La moglie coreana tra i venti taglienti di Busan

Per il Book Club, stiamo leggendo La moglie coreana, di Min Jin Lee. Dopo la prima settimana di lettura solitaria, o qualcosa di più, siamo pronti per parlare insieme dell’ambientazione.

Sentitevi liberi di commentare sotto il post le vostre sensazioni, perplessità, emozioni, e tutto ciò che il libro della scrittrice americana vi sta trasmettendo, in positivo o in negativo.

Il romanzo inizia nel 1910 

E finisce nel 1989. Inizia in Corea, e precisamente a Yeongdo (Iondò in italiano, 영도), un isolotto di circa otto chilometri nella baia della città portuale di Busan, e finisce in Giapppone, a Tokyo. Comincia raccontandoci la storia del matrimonio combinato tra Hoonie e Yangjin e la nascita di Sunja, la protagonista che poi seguiremo per (quasi) tutto l’arco della vita. La vita sull’isola non è facile: “la piccola locanda era sferzata da venti taglienti, e le donne imbottivano gli indumenti infilando dell’ovatta tra gli strati di stoffa. In tutto il mondo c’era la cosiddetta Depressione, affermavano i pensionati, ripetendo quanto avevano sentito al mercato da chi sapeva leggere i quotidiani“. Non è facile sull’isola, ma neanche la prospettiva di emigrare rappresenta una soluzione: “la povertà era la stessa in America, in Russia o in Cina. E, in nome dell’imperatore, anche in Giappone la gente comune viveva di stenti e così nella Corea occupata“.

Osaka

Qualche anno dopo, ritroviamo Sunja a Osaka. Perché ci sia andata e con chi lo scopriremo la prossima settimana, quando parleremo dei personaggi. Per ora, andiamo avanti con l’ambientazione.  Aspetto i vostri commenti: Min Jin Lee come descrive il paesaggio? Siete riusciti a immergervi tramite le sue parole? Vi è sembrato di essere con Sunja in una remota isola asiatica? Vi piacerebbe vedere com’è oggi Busan? E il distretto coreano di Osaka?

Sono solo alcuni suggerimenti. Sentitevi liberi di riportare frammenti di testo e le vostre parole. Non ci sono quelle giuste, né quelle sbagliate. Qui quello che importa sono sono le nostre emozioni.

Avete voglia di provare? Aspetto i vostri commenti sotto a questo post!

p.s. ovviamente se l’avete già letto, o se capiterete in futuro su questo post, i vostri pareri sono benvenuti 🙂

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Il favoloso mondo di Amélie torna al cinema. E io vi faccio entrare nel bar

Oggi e domani i cinema festeggiano la riapertura riprogrammando per due giorni Il favoloso mondo di Amélie, a vent’anni dall’uscita. Ma vi rendete conto? Era il 2001 e tutti sognavamo una vita dove i nani potessero fare il giro del mondo, l’amore venisse a bussare alla tua porta, i vicini di posto in sala facessero facce abbastanza buffe da farti ridere e un bar frequentato da clienti deliziosi. Così deliziosi che che…dal bagno provenissero suoni deliziosi!

In pausa da Sex and the City

Qualcuno dice che generazioni di donne siano state rovinate da questo film. Io dico che generazioni di persone sono state rovinate da brutti film, brutta musica e brutta politica, ma ognuno ha il suo metro di giudizio. E a me quel bar era rimasto così impresso, che nell’ultimo viaggio a Parigi ci sono entrata, durante una delle pause dal tour di Sex and the City. Com’è il Café des 2 Moulins nella realtà? Ora vi racconto. 

Il Café des 2 Moulins

Il Café des 2 Moulins è un café-brasserie del quartiere Pigalle, che è stato usato nel film Il favoloso mondo di Amélie come posto di lavoro della ragazza. Il nome fa riferimento al Moulin-Rouge e al Moulin de La Galette, che si trovano nelle vicinanze.Quando è stato scelto come location del film, era in grande difficoltà economiche e si è risollevato proprio grazie al pellegrinaggio dei fan del film, che ancora oggi continua senza sosta. Io lo ammetto, ci sono passata solo perché era di strada sulla salita per andare a Montmartre e ne ho approfittato per togliermi la curiosità.

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L’entrata della brasserie © www.pennaecalamaro.com

Com’è nel film e com’è nella realtà

Il bar ancora oggi è tappezzato di foto e oggetti che ricordano il film: dal menu allo specchio, alla parete con l’immagine di Amélie, all’anticamera del bagno, con una vetrinetta dedicata ai nani da giardino e alle immagini del film. C’è, infatti, un pellegrinaggio di gente che entra al bagno solo per scattare qualche foto. Compresa me, hahaha.  In realtà il cafè è abbastanza deludente: non c’è niente dell’atmosfera del film. E grazie, direte voi. Che dirvi, sono passata in un momento di grande confusione e, forse, è questo l’aspetto che mi è rimasto più impresso. D’altra parte, è passato così tanto tempo dall’uscita del film, e il film era così particolare, che sperare di rintracciare un’aura de Il favoloso mondo di Amèlie lì dentro è pura utopia. Se siete di passaggio, però, una capatina fatela.

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Una scena del film Il favoloso mondo di Amélie
E il bar com’è nella realtà – © www.pennaecalamaro.com

 

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Dal bagno niente suoni, solo cimeli – © www.pennaecalamaro.com

 

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I tavolini su cui sbocciava l’amore – © www.pennaecalamaro.com

Curiosità

Nei pressi del caffè, in Rue Des Trois Frères, si trova anche il negozio del signor Collignon.

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Arrivata in cima, davanti a Montmartre, la scena che mi sono trovata davanti è stata questa. Ma di Notre Dame e del suo incendio vi parlerò in questo post.

L’incendio di Notre Dame, visto da Montmartre – © www.pennaecalamaro.com

Come arrivare

Il Café des 2 Moulins si trova a  Pigalle, al numero 15 di Rue Lepic, nel 18º arrondissement (le fermate della metropolitana più vicine sono quelle di Abbesses e Blanche).

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15 aprile 2019, Notre-Dame in fiamme!

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Jane Austen favorevole allo schiavismo?

Quale famosissima autrice viene messa oggi in discussione come favorevole allo schiavismo a causa del suo amore per il tè e gli abiti di cotone? Ho fatto questa domanda sui social e nessuno ha saputo rispondere. Il che non mi stupisce. Chi avrebbe mai pensato che anche Jane Austen potesse essere sottoposta a revisionismo storico? Invece sì. E quando saprete CHI l’ha sottoposta al giudizio dei contemporanei, rimarrete ancora più increduli. Leggete sotto cos’è successo.

Jane Austen’s House nella tempesta 

Tutto parte dal movimento Black Lives Matter, al quale hanno aderito anche i musei.  Tra questi,  c’è  il museo di Jane Austen nel villaggio inglese di Chawton, dove passò gran parte della sua breve vita. Il mese scorso il museo, Jane Austen’s House, ha iniziato questo processo di “interrogazione storica”, attraverso lo studio dei legami della famiglia Austen con la tratta degli schiavi. Il padre di Jane, infatti, era l’amministratore di una piantagione di zucchero sull’isola caraibica di Antigua. I membri della sua famiglia, quindi, avrebbero consumato prodotti della tratta degli schiavi come tè, cotone e zuccheroLa tratta degli schiavi e le conseguenze del colonialismo nell’era regency hanno toccato ogni famiglia. Quella di Jane Austen non ha fatto eccezione“, ha dichiarato al Daily Telegraph la direttrice del museo, Lizzie Dunford. La quale ha anche aggiunto: “questo è solo l’inizio di un costante e ponderato processo di interrogazione storica”. 

La polemica e le reazioni del museo

Vi lascio immaginare la polemica seguita a queste dichiarazioni, “follia“, la più blanda. Al che, il museo ha dovuto rilasciare una dichiarazione, in cui afferma che “non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di contestare Jane Austen, i suoi personaggi o i suoi lettori per aver bevuto tè“. Il museo si è giustificato dicendo che i visitatori sempre di più chiedono informazioni sul legame della scrittrice con la tratta degli schiavi, che dal 1807 fu vietata nell’impero britannico. “È quindi appropriato che condividiamo le informazioni e le ricerche che già esistono sui suoi collegamenti con la schiavitù e e le citazioni che fa nei suoi romanzi “. Il piano del museo, quindi, sarebbe quello di indagare non tanto il comportamento singolo di una persona, ma l’eredità dell’Impero britannico e il suo ruolo nella tratta degli schiavi. 

E i lettori? Cosa ne pensano?

Intanto, i lettori cosa ne pensano? Sostanzialmente, preferiscono non prendere parte al dibattito e continuare a godersi la lettura come hanno sempre fatto. Secondo Claudia L. Johnson, professoressa alla Princeton University e autrice del saggio Jane Austen’s Cults and Cultures, chi legge Jane Austen, vuole immaginare che vivesse in un mondo più tranquillo e civile”. I suoi romanzi, infatti, hanno come protagonista una ristretta élite e sono ambientati in villaggi di campagna, per lo più tagliati fuori dai problemi del mondo esterno. Altri studiosi, invece, affermano che nei suoi romanzi ci siano tracce di una sua posizione abolizionista, ma sono abbastanza incerte e nella sua corrispondenza privata non sono emersi ulteriori elementi. Altri ancora, più prosaicamente, affermano che è ingiusto giudicare la coscienza civile di una persona fuori dal suo tempo e che tutti noi, consapevolmente o inconsapevolmente, nella nostra vita quotidiana finiamo in contraddizione con gli alti principi civici e sociali che professiamo. 

E noi? Cosa ne pensiamo?

Io penso che, semplicemente, Jane Austen fosse davvero tagliata fuori dal mondo, i suoi romanzi lo dimostrano ampiamente, e che giudicarla con gli occhi di chi ha ha già visto l’evoluzione della storia, sia un esercizio di stile e nient’altro. D’altra parte, non è preferibile giudicare gli altri piuttosto che lavorare sui nostri comportamenti?

E voi, a quale corrente di giudizio storico sentite di appartenere? Scrivetemi nei commenti!

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Goya e la fisiognomica in mostra a Roma

Il 29 aprile ha aperto a Roma, e per la prima volta in Italia, la mostra Goya Fisionomista, a cura di Juan Bordes. Dopo mesi di chiusura di tutti i luoghi d’arte, non mi è sembrato vero e mi sono precipitata. Non ci crederete, c’ero solo io a quell’ora! E adesso vi racconto com’è andata e cosa potrete vedere. 

Fino al 18 settembre 2021

Ospitata dall’Instituto Cervantes  nella Sala Dalí di Piazza Navona, dopo essere stata a Madrid, Bordeaux, Algeri e Praga, la mostra rimarrà aperta fino al 18 settembre 2021. La rassegna raccoglie 38 incisioni di Francisco Goya appartenenti a tre delle sue famose serie: Los Caprichos (I capricci, 29 incisioni), Los Disparates (Le sciocchezze, 5 incisioni) e Los Desastres (I disastri, 4 incisioni). Una selezione che analizza i rapporti dei volti di Goya con i trattati di fisiognomica dell’epoca e si completa con 109 riproduzioni di illustrazioni del XVIII e XIX secolo.

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I legami di Goya con le teorie fisiognomiche 

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La mostra analizza il rapporto tra i volti più significativi dei suoi personaggi e le teorie fisiognomiche pubblicate tra il Settecento e l’Ottocento. Rivelando l’interesse di Goya per la fisionomia, in parte scaturito da un suo viaggio in Italia, dove le ristampe di Giovanni Battista della Porta erano popolari in un momento in cui la scienza studiava il riflesso della malattia mentale nei volti delle persone. Una pseudoscienza che cercava l’animalità del volto umano e delle sue espressioni, e che faceva parte del sapere popolare sin dal XVI secolo. Per dimostrare che Goya fosse a conoscenza di queste teorie, la mostra evidenzia i parallelismi tra le litografie dell’artista spagnolo (insieme ad ingrandimenti fotografici dei volti dei suoi personaggi) e i grandi album fisionomici di Le Brun o l’enciclopedia di Moreau de la Sarthe (1806-1809). Grazie a questi paragoni, le fonti di Goya diventano evidenti, con un allestimento che mette a confronto le varie opere, mostrandoci tre tipi di fisionomie: animale, patologica e degradata. La caratteristica essenziale dei volti creati da Goya, infatti, è la brutalità, poiché le emozioni sono mostrate nella loro forma più pura. 

Da vedere?

Se amate il pittore spagnolo, sì, da vedere. Anche se non c’entra nulla, mi ha ricordato Madrid e il periodo oscuro di Goya, con la deformazione e la ferocia dipinte sui volti dei personaggi rappresentanti. E poi, che ve lo dico a fare, quando esci, un giro di piazza Navona e dintorni è d’obbligo, altrimenti il leone s’arrabbia! :p

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Giorni e orari 

Organizzata dall’Instituto Cervantes e dalla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, la mostra si può visitare gratuitamente dal martedì al sabato dalle ore 16 alle 20, su prenotazione scrivendo cenrom@cervantes.es. Indirizzo: Roma, Piazza Navona, 91. La visita dura, più o meno, 30 minuti. 

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Leonardo da Vinci in mostra a Roma

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A maggio leggiamo Min Jin Lee e il pachinko

Il Book Club PeC lascia, ma non del tutto, l’ambientazione americana e, per la terza lettura, si avventura in Asia. Un libro al mese, scelto insieme. Stavolta, leggeremo La moglie coreana dell’autrice americana, di origine coreana, Min Jin Lee.  Parleremo dell’ambientazione, dei personaggi, della storia. Ci confronteremo con sensazioni, modi di pensare, idee diverse dalle nostre. E’ anche questo il bello di condividere e confrontarsi, no? Allora, se siete pronti con il libro in mano, vi lascio qualche dettaglio iniziale sul romanzo che stiamo per leggere e un’avvertenza su cosa l’abbia ispirato. Alla prossima settimana con altre curiosità sul romanzo e il primo dibattito!

Pachinko

La moglie coreana, Pachinko nel titolo originale, è un romanzo di Min Jin Lee, un’autrice americana nata nel 1968 da una famiglia di origine coreana. Ormai per me è una condanna, anche stavolta ritengo Pachinko un titolo più azzeccato per la storia che racconta? Perché? Ne parleremo durante la lettura, magari alla fine. Intanto, vi dico che il pachinko è una sala giochi, un business considerato equivoco.

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Prima di partire 

E’ la stessa Min Jin Lee, nella prefazione, a spiegarci come le è venuta l’idea per questo romanzo: “ero al terzo anno di università, nel 1989, e un giorno assistetti a un ‘Master’s Tea’, una lezione tenuta da un relatore d’eccezione ospite di Yale. Un missionario americano che svolgeva il proprio operato in Giappone teneva una lezione sugli zainichi, un termine spesso usato per descrivere i giapponesi di origine coreana che erano migranti di epoca coloniale, oppure loro discendenti. Il missionario parlò di questa lunga storia e raccontò la vicenda di un ragazzino delle scuole medie il cui nome era stato infangato all’interno dell’annuario scolastico per via delle sue origini coreane. Il ragazzino si era lanciato da un edificio ed era morto. Non lo dimenticherò mai. Dopo aver abbandonato la carriera legale, fin dal 1996 ho deciso di scrivere dei coreani che vivono in Giappone”. 

Vuoi partecipare? 

Sei capitato qui per caso, ma vorresti saperne di più? Se anche tu vuoi partecipare al Book Club PeC leggi qui come farlo. Unico requisito: tanta voglia di leggere.

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