linea.

Dopo aver sparecchiato, il festeggiamento si è concluso con un bel bicchierino di…grappa cinese!

Che ne dite? Vi piace il risultato? A casa LMJ è stato apprezzato e penso proprio che verrà replicato nell’anno del cane (:o) e in quelli a venire.

祝你 新年快乐 (Ti auguro un felice anno nuovo!)

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Con la zuppa tteok manduguk festeggiamo il Seollal!

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Lo strano caso della scrittrice uccisa a mezzanotte. Dal panettone

Panettone. Pazza idea. Magari, di far l’amore con lui. Macché, sono invitata a un evento, “Panettonatando in compagnia”. Divertente!, pensa la stolta, che fino a quel momento si era limitata a leggere le ricette online, un po’ tentata, tanto scoraggiata. Eh sì, perché la maggior parte inizia, finisce o contiene in mezzo “se sbagliate, non vi verrà”, “se non amalgamate non lieviterà”, “se non azzeccate la temperatura del forno, non cuocerà”, “se non buttate sangue, non s’incorderà”. Insomma, una catastrofe su tutta la linea.

Forse, pensa sempre la stolta, se affronto la prova in gruppo andrà bene. Forse, la fanno difficile, ma in realtà bisogna solo cimentarsi, come tutte le cose. Forse, dopo kg e kg di pane e l’aiuto della mia preziosa mother, posso farcela.

Ok, gli ingredienti ci sono, iniziamo. Che sarà mai?

Ora, lungi da me darvi la ricetta o il procedimento del panettone, non sono narcisista fino a questo punto. Vi rimando alle bravissime amiche di Breadheart, che hanno creato l’evento su facebook e che con tanta pazienza hanno risposto alle domande più assurde per tutto il fine settimana di Panettonatando, e anche oltre, seguendo la ricetta Morandin.

Mi limito a dare qualche suggerimento per chi voglia comunque affrontare la prova. Così, tanto perché sappiate a cosa andate incontro:

  1. se decidete di affrontarla, sappiate che dovrete chiudervi in casa per tre giorni e che praticamente non potrete fare altro. Fidatevi;
  2. non prendete appuntamenti se avete deciso di panettonare (vedi punto 1);
  3. gli ingredienti, sono una delle cose più importanti. Non lesinate sulla materia prima: altrimenti, consiglio di cuore un panettone industriale;
  4. mother dovrà affrontare un super lavoro. Preparatela, parlatele, coccolatela. Vi seguirà nella pazzia, anche se riottosa;
  5. vi diranno che impastare a mano è impossibile, che serve l’impastatrice, che perderai l’uso delle braccia. Sono la dimostrazione vivente che non solo impastare a mano è possibile, ma anche che mesi e mesi di palestra non valgono tre giorni di olio di gomito;
  6. anche se impastare con olio di gomito è meglio che andare in palestra, allenare le braccia prima di iniziare non è una cattiva idea;
  7. la preparazione. Come in tutte le attività, sportive, di studio, o lavorative, la preparazione è fondamentale. Dopo aver acquistato ottimi ingredienti (vedi punto 3), è importante pesare tutti gli ingredienti e suddividerli in ciotole. Io non l’ho fatto, e mi sono dannata per questo;
  8. i tempi. Calcolate bene quando iniziare, altrimenti farete tante belle nottate in bianco, scrutando la pasta che lievita o il pirottino nel forno;
  9. preparatevi comunque a passare notti in bianco (vedi punto 8). Lasciate spazio all’imprevisto, perché può accadere che mother non lieviti nei tempi standard. Anzi, è probabile che non ne voglia proprio sapere. Consiglio che vale anche nella vita, in generale;
  10. il termometro a sonda. “Misurate la temperatura al cuore del panettone, deve raggiungere 94°”. Perfetto. Oh, cavolo, il termometro a sonda mi manca. Come posso fare? Don’t worry, il caro vecchio e antiquato metodo “infilo lo spiedino e se esce asciutto è pronto” vi verrà in soccorso.

E ora veniamo alle note dolenti. Il mio panettone è uscito così, fragrante, morbido e gustosissimo, ma un po’ bassino. Si è rifiutato di vedere il mondo da una cupola ed è rimasto nell’oblò del pirottino.

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Io lo amo così com’è e non vedo l’ora di condividerlo. Eh sì, perché mancano ancora tre punti all’elenco:

  1. o 11. la lentezza. E’ un valore assoluto. Permette di comprendere, assaporare, sentire. Anche se il dolce non dovesse riuscire, il tempo speso per te stesso e per le persone a cui vuoi bene non sarà mai tempo perso;
  2. o 12. sembra che la sua origine possa essere rintracciata nell’usanza di preparare pane dolce e condividerlo con tutti i commensali durante le feste. Credo che sia il modo migliore per gustarlo;
  3. o 13. secondo me sarebbe meglio preparare il panettone in gruppo. Mentre impastavo, mi sembrava quasi di vederle, le donne del passato, fiere, forti e vigorose, che ciarlando in allegria si scambiavano i ruoli e a turno affrontavano l’epica fatica. Che ai loro tempi, forse, era niente rispetto alla fatica di vivere.

E voi? Vi siete cimentati o pensate di cimentarvi nell’impresa?

 

 

 

Chiamati al voto: cosa succedeva ai tedeschi dell’est

Stamani Facebook mi ha gentilmente ricordato che voto, perché sono una elettrice. Sì, oggi gli italiani votano per il referendum Costituzionale. Controllo dei documenti. Sì o no, una croce e un saluto all’usciere. Finito. Facile. Scontato. Eh sì, perché i diritti li diamo per scontati, i doveri un po’ meno, ma questa è un’altra storia. All’inizio il messaggio di Zuckie mi ha fatto sorridere. Ciao, Liza, sei un elettore. E’ vero, sono un elettore, ma so che gli elettori non sono tutti uguali.

Simulatore di voto

Vi ho già raccontato del mio viaggio a Berlino e che lì ho visitato il museo dell’ex DDR. In una delle sale, c’era un “simulatore  di voto“, tristemente divertente, in cui sei invitato a calarti nei panni di un tedesco dell’est chiamato al voto e rispondere con una penna elettronica alle domande del governo.

Lei ha intenzione di votare?” “Sì”

“Ha intenzione di votare con voto palese o segreto?” Palese.

Risultato: “Lei è un cittadino modello, continui così“.

“Ha intenzione di votare con voto palese o segreto?” Segreto.

Risultato: “mmhh, lei è un cittadino problematico. Ci pensi bene: palese o segreto?” Palese. Ok, lei è un cittadino recuperato. Segreto: “mmhh, lei è un cittadino da osservare con attenzione“.

Ripeto il quiz.

“Lei ha intenzione di votare?” No.

Drrrrinnn, telefonata. “Lei ha intenzione di votare?”. No, grazie.

Dlin dlon!, suonano alla porta. “Buongiorno, sono un funzionario dell’ufficio statistico. Lo sa che votare è un diritto? Lei deve esercitarlo…ha intenzione di esercitarlo?”. Sì, certo. “Voto palese“? Sì, certo. “Cittadino riabilitato“.

Dietrofront: “ha intenzione di esercitarlo” No. “Ne è sicuro?” Sì, certo.

Risultato: “cittadino riottoso, espellere lui e la sua famiglia da qualsiasi incarico/posto di lavoro/gruppo sportivo/scuola“.

“E’ sicuro di non voler esercitare un suo diritto?”

Ma lei

“E’ proprio sicuro che io lo abbia, un diritto?”

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Ich bin Berliner/3: Il giardino dei piaceri del Grande Fratello

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Ich bin Berliner/9: ciao ciao Berlin, è solo un arrivederci

Come si dice, le cose belle devono pur finire e sono arrivata all’ultimo giorno di questo intenso tour in città. Mi rimane ancora una cosa importante da vedere e poi…via allo shopping che conclude tutti i viaggi.

Checkimg_5102 Point Charlie, una volta uno dei più noti punti di passaggio negli anni della guerra fredda, dove un cartello in quattro lingue avvisava chiunque volesse avventurarsi al di là del muro che stava lasciando il settore americano. Il cartello che vediamo oggi è solo una ricostruzione, l’originale è conservato in un museo, e la guardiola di legno dalla quale erano obbligati a passare i visitatori diretti a Berlino est pure, perché l’originale non esiste più.  A me questa finzione è sembrata un po’ triste, l’atmosfera di quell’epoca non si percepisce neanche lontanamente e i due finti soldati americani sono lì per alzare un po’ di soldi mettendosi in posa con i turisti. Bah, uso la fantasia e immagino di essere nel 1961, quando proprio dove mi trovo
img_5106si fronteggiarono i carri armati americani di Kennedy e quelli sovietici di Krusciov, che se non si fossero ritirati avrebbero di fatto segnato l’inizio della terza guerra mondiale. Io mi trovo in mezzo e alzo le braccia in segno di pace…

Ok, il resto ve lo risparmio.  Parliamo di shopping, che è meglio. Mi rifugio nei negozietti di souvenir adiacenti e mi diverto a osservare in quanti modi hanno declinato i pezzetti di muro in vendita. Mi viene pure un’idea di business niente male: prendo qualche mattone, lo sbriciolo, piazzo i pezzi su un magnete e lo spaccio per muro. Decisamente oggi la fantasia galoppa un po’ troppo.

Souvenir, regalini, ricordini, l’incubo di ogni viaggiatore, e di ogni linguista con tutti questi -ini.

Berlino non offre un granché, ve lo dico subito. In ogni dove trovo pezzi di muro, appunto, l’orso simbolo della città, riproduzioni della Trabant, l’unico modello di automobile venduto a Berlino est, e gli Ampelmann, cioè gli omini del semaforo che sono diventati un oggetto di culto, declinato in tutte le salse.  Un giretto al KaDeWe, il grande magazzino tipo Harrod’s, non me lo toglie nessuno. Alla fine ho scelto di andare sul sicuro: cioccolata. Al negozio Ritter Sport scegli i gusti, un omino paziente con i fotografi molesti la cola davanti ai tuoi occhi rapiti e dopo mezz’ora è pronta e inscatolata, con un biglietto dentro che dice pressapoco “l’ho creata per te”. Buona, buona, buona. E sicuramente gradita a chi la riceve.

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Ora è proprio finita. L’autobus TXL dal centro mi porta in 20 minuti all’aeroporto, fantascienza. Ciao, ciao, Berlin. E non piangere. In fondo, è solo un arrivederci.